reti tra avvocati

Reti tra avvocati: cosa prevede la riforma forense Reti tra avvocati e reti multidisciplinari: cosa sono, come funzionano, autonomia degli avvocati e disciplina applicabile

Riforma Ordinamento Forense: la novità delle reti

La riforma dell’ordinamento forense 2025 prevede diversi punti di novità per gli avvocati. Una delle norme più interessanti da analizzare e comprendere è contenuta nell’articolo 15 della bozza del 15 aprile 2025 intitolato  Reti tra avvocati e reti multidisciplinari”. La disciplina delle reti però, nella sua completezza, è individuabile anche in altri articoli della Riforma. Ne è un esempio l’articolo 7 che impone il segreto professionale a tutti i componenti della rete professionale.

Reti tra avvocati e reti multidisciplinari: definizione

In base all’art 15 sopra menzionato la professione forense può essere esercitata in forma di rete, che può essere composta solo da avvocati o includere altre figure professionali. Nelle reti multidisciplinari devono esserci però almeno due avvocati iscritti all’albo. Gli altri professionisti possono partecipare alla rete, a condizione che siano anch’essi regolarmente iscritti ai propri albi.

I professionisti ammessi alla rete devono appartenere nello specifico alle categorie definite dal Ministro della Giustizia con il decreto n. 23 del 4 febbraio 2016.

Reti tra avvocati e multidisciplinari: albo

I contratti di rete tra avvocati devono essere iscritti in una sezione apposita dell’albo dell’ordine forense in cui ha sede la rete. Il contratto deve indicare la sede principale. In ogni caso la rete può avere anche sedi secondarie. L’avvocato che decide di partecipare alla rete deve informare il suo Ordine di appartenenza, se questo è diverso da quello in cui si trova il centro principale degli affari.

Costituzione e funzionamento della rete

Quando si costituisce una rete tra avvocati o una rete multidisciplinare è necessaria la presenza di un organo comune e di un fondo patrimoniale. Queste reti possono avere inoltre soggettività giuridica, se il contratto è stipulato formalmente con atto pubblico o con una scrittura privata autenticata. Il contratto inoltre deve essere iscritto in una sezione speciale dell’albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e degli altri ordini professionali coinvolti. La registrazione deve avvenire nel circondario in cui ha sede la rete.

Autonomia, libertà e obblighi avvocati aderenti

Anche se l’avvocato aderisce alla rete l’incarico professionale è sempre dato personalmente. Partecipare a una rete non priva il libero professionista della propria autonomia. L’avvocato deve restare sempre libero e indipendente nel suo giudizio e nello svolgimento dell’incarico. Ogni accordo contrario è nullo.

Un avvocato inoltre può partecipare anche a più di una rete e queste possono essere tra soli avvocati o di natura multidisciplinare.

L’attività professionale svolta tramite le reti crea infine precisi obblighi, ma anche diritti di natura previdenziale, come stabiliti dalle leggi in materia.

Accesso delle reti ad appalti privati

Le reti di avvocati o di natura multidisciplinare possono partecipare a incarichi e appalti privati, così come previsto dall’articolo 12, comma 3, della legge 12 maggio 2017, n. 81.

La disposizione prevede infatti che Al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità:

  1. di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia;
  2. di costituire consorzi stabili professionali;
  3. di costituire associazioni temporanee professionali, secondo la disciplina prevista dall’articolo 48 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in quanto compatibile.”

Reti tra avvocati e multidisciplinari: normativa

Alle reti di avvocati o multidisciplinari si applica l’articolo 3, commi 4-ter e 4-quater, del decreto legge 10 febbraio 2009 n. 5, se è compatibile. Trattasi della disciplina dei contratti di rete tra imprese.

Le reti con soggettività giuridica possono accedere infine a procedure specifiche del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza su specifica richiesta.

 

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incaricato di pubblico servizio

Incaricato di pubblico servizio Incaricato di pubblico servizio: chi è, normativa, tipologie, differenze rispetto al pubblico ufficiale e giurisprudenza

Chi è l’incaricato di pubblico servizio

L’incaricato di pubblico servizio è una figura giuridica rilevante nel diritto penale italiano, collocata accanto a quella del pubblico ufficiale. Si tratta di un soggetto che, pur non essendo titolare di pubblici poteri autoritativi o certificativi, esercita un’attività di pubblico interesse con modalità che richiedono particolare attenzione giuridica.

Normativa di riferimento

La definizione di incaricato di pubblico servizio si trova all’articolo 358 del Codice Penale, che così recita: “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, intendendosi per pubblico servizio un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e della prestazione di lavoro meramente materiale.”

La disposizione precisa quindi che il pubblico servizio, pur essendo attività di interesse collettivo, non attribuisce poteri autoritativi né certificativi all’incaricato.

Tipologie di incaricati di pubblico servizio

Gli incaricati di pubblico servizio possono essere individuati in diverse categorie operative, tra cui:

  • addetti di aziende fornitrici di pubblici servizi (es. dipendenti delle società di trasporto pubblico o delle imprese erogatrici di energia elettrica);
  • addetti alle società concessionarie di servizi pubblici, come la gestione di rifiuti urbani o della distribuzione idrica;
  • personale amministrativo di enti pubblici o di società private che operano in regime di concessione pubblica.

Non rientrano invece nella categoria gli esecutori di mere attività materiali o coloro che svolgono semplici compiti di manovalanza.

Differenze tra incaricato di pubblico servizio e pubblico ufficiale

È fondamentale distinguere l’incaricato di pubblico servizio dal pubblico ufficiale.

Criterio

Pubblico ufficiale

Incaricato di pubblico servizio

Poteri

Esercita pubbliche funzioni con poteri autoritativi e certificativi

Svolge attività di pubblico interesse senza poteri autoritativi o certificativi

Esempi

Carabinieri, giudici, ufficiali di stato civile

Dipendenti di aziende di trasporto pubblico, personale di sportelli amministrativi

Rilevanza penale

Applicazione di reati propri contro la Pubblica Amministrazione (es. abuso d’ufficio, corruzione)

Applicazione limitata a reati compatibili con la mancanza di potere autoritativo

In sostanza, il pubblico ufficiale ha la capacità di manifestare la volontà della Pubblica Amministrazione e di incidere direttamente nella sfera giuridica dei privati, mentre l’incaricato svolge attività strumentale o esecutiva, pur rilevante per il funzionamento di servizi pubblici.

Responsabilità penale dell’incaricato di pubblico servizio

Gli incaricati di pubblico servizio possono rispondere di diversi reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui:

  • peculato (art. 314 c.p);
  • indebita destinazione di denaro o cose mobili (art. 314 bis c.p);
  • peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 326 bis c.p);
  • concussione (art. 317 c.p);
  • induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p);
  • corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.o);
  • utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragione di ufficio (325 c.p);
  • rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p);
  • rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p).

Gli incaricati di pubblico servizio sono ovviamente esclusi alle fattispecie che richiedono necessariamente l’esercizio di pubblici poteri, come il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale (art. 479c.p).

Inquadramento dottrinale e giurisprudenziale

Dottrina e giurisprudenza hanno precisato che la qualifica di incaricato di pubblico servizio non dipende dal rapporto di pubblico impiego né dalla natura pubblica o privata dell’ente datore di lavoro, ma è legata esclusivamente alla funzione esercitata.

La recente pronuncia della Cassazione n. 1957/2023 ha chiarito che l’incaricato di pubblico servizio svolge un’attività regolamentata come la pubblica funzione, ma senza poteri di certificazione o decisione. Allo stesso tempo, il suo ruolo va oltre semplici compiti esecutivi o manuali.

La precedente Cassazione n. 5550/2022 invece ha chiarito che l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio non sussiste se l’attività dell’agente è disciplinata da norme di diritto privato, anche qualora una persona giuridica pubblica o una società con partecipazione pubblica quasi totale sia coinvolta.

 

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imposta di bollo

Imposta di bollo: cos’è e quando va pagata Imposta di bollo: cos'è, normativa, soggetti obbligati, importi, quando e come si paga, sanzioni ed esenzioni

Cos’è l’imposta di bollo

L’imposta di bollo è un tributo erariale indiretto dovuto per la formazione, l’uso o la conservazione di determinati atti, documenti e registri, sia in formato cartaceo che digitale. Si tratta di una delle imposte più antiche del sistema fiscale italiano, la cui funzione è quella di attribuire validità giuridica o ufficialità a determinati atti, oltre a generare entrate per l’erario.

L’imposta di bollo si applica in via generale:

  • sugli atti redatti in forma scritta, aventi rilevanza giuridico-economica;
  • sui documenti depositati presso la pubblica amministrazione;
  • sulle istanze e dichiarazioni rivolte alla pubblica amministrazione o a enti pubblici.

Può essere assolta in modo tradizionale (marca da bollo cartacea) oppure in modo virtuale (soprattutto per i documenti elettronici o nelle comunicazioni telematiche con la PA).

Normativa di riferimento

L’imposta di bollo è disciplinata dal:

  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, e successive modifiche;
  • Allegato A del D.P.R. 642/1972, che elenca dettagliatamente gli atti e documenti soggetti all’imposta e le relative tariffe;
  • Circolari dell’Agenzia delle Entrate, che forniscono chiarimenti su casi specifici.

Quando è dovuta l’imposta di bollo

L’imposta di bollo è dovuta:

  • al momento della formazione dell’atto, se predisposto in forma cartacea;
  • al momento dell’invio o della protocollazione, per i documenti digitali trasmessi alla PA (es. PEC, istanze, contratti elettronici);
  • in caso d’uso, cioè quando un atto che inizialmente non era soggetto a imposta viene utilizzato in un procedimento amministrativo o giudiziario.

Esempi tipici in cui l’imposta è obbligatoria:

  • istanze alla pubblica amministrazione non esenti per legge;
  • contratti di locazione superiori a 30 giorni non registrati telematicamente;
  • fatture elettroniche non soggette a IVA (es. operazioni fuori campo o esenti);
  • copie conformi di atti pubblici o scritture private;
  • certificati scolastici, anagrafici o catastali (salvo esenzioni specifiche).

Quanto si paga: misura dell’imposta

L’imposta di bollo è dovuta in misura fissa o proporzionale, secondo quanto stabilito dal Tariffario (Allegato A del D.P.R. 642/1972).

Misure fisse più comuni:

  • € 16,00: per ogni foglio di istanze e atti trasmessi alla PA;
  • € 2,00: per ricevute e quietanze superiori a € 77,47 non soggette a IVA;
  • € 2,00: per fatture elettroniche non imponibili o esenti IVA, per importi oltre € 77,47;
  • € 16,00 ogni 100 righe: per contratti, delibere, atti societari e notarili.

Misure proporzionali si applicano in casi residuali, come ad esempio per:

  • atti di protesto cambiario;
  • certificati rilasciati da camere di commercio.

Chi deve pagare l’imposta di bollo

Il pagamento dell’imposta grava su:

  • chi redige l’atto (nel caso di istanze o dichiarazioni);
  • chi richiede un certificato, copia o documento soggetto a imposta;
  • le parti contraenti, in caso di contratti.

Nel caso di contratti o atti con più parti, tutti i soggetti firmatari sono obbligati in solido. Per i documenti trasmessi digitalmente, l’obbligo ricade su chi trasmette l’atto (es. il contribuente o il suo intermediario).

Modalità di pagamento

L’imposta di bollo può essere assolta con diverse modalità:

  1. Marca da bollo cartacea, acquistabile presso tabaccai autorizzati (per documenti cartacei);
  2. Pagamento virtuale, per atti trasmessi online, previa autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate (es. fatture elettroniche, PEC);
  3. Modello F24: per specifiche operazioni fiscali e contrattuali, come l’assolvimento cumulativo dell’imposta da parte di soggetti obbligati (es. banche, compagnie assicurative);
  4. Addebito su conto fiscale, in caso di registrazioni e dichiarazioni tramite portali dell’Agenzia.

Sanzioni in caso di omesso pagamento

Il mancato o insufficiente pagamento dell’imposta di bollo comporta l’applicazione di sanzioni amministrative, oltre a interessi legali. L’Agenzia delle Entrate può contestare l’omissione anche successivamente, in fase di controllo documentale.

La circolare n.2/E dell’Agenzia delle Entrate, ha chiarito che in virtù del decreto legislativo n. 139/2024 che ha modificato anche alcune disposizioni relative all’imposta di bollo:

  • il co. 4 dell’art. 4 dello stesso decreto modificando l’articolo 25 del DPR n. 642 del 1972, in materia di imposta di bollo, fissa la sanzione nella misura:
  • “dell’80 per cento dell’imposta o della maggiore imposta (in luogo di quella dal 100 al 500 per cento), per l’omesso o insufficiente pagamento dell’imposta;
  • dell’80 per cento, per l’omessa o infedele dichiarazione di conguaglio (in luogo di quella dal 100 al 200 per cento),;
  • del 45 per cento, se presentata con ritardo non superiore a 30 giorni (in luogo di quella dal 50 al 100 per cento).”

Esenzioni previste per legge

L’imposta di bollo non è dovuta in determinati casi previsti dalla legge. Le esenzioni riguardano:

  • atti e documenti di procedimenti penali o civili a spese dello Stato;
  • attività svolte da ONLUS e altri enti del Terzo Settore, in specifiche circostanze;
  • istanze per prestazioni sanitarie o scolastiche.

L’esenzione va indicata espressamente sull’atto, con riferimento alla norma che la prevede.

 

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malattie oncologiche

Malattie oncologiche, diritti e tutele: la guida INPS La guida INPS ai diritti e alle tutele sanitarie, assistenziali, previdenziali e fiscali dedicate ai malati oncologici

Malattie oncologiche: tutti i diritti e le tutele

Malattie oncologiche: chi affronta una patologia oncologica si trova spesso a dover gestire, oltre agli aspetti clinici, anche importanti conseguenze sociali, lavorative ed economiche. Per questo motivo, il nostro ordinamento prevede una serie di tutele e prestazioni dedicate ai malati oncologici, che si articolano su più livelli: sanitario, assistenziale, previdenziale e fiscale. L’INPS ha elaborato un’apposita guida che riepiloga i principali strumenti di tutela, assistenziale, sociale ed economica, che l’istituto offre a beneficio dei malati oncologici.

Quali sono le tutele garantite?

L’INPS offre diverse forme di protezione per i lavoratori affetti da neoplasie, tra cui:

  • Conservazione del posto di lavoro durante il periodo di comporto, regolata dalla contrattazione collettiva;

  • Esclusione dal computo delle assenze per malattia nei casi di terapie salvavita, come la chemioterapia;

  • Esenzione dalle fasce di reperibilità per visita fiscale, previo accordo;

  • Congedo per cure (fino a 30 giorni all’anno) per invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50% (art. 7 D.lgs. n. 119/2011).

Permessi e congedi per malati oncologici

In caso di riconoscimento della disabilità grave (ai sensi della legge 104/1992), il lavoratore o il familiare che presta assistenza ha diritto a:

  • 3 giorni di permesso mensile (frazionabili);

  • 2 ore giornaliere di permesso (1 ora se il contratto è inferiore a 6 ore);

  • Congedo biennale retribuito per assistenza a familiari con disabilità grave, secondo l’ordine prioritario previsto dal D.lgs. n. 151/2001, art. 42.

Prestazioni economiche e pensionistiche

L’INPS prevede prestazioni economiche specifiche per i soggetti colpiti da tumori:

Assegno ordinario di invalidità

  • Destinato a chi ha una riduzione della capacità lavorativa inferiore a un terzo;

  • Compatibile con l’attività lavorativa (con riduzione dell’importo);

  • Rinnovabile per tre anni e convertibile in pensione di vecchiaia.

Pensione di inabilità

  • Per i lavoratori che si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;

  • Incompatibile con qualsiasi impiego;

  • Reversibile ai superstiti, se previsto.

Assegno mensile e pensione di inabilità civile

  • Assegno mensile per invalidi civili (74-99%) con reddito basso;

  • Pensione di inabilità civile per invalidi totali (100%) in stato di bisogno;

  • Indennità di accompagnamento per chi non può deambulare autonomamente o necessita assistenza continua.

Invalidità e handicap: l’accertamento sanitario

Per i malati oncologici è previsto un iter accelerato per il riconoscimento dell’invalidità civile (legge 80/2006). La visita medica deve avvenire entro 15 giorni dalla domanda e dà accesso immediato alle prestazioni connesse.

Dal 2025, nelle province interessate dalla riforma introdotta dal D.lgs. n. 62/2024, la procedura è semplificata: il certificato medico introduttivo vale anche come domanda e include valutazioni sanitarie, psicologiche e sociali.

Agevolazioni non economiche e fiscali

Le persone affette da tumore hanno diritto a:

  • Esenzione dal ticket sanitario;

  • Accesso alle liste speciali di collocamento (invalidità ≥45%);

  • Agevolazioni fiscali (IVA agevolata, detrazioni per spese mediche e figli a carico, bonus per barriere architettoniche, ecc.).

unioni civili

Le unioni civili Unioni civili: cosa sono, disciplina di riferimento, come si costituiscono, diritti e doveri, regime patrimoniale, scioglimento e adozione

Cosa sono le unioni civili

Le unioni civili rappresentano una forma giuridica di convivenza riconosciuta dallo Stato italiano, destinata alle coppie dello stesso sesso. Istituite con la legge 20 maggio 2016, n. 76, conosciuta come Legge Cirinnà, costituiscono un importante traguardo nella tutela dei diritti delle persone LGBTQ+, offrendo una disciplina specifica in materia di diritti e doveri reciproci, regime patrimoniale e scioglimento del vincolo.

L’istituto giuridico è stato introdotto per riconoscere e tutelare le relazioni affettive e patrimoniali tra due persone dello stesso sesso, distinguendole sia dal matrimonio (riservato in Italia alle coppie eterosessuali), sia dalla convivenza di fatto, disciplinata nella stessa legge ma con caratteristiche differenti.

L’unione civile, quindi, non è un matrimonio, ma un istituto autonomo che comporta diritti e doveri simili, pur non identici, a quelli del matrimonio.

Normativa di riferimento: la legge Cirinnà

La disciplina delle unioni civili è contenuta nella legge n. 76/2016, nota come Legge Cirinnà, dal nome della senatrice relatrice del provvedimento. La normativa è entrata in vigore il 5 giugno 2016 e ha introdotto due principali novità:

  • il riconoscimento giuridico delle unioni civili tra persone dello stesso sesso;
  • la regolamentazione delle convivenze di fatto (sia etero che omosessuali), in un capo distinto.

La legge è stata attuata con il D.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144, che disciplina nel dettaglio le modalità di registrazione e trascrizione delle unioni civili.

Come si costituisce un’unione civile

Per costituire un’unione civile occorre seguire una procedura amministrativa davanti all’Ufficiale di Stato Civile del Comune:

  1. manifestazione congiunta della volontà di unirsi civilmente da parte dei due partner (entrambi maggiorenni e dello stesso sesso);
  2. assenza di cause impeditive analoghe a quelli previsti per il matrimonio (ad es. interdizione, parentela, vincoli matrimoniali preesistenti).
  3. redazione dell’atto da parte dell’Ufficiale di Stato Civile e iscrizione nel registro dello stato civile.
  4. possibilità di scegliere un cognome comune, aggiungendolo o anteponendolo al proprio.

Non è prevista, per le unioni civili, la pubblicazione matrimoniale, ma solo la manifestazione della volontà di costituire l’unione.

Diritti e doveri dei partner

La legge prevede per le persone unite civilmente una serie di diritti e doveri reciproci, che ricalcano in buona parte quelli coniugali, con alcune eccezioni:

  • Obbligo di assistenza morale e materiale;
  • Obbligo alla coabitazione;
  • Concorde indirizzo della vita familiare;
  • Obbligo reciproco alla contribuzione secondo le proprie capacità.

A differenza del matrimonio, non esiste il dovere di fedeltà, espressamente escluso dal legislatore.

Inoltre, l’unione civile comporta:

  • Successione legittima tra partner, secondo quanto previsto dal codice civile;
  • Pensione di reversibilità, se uno dei due partner decede;
  • Facoltà di adozione del cognome comune;
  • Equiparazione ai coniugi in ambito sanitario e penitenziario, anche in materia di decisioni mediche e accesso alle informazioni.

Regime patrimoniale delle unioni civili

Il regime patrimoniale legale previsto dalla legge per le unioni civili è quello della comunione dei beni, salvo diversa scelta dei partner al momento della costituzione dell’unione o successivamente.

La comunione dei beni comporta la titolarità congiunta dei beni acquistati dopo la costituzione dell’unione, con eccezioni simili a quelle previste per il matrimonio (beni personali, donazioni, ecc.).

È possibile optare per la separazione dei beni, mediante apposita dichiarazione all’Ufficiale di Stato Civile.

Scioglimento dell’unione civile

Lo scioglimento dell’unione civile può avvenire:

  • su volontà di uno o di entrambi i partner;
  • per decesso;
  • per sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due partner.

Diversamente dal matrimonio, non è previsto il procedimento di separazione, ma si procede direttamente allo scioglimento, mediante una dichiarazione resa all’Ufficiale di Stato Civile o mediante ricorso congiunto in Tribunale.

Unioni civili e adozione

La legge Cirinnà non estende automaticamente alle unioni civili il diritto all’adozione del figlio del partner (stepchild adoption). Tuttavia, la giurisprudenza ha ammesso in alcuni casi questa possibilità, secondo il principio del superiore interesse del minore, valutato caso per caso dal tribunale.

 

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Divieto del terzo mandato

Divieto del terzo mandato: i limiti della Consulta Corte costituzionale: il divieto del terzo mandato consecutivo per i Presidenti di Regione è un principio fondamentale

Divieto del terzo mandato consecutivo

Con la sentenza n. 64 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1 della legge regionale della Campania n. 16 del 2024, ribadendo che il divieto di un terzo mandato consecutivo per i Presidenti delle Giunte regionali costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento. Tale principio vincola le Regioni a statuto ordinario sin dalle prime leggi elettorali adottate dopo l’entrata in vigore della legge n. 165 del 2004.

Il divieto del terzo mandato: un limite necessario

Secondo la Consulta, il divieto in questione rappresenta un “temperamento di sistema” che bilancia l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, fungendo da contrappeso costituzionalmente legittimo. Non si tratta di una limitazione alla forma di governo – riservata agli statuti regionali ai sensi dell’art. 123 Cost. – bensì di una norma di carattere elettorale, che incide sul diritto di elettorato passivo e rientra nella competenza statale quale principio fondamentale previsto dall’art. 122, primo comma, della Costituzione.

Obbligatorietà principio anche senza recepimento

La Corte ha chiarito che un principio fondamentale, in quanto tale, si applica direttamente e non necessita di recepimento esplicito da parte del legislatore regionale. Ciò vale anche per norme puntuali e specifiche come il divieto del terzo mandato consecutivo, che vincola automaticamente le Regioni sin dal momento in cui queste adottano leggi elettorali coerenti con l’elezione diretta del Presidente.

Il caso Campania: illegittima la deroga

Nel caso della Regione Campania, il divieto è divenuto pienamente operativo con l’entrata in vigore della legge regionale n. 4 del 2009, che, pur non esprimendosi esplicitamente in merito, rinvia in via generale alla normativa statale. La norma impugnata – che escludeva dal computo i due mandati già svolti dal Presidente in carica, permettendone una nuova candidatura – è stata ritenuta incostituzionale, poiché viola il principio fondamentale del limite ai mandati consecutivi, così come delineato dal legislatore statale.

Irrilevante l’inerzia su analoghe leggi regionali

Infine, la Corte ha chiarito che l’eventuale mancata impugnazione di disposizioni simili adottate da altre Regioni non influisce sulla valutazione di costituzionalità. L’illegittimità può infatti essere fatta valere anche in via incidentale, nei modi previsti dall’ordinamento.

avvocato imputato

L’avvocato imputato non può difendersi da solo La Cassazione stabilisce che l’avvocato imputato non può difendersi da solo in un processo penale: serve sempre un difensore terzo

Autodifesa avvocato imputato

Avvocato imputato: con l’ordinanza n. 18353/2025, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione penale ha riaffermato un principio consolidato: l’autodifesa tecnica non è ammessa nel processo penale, nemmeno quando l’imputato è un avvocato iscritto all’albo speciale per il patrocinio in Cassazione. In caso di accusa penale, anche il legale indagato deve nominare un difensore terzo, non potendo rappresentarsi autonomamente in giudizio.

Il caso: autodifesa cassazionista accusata di stalking

La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da un’avvocata cassazionista imputata per atti persecutori nei confronti dell’ex coniuge e della figlia. La donna aveva proposto ricorso personalmente, senza la nomina di un difensore, invocando il proprio diritto all’autodifesa come previsto, in via generale, dall’art. 13, comma 1, della legge n. 247/2012 (ordinamento forense).

Tuttavia, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando la mancanza di un difensore formalmente nominato, condizione necessaria nei procedimenti penali.

Nessuna autodifesa tecnica nel processo penale

La Corte ha precisato che nel processo penale l’autodifesa non è ammessa in forma esclusiva. Sebbene l’art. 13, comma 1, della legge forense consenta all’avvocato di agire in proprio, tale disposizione non trova applicazione automatica nel giudizio penale, dove vigono regole speciali a tutela dell’effettività del diritto di difesa. L’articolo citato, infatti, deve essere coordinato con le specifiche norme procedurali di ciascun rito.

In particolare, nel procedimento penale, è essenziale garantire terzietà, oggettività e distacco nella strategia difensiva, obiettivi che sarebbero compromessi dalla coincidenza tra imputato e difensore. L’assenza di un filtro critico rispetto alla propria posizione può compromettere l’efficace contrapposizione tra difesa e accusa, principio cardine del giusto processo ex art. 111 Cost.

Incompatibilità con la logica del processo penale

La Cassazione esclude espressamente ogni interpretazione estensiva dell’art. 13 legge 247/2012 e dell’art. 86 c.p.c., quest’ultimo relativo esclusivamente al processo civile, dove è consentito alla parte munita dei requisiti di stare in giudizio senza il ministero di altro difensore. In ambito penale, al contrario, la natura degli interessi coinvolti, potenzialmente afflittivi per la libertà personale, impone la presenza di una difesa tecnica autonoma, distinta dalla persona dell’imputato.

La previsione non è soltanto formale: è funzionale a evitare conflitti interni e a preservare l’obiettività del contraddittorio, garantendo così i diritti dell’imputato in una prospettiva pienamente difensiva.

Allegati

pro soluto e pro solvendo

Cessione pro solvendo e pro soluto Cessione pro solvendo e pro soluto: definizioni, differenze e giurisprudenza rilevante

Cos’è la cessione del credito?

La cessione del credito è un istituto giuridico contemplato dal codice civile (artt. 1260-1267) e può avvenire nelle forme pro soluto e pro solvendo. Essa si caratterizza per la presenza di tre soggetti: un creditore (cedente), che trasferisce a un terzo (cessionario) il proprio diritto di credito nei confronti di un debitore (debitor debitoris). Il cessionario acquisisce così il diritto di riscuotere il credito, che può essere relativo a una somma di denaro o a un’altra prestazione, al posto del cedente.

La cessione del credito può avvenire pro solvendo o pro soluto, a seconda delle condizioni stabilite tra le parti.

Cessione pro solvendo

La cessione pro solvendo è una forma di cessione del credito mediante la quale il cedente si impegna a garantire il pagamento del credito da parte del debitore originario nel caso in cui il cessionario non riesca a incassare il credito ceduto. In altre parole, se il debitore non paga, il cedente sarà responsabile del pagamento del credito nei confronti del cessionario.

Questo tipo di cessione prevede che il rischio di insolvenza del debitore venga trasferito al cedente, anche se come ultima risorsa. Il cessionario, infatti, dovrà tentare di recuperare il credito direttamente dal debitore, se poi il recupero non avviene, potrà chiedere il risarcimento al cedente.

Normativa sulla cessione pro solvendo

Il riferimento normativo del Codice Civile italiano per la cessione pro solvendo è rinvenibile nella disciplina della cessione del credito. Essa si basa sul contratto di cessione, che regola in modo convenzionale le responsabilità tra cedente e cessionario. La cessione del credito è regolata dagli articoli 1260 e seguenti del Codice Civile. La forma pro-solvendo è un accordo negoziale, che deve essere espressamente previsto nel contratto di cessione.

Cessione pro soluto

La cessione pro soluto, al contrario, è una forma di cessione del credito in cui il cessionario acquista il credito senza che il cedente abbia alcuna responsabilità se il credito non viene pagato dal debitore. In questo caso, il rischio di insolvenza viene completamente trasferito al cessionario. Se il debitore non paga, è il cessionario che subisce la perdita, senza poter rivalersi sul cedente.

La cessione pro soluto è più vantaggiosa per il cessionario, poiché elimina il rischio di mancato pagamento da parte del debitore. D’altra parte, però, il cessionario potrebbe richiedere una valutazione più accurata del credito prima di accettare una cessione pro soluto, dato che dovrà farsi carico del rischio d’insolvenza.

Normativa sulla cessione pro soluto

Analogamente alla cessione pro solvendo, la cessione pro soluto si fonda sul contratto di cessione del credito, ma l’accordo esplicito tra le parti stabilisce che il rischio di insolvenza viene trasferito al cessionario. La normativa di riferimento è quella relativa alla cessione del credito.

Differenze tra cessione pro solvendo e pro soluto

La differenza fondamentale tra le due forme di cessione del credito risiede nella responsabilità per il pagamento del credito. Mentre nella cessione pro solvendo il cedente è responsabile del pagamento nel caso in cui il debitore non adempia, nella cessione pro soluto il rischio di insolvenza è completamente a carico del cessionario.

Caratteristica

Cessione pro solvendo

Cessione pro soluto

Responsabilità in caso di insolvenza

Il cedente è responsabile se il debitore non paga

Il cessionario assume il rischio di insolvenza

Rischio d’insolvenza

A carico del cedente in caso di mancato pagamento

A carico del cessionario

Garanzia di incasso

Il cessionario ha una garanzia implicita dalla responsabilità del cedente

Il cessionario non ha garanzie dal cedente

Utilizzo comune

Usato quando il cedente vuole mantenere una certa protezione

Usato quando il cessionario è disposto a prendere un rischio maggiore

Vantaggi e svantaggi

Ecco un riepilogo dei vantaggi e degli svantaggi delle due tipologie di cessione:

Vantaggi della cessione pro solvendo

  • Protezione per il cessionario: il rischio di insolvenza del debitore è mitigato dalla garanzia del cedente.
  • Maggiore sicurezza per il cessionario: poiché il cedente si fa carico del rischio, il cessionario può essere più incline ad accettare la cessione.

Svantaggi della cessione pro solvendo

  • Maggiore onere per il cedente: il cedente si assume una maggiore responsabilità, che può portare a complicazioni in caso di mancato pagamento da parte del debitore.

Vantaggi della cessione pro soluto

  • Rischio completamente a carico del cessionario: il cedente non è responsabile del mancato pagamento del debitore.
  • Possibile maggior margine di guadagno per il cessionario: il cessionario può acquistare il credito a un prezzo inferiore rispetto alla cessione pro solvendo.

Svantaggi della cessione pro soluto

  • Maggiore rischio per il cessionario: il cessionario non può rivalersi sul cedente in caso di insolvenza del debitore, ed è quindi esposto a un rischio maggiore.

Giurisprudenza sulla cessione del credito

La giurisprudenza ha chiarito alcuni aspetti importanti relativi alla cessione pro solvendo e pro soluto. Ecco alcune sentenze rilevanti:

Cassazione n. 8803/2024: la cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia pro solvendo e non già pro soluto, con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto; diversamente, qualora la cessione abbia ad oggetto crediti futuri, l’effetto traslativo si produce solamente quando il credito viene ad esistenza, mentre tale effetto non si produce affatto nell’ipotesi in cui sia desumibile dal contratto la volontà del cedente di non privarsi della titolarità del credito e di realizzare solamente effetti minori, quali l’attribuzione al cessionario della mera legittimazione alla riscossione del credito.

Tribunale di Viterbo sentenza 21/08/2019: Nella cessione pro soluto, l’esistenza del credito in capo al cedente è un presupposto fondamentale per il trasferimento della titolarità al cessionario. Un credito è considerato inesistente quando non appartiene al cedente ma a un terzo, oppure quando il titolo su cui si fonda è inesistente o affetto da nullità, o ancora se, pur essendo esistito, si è estinto prima del perfezionamento della cessione.

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privacy in condominio

Privacy in condominio: le nuove linee guida Privacy in condominio: avviata la consultazione sulle nuove Linee guida, focus su adempimenti, videosorveglianza e digitalizzazione

Privacy in condominio: consultazione pubblica

Novità in materia di privacy in condominio. Il Garante per la protezione dei dati personali ha infatti reso noto con la newsletter datata 8 maggio 2025, di aver avviato una consultazione pubblica per adottare nuove Linee guida sul trattamento dei dati personali in ambito condominiale.

Questa iniziativa è stata formalizzata con il provvedimento n. 209 del 10 aprile 2025 e il suo obiettivo consiste nel chiarire gli obblighi e le responsabilità in materia di privacy nelle relazioni condominiali, tenendo conto degli sviluppi normativi e giurisprudenziali in materia, in particolare del GDPR.

Linee guida privacy in condominio

Le Linee guida, che saranno oggetto della consultazione, intendono fornire indicazioni operative uniformi, rispondere a quesiti pratici, recepire gli orientamenti giurisprudenziali recenti e dare seguito alle richieste di chiarimento che sono pervenute al Garante.

Il documento si concentra su tre aree principali:

  • gli adempimenti privacy (responsabilità dell’amministratore, informative, raccolta e conservazione dati);
  • la videosorveglianza condominiale (liceità, informative, tempi di conservazione e accesso);
  • la digitalizzazione dei processi condominiali (piattaforme, gestione documentale, assemblee online).

Il documento non trascura di segnalare la necessità di coordinarsi con le disposizioni di natura civilistica, così come non dimentica di trattare le tematiche della privacy legate al condominio minimo, al super-Condominio e agli altri ambiti esclusi.

Non mancano precisazioni infine sul ruolo dell’amministratore di condominio in materia di privacy e sulle responsabilità conseguenti in caso di violazione delle normative.

Come inviare proposte e osservazioni

La consultazione è rivolta soprattutto ai professionisti del settore condominiale e alle associazioni di categoria.

Tutti i soggetti interessati potranno inviare le loro osservazioni e le loro proposte entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 9 maggio 2025) agli indirizzi email indicati, specificando nell’oggetto “Consultazione pubblica sulle Linee guida sul trattamento dei dati personali nell’ambito del condominio“.

Il Garante, con le Linee guida, vuole creare un riferimento pratico per la corretta gestione dei dati personali nei condomini, con un focus sui compiti dell’amministratore.

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lavoratori smart working

Lavoratori smart working: geolocalizzazione vietata Lavoratori smart working: il Garante privacy sanziona azienda che geolocalizza i dipendenti con procedure illecite

Geolocalizzazione lavoratori smart working

Il Garante per la protezione dei dati personali condanna le pratiche di sorveglianza dei lavoratori in smart working con il provvedimento n. 135 del 13 marzo 2025. Una controversia portata all’attenzione dell’Autorità privacy è culminata infatti con una sanzione di 50mila euro ai danni di un’azienda.

La contestazione riguarda l’illecita geolocalizzazione di circa cento lavoratori durante la loro attività lavorative da remoto. L’intervento del Garante è stato innescato dal reclamo di una dipendente e da una segnalazione dell’Ispettorato della Funzione Pubblica. Dall’istruttoria sono emerse significative violazioni della normativa sulla privacy.

Geolocalizzazione illecita

L’istruttoria condotta dal Garante ha svelato che l’azienda attuava il monitoraggio sistematico della posizione geografica dei propri dipendenti. L’obiettivo era verificare la corrispondenza tra il luogo effettivo di lavoro e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working.

Questo tipo di controllo avveniva anche attraverso procedure mirate: i dipendenti, selezionati a campione, venivano contattati telefonicamente e invitati ad attivare la geolocalizzazione dei propri dispositivi (pc o smartphone) per effettuare una timbratura tramite app.

Subito dopo veniva richiesta una dichiarazione via e-mail del luogo in cui i lavoratori si trovavano fisicamente. Queste verifiche potevano anche evolversi in procedimenti disciplinari. Il tutto però senza una valida base giuridica e senza un’informativa adeguata. Inammissibile quindi questa intrusione nella sfera privata dei lavoratori, che contravviene al Regolamento europeo e al Codice della privacy.

Dignità del lavoratore e controllo a distanza

Il Garante privacy ha ribadito le legittime esigenze di controllo sulla diligenza dei dipendenti che operano in smart working. Queste però non possono giustificare l’impiego di strumenti tecnologici che comprimono la libertà e la dignità della persona.

Queste pratiche configurano un monitoraggio diretto dell’attività lavorativa che non è consentito né dallo Statuto dei lavoratori né dai principi costituzionali.

Occorre un equilibrio tra le esigenze organizzative del datore di lavoro e la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, soprattutto in un contesto di lavoro agile dove il rispetto della privacy ha un’importanza ancora maggiore.

 

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