ufficio del processo

Ufficio del processo: accelerata la giustizia civile Centomila i procedimenti civili arretrati smaltiti in un anno. I dati nello studio del Ministero della Giustizia e Bankitalia

Upp acceleratore della giustizia civile

L’Ufficio del processo è un acceleratore della giustizia civile. E’ quanto emerge dai dati dello studio congiunto realizzato dal ministero della Giustizia e dalla Banca d’Italia, “Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile”, disponibile in versione integrale.

“L’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un impatto positivo sulla definizione dei processi, soprattutto i più complessi, con riflessi positivi anche sull’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi” si legge nella nota di via Arenula.

I dati

Si stima, infatti, che dall’immissione del primo gruppo di addetti Upp, nel primo trimestre 2022, alla fine del 2023, i tribunali che hanno ricevuto un numero maggiore di addetti hanno registrato una variazione nel numero dei procedimenti definiti di circa 4 punti percentuali più elevata; per i procedimenti più complessi la variazione è di circa 10 punti percentuali.

L’incremento complessivo di definizioni è valutabile in circa 100.000 procedimenti civili all’anno, pari a circa 1/3 dell’arretrato 2019.

Il contributo degli addetti risulta essere maggiore nei tribunali che prima della pandemia avevano già livelli di produttività elevata, “segno che gli uffici con maggiore capacità organizzativa hanno saputo sfruttare meglio le nuove risorse”.

Un risultato incoraggiante, conclude il ministero, “anche alla luce del fatto che gli effetti positivi messi in luce dall’analisi hanno riguardato il primo periodo di immissione degli addetti Upp; solo in un orizzonte temporale più lungo potranno pienamente dispiegarsi i benefici – in termini di quantità e qualità della risposta –  della nuova organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari”.

recidiva

Recidiva: il giudice deve motivare specificamente La Cassazione ricorda che in tema di recidiva è richiesta al giudice una specifica motivazione e in tal caso è escluso il sindacato di legittimità

Recidiva

In materia di recidiva è richiesta al giudice un specifica motivazione. Lo ha ricordato la seconda sezione penale nella sentenza n. 19125/2024 dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Firenze, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto un uomo responsabile dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 5 comma 9 D.Lgs. n. 231/2007 (ora art. 493-ter cod. pen.) e 110- 482 cod. pen. aggravati da recidiva reiterata.

L’uomo mediante il proprio difensore adisce la Cassazione, lamentando violazione di legge penale in relazione al riconoscimento della recidiva, in quanto la Corte di appello si era limitata ad evidenziare l’esistenza di precedenti penali dell’imputato, specifici e vicini nel tempo, non spiegando in alcun modo per quali ragioni la condotta avrebbe dovuto essere ritenuta di un’offensività tale da dover ritenere la pericolosità del soggetto aumentata in raffronto con i suddetti precedenti penali.

Ricorso inammissibile

Per gli Ermellini il ricorso è inammissibile. Il giudice territoriale infatti ha fornito congrua ed esaustiva motivazione evidenziando che il numero e la specificità dei precedenti del ricorrente non apparivano “una ricaduta occasionale bensì un pervicace percorso criminale intrapreso dall’imputato nel lontano 1985”.

Trattasi, pertanto, di motivazione logica, sulla quale non è ammesso il sindacato di legittimità.

Per cui il ricorso è inammissibile e il ricorrente condannato anche al pagamento di 3mila euro a favore della Cassa delle ammende.

Allegati

giurista risponde

Millantato credito e traffico di influenze illecite Sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito e il reato di traffico di influenze illecite?

Quesito con risposta a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato

 

Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma 2, cod. pen. – abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), della L. 9 gennaio 2019, n. 3 – e il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346bis c.p., come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. t), della L. 3/2019; le condotte, già integranti gli estremi dell’abolito reato di cui all’art. 346, comma 2, c.p., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice. – Cass., Sez. Un., 15 maggio 2024, n. 19357.

Il caso da cui scaturisce il rinvio alle Sezioni Unite Penali è quello di un soggetto, detenuto in carcere, il quale convinceva un altro recluso a promettergli del denaro in cambio dell’intermediazione che il primo avrebbe esercitato su di un agente penitenziario, rimasto ignoto, per evitare che l’altro recluso fosse trasferito in altra struttura detentiva, nonostante tale trasferimento non fosse stato programmato dall’amministrazione penitenziaria. Nelle more del giudizio – nel quale inizialmente si procedeva per il delitto ex art. 319quater c.p. – interveniva la L. 3/2019 che introduceva il reato di cui all’art. 346bis c.p., per cui l’imputato veniva condannato dalla Corte d’Appello che riformulava la condanna di primo grado.

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite è relativo alla possibilità di ravvisare continuità normativa tra l’abrogata fattispecie di millantato credito (art. 346 c.p.) e la nuova fattispecie di traffico di influenze illecite (art. 346bis c.p.), con particolare riguardo alla punibilità del “venditore di fumo” (ovvero del soggetto che chieda ad un soggetto denaro o altre utilità in cambio della sua intermediazione presso un pubblico ufficiale, quanto tuttavia tale influenza non esista, configurandosi la stessa quale mera occasione per ingannare il privato).

La soluzione positiva si fondava su due ordini di considerazioni. In primo luogo la volontà del legislatore del 2019 sarebbe stata quella di conformarsi agli obblighi di criminalizzazione imposti dalle fonti sovranazionali e, pertanto, l’introduzione dell’art. 346bis c.p. dovrebbe “ampliare” lo spettro delle condotte punibili, certamente non restringerlo. In secondo luogo si sostiene che le condotte che l’art. 346, comma 2, c.p. riconduceva al “pretesto” di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o di doverlo remunerare, coinciderebbero con le “relazioni (reali o) asserite” di cui all’art. 346bis c.p.

La soluzione negativa, invece, parte innanzitutto dalla considerazione che, innanzitutto, ci sarebbe diversità strutturale già nei beni tutelati tra il millantato credito di cui all’art. 346, comma 2 c.p. ed il nuovo 346bis c.p.. Infatti se nella prima norma assume una rilevanza centrale la tutela del patrimonio del compratore “circuito” dalla millanteria, la nuova disposizione è incentrata sull’anticipazione della tutela del buon andamento della p.a. che, nel caso del venditore di fumo, non risulterebbe affatto intaccata. A seguire la medesima giurisprudenza ha a più riprese osservato che non può farsi coincidere il “pretesto” del vecchio millantato credito con le “relazioni asserite” del traffico di influenze illecite. La prima espressione, infatti, designa un rapporto che l’intermediario sa inesistente e che viene utilizzato per raggirare il privato “compratore di fumo”; la seconda espressione delinea invece una serie di rapporti dell’intermediario i quali possano far aspirare il privato al favorevole esercizio del patrimonio pubblico, pure se tale risultato non si configuri come sicuro.

Le Sezioni Unite, investite della questione controversa in giurisprudenza, sposano la tesi della discontinuità tra le due fattispecie di reato, precisando quanto segue. Innanzitutto la differenza strutturale tra le due fattispecie emerge anche solo dalla considerazione che, mentre il millantato credito era reato monosoggettivo, il nuovo traffico di influenze illecite, ai sensi del comma 2, è reato necessariamente plurisoggettivo nel quale entrambe le parti vengono sanzionate se c’è la relazione con il pubblico ufficiale. Si riafferma inoltre che, per quanto concerne l’offensività delle condotte di cui all’art. 346bis c.p., ora il bene giuridico tutelato è certamente il solo buon andamento della pubblica amministrazione che, nel caso di un’influenza solo millantata, non sarebbe di certo offeso. Non possono essere dirimenti, in senso contrario, le pur valide obiezioni che valorizzano l’astratta volontà del legislatore di ampliare le ipotesi di reato punibili e non certo di restringerle: sul punto, infatti, per pacifico insegnamento giurisprudenziale si evidenzia che anche l’interpretazione sistematica non può comunque ignorare la formulazione ed il significato letterale delle norme di legge (cfr. Cass., Sez. Un., 19 maggio 1999, n. 11).

Per quanto concerne l’offesa al patrimonio del “compratore di fumo” – che la giurisprudenza prevalente vedeva offeso nel vecchio reato di millantato credito – la Corte si occupa anche della punibilità della condotta del “venditore di fumo” a titolo di truffa. La questione impone di valutare se tra il delitto di truffa e l’abrogata fattispecie di millantato credito (e, in particolare, delle condotte di cui al secondo comma) sussista un rapporto di specialità e, quindi, se possa ravvisarsi un fenomeno di abrogatio sine abolitione. Il rapporto di specialità ex art. 15 c.p., secondo le conclusioni sulle quali si è attestata la giurisprudenza (Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2017, n. 20664), va investigato alla luce della comparazione della struttura astratta delle fattispecie, non essendo valorizzabili, per un deficit di legalità, i criteri di assorbimento e consunzione.

Nel caso in esame le Sezioni Unite evidenziano come, confrontando la struttura delle due fattispecie, tra esse non possa rinvenirsi un rapporto di specialità unilaterale ma, piuttosto, di specialità bilaterale poiché ognuna presenta elementi specializzanti rispetto all’altra: il pretesto di dover comprare la funzione nel millantato credito, l’ingiusto profitto e l’induzione in errore nella truffa). Tale rapporto di interferenza esclude che tra i due reati possa individuarsi una continuità temporale con “riespansione” della norma generale e, pertanto, la condotta del venditore di fumo sarà punibile purché nel processo sia stato contestato anche quest’ultimo reato e ne siano stati accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi.

(*Contributo in tema di “Millantato credito e traffico di influenze illecite”, a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

mediazione familiare

Mediazione familiare: cos’è e chi la conduce La mediazione familiare è un percorso finalizzato al raggiungimento di un accordo in presenza di una crisi familiare

Mediazione familiare: definizione e finalità

La mediazione familiare consiste in una procedura rivolta alle coppie in crisi al fine di risolvere situazioni conflittuali che vengono manifestate con la volontà di procedere a una separazione o un divorzio.

La mediazione familiare prevede la collaborazione delle parti coinvolte per la risoluzione del conflitto. In questo percorso la coppia è assistita da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore familiare. Il suo ruolo è quello di comunicare con le parti per aiutarle a trovare una soluzione positiva per entrambe.

Uno degli obiettivi principali nel processo di mediazione è la realizzazione della cogenitorialità per tutelare la responsabilità genitoriale di ciascun genitore nei confronti dei figli, soprattutto se minori di età.

Mediazione familiare e mediazione civile

Le differenze con la mediazione civile sono evidenti. La mediazione familiare è finalizzata a favorire gli accordi tra coniugi per risolvere problematiche soprattutto di carattere “emotivo” che possono riguardare anche il rapporto con i figli. La mediazione civile invece è finalizzata al raggiungimento di un accordo tra parti in conflitto in relazione a una controversia insorta in materia di diritti disponibili.

Mediazione familiare: l’art. 473 bis 10 c.c.

La Riforma Cartabia ha valorizzato la mediazione familiare, dedicandole un articolo specifico del codice di procedura civile nella parte dedicata ai procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473 bis 10 prevede che il giudice, durante il procedimento, possa informare le parti, della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore familiare. Questo soggetto, che le parti possono scegliere liberamente, deve spiegare alle parti finalità, contenuto e modalità di svolgimento del percorso per consentire loro di decidere se intraprenderlo o meno.

Il giudice può decidere anche di rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti se, ottenuto il consenso dei coniugi, ritiene che la mediazione familiare possa essere utile alle parti per trovare un accordo, soprattutto nell’interesse materiale e morale dei figli.

Il mediatore familiare: disciplina

La Riforma Cartabia ha anche regolato la disciplina professionale del mediatore familiare. Il DM n. 151/2023 contenente il regolamento sulla disciplina professionale del mediatore familiare compie l’attuazione del decreto legislativo n. 149/2022, che a sua volta ha attuato la legge delega n. 206/2021.

Alla luce di questa regolamentazione il soggetto che vuole esercitare la professione di mediatore familiare deve richiedere l’iscrizione in un elenco apposito. All’elenco si possono iscrive i mediatori familiari che sono iscritti da almeno 5 anni a una delle associazioni professionali, che a loro volta, devono essere inserite nell’elenco del Ministero dello sviluppo economico.

Mediatore familiare: definizione normativa

L’articolo 2 del DM n. 151/2023 definisce il mediatore familiare come: la figura  professionale  terza  e imparziale, con una formazione specifica, che interviene nei casi  di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l’evento separativo. Il mediatore opera al fine di facilitare i soggetti coinvolti nell’elaborazione di un percorso di riorganizzazione di  una  relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo   direttamente e responsabilmente negoziato e con riferimento alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove presente.”

Competenze

Il mediatore familiare deve essere in possesso di conoscenze specifiche in materia di diritto di famiglia, tutela dei minori, violenza domestica e violenza di genere.

Il mediatore acquisisce queste competenze attraverso la frequentazione di un percorso di formazione iniziale a cui ne segue uno continuo nel tempo con acquisizione dei relativi crediti formativi periodici.

Requisiti morali

Il mediatore familiare per esercitare la professione deve possedere anche precisi requisiti di onorabilità. Non deve aver subito condanne penali e non deve essere stato sottoposto a specifiche misure di prevenzione e di sicurezza personali.

Deontologia

Il mediatore familiare è tenuto al rispetto anche di precise regole deontologiche, la cui violazione comporta   relative sanzioni.

Ai sensi dell’art. 6 del DM n 151/2023 il mediatore familiare deve esercitare la professione con libertà, autonomia, indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico, buona fede,  affidamento della clientela, correttezza, responsabilità e riservatezza.

Il mediatore familiare esercita l’attività di  mediazione  con imparzialità, neutralità e assenza di giudizio  nei  confronti  dei mediandi, promuovendo fra loro un processo equilibrato e incoraggiandoli a confrontarsi in modo costruttivo.”

bando 400 magistrati

Bando 400 magistrati: non consentiti i codici annotati Il ministero della Giustizia ha pubblicato due avvisi concernenti i criteri per la consultazione dei testi e dei codici per le prove scritte del concorso

Bando 400 Magistrati, nomina commissione e testi consentiti

Bando 400 magistrati: il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria ha diramato due comunicazioni relative alla nomina della commissione esaminatrice (decreto ministeriale 24 luglio 2024, poi modificato dal Dm 5 agosto 2024) del concorso per 400 posti di magistrato indetto con Dm 8 aprile 2024.

Via Arenula ha pubblicato anche due avvisi concernenti i criteri per la consultazione dei testi e valutazione dei codici durante lo svolgimento delle prove scritte e l’indicazione degli oggetti ammessi e di quelli non consentiti nel corso delle sessioni d’esame.

Testi e codici consentiti

In particolare, si legge negli avvisi, “ai sensi dell’art. 16-bis del D.L. n. 118/2021 (che modifica l’art. 7 del R.D. n. 1860/1925) è consentito ai candidati “di consultare semplici testi dei codici, delle leggi e dei decreti dello Stato da essi preventivamente comunicati alla Commissione e da questa posti a disposizione previa verifica”.

Non sono pertanto ammessi “i codici illustrati, annotati, anche a mano, esplicati o commentati con richiami a dottrina o giurisprudenza, ad eccezione dei meri riferimenti ai dispositivi delle pronunce della Corte costituzionale (art. 11, comma 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44)”.

Esclusi dalla consultazione anche “i codici e i testi contenenti ‘mappe’ esplicative o ‘tabelle’ che non siano quelle previste dalla legge, aggiunte, anche a mano, suggerimenti o specificazioni di qualunque genere, anche se contenuti negli indici”, nonchè “stampe private o fotocopie di testi normativi”.

Ad essere consentiti, invece, “i codici corredati da indici cronologici, analitico-alfabetico (o sistematico-alfabetico) e/o sommario”.

La Commissione esaminatrice, avvisa il ministero, “procederà al controllo dei codici e dei testi ammessi in ogni momento della procedura concorsuale”.

Il candidato che verrà trovato in possesso di un codice artefatto è passibile di denuncia penale.

Cosa è ammesso portare alle prove scritte

Alle prove scritte, è permesso portare:

  • Qualunque alimento confezionato in involucro trasparente, compresi Snack, caramelle e cioccolatini purché confezionati singolarmente;
  • Acqua, succhi di frutta, integratori, caffè, the, purché conservati in bottiglie o contenitori trasparenti.

Tra gli oggetti non consentiti, invece:

  • Telefoni cellulari, smartphone, Agende elettroniche, Tablets, di qualsivoglia tipologia e marca;
  • Smartwatch, orologi abilitati alla ricezione e trasmissione e comunque qualsiasi strumento a tecnologia meccanica, elettrica, elettronica od informatica idoneo alla memorizzazione di informazioni ovvero alla trasmissione di dati anche se spento;
  • Auricolari, Cuffie;
  • Contenitori, termos, borracce;
  • Borse, Borselli, Borsellini, portafogli, Marsupi, Portaoggetti, Zaini, Valigie di qualunque genere o dimensione;
  • Penne, Matite, gomme, Evidenziatori, colori di qualsiasi tipo, Pennarelli, Righelli, Post it, fogli, carta per scrivere, block notes, quaderni e simili;
  • Appunti, manoscritti, quotidiani, libri o pubblicazioni di qualunque genere non autorizzati compresi Codici commentati con dottrina e giurisprudenza.

 

contributo maternità avvocati

Contributo maternità avvocati 2024 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la nota ministeriale di approvazione della delibera della Cassa Forense che fissa la misura del contributo di maternità 2024 per gli avvocati

Sulla Gazzetta Ufficiale del 30 agosto scorso, è stata pubblicata la nota ministeriale di approvazione della delibera n. 339/2024 adottata dal Consiglio di amministrazione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense in data 22 maggio 2024.

La delibera determina il contributo di maternità dovuto dagli avvocati e praticanti iscritti all’ente previdenziale per l’anno 2024 in misura pari a euro 96,76 pro-capite.

Il contributo, si ricorda, viene riscosso in unica soluzione unitamente alla quarta rata prevista per il pagamento della contribuzione minima obbligatoria annuale.

Il termine di scadenza è il 30 settembre.

 

Leggi anche la guida alla Cassa Forense

come contattare ader

Come contattare AdeR: i canali disponibili Tutte le modalità per contattare l'Agenzia delle Entrate-Riscossione: dal web al contact center, come parlare con un operatore e ricevere risposte alle proprie richieste

AdeR, tutti i canali di contatto

Come contattare AdeR? Sono tanti i canali messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate-Riscossione (AdeR) pubblicati in una scheda riepilogativa sulla propria rivista online FiscoOggi. Dal web al contact center, i metodi per ottenere risposte da parte dei cittadini sono diversi.

Il sito AdeR

Punto di riferimento è il sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it dove è possibile, scrive l’agenzia, “avere a portata di mouse tutte le notizie utili sul mondo della riscossione e i servizi disponibili per cittadini, imprese e professionisti”.

Sul sito di AdeR sono anche disponibili gli strumenti che consentono al contribuente di parlare direttamente con un operatore o di ricevere via email le risposte alle proprie richieste.

Ecco nel dettaglio i vari servizi e le modalità per accedervi:

Modulo online per contattare il servizio contribuenti

È possibile ricevere assistenza utilizzando il servizio “Invia una e-mail al servizio contribuenti” per avere informazioni sulle cartelle, le procedure di riscossione, richiedere situazioni debitorie, documenti/estratti o avere semplicemente informazioni sulle modalità di pagamento delle rateizzazioni e delle definizioni agevolate.

Per accedere al servizio basta compilare il form sul sito di AdeR, indicando i propri dati anagrafici, il codice fiscale e i contatti. Occorrerà, poi, selezionare la causale, descrivere la propria richiesta e allegare la documentazione di riconoscimento.

Qualora si richiedano documenti ed estratti occorre compilare e firmare il modello RD1 scaricabile nella sezione dedicata del sito.

Se si accede al servizio dalla propria area riservata non occorre allegare documenti di riconoscimento.

Canali telematici email e Pec

Sono disponibili, inoltre, per ogni servizio offerto, indirizzi di posta elettronica attraverso cui inviare documenti o istanze, che evitano al contribuente di doversi recare allo sportello per essere sicuro dell’effettiva consegna di un’istanza o del deposito dei documenti richiesti.

Sportello online in videochiamata

Il servizio consente di interagire direttamente in videochiamata con un operatore di Agenzia delle entrate-Riscossione per ricevere assistenza.

Si può prenotare l’appuntamento dall’area riservata del portale utilizzando le credenziali Spid o Cie (per gli intermediari fiscali anche con le credenziali dell’Agenzia delle entrate).

Appuntamento allo sportello

Rimane sempre la via “tradizionale” per rivolgersi all’Agenzia delle entrate-Riscossione attraverso la vasta rete di sportelli dislocati su tutto il territorio nazionale. 

Agli sportelli si accede su appuntamento che si può prenotare online sul sito internet oppure chiamando al numero unico 060101, scegliendo giorno e ora tra quelli disponibili.

Contact center

Per avere informazioni e assistenza su cartelle e procedure di riscossione, c’è poi il numero unico 060101, sia da telefono fisso che da cellulare (costo della chiamata secondo il piano tariffario applicato dal proprio operatore).

Il servizio è attivo tutti i giorni, 24 ore su 24: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle 18 è possibile parlare direttamente con un operatore mentre nelle altre fasce orarie, il sabato e la domenica, è attivo un risponditore automatico interattivo.

Contatti per gli enti creditori

L’AdeR mette a disposizione anche canali di contatto per gli enti creditori utili per la risoluzione delle problematiche e l’erogazione delle informazioni su tutta la gamma della propria offerta, come servizi istituzionali e di supporto alla riscossione (formazione ruoli, formazione cartelle, ecc.), applicativi web dedicati agli enti, assistenza tecnica, verifica inadempimenti, ecc.

Le richieste di assistenza possono essere effettuate chiamando il numero verde 800 349192, tramite help desk web accedendo dall’area riservata del portale servizi oppure inviando una email a helpdeskenti@agenziariscossione.gov.it.

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mediazione civile

Mediazione civile: cos’è e come funziona La mediazione civile è una procedura stragiudiziale delle controversie disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010

Mediazione civile: che cos’è

La mediazione civile è una procedura stragiudiziale definita dalla lettera a) dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 28/2010. Si tratta nello specifico in un’attività, che viene svolta da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore. Il mediatore nell’assistere due o più soggetti in contrasto tra di loro, si pone l’obiettivo di ricercare una soluzione amichevole per comporre la controversia, con la possibilità di formulare una proposta di accordo.

Mediazione obbligatoria e facoltativa

La mediazione può essere obbligatoria o facoltativa. La mediazione è obbligatoria nei casi previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ossia quando il preventivo svolgimento di questa procedura rappresenta la condizione per poter procedere in giudizio.

La mediazione è facoltativa quando le parti non sono vincolate ad avviare la mediazione per poter  avviare eventualmente una causa giudiziaria, ma decidono volontariamente di farsi assistere da un mediatore per risolvere una controversia.

Domanda riconvenzionale

La condizione di procedibilità appena vista per la mediazione obbligatoria riguarda solo la domanda principale, non quella riconvenzionale. Lo hanno precisato le SU della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3452/2024, dopo aver spiegato la differenza tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale “eccentrica”, non subordinata cioè alla comunanza del titolo della domanda attorea. In presenza di questo tipo di domanda riconvenzionale, che allarga   l’oggetto del giudizio, la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione non contemplato. La condizione di procedibilità della mediazione nelle materie obbligatorie vale quindi solo per gli atti introduttivi e non per le domande riconvenzionali, che tuttavia devono essere discusse in sede di mediazione.

Leggi anche “Domanda riconvenzionale e mediazione

Materie mediazione civile obbligatoria

Tornando alla mediazione obbligatoria essa è contemplata dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 quando le controversie vertono su determinate materie.

Chi vuole esercitare in giudizio un’azione per risolvere una controversia in una delle materie indicate dalla norma, deve quindi avviare, in via preliminare, la procedura di mediazione.

Queste le materie che richiedono il preventivo esperimento della mediazione se si vuole poi agire in giudizio:

  • condominio;
  • diritti reali;
  • divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari;
  • associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

Procedimento di mediazione

Il procedimento di mediazione presenta il primario vantaggio della durata. Essa non può superare la durata complessiva di tre mesi prorogabili di altri tre se le parti si accordano in forma scritta.

Per avviare la procedura è necessario fare domanda presso un organismo di mediazione, che provvede a fissare la data del primo incontro. Il procedimento richiede la partecipazione personale delle parti (e dei loro avvocati se la mediazione è obbligatoria o domandata dal giudice). In presenza di giustificati motivi tuttavia le parti possono delegare un rappresentante purché munito di procura e a conoscenza dei fatti. La  partecipazione personale è molto importante, il mancato rispetto di questa regola produce  effetti processuali negativi per le parti.

Del primo, così come degli incontri successivi, il mediatore redige apposito verbale.

Alla mediazione possono prendere parte anche degli esperti se la materia da trattare è moto tecnica.

La Riforma Cartabia ha previsto la possibilità di svolgere il procedimento di mediazione anche in modalità telematica. La disciplina di questa procedura particolare è contenuta nell’articolo 8 bis del decreto legislativo n. 28/2010.

Possibili esiti della mediazione civile

La  procedura di mediazione civile può avere diversi esiti. Se le parti raggiungono un accordo il mediatore ne da atto nel verbale. L’accordo è quindi redatto in formato analogico o digitale in tanti originali quanti sono le parti, a cui si aggiunge un originale da depositare presso l’organismo. Se con l’accordo le parti compiono uno degli atti contemplati dall’art. 2643 c.c. lo stesso va trascritto, ma un notaio deve prima autenticare le firme dell’accordo. Il verbale che contiene l’accordo inoltre, nei casi e nei modi previsti dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 28/2010, costituisce un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata.

La mediazione ha invece un esito negativo se le parti non raggiungono l’accordo. Anche in questo caso il mediatore deve darne atto nel verbale.

Costi della mediazione

La mediazione civile presenta un ulteriore vantaggio rispetto alla durata ridotta. Si tratta di una procedura che comporta costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per avviare e proseguire una causa giudiziale.

Se si avvia ad esempio una mediazione in una controversia che presenta un valore non superiore ai 5000 euro la partecipazione al primo incontro e il raggiungimento dell’accordo comportano un esborso di poche centinaia di euro. Ovviamente se il valore della controversia sale salirà anche il costo della mediazione. In ogni caso il risparmio rispetto a un procedimento giudiziale è notevole, grazie anche ai numerosi benefici fiscali rappresentati dai crediti di imposta descritti nell’articolo 20 del decreto legislativo n. 28/2010.

Negoziazione assistita e mediazione: differenze

La mediazione civile, così come la negoziazione, rappresenta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto ai processi. Nella mediazione però le parti, assistite dai loro avvocati, devono negoziare direttamente tra loro. Nella mediazione invece è il mediatore che aiuta le parti, eventualmente assistite dai loro avvocati, per fargli raggiungere un accordo.

Diverse sono anche le materie nelle quali si deve avviare una negoziazione o una mediazione così come è diversa la procedura, il rapporto con il processo, i costi e i benefici fiscali.

nuovi limiti contante

Nuovi limiti contante anche per le prepagate Nuovi limiti contante per chi entra ed esce dai paesi UE, per chi li supera e non lo dichiara sequestro e sanzioni

Denaro contante: limiti per chi entra ed esce dall’UE

Nuovi limiti contante, novità in arrivo. Il limite attuale per l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni in Italia è di 5.000 euro. Nessun limite di importo invece è previsto per chi desidera tenere in casa dei contanti per affrontare delle spese che ha in programma. Il discorso cambia ancora quando ci si reca all’estero. Per chi entra o esce dall’Europa è infatti previsto il divieto di detenere importi superiori a 10.000 euro.

Adeguamento alla normativa UE

Il Governo ha infatti approvato un decreto legislativo finalizzato ad adeguare la normativa interna al Regolamento UE 2018/1672, che riguarda i controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dell’UE.

Il testo però prevede dei limiti che, ad essere ben precisi, non si riferiscono solo al denaro contante, ma anche alle carte prepagate e ad altri mezzi di pagamento.

Chi decide quindi di recarsi in un paese UE deve quindi tenere conto di questo limite. Chi detiene ad esempio dei contanti e una carta prepagata e superi il valore di superiore ai 10.000 euro ha l’obbligo di farne denuncia alla dogana.

Denaro contante e altri valori da dichiarare

I imiti di valore imposti per il passaggio in entrata e in uscita dai paesi UE è previsto al fine di scongiurare la commissione del reato di riciclaggio e di reati strumentali al finanziamento di attività criminali.

Detto questo, il limite dei 10.000 euro previsto dal Regolamento UE a cosa si riferisce?

Senza dubbio al denaro contante, a seguire agli assegni turistici come i traveller’s chèque, agli assegni, ai vaglia cambiari, agli ordini di pagamento al portatore emessi senza indicazione specifica del nome del beneficiario, a quelli emessi in favore di un beneficiario fittizio, o a quelli che richiedono la sola consegna per il passaggio del titolo.

Il soggetto che porti con sé uno o più dei suddetti strumenti di pagamento per un valore superiore ai 10.000 euro deve dichiararlo all’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane entro 30 giorni.

Il limite di importo deve essere rispettato anche se il denaro o uno degli altri strumenti di pagamento interessati vengono inviati in un plico a mezzo posta. Non occorre cioè che la persona li porti con sé.

Mancata dichiarazione denaro contante

Lo schema del decreto legislativo prevede il sequestro e l’applicazione di sanzioni piuttosto elevate nei confronti di coloro che non dichiarano il superamento del limite di importo dei 10.000 euro. Vediamo in che termini e in che misura.

Sequestro percentuale

Per quanto riguarda la parte di importo non dichiarato il decreto prevede

  • il sequestro nella misura del 50% se il valore supera la soglia dei 10.000 euro fino ai 20.000 euro;
  • la percentuale del sequestro sale al 70% per importi fino a 100.000,00 euro;
  • il sequestro infine è totale se, al netto della soglia, l’importo supera i 100.000 euro.

Nei casi in cui il soggetto fornisca informazioni inesatte sull’importo è previsto il sequestro:

  • nella misura 25% se la differenza tra quanto dichiarato e quanto si vuole trasferire non supera i 10.000 euro;
  • la percentuale sale al 35% per importi fino a 30.000,00 euro;
  • passa al 70% se la differenza non supera i 100.000,00 euro;
  • è totale infine se si supera l’importo di 100.000,00 euro.

Sanzioni amministrative

Previste inoltre sanzioni amministrative quantificate nelle seguenti misure percentuali:

  • 15% per valori soglia fino a 20.000,00euro;
  • 30% per importi non superiori a 40.000,00 euro;
  • 100% se si supera la soglia di 40.000,00 euro.

Le sanzioni previste per le informazioni inesatte vengono applicate invece con aliquote variabili dal 10 al 100%.

 

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Allegati

lotta alla violenza genere

Lotta alla violenza di genere: diventa materia scolastica Il ddl 1813 all'esame della Camera prevede l'introduzione dell'educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne tra le materie scolastiche

Educazione contrasto alla violenza di genere a scuola

La lotta alla violenza di genere entra a scuola. Il ddl-1813 all’esame della commissione cultura della Camera prevede infatti “l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne” quale materia scolastica, attraverso la modifica dell’art. 3 della legge n. 92/2019.

Iter proposta di legge

La pdl Semenzato ed Altri, recante “modifiche all’art. 3 della legge n. 92/2019, concernenti l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne nonché l’insegnamento dell’educazione finanziaria nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica”, è stata presentata nell’aprile scorso e assegnata alla VII Commissione Cultura in sede referente di Montecitorio, avendo ricevuto già il parere delle altre commissioni.

Violenza di genere e educazione finanziaria nell’educazione civica: le motivazioni

La pdl n. 1813 reca quale obiettivo quello di continuare nel “percorso intrapreso all’interno degli istituti scolastici, prevedendo che l’insegnamento scolastico dell’educazione civica assuma come riferimento il tema dell’educazione al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, quello dell’educazione finanziaria, l’autonomia economica del singolo familiare o convivente, con l’adozione di provvedimenti che incidano profondamente nella cultura delle nuove generazioni, attraverso un’azione positiva volta a sviluppare nella formazione degli studenti il rispetto dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e dignità nei rapporti di coppia”.
La violenza di genere, infatti, si legge ancora nella relazione alla proposta, passa anche per “la violenza economica – che – affonda le proprie radici in un terreno di pregiudizi patriarcali e culto dei ruoli di genere che in una società equa, moderna e civile non possono essere tollerati”. La scuola rappresenta “l’ambiente privilegiato per lo sviluppo della consapevolezza di quanto sia importante raggiungere e mantenere una autonomia economica, rompendo gli schemi della famiglia tradizionale, ed è il punto di riferimento prioritario attraverso cui far veicolare i messaggi chiave e avvicinare i futuri adulti al tema della indipendenza economica da assicurare al singolo nel nucleo familiare o nelle convivenze di fatto”.

Per quanto concerne, invece, l’educazione all’autonomia finanziaria, il principale obiettivo “è quello di attivare un processo virtuoso al fine di avere cittadini informati, attivi, responsabili e consapevoli che la libertà di scelta, in presenza di crisi familiari, presuppone una indipendenza economica”.

Il testo della proposta di legge

la pdl si compone di un unico articolo, il quale dispone che:

“1. All’articolo 3 della legge 20 agosto 2019, n. 92, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera f), dopo le parole: «contrasto delle mafie» sono aggiunte le seguenti: «e di ogni forma di violenza nei confronti delle donne»;

b) al comma 2, dopo le parole: «e l’educazione finanziaria» sono inserite le seguenti: «, anche nel rispetto dell’indipendenza economica del singolo familiare o convivente»”.