amministratore di condominio

L’amministratore di condominio può essere un agente immobiliare Corte UE: l’amministrazione condominiale è un'attività compatibile con quella di mediazione immobiliare per il diritto UE

Corte UE: compatibili amministrazione condominiale e mediazione

La Corte UE nella decisione del 4 ottobre 2024 ha stabilito che lamministratore di condominio può fare anche lagente immobiliare. Il quadro normativo italiano prevede l’incompatibilità tra l’esercizio della professione di agente immobiliare e amministratore di condominio. Questo in contrasto con la Direttiva 2006/123/CE che nel considerando 101 prevede la necessità, a tutto vantaggio dei consumatori, che i prestatori di servizi “abbiano la possibilità di fornire servizi multidisciplinari”.

La vicenda

La vicenda che viene portata all’attenzione della Corte UE ha inizio perché un’impresa individuale svolge contemporaneamente l’attività di amministratore condominiale e di agente immobiliare. Il Ministero dello Sviluppo economico, in seguito a una denuncia, chiede alla Camera di commercio competente di effettuare delle verifiche per appurare l’eventuale esistenza di un’incompatibilità o conflitto di interessi tra l’attività e di mediazione e di amministrazione condominiale. La Camera di Commercio ritiene che l’impresa svolga due attività incompatibili, per cui le vieta l’esercizio dell’attività di mediatore immobiliare, iscrivendola nel registro economico e amministrativo degli amministratori di condominio. L’impresa ricorre al TAR, che respinge il ricorso ritenendo che gli immobili gestiti nell’ambito dell’attività di amministratore possono essere indebitamente favoriti rispetto a quelli disponibili sul mercato, con conseguenze quanto all’imparzialità di cui dovrebbe dar prova un mediatore immobiliare.”

Questione pregiudiziale presentata dal Consiglio di Stato alla Corte UE

L’impresa appella la decisione al Consiglio di Stato, che si rivolge alla Corte UE per chiedere la pronuncia pregiudiziale anche sull’interpretazione dell’art. 25 della Direttiva 2006/123/CE e dell’art. 59 della Direttiva 2005/36/CE. La Direttiva 2005/36/CE disciplina in particolare l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio disponendo che gli Stati debbano riconoscere le qualifiche professionali riconosciute in uno o più Stati, che permettono al titolare di esercitare la relativa professione, senza discriminazioni.

La Direttiva 2006/123 invece contempla in particolare la possibilità di poter offrire ai consumatori servizi multidisciplinari.

L’articolo 25 di questa Direttiva prevede infatti che: Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori non siano assoggettati a requisiti che li obblighino ad esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse.Tuttavia, tali requisiti possono essere imposti ai prestatori seguenti:

  1. le professioni regolamentate, nella misura in cui ciò sia giustificato per garantire il rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l’indipendenza e limparzialità;
  2. b) i prestatori che forniscono servizi di certificazione, di omologazione, di controllo, prova o collaudo tecnici, nella misura in cui ciò sia giustificato per assicurarne l’indipendenza e limparzialità.”

Mediazione immobiliare incompatibile con diverse attività

L’ordinamento italiano viola quanto sancito dall’articolo 25 della Direttiva 2006/123 perché l’articolo 5 della legge n. 39/1989 stabilisce diverse incompatibilità con lesercizio dellattività di mediazione. Questa attività risulta infatti incompatibile con:

  • lesercizio di attività imprenditoriale di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l’attività di mediazione; – con la qualità di dipendente di tale imprenditore;
  • con l’attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o di dipendente o collaboratore di imprese esercenti i servizi finanziari di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;
  • con l’esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l’attività di mediazione e comunque in situazioni di conflitto di interessi.”

Corte UE: l’amministratore di condominio può essere anche mediatore immobiliare

La Corte UE nell’interpretare l’art. 59 della Direttiva 2005/36 ritiene la questione pregiudiziale irricevibile. Quando procede all’interpretazione dell’art. 25 della Direttiva 2006/123 per verificare se questa disposizione osti a una normativa nazionale che preveda l’incompatibilità tra attività di mediazione e di amministrazione condominiale la Corte fornisce un importante chiarimento.

Per l’autorità giudiziaria europea infatti l’articolo 25 della Direttiva 2006/123/Ce che si occupa dei servizi nel mercato interno deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede, in via generale, un’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini, esercitate congiuntamente.”

 

Leggi anche: Il passaggio di consegne tra amministratori di condominio

Decreto Accise: via libera del Governo Approvato in esame preliminare il decreto legislativo che dovrà riformare il testo unico sulle accise. Tante le novità su gas, elettricità e alcolici

Decreto Accise: le novità

Approvato il 15 ottobre 2024 dal consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, il decreto legislativo di revisione delle disposizioni in materia di accise.

Il testo, approvato in esame preliminare, andrà a riformare il Testo Unico delle Accise (TUA) introducendo diverse novità.

Di seguito le principali previsioni del provvedimento, come illustrate nel comunicato stampa dell’esecutivo:

Sistema di qualificazione dei soggetti obbligati accreditati (SOAC)

Il testo introduce nel Testo unico delle accise (TUA) un sistema di qualificazione degli operatori per instaurare un rapporto di fiducia tra soggetto obbligato e amministrazione finanziaria. Tale sistema denominato SOAC permette al soggetto qualificato di accedere a importanti benefici, quali l’esonero dall’obbligo di prestare cauzione e la riduzione di specifici oneri amministrativi.
La qualifica di SOAC ha validità per 4 anni, è rinnovabile e, avendo una connotazione reputazionale, rende tali soggetti distinguibili nella platea degli operatori del settore. Il sistema sostituirà ogni altra procedura per ottenere l’esonero cauzionale e prevede 3 livelli di qualificazione – base, medio e avanzato – a cui corrispondono gradi diversi di fruizione dei predetti benefici.

Riforma accisa sul gas naturale

Si provvede alla revisione delle modalità di accertamento, liquidazione e versamento dell’accisa sul gas naturale, superando l’attuale sistema basato su di un meccanismo di acconto storico.

Il nuovo sistema si baserà su acconti mensili commisurati a quanto fatturato ai consumatori finali mese per mese. Ciò eviterà irragionevoli esposizioni economiche per gli operatori del settore e renderà più difficili le frodi.

Inoltre, al fine di razionalizzare il sistema di tassazione e ridurre il contenzioso, l’attuale distinzione tra usi “civili” e usi “industriali” del gas naturale viene sostituita da quella tra “usi domestici” e “usi non domestici”.

Semplificazioni in materia di alcolici

Il decreto prevede un’importante semplificazione per gli esercizi di vendita al minuto di alcolici (per esempio, i bar) per i quali la denuncia all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) sarà assorbita dalla (già prevista) comunicazione di avvio delle attività di vendita di prodotti alcolici assoggettati, da presentare allo Sportello unico per le attività produttive. Il rilascio della licenza sarà richiesto solo per alcune tipologie di deposito di prodotti alcolici e solo al di sopra di prestabiliti volumi minimi.

Riforma accisa energia elettrica

L’accisa sull’elettricità si applicherà con le medesime modalità del gas naturale, per garantire un monitoraggio continuo dei volumi di elettricità ceduti dai venditori a tutela dell’erario.

Oli lubrificanti e affini

Le disposizioni sono volte a riorganizzare, aggiornare e rendere più chiara la disciplina di settore. Viene introdotta una semplificazione per gli operatori riguardante la possibilità di tenere, ai fini dell’esecuzione dei previsti inventari periodici, la contabilità in forma aggregata per prodotti considerati omogenei con l’effetto di semplificare e ridurre il contenzioso.

Disposizioni in materia di prodotti da fumo

Il testo prevede, infine, l’estensione, da 2 a 4 anni, della durata delle autorizzazioni per la vendita dei prodotti liquidi da inalazione e dei tabacchi lavorati.

legge bilancio

Legge bilancio 2025: ok del governo Il 15 ottobre l'esecutivo ha approvato il disegno di legge di bilancio 2025 e il Documento Programmatico di Bilancio (DPB). In sintesi le novità

Ddl bilancio e documento programmatico

Disegno di legge bilancio e Documento programmatico di bilancio. Questi i due documenti importanti approvati dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. Il ddl reca il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e il bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027. Inoltre, il Ministro Giorgetti ha illustrato il Documento programmatico di bilancio (DPB) che, conformemente a quanto previsto dalla normativa, sarà trasmesso al Parlamento e alla Commissione europea.

Le novità del ddl bilancio 2025

Il disegno di legge di bilancio, in linea con l’approccio dei provvedimenti economici approvati finora dal Governo, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, dispone interventi con effetti pari, in termini lordi, a circa 30 miliardi nel 2025, più di 35 miliardi nel 2026 e oltre 40 miliardi nel 2027.

In sintesi, le misure contenute nel provvedimento (che tengono conto del nuovo quadro di regole europee e del contesto economico, negativamente influenzato dall’incertezza globale connessa alla prosecuzione del conflitto russo-ucraino e al peggioramento della crisi in Medio Oriente), si concentrano sulla riduzione della pressione fiscale e sul sostegno ai redditi medio-bassi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Sono previste, inoltre, risorse per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione, per il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale. Particolare sarà l’attenzione per le famiglie, al fine di sostenere quelle numerose e incentivare la natalità, ha confermato il ministro Giorgetti in conferenza stampa, con l’introduzione di un “quoziente familiare“.

Nel dettaglio:

Proroga effetti riforma fiscale e taglio del cuneo fiscale

Si rendono strutturali gli effetti del taglio del cuneo e l’accorpamento su tre scaglioni delle aliquote IRPEF già in vigore nell’anno in corso.

Rinnovo dei contratti

Il Governo stanzia da subito le risorse destinate a finanziare le procedure di rinnovo dei contratti del pubblico impiego, con particolare riferimento al triennio 2025-2027.

Sanità

Si incrementano le risorse per finanziare il rinnovo dei contratti. In particolare nel prossimo biennio lo stanziamento è in linea con la crescita del PIL nominale.

Supporto alle famiglie e bonus nascite

Sono confermate e potenziate le misure sui congedi parentali. Introdotta anche una “Carta per i nuovi nati” che riconosce 1.000 euro ai genitori con ISEE entro i 40 mila euro. La manovra rafforza il bonus destinato a supportare la frequenza di asili nido, anche prevedendo l’esclusione delle somme relative all’assegno unico universale dal computo dell’ISEE. Tra le misure di carattere sociale, si rifinanzia per il 2025 la carta “dedicata a te”, nella misura di 500 milioni. Nel computo delle detrazioni si terrà conto del numero dei familiari a carico: più numerosi sono i componenti della famiglia, maggiori sono gli spazi per le detrazioni fiscali.

Lavoro e imprese

In particolare nel Mezzogiorno si confermano gli incentivi finalizzati all’occupazione dei giovani e delle lavoratrici, che saranno riconosciuti anche ai rapporti di lavoro attivati nel biennio 2026-2027. Si confermano, inoltre, la decontribuzione in favore delle imprese localizzate nella Zona economica speciale (ZES) e gli incentivi all’autoimpiego nei settori strategici per lo sviluppo di nuove tecnologie e la transizione digitale ed ecologica. Oltre alla conferma dei fringe benefit per tutti gli aventi diritto, gli importi vengono maggiorati per i nuovi assunti che accettano di trasferire la residenza di oltre 100 chilometri. Tra le misure fiscali si conferma, anche per il triennio 2025-2027, la tassazione agevolata al 5 per cento dei premi di produttività erogati dalle aziende ai lavoratori.

Pensioni

Sono confermate le misure della legge di bilancio 2024 e sono potenziate quelle destinate ai lavoratori pubblici e privati che, pur in età pensionabile, mantengono l’impiego.

Investimenti pubblici

Il disegno di legge di bilancio stanzia anche risorse per assicurare che, successivamente al termine del PNRR, l’andamento della spesa per investimenti pubblici sia coerente con i requisiti della nuova governance europea. In particolare, è previsto il potenziamento degli investimenti nel settore della difesa.
Infine, sono introdotte misure di revisione ed efficientamento della spesa delle amministrazioni pubbliche.
Tra le coperture più rilevanti, il disegno di legge di bilancio prevede contributi del settore bancario e assicurativo.

palmario

Palmario: componente aggiuntiva del compenso dell’avvocato Palmario: componente aggiuntiva o straordinaria o premio per l'importanza e la difficoltà della prestazione dell'avvocato

Che cos’è il palmario

Il palmario si identifica con il compenso che il cliente promette o riconosce all’avvocato in una misura determinata. Esso sostituisce l’onorario o si aggiunge allo stesso, nel caso in cui la controversia gestita dal legale, anche in sede stragiudiziale, si concluda positivamente. Il riconoscimento di una somma ulteriore che il cliente riconosce all’avvocato in base alla complessità dell’attività svolta o al risultato raggiunto deve scaturire da un accordo scritto.

Il palmario è un compenso legittimo. Le parti possono infatti convenire liberamente un compenso aggiuntivo rispetto all’onorario che spetterebbe al legale in base alle tariffe professionali.

Questa definizione è stata di recente confermata anche dalla Corte di Cassazione. Gli Ermellini infatti, nella sentenza n. 23738/2024 hanno sancito che il palmario rappresenta una quota aggiuntiva del compenso che il cliente riconosce all’avvocato se la lite si conclude con un esito favorevole. Questo a titolo di compenso straordinario o di premio collegato alla difficoltà e all’importanza della prestazione.

Il palmario non è un patto di quota lite

La definizione del palmario potrebbe creare un certa confusione con un altro tipo di accordo.In origine il comma 3 dell’articolo 2233 del Codice civile vietava il patto di quota lite.  

Dal 2006 al 2012: patto di quota lite consentito

Dal 2006 però il patto di quota lite è consentito. Questo in virtù delle  modifiche che l’articolo 2 del dl n. 223/2006 (convertito con modifiche dalla legge n. 248/2006) ha apportato al testo della norma.

Le modifiche hanno previsto in particolare l’abrogazione delle disposizioni che prevedevano il divieto di concordare compensi parametrati in base agli obiettivi raggiunti.

Il comma 3bis del decreto n. 223/2006, nel riscrivere   lultimo comma dellarticolo 2233 del codice civile, aveva stabilito che qualora il cliente e l’avvocato si fossero accordati per regolare i patti sui compensi professionali gli stessi avrebbero dovuto redigerli in forma scritta. Sotto la vigenza di questa norma quindi i patti tra cliente e avvocati erano liberi, purché redatti in forma scritta.

La legge professionale n. 247/2012 vieta di nuovo il patto

A queste modifiche è seguita poi quella dell’ordinamento della professione forense (legge n. 247/2012).

In base all’art. 13 comma 2 della legge professionale “Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale.”

Il comma 3 stabilisce invece che: “La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

Il comma 4 però dispone che: “Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.”

In base a questa norma, sono ammessi in sostanza solo i patti commisurati, anche in percentuale, al valore dell’affare mentre è vietato il patto di quota lite calcolato in base al risultato raggiunto.

Ratio del divieto del patto di quota lite

Il patto di quota lite evita commistioni inutili tra cliente e avvocato, che sarebbero presenti qualora il compenso fosse collegato anche solo in parte al risultato della lite. Questo accordo in effetti trasformerebbe il rapporto professionale in un rapporto associativo.

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21420/2022 ha chiarito infatti che: “il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di cui all’art. 2233 c.c., nella (…) trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli. Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.”

Palmario e patto di quota lite a confronto

Dall’analisi effettuata emerge che il patto di quota lite e il palmario sono accordi assai diversi tra loro. La differenza principale tra questi due istituti è stata messa in evidenza dalla sentenza del Tribunale di Monza n. 247/2013. Essa ha infatti chiarito che il patto di quota lite è un contratto aleatorio. Il compenso infatti varia al variare dei benefici riconducibili all’esito favorevole della lite. La sua caratteristica principale è rappresentata dall’elemento di rischio. Il risultato da perseguire infatti non è certo nel quantum, ma soprattutto nell’an. L’aleatorietà è quindi il tratto distintivo che differenzia il patto di quota lite dal palmario.

 

Leggi anche:  Compenso avvocati: come si determina il valore della causa

Allegati

compravendite immobiliari

Compravendite immobiliari: compenso del mediatore fuori dal rogito Compravendite immobiliari: il ddl lavoro elimina l'obbligo di indicare l'importo sostenuto per la mediazione

Compravendite immobiliari: la novità del ddl lavoro

Le compravendite immobiliari stanno per subire una piccola rivoluzione, in virtù di una modifica del ddl lavoro n. 1264, ora al Senato, in attesa dell’approvazione definitiva, dopo il sì della Camera. Il testo del “collegato lavoro”, tra le tante novità, prevede infatti una modifica sul contenuto del rogito all’articolo 22.

L’unico comma della norma prevede infatti che: “1. All’articolo 35, comma 22, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) lammontare della spesa sostenuta per tale attività o, in alternativa, il numero della fattura emessa dal mediatore e la corrispondenza tra limporto fatturato e la spesa effettivamente sostenuta nonché, in ogni caso, le analitiche modalità di pagamento della stessa.»

Contesto normativo della modifica

La norma, così isolata non appare molto chiara nel suo significato. Occorre infatti analizzare il contesto in cui è inserita. La nuova disposizione va infatti a modificare il comma 22 dell’art. 35 della legge n. 223/2006 contenente le Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale.”

Ed è proprio nel capo dedicato al contrasto all’evasione fiscale che si inserisce l’articolo 35 della legge, che nella prima parte del comma 22 dispone All’atto della cessione dell’immobile, anche se assoggettata ad IVA, le parti hanno l’obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo. Con le medesime modalità, ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare:

  1. se si è avvalsa di un mediatore e, nell’ipotesi affermativa, di fornire i dati identificativi del titolare, se persona fisica, o la denominazione, la ragione sociale ed i dati identificativi del legale rappresentante, se soggetto diverso da persona fisica, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la stessa società;
  2. il codice fiscale o la partita I.V.A.;
  3. il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di riferimento per il titolare ovvero per il legale rappresentante o mediatore che ha operato per la stessa società;
  4. l’ammontare della spesa sostenuta per tale attività e le analitiche modalità di pagamento della stessa.”

Ratio della modifica relativa alle compravendite immobiliari

L’articolo 22, introdotto alla Camera dei deputati interviene sulla disciplina che riguarda la dichiarazione dei dati dell’attività di mediazione, che viene svolta quando si verifica la cessione di beni immobili. Nella sua formulazione originaria ciascuna delle parti deve dichiarare, come previsto dalla lettera d) la spesa sostenuta per l’attività di mediazione e le analitiche modalità di pagamento.

La nuova formulazione della lettera d) permette invece alle parti di dichiarare la somma sostenuta per l’attività di mediazione indicando solo il numero della fattura emessa dal mediatore e la corrispondenza tra l’importo fatturato e la spesa sostenuta effettivamente. Resta solo l’obbligo di indicare nel dettaglio le modalità di pagamento.

La modifica, apparentemente di poco conto, soddisfa le richieste dei mediatori di vedere tutelata la loro privacy e quella del cliente. Il venir meno dell’obbligo di indicare nel rogito l’importo della provvigione del mediatore tutela in effetti la libera contrattazione tra cliente e mediatore. La controparte in questo modo non può conoscere questo dato, che in effetti non lo riguarda. Il mediatore deve essere infatti libero di applicare importi diversificati ai clienti. La sola indicazione del numero della fattura relativa all’attività di mediazione inoltre azzera praticamente il rischio di evasione, soprattutto dopo l’introduzione della fattura elettronica.

Leggi anche: Clausola visto e piaciuto

Avvocato molesta l’aspirante segretaria: quale sanzione? L'avvocato che molesta l'aspirante segretaria durante il colloquio merita una pena più severa dell'avvertimento

Avvocato molesta aspirante segretaria: giudizio disciplinare

Un avvocato molesta l’aspirante segretaria durante un colloquio. Lo stesso viene quindi condannato alla pena sospesa della reclusione di 9 mesi e allinterdizione dai pubblici uffici per la stessa durata. L’imputato avrebbe toccato con intenzioni inequivoche la mano e i fianchi della donna recatasi presso il suo studio per un colloquio di lavoro.

L’aspirante segretaria denuncia l’avvocato, che viene sottoposto anche a procedimento disciplinare. Il legale è ritenuto responsabile di aver violato i doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 comma 2 codice deontologico) e l’obbligo di comportarsi in modo da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi (art. 63 codice deontologico).

Per i suddetti motivi il Consiglio distrettuale di disciplina lo sanziona con la sanzione dell’avvertimento.

Avvertimento: pena inappropriata per l’avvocato molestatore

Il procuratore generale però impugna la decisione ritenendo inappropriata la sanzione irrogata.

Il CNF accoglie l’impugnazione e sanziona l’avvocato con la sospensione dallesercizio dellattività professionale per la durata di 6 mesi. Il Consiglio nazionale Forense ritiene che la condotta dell’avvocato abbia violato l’articolo 9 del Codice deontologico. La norma sancisce in particolare i doveri di dignità, probità e decoro. L’avvocato però non avrebbe violato l’articolo 63 comma 3 del Codice deontologico, ma la legge penale. Inappropriata quindi la sanzione dell’avvertimento prevista da quest’ultima norma.

Corretta la sospensione di 6 mesi per l’avvocato che molesta

L’avvocato impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione contestando la violazione dell’articolo 4 comma 2 del Codice deontologico che rimanda alla violazione consapevole della legge penale. Per il legale la rilevanza penale della condotta non lo avrebbe sottratto dall’applicazione dell’art. 63 del codice deontologico, ma avrebbe potuto comportare a suo carico l’applicazione delle aggravanti previste dall’articolo 22 comma 2 del codice deontologico.

Per le Sezioni Unite Civili della Cassazione (sentenza n. 26369/2024), il CNF ha individuato correttamente di sussumere la violenza sessuale nella previsione generale invece che in quella speciale. Rispetta la proporzione la decisione di non far rientrare un fatto sanzionabile penalmente nella previsione deontologica che sanziona la condotta   in misura più lieve. Conforme a misura anche la decisione di escludere l’applicazione dell’art. 63 del codice deontologico. In base alla tesi del ricorrente si finirebbe infatti per punire con l’avvertimento qualsiasi illecito extraprofessionale.

La Cassazione del resto afferma ormai da tempo che:il giudice disciplinare è libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme.”

Infondato il motivo con cui il ricorrente contesta la violazione dell’art. 653 c.p.c da parte del giudice penale. Se il giudice aveva infatti escluso l’aggravante contemplata dall’art. 61 n. 11 cp ossia di abuso di relazioni d’ufficio, il CNF ha disposto la sospensione semestrale dalla professione perché l’avvocato avrebbe tenuto la condotta sanzionata abusando della propria posizione di datore rispetto alla soggettiva sudditanza in cui si trovava l’aspirante impiegata al ruolo di segretaria.

Inammissibile infine il motivo con cui l’avvocato precisa che la sanzione della sospensione possa essere irrogata solo in due casi, ossia in presenza di comportamenti o responsabilità gravi o quando non sussistono ragioni per irrogare la censura. La correttezza della scelta della sanzione non è infatti censurabile in sede di legittimità.

 

Leggi anche: Radiato l’avvocato che esercita anche se sospeso

Allegati

beneficio della non menzione

Beneficio della non menzione anche in Cassazione Il beneficio della non menzione può essere disposto dalla Cassazione senza la necessità di ulteriori accertamenti di fatto

Non menzione e giudizio di legittimità

Il beneficio della non menzione può essere direttamente disposto dalla Cassazione, sulla base degli elementi già valorizzati dal giudice del merito, senza la necessità di ulteriori accertamenti di fatto. Lo ha stabilito la seconda sezione penale nella sentenza n. 37164/2024 accogliendo sul punto il ricorso di un imputato.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Napoli confermava la condanna emessa dal tribunale nei confronti di un imputato per i reati di cui agli art. 81, 10 e 640-ter e 81, 10 e 493-ter cod. pen.

L’uomo adiva il Palazzaccio dolendosi, tra le altre cose, della carenza di motivazione in merito alla richiesta di applicazione del beneficio della non menzione.

La decisione

Per la S.C. il motivo è fondato (sebbene il ricorso sia complessivamente infondato nel resto). La Corte d’appello infatti non ha offerto una specifica risposta all’ultimo motivo di gravame, con cui si invocava il beneficio di cui all’art. 175 c.p. e tale inequivoca lacuna motivazionale impone, limitatamente a questa sola statuizione, l’annullamento della sentenza impugnata.
L’apparato argomentativo speso dalla Corte territoriale in tema di sospensione condizionale della pena, fondato sulla valutazione dei medesimi elementi ex art. 133 c.p. che vengono necessariamente in rilievo anche per la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, “consente tuttavia di colmare la denunciata carenza, senza necessità di rinvio” aggiungono gli Ermellini.

“lI beneficio in questione può, infatti, essere direttamente disposto – dalla Cassazione – sulla base degli elementi già valorizzati dal giudice del merito ex art. 164 cod. pen. nei termini sopra accennati, senza la necessità di ulteriori accertamenti di fatto (cfr., tra le altre, Cass. n. 14885/2021).

Per cui, la S.C. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna, che concede. E rigetta il ricorso nel resto.

Allegati

direttiva riders

Direttiva Riders: ok definitivo Via libera definitivo alla direttiva Riders da parte del Consiglio Europeo. Il testo entrerà in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale UE

Direttiva Riders: cosa prevede

Via libera definitivo alla Direttiva Riders da parte del Consiglio UE che ha confermato l’accordo raggiunto con gli Stati membri l’11 marzo 2024, a sua volta approvato dal Parlamento UE nell’aprile scorso. La direttiva introduce nuove norme tese a migliorare le condizioni delle persone che lavorano per le piattaforme online, regolando per la prima volta l’uso dei sistemi di algoritmi sul posto di lavoro.

Il contesto

Si parla di un mercato che vede (secondo l’analisi della Commissione Europea del 2021) 500 piattaforme di lavoro digitali attive e che dà lavoro a oltre 28 milioni di persone (cifra che dovrebbe raggiungere i 43 milioni entro il 2025).

Le piattaforme di lavoro digitali sono presenti in una varietà di settori economici, sia “in loco”, come per i conducenti di viaggi e le consegne di cibo, o online con servizi come la codifica dei dati e la traduzione.

Mentre la maggior parte dei lavoratori delle piattaforme digitali è formalmente autonoma, circa 5,5 milioni di persone potrebbero essere erroneamente classificate come lavoratori autonomi.

Situazione occupazionale

La nuova legge obbliga i Paesi UE a introdurre una presunzione di rapporto di lavoro subordinato quando sono presenti “fatti che indicano il controllo e la direzione, conformemente al diritto nazionale e ai contratti collettivi” e tenendo conto della giurisprudenza dell’UE.

Questa presunzione legale confutabile del rapporto di lavoro ha il fine di correggere lo squilibrio di potere tra la piattaforma di lavoro digitale e la persona che vi svolge il lavoro e di aiutare il lavoratore a beneficiare della presunzione. L’onere della prova spetterà alla piattaforma, che dovrà dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro.

Nuove regole sugli algoritmi

Le nuove norme garantiscono che una persona che esegue un lavoro su piattaforma non possa essere allontanata o licenziata sulla base di una decisione presa da un algoritmo o da un sistema decisionale automatizzato.

Le piattaforme dovranno garantire il controllo umano su decisioni importanti che incidono sulle persone che svolgono un lavoro tramite piattaforme digitali.

Trasparenza e protezione dei dati

La direttiva prevede anche norme che proteggono i dati dei lavoratori delle piattaforme digitali, alle quali sarà vietato elaborare determinati tipi di dati personali, come quelli sullo stato emotivo o psicologico e le convinzioni personali.

Prossime tappe

Il testo, ora, dopo l’adozione formale del Consiglio dovrà essere firmato dal Consiglio stesso e dal Parlamento Europeo ed entrerà in vigore in seguito alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

Dopo di che, gli Stati membri avranno due anni per adeguare il diritto interno alle nuove norme comunitarie.

Decreto ingiuntivo: titolo inoppugnabile per ammissione al passivo Decreto ingiuntivo: inoppugnabile per l’ammissione al passivo se il giudizio si è estinto e sono decorsi i 10 giorni per il reclamo

Decreto ingiuntivo opposto e ammissione al passivo

Il decreto ingiuntivo opposto acquisisce efficacia di giudicato sostanziale e diventa titolo idoneo per l’ammissione al passivo del fallimento a condizione che il giudizio di opposizione si sia estinto e nel momento in cui viene emessa la sentenza di fallimento, il termine di 10 giorni per proporre il reclamo verso l’ordinanza di estinzione sia già decorso. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22125/2024.

Titolo inidoneo se diventa definitivo dopo il fallimento

Una banca vorrebbe partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni immobili che la debitrice fallita ha ceduto a un’altra società fallita. Sui beni immobili la banca aveva iscritto un’ipoteca giudiziale in virtù di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Il giudice del fallimento ritiene rituale la domanda avanzata dalla banca. Costui però la respinge perché l’ipoteca si fonderebbe su un decreto ingiuntivo, che è stato dichiarato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento delle due società, quella cedente e quella cessionaria.  

Decreto ingiuntivo definitivo dopo il fallimento: ipoteca inopponibile

La banca presenta la sua opposizione al fallimento ai sensi dell’art. 98 della legge fallimentare. Il Tribunale però la respinge per due ragioni.

  • Il titolare di ipoteca non può avvalersi del procedimento di verifica del passivo nella procedura fallimentare. Occorre instaurare un contraddittorio con il debitore e far valere il suo diritto nelle modalità previste dagli articoli 602-604 c.p.c.
  • L’ipoteca giudiziale non è opponibile al fallimento perché il decreto è diventato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento.

Titolo definitivo dopo l’estinzione dell’opposizione

La banca ricorre quindi in Cassazione per contestare le ragioni del rigetto.

Nel primo motivo precisa di aver presentato una domanda di partecipazione al riparto di quanto ricavato dalla vendita degli immobili.

Con il secondo motivo invece chiarisce che il decreto ingiuntivo è diventato esecutivo in via definitiva dopo l’estinzione del giudizio di opposizione a causa della mancata riassunzione del giudizio da parte del curatore fallimentare.

Decreto ingiuntivo, giudicato sostanziale e ammissione al passivo

La Corte, nel respingere il primo motivo di doglianza richiama la Cassazione a sezioni unite n. 8557/2023 e i principi in essa sanciti ossia che “i creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito (…) possono (…)  intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo, per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati in loro favore.” 

Nell’accogliere il secondo motivo invece la Cassazione spiega che il decreto ingiuntivo della banca ricorrente è divenuto definitivo nei confronti della debitrice principale con la sentenza con cui il tribunale ha dichiarato estinto il giudizio di opposizione, prima della dichiarazione di fallimento della società a cui la debitrice principale aveva ceduto i propri immobili a cui quindi doveva ritenersi opponibile.

Decreto ingiuntivo opposto dal debitore fallito

L’ordinanza n. 9933/2018 della Cassazione sul punto aveva precisato che: il decreto ingiuntivo che sia stato opposto dal debitore poi fallito è opponibile alla massa fallimentare, a condizione che sia stata pronunciata sentenza di rigetto dell’opposizione, ovvero ordinanza di estinzione, divenute non più impugnabili – per decorso del relativo termine – prima della dichiarazione di fallimento, restando irrilevante che con i detti provvedimenti sia stata dichiarata l’esecutorietà del decreto monitorio, ex art. 653 c.p.c., ovvero che sia stato pronunciato, prima dell’apertura del concorso tra i creditori, il decreto di esecutività di cui all’art. 654 c.p.c.” 

Alla luce di questa e di altre decisioni  ribadisci Ermellini sanciscono infine che “il decreto ingiuntivo, in caso di opposizione, acquista efficacia di giudicato sostanziale idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, purché il relativo giudizio si sia estinto e, al momento della sentenza di fallimento, sia già decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione.”

 

Leggi anche: Opposizione a decreto ingiuntivo: mediazione a carico del condominio

Allegati

delega unica agli intermediari

Delega unica agli intermediari Delega unica agli intermediari: pubblicato il provvedimento sul modello unico di delega e fornisce le istruzioni per la sua comunicazione

Delega unica agli intermediari: il modello

Arriva la delega unica agli intermediari. Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate con il provvedimento del 2 ottobre 2024 protocollo n. 0375356/2024 attua l’articolo 21 del decreto legislativo n. 1/2024 sul modello unico di delega previsto per gli intermediari al fine di accedere ai servizi online dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

Modello unico di delega per l’accesso: art. 21

  • L’articolo 21 che il provvedimento del Direttore attua dispone infatti che il contribuente possa delegare gli intermediari previsti dall’ 3, comma 3 del DPR n. 322/1998 all’utilizzo dei servizi messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, compilando un modello unico.

Trattasi in particolare dei seguenti intermediari:

  • gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro; 
  • i soggetti iscritti al 30.09.1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
  • le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell’articolo 32, comma 1, lettere a)b)c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;
  • i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
  • gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.”

La delega deve indicare specificamente quali tipi di servizi intende delegare.

Contenuto della delega unica

La delega deve contenere determinati dati e informazioni:

  • codice fiscale, dati anagrafici del delegante e dell’intermediario;
  • servizi online che il delegante vuole delegare o revocare;
  • data della delega o della revoca.

Servizi che possono essere delegati

Il punto 4 del provvedimento precisa quali servizi è possibile delegare agli intermediari:

– consultazione del Cassetto fiscale delegato;

– uno o più servizi relativi alla Fatturazione elettronica/corrispettivi telematici, ovvero:

  1. consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici,
  2. consultazione dei dati rilevanti ai fini IVA,
  3. registrazione dell’indirizzo telematico,
  4. fatturazione elettronica e conservazione delle fatture elettroniche,
  5. accreditamento e censimento dispositivi;

– acquisizione dei dati ISA e di quelli per la determinazione della proposta di concordato preventivo biennale;

-servizi online dell’area riservata dell’Agenzia delle entrate Riscossione.

Delega unica: conferimento, durata, rinnovo, revoca e rinuncia

La delega può essere conferita, al massimo, a due intermediari. In questo caso occorrono due comunicazioni distinte all’Agenzia delle Entrate.

Come anticipato la delega dura fino al 31 dicembre del 4° anno successivo a quello in cui la stessa viene conferita. Il delegante però può sempre revocarla così come il delegato rinunciarvi.

La delega può essere rinnovata se non è ancora scaduta e se non ci sono variazioni. La comunicazione del rinnovo deve essere eseguita a partire dal 90° giorno antecedente la scadenza originaria. Il rinnovo non causa la revoca della delega, ma ne prolunga l’efficacia a partire dal giorno successivo a quello della scadenza originaria.

Il delegante può revocare la delega e comunicarlo direttamente. A questo adempimento può provvedere anche l’intermediario.

La delega è revocata anche in caso di variazione di uno o più dati, questo comporta l’attivazione di una nuova delega con i dati nuovi e la scadenza in questo caso decorre dalla data di attivazione di quella nuova.

La rinuncia alla delega da parte dell’intermediario è comunicata dallo stesso tramite apposita modalità web presente all’interno della sua area riservata ed è immediatamente efficace.

Comunicazione della delega unica

La comunicazione dei dati della delega all’Agenzia è necessaria per l’attivazione. La comunicazione può essere fatta dal contribuente delegante dalla sua area riservata o dall’intermediario tramite la trasmissione di un file xml sottoscritto con firma digitale, FEA CIE o FEA (firma elettronica avanzata).

La comunicazione può essere effettuata inoltre tramite un sevizio web specifico per il conferimento della delega dopo apposita convenzione tra intermediario e Agenzia.

Leggi le specifiche tecniche per la comunicazione dei dati relativi alla delega unica

Obblighi intermediario

L’intermediario delegato può utilizzare i servizi delegati previa accettazione. Con l’accettazione esso di impegna a utilizzare le informazioni del contribuente per le finalità della delega. Il delegato deve poi conservare le deleghe e i documenti a queste collegati fino al 10° anno successivo.

Essi devono tenere inoltre un registro in cui annotare le deleghe e dati specifici.

L’Agenzia può effettuare dei controlli presso gli intermediari. In presenza di irregolarità nella gestione delle deleghe o delle loro revoche l’Agenzia può procedere alla revoca, fatta salva la responsabilità civile e l’applicazione di sanzioni penali.

 

Vuoi sapere di più sul decreto legislativo n. 1/2024? Allora leggi anche: Avvisi bonari: dal 1° settembre il fisco batte cassa