incentivi autoimpiego

Incentivi autoimpiego: firmato il decreto per i giovani disoccupati Firmato il decreto attuativo per gli incentivi all’autoimpiego previsti dal Decreto Coesione. Destinatari i giovani 18-35 anni disoccupati o inattivi. Finanziamento da 800 milioni per avvio di attività autonome e professionali

Firmato il decreto attuativo per incentivi autoimpiego

Incentivi autoimpiego: il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso noto, con comunicazione del 12 luglio 2025, la firma del decreto attuativo che introduce misure concrete a sostegno dell’autoimpiego e del lavoro autonomo e professionale, come previsto dagli articoli 17 e 19 del Decreto Coesione (D.L. n. 60/2024, convertito con modificazioni dalla L. n. 95/2024).

Il provvedimento rappresenta un tassello fondamentale nell’ambito delle politiche attive del lavoro e mira a favorire l’inserimento lavorativo dei giovani tra i 18 e i 35 anni in condizioni di disoccupazione, inattività o fragilità sociale.

Obiettivi: lavoro, inclusione e imprenditorialità giovanile

Secondo quanto dichiarato dal Ministro del Lavoro Marina Calderone, il decreto si inserisce in una strategia integrata volta a rafforzare la partecipazione giovanile al mercato del lavoro, promuovendo iniziative imprenditoriali e autonome attraverso un approccio sistemico che prevede:

  • Percorsi formativi e di accompagnamento personalizzati

  • Tutoraggio qualificato

  • Contributi economici per l’avvio delle attività

Tali misure, realizzate in collaborazione con l’Ente Nazionale per il Microcredito, puntano a sostenere il talento imprenditoriale dei giovani, stimolare il ricambio generazionale e valorizzare il lavoro di qualità in tutte le forme contrattuali e societarie.

Risorse stanziate: 800 milioni di euro

Come precisato dal Ministro per gli Affari Europei e il PNRR Tommaso Foti, il decreto è finanziato con un totale di 800 milioni di euro, di cui:

  • 700 milioni dal Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+)

  • 100 milioni dal PNRR, nell’ambito del programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori)

Si tratta di risorse significative, destinate a trasformarsi in strumenti concreti di inclusione attiva e di sostegno all’imprenditorialità giovanile, con impatto su tutto il territorio nazionale.

Destinatari: giovani 18-35 anni in condizioni di svantaggio

Il provvedimento è rivolto specificamente a giovani tra i 18 e i 35 anni che si trovano:

  • in stato di disoccupazione

  • inattivi sul mercato del lavoro

  • in condizioni di fragilità sociale

Questa platea sarà al centro di un intervento multidimensionale che combina politiche di formazione, microcredito e avvio all’impresa, con l’obiettivo di offrire reali possibilità di inserimento professionale.

Prossimi step: presentazione pubblica del decreto

Il contenuto completo del decreto sarà illustrato in occasione di una presentazione pubblica nella settimana successiva alla firma. Sarà l’occasione per conoscere in dettaglio le modalità di accesso, i criteri di selezione e le tempistiche operative previste.

interessi di mora

Interessi di mora: tasso secondo semestre 2025 Interessi di mora: pubblicato in GU il comunicato del MEF che indica la percentuale del tasso del secondo semestre 2025

Interessi di mora: tasso 2° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2025 il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° luglio al 31 dicembre 2025, è fissato al 2,15% (in luogo del 3,15% del 1° semestre).

Cosa sono gli interessi di mora?

L’interesse di mora è l’importo che il debitore deve versare al creditore in caso di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria derivante da una transazione commerciale. Questa misura ha lo scopo di compensare il creditore per il mancato incasso nei tempi previsti.

Aggiornamento semestrale del tasso

Il tasso di riferimento viene stabilito ogni sei mesi dal MEF, in base all’art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002 (come modificato dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 192/2012).

Il nuovo valore del 2,15% segna una riduzione rispetto al 4,50% e al 4,25% applicati nei due semestri del 2024 e a quello del 3,15% applicato nel primo semestre 2025.

Regole per l’applicazione

Gli interessi di mora si applicano automaticamente nei contratti tra imprese o tra imprese e Pubblica Amministrazione, salvo diversa pattuizione tra le parti.

Se il ritardo si verifica nel secondo semestre del 2025, il tasso verrà aggiornato a partire dal 1° luglio dello stesso anno.

Obiettivo della normativa

La disciplina sugli interessi di mora mira a contrastare i ritardi nei pagamenti, garantendo maggiore tutela ai creditori. Questo meccanismo incentiva il rispetto delle scadenze e contribuisce a mantenere la liquidità nel sistema economico.

 

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Allegati

cessione d'azienda

Cessione d’azienda Cessione d’azienda: come funziona secondo il Codice civile, differenze rispetto alla vendita, conseguenze per le parti e regime fiscale

Cos’è la cessione d’azienda

La cessione d’azienda è un contratto con cui un imprenditore trasferisce a terzi l’azienda, intesa come complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 c.c.). Si tratta di un atto di trasferimento oneroso o gratuito che può riguardare l’intera azienda o un singolo ramo della stessa.

L’operazione può avere diverse finalità: la ristrutturazione societaria, la liquidazione, il trasferimento dell’attività per motivi strategici o familiari.

La disciplina normativa: articoli del Codice civile

La materia è regolata principalmente dagli articoli 2556-2562 del Codice civile. In particolare:

  • Art. 2556 c.c.: stabilisce la forma scritta ad probationem per la cessione d’azienda;
  • Art. 2557 c.c.: pone un divieto di concorrenza per il cedente;
  • Art. 2558 c.c.: dispone il subentro nei contratti;
  • Art. 2559 c.c.: regola il trasferimento dei crediti;
  • Art. 2560 c.c.: disciplina il passaggio dei debiti aziendali.

È inoltre fondamentale rispettare le norme sulla pubblicità nel Registro delle imprese. L’art. 2556, al co. 2 c.c. prevede infatti che i contratti con i quali si verifica il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda, se questa è soggetta a registrazione, devono essere redatti nella forma pubblica o per scrittura privata autenticata e poi devono essere depositati presso il registro delle imprese, per procedere all’iscrizione, nel termine di 30 giorni a cura del notaio o del soggetto che ha autenticato la scrittura.

Differenza tra cessione e vendita d’azienda

Spesso si tende a usare i termini cessione e vendita d’azienda come sinonimi. Tuttavia, vi è una distinzione tecnica:

  • la cessione è un concetto diverso che comprende anche la cessione di un solo ramo dell’azienda, ossia di una parte della stessa e che si riferisce anche a trasferimenti di contratti, partecipazioni aziendali, non solo quindi dei beni o dei diritti dell’azienda;
  • la vendita d’azienda invece comporta il trasferimento del complesso aziendale nella sua interezza.

Il conferimento d’azienda p di un suo ramo è invece una forma di apporto da una società a un’altra in cambio di quote o azioni di quest’ultima.

Effetti della cessione d’azienda

Vediamo ora quali sono gli effetti principali del trasferimento aziendale.

  1. Continuità dei rapporti contrattuali: ai sensi dell’art. 2558 c.c., i contratti in corso passano al cessionario, salvo patto contrario o se intuitu personae.
  2. Trasferimento dei debiti: ex art. 2560 c.c., il cessionario risponde dei debiti anteriori se i creditori non hanno acconsentito alla sua liberazione.
  3. Crediti aziendali: la cessione dei crediti dell’azienda ceduta ha affetti nei confronti dei terzi anche in assenza di notifica o accettazione del debitore ceduto, dal momento in cui il trasferimento è stato iscritto nel registro delle imprese. Il debitore ceduto però è liberato se paga in buona fede all’alienante.
  4. Divieto di concorrenza: il cedente non può iniziare una nuova attività in concorrenza, salvo patto contrario (art. 2557 c.c.).
  5. Mantenimento dei rapporti di lavoro: ex art. 2112 c.c., i rapporti proseguono con il cessionario, che ne assume diritti e obblighi.

La cessione di ramo d’azienda

La cessione di ramo d’azienda riguarda una parte funzionalmente autonoma dell’impresa, in grado di operare in modo indipendente. Anche in questo caso si applicano le norme generali sulla cessione d’azienda, purché il ramo ceduto sia identificabile e organizzato.

Occorre che il ramo abbia un’autonomia gestionale, economica e funzionale, riconosciuta anche ai fini lavoristici e fiscali.

Aspetti fiscali 

Dal punto di vista fiscale, la cessione d’azienda genera plusvalenze tassabili per il cedente ai sensi dell’art. 86 TUIR, se il valore di cessione è superiore al valore contabile.

L’operazione è soggetta a:

  • imposta di registro: si applicano le aliquote distinte a cui sono assoggettati i diversi  beni e diritti che costituiscono l’azienda se dall’atto o dai suoi allegati risulta per ogni bene una imputazione distinta di una quota parte del corrispettivo. In assenza di tale distinzione si applica l’aliquota più alta. La base imponibile si ottiene sommando i valori delle attività e sottraendo le passività che risultano dalle scritture contabili;
  • IVA: ai sensi del comma 3 lettera b) dell’art. 2 del DPR n. 633/1972 Non sono considerate cessioni di beni le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda (ovvero un complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale)”, di conseguenza non sono soggette al campo di applicazione Iva, fatte salve alcune situazioni particolari;
  • imposte ipotecarie e catastali: previste in presenza di beni immobili.

 

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conferenza di servizi

La conferenza di servizi La conferenza di servizi: istituto di semplificazione dell’attività amministrativa, tipologie e modalità decisorie

Cos’è la conferenza di servizi

La conferenza di servizi è un istituto giuridico di diritto amministrativo finalizzato a semplificare l’attività della pubblica amministrazione.

Normativa di riferimento

La normativa di riferimento base della conferenza di servizi è la legge n. 241/1990, riformata nel corso degli anni da numerosi interventi legislativi, tra i quali occorre segnalare:

  • la legge n. 15/2015, che ha previsto l’opzione di svolgere le conferenze di servizi in modalità telematica;
  • la legge Madia n. 124/2015, attuata dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 127/2016, che ne ha riformato la disciplina.

Conferenza di servizi: tipologie

L’art. 14 della legge n. 241/1990 contiene la disciplina di diverse conferenze di servizi:

  • la conferenza di servizi istruttoria;
  • la conferenza di servizi decisoria;
  • la conferenza preliminare.

Analizziamo in breve le diverse tipologie di conferenze di servizi

Conferenza di servizi istruttoria

La conferenza di servizi istruttoria può essere convocata dall’amministrazione che gestisce il procedimento, o su richiesta di un’altra amministrazione o di un privato, quando lo ritenga necessario. L’obiettivo principale è quello di esaminare contemporaneamente gli interessi pubblici che rientrano in uno o più procedimenti amministrativi collegati tra loro, che riguardano le stesse attività o risultati. La conferenza può seguire le procedure stabilite dall’articolo 14-bis (conferenza semplificata). L’amministrazione che la indice può però anche definire modalità diverse per il suo svolgimento.

La conferenza di servizi decisoria

La conferenza di servizi decisoria viene sempre indetta dall’amministrazione che gestisce il procedimento quando, per concluderlo positivamente, è necessario ottenere l’approvazione (come pareri, intese, nulla osta) da parte di diverse amministrazioni o gestori di servizi pubblici. Se un’attività privata richiede più autorizzazioni che devono essere rilasciate al termine di diversi procedimenti, gestiti da varie amministrazioni, la conferenza di servizi può essere convocata da una qualsiasi delle amministrazioni coinvolte, anche su richiesta dell’interessato.

La conferenza do servizi preliminare

Per progetti complessi o insediamenti produttivi, l’amministrazione può convocare una conferenza preliminare, su richiesta motivata dell’interessato e con uno studio di fattibilità. Questa conferenza serve a indicare al richiedente le condizioni per ottenere tutti gli atti di assenso necessari prima di presentare la domanda o il progetto definitivo. L’amministrazione, se accetta la richiesta, indice la conferenza entro cinque giorni lavorativi. Questa conferenza si svolge secondo l’articolo 14-bis (semplificata), ma con termini dimezzati. Le amministrazioni coinvolte si esprimono sulla base della documentazione fornita. Le determinazioni vengono trasmesse al richiedente entro cinque giorni dalla scadenza del termine.Dopo la preliminare, l’amministrazione indice la conferenza simultanea sul progetto definitivo. Le decisioni prese nella preliminare possono essere modificate o integrate solo in presenza di nuovi elementi significativi emersi successivamente. Per opere pubbliche, la conferenza preliminare si esprime sul progetto di fattibilità per definire le condizioni per gli assensi sul progetto definitivo.

Conferenze di servizi decisorie: modalità di svolgimento

Le conferenze di servizi decisorie si possono svolgere principalmente in due modalità.

Conferenza semplificata 

La conferenza decisoria si svolge generalmente in forma semplificata e asincrona (art. 14 bis legge n. 241/1990). L’amministrazione la indice entro cinque giorni dall’avvio del procedimento o dal ricevimento della domanda, comunicando alle altre amministrazioni l’oggetto, la documentazione e i termini. Le amministrazioni coinvolte hanno un termine perentorio, massimo 45 giorni (o 90 per enti di tutela ambientale, paesaggistica, culturale o sanitaria), per esprimere il proprio parere motivato, in termini di assenso o dissenso, indicando eventuali modifiche necessarie. La mancata risposta o una risposta incompleta equivale ad assenso incondizionato. Entro cinque giorni dalla scadenza dei termini, l’amministrazione procede con la determinazione finale. Se ha ricevuto solo assensi (anche impliciti) o se le condizioni possono essere accolte senza modifiche sostanziali, la conferenza si conclude positivamente. In caso di dissensi insuperabili, la conferenza si chiude negativamente, respingendo la domanda. In casi complessi o su richiesta, si può optare per una riunione sincrona.

Conferenza simultanea

La prima riunione della conferenza di servizi simultanea e sincrona (art. 14 ter legge 241/1990) si tiene nella data prestabilita, anche in teleconferenza, con i rappresentanti delle amministrazioni competenti. I lavori si concludono entro 45 giorni (90 per questioni ambientali, paesaggistiche, culturali o sanitarie), rispettando il termine finale del procedimento. Ogni ente o amministrazione è rappresentato da un unico soggetto con potere decisionale vincolante. Per le amministrazioni statali, un singolo rappresentante, nominato dal Presidente del Consiglio o dal Prefetto, esprime la posizione di tutte le amministrazioni statali, potendo essere supportato da personale delle singole amministrazioni. Le Regioni e gli enti locali definiscono in modo del tutto autonomo le modalità per indicare il rappresentante unico. Gli interessati possono essere invitati alle riunioni. Al termine dell’ultima riunione, entro i termini stabiliti, l’amministrazione procedente adotta la determinazione finale basandosi sulle posizioni prevalenti. L’assenso è considerato acquisito anche se un rappresentante non partecipa, non esprime una posizione o esprime un dissenso immotivato o non pertinente. Quando un progetto richiede la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) regionale, tutte le autorizzazioni e gli assensi necessari per realizzarlo ed esercitarlo vengono ottenuti tramite un’apposita conferenza di servizi sincrona, come stabilito dall’articolo 27-bis del D.Lgs. 152/2006.

 

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giurista risponde

Esclusione vincolo partecipazione gruppo societario: parola alla Corte UE Si pone questione se il limite si applichi «oltre l’operatore economico offerente, nel caso in cui la medesima legge di gara non rechi una specifica indicazione in tal senso»; in caso di risposta positiva al quesito, si chiede di chiarire quali siano i parametri «di detta espansione soggettiva» e sulla base di quali indici l’operazione interpretativa debba essere condotta e inoltre sulla base di quali criteri debbano essere individuate «le offerte da escludere in quanto in soprannumero»

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima, Anna Libraro, Michela Pignatelli

 

Ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, previa riunione dei giudizi deferiti ex art. 99, comma 1, cod. proc. amm. a questa Adunanza Plenaria, vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali (Estensione automatica del vincolo di partecipazione):

  1. I) se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare l’art. 2, par. 1, n. 10), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 (sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE), che definisce l’«operatore economico», in relazione ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva, può essere interpretato in senso estensivo al gruppo societario di cui fa parte;
  2. II) se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare l’art. 46 della direttiva 2014/24/UE, relativa alla suddivisione della gara in lotti, che facoltizza le amministrazioni aggiudicatrici a suddividere la gara in lotti (par 1), a limitare la presentazione delle offerte «per un solo lotto, per alcuni lotti o per tutti» (par. 2), e a indicare «il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente» (par. 2, comma 1), possa essere applicato dando rilievo al gruppo societario di cui fa parte l’offerente;

III)  se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare i principi generali di certezza e proporzionalità, ostino ad un’esclusione dalla gara in via automatica di un offerente facente parte di un gruppo societario che in una gara suddivisa in lotti ha partecipato e presentato offerte attraverso le proprie partecipate in misura superiore ai limiti di partecipazione e di aggiudicazione previsti dal bando di gara. – Cons. Stato, Ad. Plen., 13 dicembre 2024, n. 17.

Nell’esaminare la questione a lei rimessa, la Plenaria rileva – primariamente – come la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è divisa sulla possibilità di estensione soggettiva del limite di partecipazione (e di aggiudicazione), in specie elaborando i seguenti orientamenti.

Secondo la tesi favorevole, tale possibilità sarebbe ammissibile anche in mancanza di un’espressa indicazione sul punto nel bando di gara; a sostegno si richiamano argomenti teleologici, riconducibili all’esigenza di dare al mercato degli appalti pubblici massima apertura alla concorrenza, rispetto alla quale sono strumentali la suddivisione della gara in lotti, dichiaratamente a favore degli operatori economici di minori dimensioni (art. 51, comma 1, dell’codice dei contratti pubblici 50/2016), e inoltre i limiti di partecipazione e aggiudicazione previsti dai commi 2 e 3 del medesimo articolo.

A tenore di un opposto orientamento contrario, invece, i limiti non sono estensibili a casi non previsti dalla legge o dal bando, per l’impossibilità di introdurre a posteriori cause di esclusione, che lederebbero i principi di certezza e trasparenza.

Non manca, poi, una terza più recente ricostruzione, per la quale i limiti si estendono in caso di accertato intento elusivo, equiparabile alla dichiarazione falsa o fuorviante in grado di «influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante» sulla partecipazione dell’operatore economico e l’aggiudicazione della gara, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), dell’abrogato codice dei contratti pubblici.

Tanto premesso, il Collegio fa presente che le ordinanze di rimessione hanno aderito alla tesi restrittiva, sulla base del carattere discrezionale del limite di partecipazione e di una ricostruzione sistematica per cui l’interesse alla massima apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza è in posizione equiordinata e non sovraordinata rispetto all’interesse alla selezione del miglior contraente privato.

Più nel dettaglio, si precisa che con le due ordinanze di rimessione all’Adunanza Plenaria 7111 e 7112/2024, la sez. V del Consiglio di Stato – pur ribadendo la necessità di un intervento nomofilattico – ha palesato la propria preferenza per l’orientamento più restrittivo sulla base di un a doppia lettura della disciplina: letterale e sistematica.

Sotto il profilo letterale, infatti, l’(allora vigente) art. 3, comma 1, lett. p), del codice di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 l’art. 2, par. 1, n. 10), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, fanno riferimento ad una soggettività diversa rispetto a quella del singolo operatore (eventualmente raggruppato) che nel partecipare alla procedura ha «presentato un’offerta».

Sotto il differente profilo sistematico, poi, il considerando 79 della direttiva 2014/24/UE ha rimarcato il carattere discrezionale degli eventuali vincoli di partecipazione e aggiudicazione inseriti nella documentazione di gara, da intendersi quali «facoltà» delle amministrazioni aggiudicatrici, con l’obiettivo (nel caso dei limiti di partecipazione) «di salvaguardare la concorrenza o per garantire l’affidabilità dell’approvvigionamento». Pertanto, in base all’orientamento restrittivo sposato dalle due ordinanze innanzi citate, il summenzionato considerando 79 sarebbe sintomatico del fatto che l’obiettivo della massima apertura alla concorrenza (a base degli istituti della suddivisione della gara in lotti e dei vincoli di partecipazione e aggiudicazione) non avrebbe eliso quello tipico dell’evidenza pubblica alla selezione del miglior contraente, con la conseguenza che in assenza di previsioni espresse nel bando di gara i vincoli di aggiudicazione/partecipazione sarebbero inapplicabili a livello di gruppo societario.

Tanto ricostruito e premesso, la Plenaria osserva che la posizione restrittiva espressa dalla Sezione remittente potrebbe rivelarsi lesiva di uno dei valori fondanti dell’ordinamento eurounitario, consistente nel principio di massima apertura del mercato alla concorrenza (cfr. considerando 1 della direttiva 2014/24/UE).

Secondo il massimo Consesso amministrativo, tale principio, in un a quello di tutela giurisdizionale piena ed effettiva (ex art. 1, par. 3, direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989, come modificato dalla direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007), dovrebbe sempre legittimare il giudice amministrativo – una volta investito del ricorso contro l’aggiudicazione di una gara suddivisa in lotti – a sindacare le scelte dell’amministrazione nella definizione dei limiti di partecipazione ad essa.

Ad avviso della Plenaria, pertanto, il giudice amministrativo dovrebbe sempre poter sindacare la scelta della stazione appaltante di non applicare il limite di partecipazione a livello di gruppo societario, quando essa conduca – come nel giudizio a quo – a consentire ad un solo gruppo di concorrere per 32 dei 34 lotti totali per un valore complessivo superiore al 99% di quello complessivo della gara.

L’Adunanza Plenaria sembra quindi esprimere la propria preferenza – in consapevole discostamento dalla posizione espressa dalla Sezione remittente – per un’interpretazione estensiva, secondo la quale il vincolo di partecipazione (e anche quello di aggiudicazione) – pur in mancanza di un’espressa indicazione sul punto nel bando di garasi estende automaticamente a tutte le consociate del medesimo gruppo societario, ove ciò sia necessario per rimediare a situazioni estreme nelle quali, altrimenti, la maggioranza dei lotti finirebbe per essere “preda” del medesimo gruppo societario (in patente violazione del principio di massima apertura del mercato delle commesse pubbliche alle medie e piccole imprese).

A conferma di tale lettura estensiva l’Adunanza Plenaria cita – in una logica di interpretazione evolutival’art. 58, comma 4, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (entrato in vigore dopo l’emanazione degli atti impugnati), che rispetto al previgente Codice ha disposto che le stazioni appaltanti: a) possono limitare «il numero massimo di lotti per i quali è consentita l’aggiudicazione al medesimo concorrente» tra l’altro «per ragioni inerenti al relativo mercato», e in questo specifico caso «anche a più concorrenti che versino in situazioni di controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 del codice civile», ovvero in situazione di controllo societario; b) alle «medesime condizioni e ove necessario in ragione dell’elevato numero atteso di concorrenti», possono limitare «anche il numero di lotti per i quali è possibile partecipare».

Tali disposizioni possono essere considerate o innovative rispetto al previgente Codice dei contratti pubblici oppure ricognitive nel sistema nazionale dei principi europei rilevanti per verificare se l’amministrazione ha legittimamente esercitato la discrezionalità nella definizione dei limiti di partecipazione e di aggiudicazione a gare suddivise in lotti.

Fermo quanto precede, l’Adunanza Plenaria è anche pienamente consapevole del fatto che la summenzionata interpretazione estensiva – seppur sostanzialmente coerente con il principio eurounitario dell’apertura del mercato alla concorrenza (cfr. considerando 1 della direttiva 2014/24/UE) – deve essere oggetto di un vaglio pregiudiziale di compatibilità unionale ex art. 267 TFUE, atteso che il dato testuale e contestuale delle norme eurounitarie pertinenti (segnatamente degli artt. 2 e 46 della direttiva 2014/24/UE aventi ad oggetto rispettivamente la nozione di “operatore economico” e la disciplina della suddivisione in lotti) non appare affatto univoco nel senso di estendere automaticamente i vincoli di partecipazione/aggiudicazione all’intero gruppo del singolo operatore economico concorrente. Di qui la necessità dell’ordinanza in commento, secondo cui: “Previa riunione dei giudizi deferiti ex art. 99, comma 1, cod. proc. amm. a questa Adunanza Plenaria, vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:

  1. I) se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare l’art. 2, par. 1, n. 10), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 (sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE), che definisce l’«operatore economico», in relazione ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva, può essere interpretato in senso estensivo al gruppo societario di cui fa parte;
  2. II) se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare l’art. 46 della direttiva 2014/24/UE, relativa alla suddivisione della gara in lotti, che facoltizza le amministrazioni aggiudicatrici a suddividere la gara in lotti (par 1), a limitare la presentazione delle offerte «per un solo lotto, per alcuni lotti o per tutti» (par. 2), e a indicare «il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente» (par. 2, comma 1), possa essere applicato dando rilievo al gruppo societario di cui fa parte l’offerente;

III)  se il diritto dell’Unione europea, ed in particolare i principi generali di certezza e proporzionalità, ostino ad un’esclusione dalla gara in via automatica di un offerente facente parte di un gruppo societario che in una gara suddivisa in lotti ha partecipato e presentato offerte attraverso le proprie partecipate in misura superiore ai limiti di partecipazione e di aggiudicazione previsti dal bando di gara”.

Non resta, dunque, che attendere il pronunciamento della Corte di Giustizia europea.

 

(*Contributo in tema di “Estensione automatica del vincolo di partecipazione all’intero gruppo societario in caso di suddivisione della gara in lotti: la parola va alla corte di giustizia dell’unione europea”, a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima, Anna Libraro, Michela Pignatelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

illecito trattenere somme

Avvocati: illecito trattenere somme del cliente oltre il necessario Il CNF chiarisce che l’avvocato viola l’art. 31 CDF trattenendo somme spettanti al cliente oltre il tempo strettamente necessario

Illecito trattenere somme del cliente

Illecito trattenere somme del cliente: il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 472/2024, pubblicata il 4 luglio 2025 sul sito ufficiale del Codice Deontologico, ha affrontato la questione della gestione del denaro altrui da parte dell’avvocato, chiarendo che trattenere somme spettanti al cliente oltre il tempo strettamente necessario configura una violazione deontologica.

Il comportamento è stato ritenuto in contrasto con l’art. 31 del Codice Deontologico Forense, che impone all’avvocato obblighi di puntualità e diligenza nella gestione di denaro, beni o valori altrui.

Il principio enunciato: dovere di puntualità e diligenza

La pronuncia stabilisce che l’avvocato non può trattenere somme spettanti al cliente oltre il tempo strettamente necessario per il compimento di attività funzionali all’esecuzione del mandato o alla rendicontazione.

La violazione di questo principio integra un illecito deontologico, anche in assenza di appropriazione indebita o dolo. È sufficiente la mancanza di tempestiva restituzione a determinare una condotta disciplinarmente rilevante.

L’articolo 31 CDF e la gestione del denaro altrui

L’art. 31 del Codice Deontologico Forense stabilisce che l’avvocato deve custodire il denaro ricevuto per conto del cliente in modo distinto dal proprio e restituirlo senza ritardo. La norma mira a garantire trasparenza, affidabilità e fiducia nella relazione fiduciaria tra cliente e difensore.

Il trattenere somme indebitamente, anche solo per negligenza, lede la deontologia forense e comporta responsabilità disciplinare.

avvocato assente

Avvocato assente all’udienza: responsabile anche senza danno Il CNF sottolinea che l’assenza ingiustificata all’udienza configura sempre violazione deontologica, anche in assenza di danno concreto per il cliente

Avvocato assente all’udienza

Avvocato assente all’udienza: il Consiglio Nazionale Forense ha pubblicato il 7 luglio 2025 sul sito del Codice deontologico la sentenza n. 487/2024, riguardante l’omissione del difensore – di fiducia o d’ufficio – nell’adempimento al mandato, in particolare a causa dell’assenza ingiustificata all’udienza.  

Il principio ribadito dal CNF

Il CNF ribadisce l’orientamento consolidato: «L’inadempimento al mandato per assenza all’udienza, in difetto di accordo con il cliente, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante ex art. 26 CDF (già art. 38 previgente)». 

Indipendenza dall’effettivo danno al cliente

È indifferente che l’assenza non abbia causato conseguenze negative per l’assistito: tale circostanza non elimina il disvalore del comportamento negligente, potendo però attenuare la sanzione disciplinare. 

Il professionista che intenda giustificare la propria assenza deve dimostrare l’accordo o la causa legittima per non presentarsi all’udienza: in assenza di questo onere, la violazione sussiste. 

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Visura catastale: cos’è e come chiederla online Cos'è la visura catastale, che informazioni contiene, quanto costa, tipologie e formati, come richiederla, servizi online

Visura catastale: cos’è

La visura catastale è un documento che permette di consultare diverse informazioni relative ai beni immobiliari e ai loro intestatari. La visura catastale è una sorta di “documento d’identità” di ogni bene immobile che fornisce informazioni importanti a fini legali e informativi.

Contenuto della visura catastale

La visura catastale, come anticipato, fornisce informazioni molto importanti:

  • dati identificativi e reddituali dei beni immobili (terreni e fabbricati) e relativi elenchi;
  • dati anagrafici delle persone (fisiche o giuridiche) che risultano intestatarie di tali beni;
  • dati grafici, che comprendono le mappe catastali per i terreni e le planimetrie per le unità immobiliari urbane, fornendo una rappresentazione visiva della proprietà;
  • elaborato planimetrico (con l’elenco dei subalterni e la rappresentazione grafica) e i dati (protocollo e data) degli atti di aggiornamento catastale e delle relative note.

Quanto costa una visura catastale?

Le informazioni relative agli immobili che sono contenute nella visura catastale sono pubbliche e   tutti vi possono accedere. Prima però è necessario pagare le tasse per i servizi ipotecari e catastali. Gratuita invece la consultazione delle planimetrie, servizio riservato agli aventi diritto sull’immobile o ai loro delegati. Tuttavia, i titolari, anche parziali, del diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento possono richiedere la consultazione gratuita e l’esenzione dai tributi per gli immobili di cui risultano intestatari in catasto. Questo tipo di agevolazione comprende visure, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri immobili. Anche le visure catastali online di immobili non di proprietà possono essere rilasciate senza dover sostenere il costo dei tributi.

Visura catastale: tipologie e formati

Esistono due tipi principali di visure:

  • attuali: che riflettono la situazione attuale dell’immobile;
  • storiche: mostrano l’evoluzione nel tempo dell’immobile dal punto di vista oggettivo (modifiche variazioni)  e soggettivo (cambi di intestazione, diritti reali in favore di terzi); .

Entrambe le tipologie sono disponibili  per soggetto (intestatario) e per immobile.

I documenti sono rilasciati in due formati:

  • analitico, con un nuovo layout grafico;
  • sintetico, in formato tabellare.

Come chiedere una visura catastale

La consultazione dei dati catastali informatizzati, può essere richiesta presso:

  • qualsiasi Ufficio Provinciale – Territorio;
  • presso uno sportello catastale decentrato;
  • in modalità telematica tramite i servizi online dell’Agenzia delle Entrate. Se i dati sono informatizzati, la visura viene rilasciata in formato cartaceo allo sportello o come file PDF se richiesta online.

Per i dati disponibili su supporto cartaceo, ci si deve recare presso l’Ufficio provinciale – Territorio competente, presso il quale è possibile consultare anche gli atti storici cartacei.

La legge n. 241/90 prevede l’’accesso ai documenti catastali che non sono soggetti a consultazione diretta.

Ricerca dei dati

La ricerca dei dati può essere effettuata secondo diverse modalità:

  • per immobile: utilizzando l’identificativo catastale (particella per i terreni o unità immobiliare urbana per i fabbricati) o l’indirizzo dell’unità immobiliare urbana (limitatamente al Catasto Fabbricati);
  • per soggetto: inserendo i dati anagrafici del soggetto interessato (cognome, nome, sesso, codice fiscale per le persone fisiche; denominazione e sede legale per le persone giuridiche). Questa ricerca è possibile sia per il Catasto dei Terreni che per quello dei Fabbricati;
  • per partita: (modalità ormai in disuso) identifica un insieme di immobili detenuti dagli stessi soggetti in un dato periodo.

Servizi online 

L’Agenzia delle Entrate offre servizi di consultazione online che consentono ai titolari di diritti reali sugli immobili di accedere gratuitamente e in esenzione da tributi a visure attuali e storiche, visure mappa, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri beni.

Consulta la Guida al servizio – Visure, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri immobili

C’è poi il servizio di Visure catastali di immobili non di proprietà, che permette l’accesso telematico gratuito ai dati catastali anche se il richiedente non è il titolare, consentendo visure attuali per soggetto, visure attuali o storiche per immobile tramite identificativi catastali e visure della mappa.

Consultare la Guida al servizio – Visure catastali di immobili non di proprietà

L’accesso a questi servizi avviene tramite credenziali SPID, CIE o CNS all’interno dell’area riservata dei servizi telematici del sito dell’Agenzia delle Entrate.

Leggi anche: Visura catastale e ispezione ipotecaria online

giochi online

Giochi online nei locali pubblici: illegittimo il divieto assoluto Per la Corte Costituzionale è illegittimo il decreto Balduzzi nella parte in cui vieta in modo assoluto i giochi online nei locali pubblici

Giochi online e locali pubblici

Con la sentenza n. 104/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7, comma 3-quater, del cosiddetto “decreto Balduzzi” (d.l. 158/2012), che vietava l’installazione nei locali pubblici di dispositivi che consentono l’accesso a piattaforme di giochi online, sia legali sia illegali.

Il divieto imposto dal decreto Balduzzi

La norma censurata vietava espressamente la disponibilità, all’interno di qualsiasi esercizio pubblico, di apparecchiature che permettessero ai clienti di accedere a giochi d’azzardo online, anche se erogati da concessionari autorizzati. Il divieto si applicava in modo indifferenziato, sia in caso di utilizzo esclusivo delle apparecchiature a fini di gioco, sia nel caso di utilizzo occasionale o accessorio.

I motivi della declaratoria di illegittimità

La Corte ha riconosciuto che l’intento della norma – il contrasto alla ludopatia – è senz’altro legittimo e costituzionalmente rilevante. Tuttavia, la disposizione è stata ritenuta irragionevole e sproporzionata, poiché colpisce comportamenti eterogenei, con differenti livelli di offensività, senza alcuna distinzione o graduazione.

In particolare, la Corte ha sottolineato che:

  • la norma è eccessivamente generica e inclusiva;

  • equipara situazioni profondamente diverse (uso occasionale vs. strutturato);

  • non distingue tra gioco legale e illegale, trattandoli alla stessa stregua;

  • non rispetta il principio di proporzionalità, essendo troppo penalizzante rispetto agli obiettivi.

Illegittima anche la sanzione da 20.000 euro

A seguito della declaratoria di illegittimità della norma primaria, la Corte ha esteso l’incostituzionalità anche alla sanzione amministrativa prevista dall’art. 1, comma 923, primo periodo, della legge 208/2015, che comminava una sanzione fissa di 20.000 euro per la violazione del divieto.

La sanzione, priva ora di base legale, non potrà più essere applicata.

Compiti futuri del legislatore

La Corte ha concluso invitando il legislatore a intervenire con misure più equilibrate ed efficaci per contrastare la dipendenza dal gioco d’azzardo. Le strategie future dovranno rispettare i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità, graduando le restrizioni in base alla reale pericolosità delle condotte.

certificato di malattia

Il certificato di malattia è gratis: se il medico chiede soldi commette reato Il certificato di malattia per l’astensione dal lavoro è gratuito, commette istigazione reato il medico che chiede denaro per rilasciarlo

Denaro per certificato di malattia è istigazione alla corruzione

Il certificato di malattia non è a pagamento. Il medico che chiede denaro per il suo rilascio commette quindi reato. Ai fini della configurazione dell’illecito l’importo modesto delle richieste e il tono scherzoso con cui vengono formulate non rilevano. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19409/2025.

Certificato di malattia a pagamento? E’ istigazione alla corruzione

Il giudice dell’appello conferma la condanna di un medico di base convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, per il reato di istigazione alla corruzione, riqualificato ai sensi dell’art. 322, comma 3, c.p. La condotta oggetto di contestazione riguarda la richiesta di somme di denaro per il rilascio dei certificati medici di astensione dal lavoro. Le richieste sono avvenute in due occasioni per un importo di 30 euro e, in altre, senza richiesta di una cifra precisa.

Richieste di denaro “per scherzo”: punibilità ingiustificata

Il medico ricorre in Cassazione sollevando due motivi di doglianza. Con il primo motivo lamenta la logica della motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 322, comma 3, c.p. Le sue sollecitazioni ai pazienti non erano idonee o serie, ma fatte con tono scherzoso o amichevole. La difesa evidenzia vari elementi a sostegno della non serietà delle richieste:

  • alcuni testimoni le hanno qualificate infatti come battute;
  • altri non hanno ricordato l’episodio o non ne hanno percepito la gravità;
  • nessuno dei pazienti ha cambiato medico;
  • l’importo richiesto era modesto;
  • le richieste non sono state ripetute dopo il rifiuto.

Con il secondo motivo invece contesta il diniego dell’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. Il medico sostiene che la Corte d’Appello abbia illegittimamente applicato retroattivamente la modifica legislativa introdotta nel 2022, dopo i fatti oggetto del processo. Inoltre, ritiene illogiche le motivazioni addotte per negare la tenuità del fatto, tra cui la gravità del contesto medico, la non esiguità del danno e la presunta reiterazione della condotta, che non corrisponde ad abitualità. La difesa sottolinea anche che le richieste erano rivolte solo a pochi pazienti rispetto al numero complessivo degli assistiti, il che dimostrerebbe l’assenza di sistematicità del comportamento.

Certificato medico di malattia sempre gratuito

La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso del medico imputato dichiara il primo motivo inammissibile. Secondo i giudici, la censura proposta si limita a offrire un’interpretazione alternativa dei fatti senza confrontarsi in modo critico con la motivazione della sentenza impugnata. La richiesta di denaro in cambio del certificato medico di malattia, anche se formulata con tono scherzoso, è stata considerata idonea e univoca alla corruzione, basandosi sia su messaggi acquisiti che sulle testimonianze dei pazienti. Un solo teste ha parlato di tono scherzoso. In base alla giurisprudenza consolidata, l’idoneità dell’offerta corruttiva va valutata ex ante. Non rileva pertanto la modesta entità della somma richiesta, se non è del tutto irrisoria.

Infondato invece il secondo motivo. La sentenza del giudice di secondo grado non ha applicato retroattivamente la norma modificata dell’art. 131-bis c.p., si è limitata a citarla per mettere in evidenza la sua entrata in vigore posteriore ai fatti. Il rigetto della richiesta di non punibilità si fonda soprattutto sulla ritenuta abitualità della condotta, che è stata desunta dalla reiterazione delle condotte e dalla frequenza delle richieste, indicativa di una tendenza a violare i doveri del proprio ruolo. In merito alla nozione di “abitualità”, la Corte richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui essa può emergere anche dalla commissione di più reati della stessa indole, non necessariamente accertati con sentenza definitiva. È sufficiente che più illeciti siano oggetto dello stesso procedimento, permettendo al giudice di valutarli in modo unitario.

La tenuità del fatto non può essere riconosciuta in presenza di una pluralità di condotte aventi caratteri comuni, indicative di un’inclinazione criminale. La nozione di “reati della stessa indole” si fonda su un doppio criterio: oggettivo (la natura dei fatti) e soggettivo (i motivi che li hanno determinati). Essa ha un raggio d’azione più ampio rispetto al concetto di “reato continuato”, che richiede un medesimo disegno criminoso. Pertanto, anche se astrattamente compatibile con il reato continuato, l’art. 131-bis non può essere applicato quando, come in questo caso, le condotte indicano una costante violazione delle regole.

 

Leggi anche: Visite mediche e certificati di malattia sull’app IO

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