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Bonus psicologo: cos’è e come funziona Scopri a chi si rivolge, come funziona e i requisiti per accedere al beneficio del bonus psicologo

Cos’è il Bonus psicologo

Il Bonus psicologo è un contributo economico introdotto per aiutare le persone che soffrono di ansia, stress, depressione o fragilità psicologica a causa della pandemia e della crisi socio-economica. Il bonus copre fino a 50 euro a seduta di psicoterapia, per un importo massimo variabile in base al reddito ISEE.

A chi è rivolto

Il Bonus Psicologo è rivolto a tutti i cittadini italiani o residenti in Italia che:

  • hanno un ISEE inferiore a 50.000 euro;
  • hanno avuto gravi conseguenze di natura psicologica a causa della pandemia;
  • vogliono intraprendere un percorso psicoterapeutico.

Come fare domanda

Le domande per il bonus psicologo possono essere presentate esclusivamente online tramite il sito web dell’INPS utilizzando SPID, CIE o CNS.

Cosa serve per fare domanda

Per fare domanda per il Bonus Psicologo è necessario avere:

  • un ISEE in corso di validità inferiore a 50.000 euro;
  • SPID, CIE o CNS per accedere al portale INPS.

La domanda può essere presentata anche tramite il Contact Center INPS. Basta contattare il numero verde 803.164, gratuito da tutte le reti fisse o il numero 06 164.164 da rete mobile a pagamento con costo variabile al variare della tariffa del gestore.

Bonus psicologo come funziona

Una volta presentata la domanda e ricevuta l’approvazione, l’INPS eroga un codice univoco al beneficiario. Il codice deve essere consegnato allo psicologo per usufruire delle sessioni di terapia. Il bonus copre fino a 50 euro  a seduta, per un importo massimo che varia in base al reddito ISEE:

  • ISEE inferiore a 15.000 euro: massimo 1.500 euro;
  • ISEE tra 15.000 euro e 30.000 euro: massimo 1.000,00 euro;
  • ISEE tra 30.000 euro e 50.000 euro: massimo 500,00 euro.

Ci sono 270 giorni per utilizzarlo dall’approvazione: tempo limite per utilizzare il codice univoco e usufruire delle sessioni di terapia.

Bonus psicologo: i chiarimenti dell’INPS

Sulla misura, nel corso del 2024, l’INPS è intervenuto con diversi provvedimenti per fornire i dettagli necessari:

  • presentando una nuova Dichiarazione Unica corretta e completa;
  • presentando documenti idonei a provare che i dati inviati sono corretti e completi;
  • rettificando la DSU con efficacia retroattiva, se presentata tramite CAF, qualora sia stato commesso un errore materiale.

Il messaggio ricorda inoltre che il riconoscimento del bonus psicologo è subordinato al trasferimento dei fondi dalle Regioni all’INPS.

Graduatorie 2024

Con il messaggio 2584/2024 l’INPS ha comunicato la pubblicazione delle graduatorie per l’erogazione del bonus psicologo, distinte per Regioni e Province autonome di residenza.

I beneficiari sono stati individuati tenendo conto del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) più basso e, a parità del valore ISEE, dell’ordine cronologico di presentazione delle domande, nei limiti dell’ammontare delle risorse.

Ultime sul bonus psicologo

I beneficiari accedendo dalla home page del portale Inps alla pagina dedicata alla prestazione, troveranno il link di accesso al servizio (“Utilizza il servizio”), per il quale è richiesta l’autenticazione con la propria identità digitale, SPID di livello 2 o superiore, Carta di identità elettronica (CIE) 3.0 o Carta Nazionale dei servizi (CNS); una volta autenticati, i soggetti richiedenti possono visionare l’esito della richiesta e, in caso di esito positivo, l’importo del contributo riconosciuto e il codice univoco assegnato per usufruire delle sedute di psicoterapia.

Ulteriori risorse

Con il messaggio n. 811/2025, l’INPS ha comunicato lo stanziamento di ulteriori risorse a valere sui fondi 2023 per il bonus psicologo. In particolare, sono stati stanziati 5 milioni di euro destinati a Regioni e province autonome per finanziarie sessioni di psicoterapia. Le graduatorie verranno aggiornate a partire dal 15 aprile 2025.

femminicidio

Femminicidio: reato autonomo Approvato dal Consiglio dei ministri che introduce il delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime

Il delitto di femminicidio

Il femminicidio diventa reato autonomo. Oggi, 7 marzo, 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che introduce nel codice penale il delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.

Cosa prevede il testo

Il testo, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, appronta un intervento ampio e sistematico per rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno di drammatica attualità delle condotte e manifestazioni di prevaricazione e violenza commesse nei confronti delle donne.

Nuova fattispecie penale di femminicidio

Si introduce la nuova fattispecie penale di “femminicidio” che, per l’estrema urgenza criminologica del fenomeno e per la particolare struttura del reato, viene sanzionata con la pena dell’ergastolo. In particolare, si prevede che sia punito con tale pena “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. In linea con tale intervento, le stesse circostanze di commissione del reato sono introdotte quali aggravanti per i delitti più tipici di codice rosso, con la previsione di un aumento delle pene previste di almeno un terzo e fino alla metà o a due terzi, a seconda del delitto.

Le altre novità

Inoltre, il testo:

  • prevede l’audizione obbligatoria della persona offesa da parte del pubblico ministero, non delegabile alla polizia giudiziaria, nei casi di codice rosso;
  • introduce specifici obblighi informativi in favore dei prossimi congiunti della vittima di femminicidio;
  • prevede il parere, non vincolante, della vittima in caso di patteggiamento per reati da codice rosso e connessi obblighi informativi e onere motivazionale del giudice;
  • nei casi in cui sussistano esigenze cautelari, prevede l’applicazione all’imputato della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari;
  • interviene sui benefici penitenziari per autori di reati da codice rosso;
  • introduce, in favore delle vittime di reati da codice rosso, un diritto di essere avvisate anche dell’uscita dal carcere dell’autore condannato, a seguito di concessione di misure premiali;
  • rafforza gli obblighi formativi dei magistrati, previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 168 del 2023;
  • estende alla fase della esecuzione della condanna al risarcimento il regime di favore in tema di prenotazione a debito previsto per i danneggiati dai fatti di omicidio “codice rosso” e di femminicidio;
  • introduce una disposizione di coordinamento che prevede l’estensione al nuovo articolo 577-bis dei richiami all’articolo 575 contenuti nel codice penale.

Convenzione di Istanbul

L’intervento si inserisce anche nel quadro degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul e nel solco delle linee operative disegnate dalla nuova direttiva (UE) 1385/2024 in materia di violenza contro le donne, nonché delle direttive in materia di tutela delle vittime di reato.

Una svolta epocale

“Oggi il Governo compie un altro passo avanti nell’azione di sistema che sta portando avanti fin dal suo insediamento per contrastare la violenza nei confronti delle donne e per tutelare le vittime. Il Consiglio dei ministri ha varato un disegno di legge estremamente significativo, che introduce nel nostro ordinamento il delitto di femminicidio come reato autonomo, sanzionandolo con l’ergastolo, e prevede aggravanti e aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking, violenza sessuale e revenge porn. Norme che considero molto importanti e che abbiamo fortemente voluto per dare una sferzata nella lotta a questa intollerabile piaga.  Ringrazio i Ministri che hanno lavorato al provvedimento e che ci hanno permesso di raggiungere, alla vigilia della Festa della Donna, questo importante risultato”. Sono le parole della premier Meloni.

Il Guardasigilli Nordio nella conferenza stampa a margine del Cdm ha parlato di “grande svolta”, che oltre a risolvere problemi tecnici costituisce una “manifestazione potente di attenzione dello Stato a questa problematica che è emersa in questi ultimi anni in maniera così dolorosa, e che deve avere un riconoscimento penale di prima levatura”.

assegno di inclusione

Assegno di inclusione: guida alla misura Cos'è l'assegno di inclusione, misura di sostegno economico introdotta dal 2024 dal dl n. 48/2023 convertito dalla legge n. 85/2023

Assegno di Inclusione (ADI): dal 1° gennaio 2024

L’Assegno di Inclusione (ADI) è una misura nazionale di sostegno economico introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2024 con l’articolo 1 del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. La misura, gestita dall’INPS, mira a contrastare la povertà e favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone in situazioni di disagio economico.

In cosa consiste l’ADI

L’ADI è un beneficio economico mensile erogato alle famiglie che rispettano determinati requisiti di reddito e patrimonio. La misura sostituisce il Reddito di Cittadinanza, concentrandosi su politiche attive di lavoro e sul supporto personalizzato. L’importo dell’assegno varia in base alla composizione del nucleo familiare e alle specifiche condizioni economiche dei beneficiari.

Chi può richiedere l’ADI

I destinatari dell’Assegno di Inclusione sono le famiglie che soddisfano i seguenti requisiti:

  • Requisiti economici: Un ISEE non superiore a 10.140 euro annui, un patrimonio mobiliare non superiore a 10mila euro (per i nuclei composti da tre o più componenti, soglia aumentata di mille euro per ogni figlio a partire dal terzo; ovvero non superiore a seimila euro per i nuclei di un solo componente e a 8mila euro per i nuclei di due componenti) e immobiliare (in Italia e all’estero), spiega l’INPS, “come definito ai fini ISEE diverso dalla casa di abitazione di valore ai fini dell’imposta municipale propria (IMU) non superiore a 150.000 euro, non superiore a 30.000 euro”. A seguito dell’entrata in vigore del dpcm 13/2025, del 5 marzo 2025, da aprile 2025, inoltre, titoli di Stato, buoni fruttiferi postali e libretti di risparmio postale sono esclusi dal calcolo dell’ISEE (per un importo massimo di 50mila euro per nucleo familiare) rendendo più semplice ottenere il beneficio;
  • Residenza e cittadinanza: I richiedenti devono essere cittadini italiani, dell’Unione Europea o extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo e residenti in Italia da almeno cinque anni, di cui gli ultimi due continuativi.
  • Requisiti ulteriori: Non essere sottoposti a misure cautelari personali o di prevenzione nè avere sentenze definitive di condanna intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta; non essere disoccupati; non risiedere in strutture a totale carico pubblico; aver adempiuto all’obbligo di istruzione per i beneficiari tra i 18 e i 29 anni ovvero “essere iscritto e frequentare percorsi di istruzione degli adulti di primo livello, funzionali all’adempimento del predetto obbligo di istruzione”.

Modalità di erogazione

L’importo dell’ADI viene calcolato tenendo conto del reddito disponibile del nucleo familiare. L’accredito del beneficio avviene mensilmente su una carta di pagamento elettronica (Carta di Inclusione o Carta ADI) per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi, che può essere rinnovato per ulteriori 12 mesi.

La carta consente non solo di effettuare acquisti di beni di prima necessità, ma anche di prelevare contante entro limiti stabiliti.

Obblighi per i beneficiari

L’Assegno di Inclusione non è solo un aiuto economico, ma si inserisce in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. I beneficiari, infatti, devono sottoscrivere un Patto di Inclusione che prevede la partecipazione a programmi formativi, tirocini o attività lavorative. Sono previste esenzioni per chi non è in grado di lavorare per motivi di salute o altre condizioni specifiche.

Il beneficio decorre dal mese successivo a quello di sottoscrizione, da parte del richiedente, del Patto di attivazione digitale del nucleo familiare (PAD) all’esito positivo dell’istruttoria.

Come presentare la domanda

La richiesta dell’ADI può essere effettuata tramite il portale online dell’INPS, accedendo in via telematica con SPID, CIE o CNS, alla pagina dedicata al servizio, oppure rivolgendosi a un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) o ancora presso i patronati.

È necessario presentare tutta la documentazione richiesta, tra cui l’ISEE aggiornato.

decreto caivano

Decreto Caivano: prova semplificata secondo il favor minoris La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della disposizione del Decreto Caivano nella parte in cui indica il Gip per la prova minorile semplificata

Decreto Caivano: l’intervento della Consulta

Decreto Caivano: la prova minorile “semplificata” va decisa dal giudice collegiale e interpretata secondo il “favor minoris”. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 23/2025, decidendo le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 27-bis del d.P.R. numero 448 del 1988, inserito dall’articolo 8, comma 1, lettera b), del decreto-legge numero 123 del 2023, convertito nella legge numero 159 del 2023 (“decreto Caivano”), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Trento.

Prova minorile semplificata

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 della disposizione censurata, per violazione dell’articolo 31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui indica «giudice per le indagini preliminari», anziché «giudice dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario)».

Infatti, quale istituto di protezione della gioventù, rammenta la Corte, anche la prova minorile “semplificata”, introdotta dalla norma censurata, richiede la composizione pedagogicamente qualificata dell’organo giudicante, quindi un collegio integrato dagli esperti educatori, così come è previsto per la messa alla prova minorile ordinaria.

Favor minoris

Le ulteriori questioni sono state dichiarate non fondate «nei sensi di cui in motivazione», essendo possibile attribuire alla norma un significato adeguato al “favor minoris”, nel senso che:

– il programma rieducativo non può essere elaborato senza l’intervento dei servizi minorili, che seguono poi il minore durante lo svolgimento della prova e rimettono al giudice la relazione conclusiva;

– la proposta del pm di accesso alla prova “semplificata” è atto di esercizio dell’azione penale, quindi può intervenire solo quando sia sufficientemente definito, oltre al fatto-reato, anche il quadro esistenziale del minore;

– nell’applicazione dell’istituto, giudice e PM possono avvalersi dei mezzi conoscitivi di cui agli articoli 6 e 9 del d.P.R. 448/1988, non ostando la clausola di invarianza finanziaria, inserita dal “decreto Caivano” per forme atipiche di impegno dei servizi;

– il termine di sessanta giorni fissato dalla norma censurata per il deposito del programma rieducativo non è perentorio, sicché, qualora per giustificate ragioni non riesca a rispettarlo, la difesa del minore può ottenerne una proroga;

– come per il progetto di intervento nella prova minorile ordinaria, neppure nella prova “semplificata” è precluso al giudice integrare o modificare il programma rieducativo, purché consulti le parti e i servizi minorili;

– oltre ad attività di lavoro, la prova “semplificata” può avere ad oggetto anche attività di carattere socio-relazionale, e gli stessi eventuali impegni lavorativi non devono compromettere i percorsi scolastico-educativi in atto.

La decisione

«In virtù della pronuncia sostitutiva sulla composizione del giudice e dei descritti adeguamenti interpretativi» – si legge, infine, in sentenza – «la norma censurata si sottrae alla richiesta di ablazione radicale, anche in ragione del fatto che il nuovo istituto, per come modificato in sede di conversione del d.l. n. 123 del 2023, non preclude ulteriori percorsi procedimentali, incluso quello della messa alla prova ordinaria».

abusi edilizi sopravvenuti

Abusi edilizi sopravvenuti: le sanzioni valgono per tutti La Corte Costituzionale ha stabilito che anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato per gli abusi edilizi sopravvenuti

Abusi edilizi sopravvenuti

Anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato dall’art. 38 del TU Edilizia per gli abusi edilizi sopravvenuti. Lo ha affermato la Consulta che, con la sentenza n. 22/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, della legge della Provincia di Bolzano 10 gennaio 2022, numero 1 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l’anno 2022), per violazione degli articoli 4 e 8 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale, quali sono gli articoli 36 e 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

Il regime sanzionatorio della fiscalizzazione dell’abuso

La Corte Costituzionale ha per la prima volta riconosciuto che, al pari dell’articolo 36 del Testo unico edilizia, anche l’articolo 38, nel prevedere un peculiare regime sanzionatorio (fiscalizzazione dell’abuso) per i cosiddetti “abusi edilizi sopravvenuti” (ossia realizzati in conformità a un titolo abilitativo in seguito annullato), mira a proteggere interessi di primaria importanza e di segno complessivamente unitario (in quanto correlati al governo del territorio e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente), con conseguente necessità di attuazione uniforme a livello nazionale che non può subire differenziazioni regionali.

Le sanzioni valgono anche per le autonomie speciali

Nella sentenza si afferma, in particolare, “che le specifiche condizioni richieste dall’articolo 38 (impossibilità di procedere alla rimozione dei vizi procedurali e impossibilità tecnica di procedere alla restituzione in pristino), per consentire il pagamento di una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell’opera abusiva in luogo della demolizione, costituiscono elementi determinanti del punto di equilibrio tra opposti interessi, individuato dal legislatore statale al fine di un ordinato governo del territorio”.

Pertanto, ha concluso il giudice delle leggi, alle Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome non è dato introdurre ulteriori criteri di valutazione dell’impossibilità di ripristino, né della determinazione del “prezzo” da pagare per evitare la demolizione di un immobile; né, infine, graduare la sanzione in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio.

lite temeraria

Lite temeraria Cosa si intende per lite temeraria, quando ricorre la responsabilità aggravata processuale ex art. 96 c.p.c. e qual è l’elemento soggettivo richiesto dalla norma

Lite temeraria e responsabilità aggravata ex art. 96

Con la locuzione “lite temeraria” giuridicamente si fa riferimento ad una posizione giudiziale sostenuta da una parte del processo nella consapevolezza della sua palese infondatezza.

In particolare, l’aver intrapreso una lite temeraria postula a carico della parte una particolare responsabilità processuale aggravata che viene sanzionata dall’art. 96 c.p.c. con l’obbligo di risarcire i danni causati alla controparte.

Tale obbligo si aggiunge, ed è quindi cosa distinta, dalla refusione delle spese prevista, in via generale, dall’art. 91 a carico della parte soccombente nel processo.

Quando si configura lite temeraria?

Presupposto della condanna per responsabilità aggravata, di cui al primo comma dell’art. 96, è la mala fede o la colpa grave di chi agisce o resiste in giudizio sapendo di essere nel torto o non avendo posto l’ordinaria diligenza nel verificare se il proprio diritto fosse effettivamente esistente.

Ulteriore presupposto per la condanna è che la parte che abbia sostenuto una lite temeraria sia risultata in totale soccombenza nel giudizio a seguito della sentenza. Una soccombenza parziale, quand’anche accompagnata dalla condanna alla rifusione delle spese di lite, non può quindi mai comportare la responsabilità aggravata di cui all’art. 96.

Inoltre, la condanna al risarcimento dei danni comportati dallo svolgimento della lite temeraria deve necessariamente conseguire ad una specifica domanda di controparte, non potendo essere dichiarata d’ufficio dal giudice.

Il risarcimento del danno per lite temeraria

Chi propone l’istanza di risarcimento per responsabilità aggravata deve dimostrare l’esistenza del danno subito, il suo nesso consequenziale con lo svolgimento del processo e l’entità del danno.

Il giudice, in ogni caso, può liquidare il risarcimento anche in via equitativa, pur rimanendo a carico della parte istante la prova del danno e l’indicazione della sua quantificazione.

Un’importante precisazione che occorre fare a proposito della pronuncia relativa al risarcimento da responsabilità processuale aggravata è che la stessa può essere domandata soltanto nel medesimo processo in cui è insorta e che la relativa decisione del giudice deve essere contenuta nella sentenza stessa.

Non è quindi configurabile un diritto della parte che abbia subito danni da lite temeraria a chiederne il ristoro in separato procedimento. Ciò vale anche per quanto riguarda i gravami, in quanto nel giudizio di appello possono essere chiesti i danni ex art. 96 c.p.c. solo se il carattere di temerarietà della lite riguardi il contegno processuale della parte tenuto nel grado di impugnazione.

La responsabilità aggravata per colpa lieve

Il secondo comma dell’art. 96 c.p.c. contempla, invece, una distinta fattispecie di responsabilità processuale aggravata, per la cui configurazione è sufficiente l’elemento soggettivo della colpa lieve.

In base a tale norma, infatti, viene pronunciata la condanna al risarcimento dei danni da lite temeraria se si accerta l’inesistenza del diritto in base al quale sia stata chiesta:

  • l’esecuzione di un provvedimento cautelare;
  • la trascrizione di una domanda giudiziale;
  • l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale;
  • l’avvio o prosecuzione di un’esecuzione forzata.

La norma prevede che la responsabilità aggravata possa essere accertata, sempre su istanza di parte, quando l’attore/creditore abbia agito senza verificare con la normale prudenza (quindi con colpa lieve) l’effettiva sussistenza del proprio diritto ad agire.

A differenza della fattispecie contemplata dal primo comma, non è quindi necessaria la malafede o colpa grave: ciò perché le ipotesi previste dal secondo comma postulano un’ingerenza nella sfera del danneggiato più immediata e più grave, e quindi esigono un più alto grado di attenzione da parte del creditore procedente nella valutazione dell’effettiva sussistenza del proprio diritto.

Quando si applica l’articolo 96 c.p.c.?

Gli ultimi due commi dell’art. 96 c.p.c. sono di recente introduzione e prevedono due ulteriori specificazioni della disciplina della condanna per lite temeraria.

Il terzo comma, introdotto dalla legge n. 69/2009, prevede un’ipotesi di responsabilità aggravata accertabile dal giudice anche d’ufficio, a differenza di quanto previsto dai primi due commi.

Nello specifico, è previsto in capo al giudice il potere di condannare la parte dichiarata soccombente ai sensi dell’art. 91 al pagamento, in favore della parte vittoriosa, di una somma – ulteriore a quella da riconoscersi a titolo di rifusione delle spese processuali – da determinarsi in via equitativa.

Infine, il quarto ed ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. dispone che in tutte le ipotesi contemplate dal medesimo articolo (cioè, tutto quanto abbiamo sopra esaminato) il giudice debba condannare la parte condannata per lite temeraria anche ad un pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro da quantificarsi tra i 500 e i 5.000 euro (norma introdotta dalla recente Riforma Cartabia, d.lgs. 149/22).

giurista risponde

Il pagamento al creditore apparente: la tutela dell’art. 1189 c.c. Il debitore adempiente può invocare la tutela di cui all’art. 1189 c.c. quando sussiste una situazione in cui il pagamento avvenga in conflitto tra i creditori?

Quesito con risposta a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone

 

Poiché l’art. 1189 c.c. è diretto a tutelare il solo debitore che paghi il creditore che appia “univocamente” tale, cioè la situazione in cui il pagamento avvenga in mancanza di un conflitto, noto al debitore, sulla relativa legittimazione, tale disposizione non è, di regola, applicabile nel caso in cui siano espressamente rivolte al debitore, prima del pagamento, pretese contrastanti da diversi potenziali aventi diritto (disponendo del resto il debitore di diversi e adeguati strumenti di tutela della sua posizione, per tale eventualità), salvo solo il caso eccezionale in cui alcune di suddette pretese appaiono, già prima facie, manifestamente infondate e pretestuose ovvero vi sia un ordine giudiziale che imponga il pagamento in favore di uno dei pretendenti (Cass., sez. III, 23 ottobre 2024, n. 27439 (pagamento al creditore apparente).

Nel caso di specie, il Supremo Consesso compie una precisa ricognizione del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c., che disciplina il pagamento effettuato dal debitore nei confronti di colui che appare essere il creditore (creditore apparente). In virtù di tale articolo, il legislatore ha stabilito che il debitore è liberato dall’adempimento dell’obbligazione allorquando dia prova di aver eseguito la prestazione nei confronti di un soggetto che, senza essere il creditore o, comunque, un soggetto legittimato ex art. 1188 c.c., appaia essere legittimato in base a circostanze univoche e dimostra, altresì, di essere stato in buona fede. Di talché, dall’analisi della disposizione in esame emerge che affinché l’adempimento in favore di un soggetto diverso da quello legittimato a riceverlo determini la liberazione ex art. 1189 c.c., occorre che ricorrano due distinti presupposti: uno di carattere soggettivo (la buona fede del debitore) e l’altro di carattere oggettivo (le circostanze univoche che facciano apparire il ricevente come soggetto legittimato). La ratio della norma è, dunque, quella di tutelare l’affidamento incolpevole del debitore che in buona fede ritiene di adempiere la sua obbligazione, pagando il creditore legittimato a riceve la prestazione (e non il creditore apparente).

Sulla base di tale analisi, i giudici della Corte di Cassazione, nella sentenza oggetto di attenzione, hanno ravvisato la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1189 c.c., da parte dei giudici della Corte d’Appello di Milano, poiché questi non avevano valutato, nell’individuare l’effettivo titolare del diritto di pagamento, una pluralità di circostanze di fatto, tra cui l’esistenza di più creditori rispetto al premo assicurativo. Invero, nel momento in cui vengono avanzate più pretese in ordine al pagamento dell’obbligazione, tra loro contrastanti e ad opera di soggetti diversi, è palese la sussistenza di una controversia in punto di autenticità delle sottoscrizioni (precedente effettuate) e, quindi, di riflesso, anche sulla autenticità della titolarità del diritto al pagamento.

Ciò posto, la Corte di Cassazione stabilisce che la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano sia inficiata da un vizio c.d. di sussunzione, poiché ha ricondotto nell’alveo del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c. una fattispecie concreta che, in realtà, non rientra in tale campo applicazione. Difatti, la disciplina enucleabile dall’art. 1189 c.c. non è passibile di applicazione allorquando, in primo luogo, siano avanzate – espressamente – al debitore pretese tra loro contrastanti e provenienti da soggetti in conflitto tra loro circa l’adempimento di un’obbligazione e, in secondo luogo, quando non sussistono circostanze oggettive ovvero univoche che inducono il debitore ad effettuare il pagamento nei confronti di uno dei “creditori”.

La Corte di Cassazione, conclude, stabilendo che in tali casi viene in soccorso, non già l’art. 1189 c.c., ma l’art. 687 c.p.c. La norma, nello specifico, disciplina il c.d. sequestro conservativo. Di tale autonoma figura di sequestro ci si può avvalere allorché tra le parti del rapporto sinallagmatico sorga una controversia circa i diritti e gli obblighi nascenti dallo stesso rapporto, così come nell’ipotesi in cui, avendo il debitore chiesto un accertamento negativo del proprio obbligo, intenda medio tempore sottrarsi alle conseguenze negative dell’inadempimento, ossia alla mora debendi.

Sulla base di tali principi, i giudici di legittimità, nel caso attenzionato, accolgono il ricorso incidentale avanzato dagli eredi dello stipulante la polizza assicurativa e cassano la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviano alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

 

(*Contributo in tema di “Il pagamento al creditore apparente: la tutela dell’art. 1189 c.c.”, a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

reddito di libertà

Reddito di libertà: come fare domanda 2025 Reddito di libertà: cos’è, a chi spetta, da quali norme è disciplinato e come presentare la domanda nel 2025

Reddito di libertà: cos’è

Il reddito di libertà è stato introdotto per aiutare le donne vittime di violenza. In relazione alle domande che verranno presentato a partire dal 5 marzo 2025, la misura consisterà in un supporto economico pari a 500 euro mensili (salvo incrementi previsti da disposizioni di legge successive) per un periodo massimo di 12 mesi.  Il pagamento delle 12 mensilità avverrà in un’unica soluzione. La misura non è soggetta a IRPEF. La circolare INPS n. 54 del 5 marzo 2025 fornisce le indicazioni necessarie per presentare la domanda.

Normativa di riferimento

  • Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modifiche dalla legge 17 luglio 2020, n. 77: ha istituito il Fondo per il reddito di libertà delle donne vittime di violenza;
  • D.P.C.M del 17 dicembre 2020: ha definito i criteri di ripartizione delle risorse per il 2020 del “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza”;
  • messaggi INPS 4352 del 7 dicembre 2021; n. 1053 del 7 marzo 2022; n. 2453 del 16 giugno 2022 e n. 3363 del 13 settembre 2022: hanno fornito indicazioni per l’accoglimento delle domande anche dopo il trasferimento all’INPS delle risorse statali e regionali anni 2021- 2022 e 2023, ripartite con i criteri indicati nel D.P.C.M. 1° giugno 2022.
  • Legge di bilancio 2024 n. 213/2023 (art. 1 comma 187): ha reso strutturale il Reddito di libertà incrementando il Fondo di 10 milioni di euro per ogni anno 2024, 2025 e 2025 e sei milioni per il 2027 per garantire l’indipendenza economica e l’emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizioni di povertà.
  • Decreto 2 dicembre 2024 ha definito i criteri di ripartizione delle risorse riferite agli anni 2024, 2025 e 2026, di 30 milioni di euro (10 milioni di euro ogni anno 2024, 2025 e 2026) e ha modificato la disciplina del contributo.

A chi spetta il reddito di libertà

Il reddito di libertà spetta alle donne con o senza figli, vittime di violenza domestica seguite dai centri antiviolenza e dai servizi sociali.

Le destinatarie devono essere residenti nel territorio italiano e avere la cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria (in possesso di carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’unione europea o in possesso di regolare permesso di soggiorno UE o del permesso per protezione speciale). Alle cittadine italiane sono equiparate le straniere con status di rifugiate politiche o di protezione sussidiaria.

Requisiti di accesso

Per poter accedere al reddito di libertà sono necessarie due attestazioni:

  • il centro antiviolenza, nella persona del suo rappresentante legale, deve dichiarare che ha in carico la donna e che la stessa ha intrapreso un percorso di emancipazione e di autonomia;
  • il servizio sociale invece deve attestare lo stato di bisogno transitorio della donna a causa della situazione urgente e straordinaria che la stessa sta vivendo.

Regime transitorio

Abbiamo visto che il reddito di libertà è presente da qualche anno. Per questo la circolare INPS n. 54/2025 ricorda che le domande che erano state presentate e che non erano state accolte conservano priorità purché vengano ripresentate entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto 2 dicembre 2024 (18 aprile 2025) per dimostrare la permanenza dei requisiti necessari. La mancata ripresentazione della domanda comporterà infatti la decadenza definitiva, fatta salva la possibilità di presentare una nuova domanda.

Domande 2025: presentazione e esito

La domanda per il Reddito di Libertà 2025 deve essere presentata dalle donne interessate, direttamente o tramite un rappresentante, al Comune di riferimento, utilizzando il modulo SR208, disponibile sul sito INPS. Il Comune trasmette la richiesta all’INPS, che assegna un codice univoco determinante per la graduatoria regionale, nei limiti delle risorse disponibili. La domanda può essere inoltrata online tramite SPID, CIE o CNS. È ammessa una sola richiesta per ogni donna vittima di violenza. Devono essere compilati tutti i campi del modulo, inclusa l’attestazione del bisogno e la dichiarazione del percorso di emancipazione rilasciata da un centro antiviolenza. Nella richiesta deve essere indicato anche il metodo di pagamento prescelto tra conto corrente, libretto di risparmio, carta prepagata.

Il sistema verifica la correttezza dei dati nella domanda per il Reddito di Libertà prima dell’invio e della registrazione. Dopo la trasmissione, viene eseguita un’istruttoria automatizzata per controllare il budget disponibile e la titolarità dell’IBAN. L’esito può essere: “Accolta in pagamento”, “Accolta in attesa di IBAN” o “Non accolta per insufficienza di budget”. Se l’IBAN non è valido, la domanda resta in attesa.  Gli operatori comunali devono aggiornare eventuali IBAN errati e segnalare problemi tramite PEC. L’esito è consultabile dai Comuni e comunicato all’interessata. Un manuale comunque è disponibile nel servizio online dedicato.

 

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Supporto formazione e lavoro: le indicazioni INPS L'INPS fornisce nuove indicazioni per usufruire del Supporto Formazione e Lavoro dopo le modifiche normative

Supporto formazione e lavoro

La misura del Supporto formazione e lavoro è stata prevista dal dl n. 48/2023 e successivamente modificata dalla legge di bilancio 2025, offrendo un ampliamento delle mensilità di indennità di partecipazione per i beneficiari che stanno frequentando corsi di formazione.

L’INPS, con il messaggio 17 febbraio 2025 n. 595, ha fornito importanti indicazioni operative riguardanti la proroga della misura del Supporto per la formazione e lavoro (SFL). Ora, con il messaggio 3 marzo 2025, n. 765, fornisce indicazioni per garantire un supporto continuo ai lavoratori in formazione, facilitando l’accesso a opportunità di sviluppo professionale e chiarisce che, per il riconoscimento dell’ampliamento delle mensilità, il SFL acquisirà automaticamente le domande in stato “accolta” dalla piattaforma del Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL).

L’importanza del corso di formazione

È fondamentale che i beneficiari stiano frequentando un corso di formazione che si concluda dopo le 12 mensilità di fruizione.

Se l’aggiornamento del Patto di servizio personalizzato (PSP) non viene registrato entro la scadenza delle 12 mensilità, spiega l’istituto, la domanda sarà sospesa e, dopo 90 giorni, considerata “terminata”; tuttavia, se l’aggiornamento del PSP viene registrato tardivamente, deve comunque essere associato alla formazione in corso.

Tempistiche e validità dell’aggiornamento del PSP

Per le domande con pagamento della dodicesima mensilità nei mesi di gennaio e febbraio 2025, l’aggiornamento del PSP sarà considerato valido se registrato entro il mese successivo.

A partire dai rinnovi di marzo 2025, la verifica dell’aggiornamento dovrà avvenire entro il mese stesso della fruizione.

In caso di sospensione della domanda, l’aggiornamento del PSP deve essere registrato nei mesi in cui il corso di formazione è attivo ed entro la scadenza delle 12 mensilità.

Nessuna nuova domanda necessaria

Per beneficiare della proroga del SFL non è richiesta, ricorda infine l’Inps, la presentazione di una nuova domanda, semplificando così il processo per i lavoratori coinvolti.

 

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Riscatto contributi omessi: le novità del Collegato lavoro Riscatto contributi omessi: anche il lavoratore e i suoi superstiti hanno il diritto di chiedere la rendita vitalizia con oneri a loro carico

Riscatto contributi omessi: contesto normativo e novità

La legge n. 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio 2025, ha modificato l’articolo 13 della legge n. 1338/1962, introducendo importanti novità in materia di riscatto dei contributi previdenziali omessi dal datore di lavoro. Questa modifica legislativa rappresenta un passo significativo verso la tutela dei diritti dei lavoratori, offrendo loro la possibilità di sanare periodi contributivi scoperti e di garantire una pensione più adeguata.

Riscatto contributi: il diritto del lavoratore

La nuova disposizione riconosce anche al lavoratore e ai suoi superstiti il diritto di richiedere la costituzione di una rendita vitalizia a proprio carico per gli oneri contributivi omessi e prescritti dovuti dal datore di lavoro. Questo significa che, anche in caso di inadempienza del datore di lavoro, il lavoratore può intervenire per colmare le lacune contributive e assicurarsi una copertura previdenziale completa.

Requisiti e modalità di richiesta

Per ottenere la rendita vitalizia, il lavoratore deve dimostrare l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro, la qualifica ricoperta e le somme percepite a titolo di retribuzione. La richiesta può essere presentata solo dopo che sia decorso il termine di prescrizione per l’esercizio delle facoltà previste dai commi 2 e 5 dell’articolo 13 della legge n. 1338/1962.

Riscatto contributi: il ruolo dell’INPS

L’INPS, con la circolare n. 48 del 24 febbraio 2025, ha fornito le istruzioni amministrative necessarie per l’applicazione della nuova normativa. L’Istituto sottolinea l’importanza della verifica della prescrizione dei diritti del datore di lavoro e del lavoratore, nonché della corretta documentazione del rapporto di lavoro.

La prova del rapporto di lavoro

Un aspetto cruciale è la prova del rapporto di lavoro. Il lavoratore deve fornire documentazione che attesti l’effettiva prestazione lavorativa, la sua durata e la retribuzione percepita. A tal fine, possono essere utilizzati diversi tipi di documenti, come contratti di lavoro, buste paga, comunicazioni aziendali e testimonianze.

Implicazioni e vantaggi per i lavoratori

La nuova normativa offre ai lavoratori una maggiore tutela e la possibilità di sanare periodi contributivi scoperti, anche in situazioni complesse. Questo rappresenta un importante passo avanti verso una maggiore equità nel sistema previdenziale.

Le novità in sintesi

  • Autonomia del lavoratore: il lavoratore e i suoi eredi possono ora agire autonomamente, senza limiti di tempo.
  • Onere finanziario: il lavoratore si assume interamente l’onere del riscatto.
  • Prescrizione: la richiesta di riscatto da parte del lavoro è possibile solo dopo la prescrizione dei diritto del datore di lavoro e del lavoratore in sostituzione.
  • Prova del rapporto: il lavoratore deve dimostrare il periodo di lavoro.
  • Ruolo dell’INPS: l’INPS verifica la corretta applicazione della normativa e nella circolare detta regole specifiche per la richiesta della rendita a seconda che l’istanza venga presentata prima o dopo l’entrata in vigore del collegato lavoro, legge n. 203/2024.

 

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