carta per i nuovi nati

Bonus nuovi nati: cos’è e a chi spetta Il bonus per i nuovi nati è destinato alle famiglie che devono affrontare le prime spese per neonati e figli adottivi

Bonus per i nuovi nati

La legge di bilancio 2025 ha introdotto un bonus per i nuovi nati, una nuova misura di sostegno dedicato alle famiglie, con obiettivo primario di incentivare la natalità e alleggerire il peso economico derivante dall’arrivo di un bambino.

Il bonus per i nuovi nati consiste in un importo di 1.000 euro, erogato una tantum, spettante alle famiglie con un ISEE inferiore a 40.000 euro.

La circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 definisce i requisiti di accesso, le modalità di presentazione delle domande e il regime fiscale della misura.

Bonus per i nuovi nati: come funziona

Il bonus nuovi nati consiste in un importo, che verrà erogato una tantum e che potrà essere utilizzato per l’acquisto di beni e servizi destinati al neonato.

La misura spetta per ogni figlio nato o adottato dopo il 1° gennaio 2025.

Il Bonus non concorre alla formazione del reddito imponibile.

A chi spetta il Bonus per i nuovi nati

Il bonus viene erogato a chi è in possesso dei seguenti requisiti soggettivi e reddituali:

  1. Cittadini italiani, cittadini UE e familiari dei suddetti cittadini, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
  2. Cittadini di Stati non UE:
  • Titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; di permesso unico di lavoro autorizzati a svolgere attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi; di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi.
  • In applicazione della normativa UE e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, possono accedere al bonus anche cittadini extracomunitari in possesso di permessi di soggiorno di durata non inferiore a un anno, anche se non espressamente indicati nella legge di Bilancio 2025.
  1. Soggetti equiparati ai cittadini italiani: come apolidi, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale.
  2. Cittadini del Regno Unito: sono equiparati ai cittadini UE se residenti in Italia entro il 31 dicembre 2020. La verifica della residenza a tale data avviene tramite l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) o altri archivi anagrafici. In tal caso, non sono richiesti ulteriori titoli di soggiorno. Per i cittadini del Regno Unito residenti in Italia successivamente al 31 dicembre 2020, si applicano le disposizioni previste per i cittadini extracomunitari in materia di documenti di soggiorno.

Requisiti per l’accesso al Bonus:

  • Residenza: il genitore richiedente deve essere residente in Italia al momento della presentazione della domanda e tale requisito deve sussistere dalla data dell’evento (nascita, adozione, affido preadottivo).
  • ISEE: è necessario un Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) del nucleo familiare in cui è presente il figlio per il quale si chiede il contributo, non superiore a 40.000 euro annui. Nel calcolo dell’ISEE minorenni viene neutralizzato l’importo dell’Assegno unico e universale (AUU) erogato ai componenti del nucleo familiare.
  • Data di nascita, adozione o affido preadottivo: il figlio deve essere nato o adottato a partire dal 1° gennaio 2025. Per le adozioni, il contributo può essere richiesto solo per figli minorenni. In caso di affido preadottivo, si considera la data di ingresso del minore nel nucleo familiare su ordinanza del Tribunale per i minorenni. Per le adozioni internazionali, fa fede la data di trascrizione del provvedimento nei registri dello stato civile. In fase di prima attuazione, per i minori adottati a partire dal 1° gennaio 2025 con provvedimento di affido preadottivo antecedente a tale data, è possibile richiedere il bonus con riferimento alla data della sentenza di adozione.

Come richiedere il bonus

Il Bonus nuovi nati 2025 si richiede tramite apposita domanda, presentabile da uno dei genitori (o dal genitore convivente in caso di non convivenza).

Per genitori incapaci o minorenni, la domanda è inoltrata dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore, verificando i requisiti del genitore del neonato. La domanda va presentata entro 60 giorni dall’evento (nascita, adozione, affido), pena decadenza.

È necessario possedere un ISEE minorenni valido o aver presentato la DSU per il suo calcolo. La domanda si inoltra tramite il portale INPS (SPID, CIE, CNS, eIDAS), l’app INPS mobile, il Contact Center INPS o gli istituti di patronato.

All’atto della domanda va indicata la modalità di pagamento (accredito su conto IBAN o bonifico domiciliato), con possibilità di utilizzare IBAN già registrati presso l’INPS o indicarne uno nuovo.

L’erogazione avviene in ordine cronologico di ricezione delle domande accolte, nei limiti dei fondi disponibili.

Domande dal 17 aprile 2025

Con il messaggio n. 1303/2025 del 16 aprile 2025, l’INPS ha comunicato che dalle 8:30 del 17 aprile 2025 è possibile presentare la domanda per il Bonus Nuovi Nati.

Il servizio è accessibile sul sito dell’INPS, utilizzando la propria identità digitale. In alternativa, è possibile presentare l’istanza tramite il Contact Center Multicanale o gli istituti di patronato.

Con un successivo messaggio, l’istituto comunicherà la data dalla quale sarà possibile effettuare la domanda tramite l’app INPS Mobile.

 

Leggi anche: Legge bilancio 2025

Cessione del quinto

Cessione del quinto Cessione del quinto: cos'è, come funziona, a chi è rivolta e i nuovi tassi 2025

Cos’è la cessione del quinto

La cessione del quinto è una forma di estinzione di un prestito personale disciplinata da una normativa specifica, che prevede il rimborso mediante trattenuta diretta su stipendio o pensione, fino a un massimo del 20% dell’importo mensile percepito.

Si tratta di una soluzione sempre più diffusa per la sua semplicità gestionale e il rischio ridotto per il creditore. Vediamo nel dettaglio come funziona, chi può richiederla, quali vantaggi e svantaggi presenta e quali sono i nuovi tassi applicabili da aprile 2025.

Normativa

La cessione del quinto dello stipendio o della pensione è regolata dagli articoli 1260 e seguenti del codice civile e, in ambito pubblico e statale, anche dal D.P.R. n. 180/1950 e dal D.P.R. n. 895/1950. L’istituto prevede la concessione di un prestito non finalizzato, la cui rata non può superare un quinto (ossia il 20%) dell’emolumento netto mensile percepito dal richiedente. Il rimborso avviene tramite trattenuta diretta operata dal datore di lavoro o dall’ente previdenziale.

Come funziona: stipendio e pensione

La cessione del quinto sullo stipendio è rivolta a

  • dipendenti pubblici e statali;
  • dipendenti di aziende private con contratto a tempo indeterminato.

Il datore di lavoro è obbligato ad accettare la cessione e a trattenere l’importo dalla busta paga. Il contratto può avere una durata massima di 10 anni.

La cessione del quinto sulla pensione invece può essere richiesta dai titolari di pensioni, con esclusione dei beneficiari di:

  • pensioni sociali;
  • pensioni di invalidità civile;
  • assegni al nucleo familiare o di sostegno al reddito.

È l’INPS a trattenere mensilmente la rata e a versarla direttamente al soggetto finanziatore.

Chi può richiederla

Sono ammessi a richiederla:

  • i lavoratori dipendenti pubblici, statali e privati (con contratto a tempo indeterminato);
  • i pensionati con trattamento mensile sufficiente a garantire la quota cedibile, tutelando il cosiddetto minimo vitale.

È inoltre necessaria una polizza assicurativa obbligatoria contro il rischio di morte e perdita dell’impiego (per i lavoratori).

Vantaggi e svantaggi della cessione di 1/5

I vantaggi di questa misura sono i seguenti:

  • rata fissa e trattenuta automatica;
  • nessun obbligo di motivare la richiesta (prestito non finalizzato);
  • accessibilità anche in presenza di segnalazioni in centrale rischi;
  • possibilità di rinnovo o estinzione anticipata.

Gli svantaggi invece sono rappresentati invece:

  • dall’obbligo assicurativo che incide sul costo complessivo;
  • l’indisponibilità per contratti a termine o pensioni minime;
  • il limite della rata (1/5) che riduce l’importo ottenibile.

Costi della cessione del quinto

Il TAN (Tasso Annuo Nominale) e il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) variano in base ai seguenti dati:

  • età del richiedente;
  • durata del prestito;
  • ente erogatore e tipo di assicurazione.

Tra i costi obbligatori da sostenere troviamo:

  • interessi;
  • premi assicurativi;
  • spese di istruttoria;
  • commissioni bancarie o di intermediazione.

I nuovi tassi INPS da aprile 2025

Con il messaggio INPS n. 1166 del 4 aprile 2025, sono stati aggiornati i tassi soglia TAEG da utilizzare per i prestiti che si possono estinguere con la cessione di 1/5 della pensione, quando concessi da banche o intermediari in regime di convenzione ai pensionati:

Fascia di età alla scadenza Fino a €15.000 Oltre €15.000
Fino a 59 anni 9,69% 7,58%
Da 60 a 64 anni 10,49% 8,38%
Da 65 a 69 anni 11,29% 9,18%
Da 70 a 74 anni 11,99% 9,88%

 

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contenuto della querela

Il contenuto della querela spiegato dalla Cassazione Il contenuto della querela e la qualificazione giuridica del fatto: la Cassazione si pronuncia con la sentenza n. 4258/2025

Contenuto della querela

Contenuto della querela: la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4258/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di querela, stabilendo che essa deve limitarsi a contenere la notizia di reato con l’istanza di punizione, mentre la qualificazione giuridica del fatto spetta esclusivamente al giudice.

La vicenda processuale

Il caso in esame trae origine dalla sentenza del tribunale di Foggia che, previa riqualificazione del fatto contestato dal pubblico ministero come integrante la contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. anziché il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., ha condannato un uomo concessegli le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 200 di ammenda.
Il Tribunale ha anche precisato che non potesse essere accolta la richiesta,
formulata dal difensore dell’imputato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, di definizione del procedimento mediante oblazione in caso di riqualificazione del reato di atti persecutori in quello di molestie. A tal proposito, il tribunale ha richiamato pronunce di legittimità secondo cui l’imputato può avere accesso all’oblazione solo quando avanzi, in via preventiva e cautelativa, una
sollecitazione al giudice circa la diversa qualificazione con contestuale richiesta di oblazione, incorrendo altrimenti nella decadenza.

Nel caso di specie, l’imputato si è limitato genericamente a sollecitare di essere ammesso all’oblazione nel caso in cui il giudice avesse in sentenza riqualificato i fatti.

Il ricorso

Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso innanzi alla Cassazione, il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.

Con il primo motivo, lamenta l’omessa declaratoria di improcedibilità per il difetto di querela, nonché la mancanza di motivazione. Nel secondo si duole del negato accesso all’oblazione. Con il terzo e ultimo motivo, infine, la mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione.

La motivazione della sentenza

Per gli Ermellini, il ricorso è parzialmente fondato, in ordine alla preclusione del diritto a fruire dell’oblazione.

Infondati invece gli altri motivi, soprattutto in ordine alla querela, osservano i giudici, dagli atti risulta che la persona offesa abbia presentato una valida querela contenente l’espressa richiesta di punizione.
Sotto questo profilo, proseguono, “non rileva che la querela fosse stata originariamente proposta per il reato di atti persecutori anziché per quello di molestie, in quanto è sufficiente che l’atto esprima la volontà di procedere nei confronti del responsabile di un fatto.
La querela, invero, rammentano dalla S.C., “deve contenere solo la notizia di reato con l’istanza di punizione, spettando esclusivamente al giudice il potere d’inquadrare il fatto storico, ossia la qualificazione giuridica del fatto stesso, indipendentemente da quella data dal querelante (cfr., tra le altre, Cass. n. 12159/1977; Cass. n. 27964/2020).

La decisione

Alla luce di quanto affermato, la sentenza impugnata per piazza Cavour va annullata limitatamente alla valutazione dell’istanza di ammissione all’oblazione, con rinvio al Tribunale di Foggia in diversa persona fisica per un nuovo giudizio sul punto. Nel resto, invece, il ricorso è rigettato.

Allegati

uomini violenti

Recupero uomini violenti: i percorsi di riabilitazione Uomini violenti con le donne: definiti con decreto i criteri di accreditamento degli enti che organizzano i percorsi di recupero

Corsi di recupero uomini violenti: il decreto

Il Ministro della Giustizia e la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità hanno firmato un decreto importante per contrastare la violenza contro le donne attraverso il recupero degli uomini violenti. 

Il provvedimento definisce particolare i criteri e le modalità per riconoscere e accreditare gli enti che organizzano percorsi di recupero per uomini autori di violenza di genere o domestica.

Questi percorsi possono essere svolti solo nei C.U.A.V. (Centri per Uomini autori o potenziali autori di violenza), inseriti in un elenco ufficiale gestito dal Ministero della Giustizia.

I centri possono essere organizzati da enti pubblici, servizi sanitari, organismi del terzo settore o da una loro collaborazione. Solo chi è accreditato potrà realizzare i programmi.

Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità è responsabile del riconoscimento degli enti e della gestione dell’elenco, pubblicato online.

L’Ispettorato generale del Ministero potrà effettuare controlli e vigilanza sulle attività svolte.

Percorso e sospensione condizionale della pena

La partecipazione a questi percorsi è fondamentale per i condannati che intendono accedere alla sospensione condizionale della pena, ma può coinvolgere anche imputati e indagati, come misura preventiva.

Il decreto introduce anche le linee guida nazionali per i percorsi di recupero, che saranno aggiornate ogni tre anni. Queste indicazioni si baseranno anche sui dati raccolti dall’Osservatorio sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica, con l’obiettivo di garantire interventi efficaci e mirati.

Il provvedimento interministeriale si pone l’obiettivo di combattere la violenza attraverso la prevenzione e la trasformazione comportamentale degli autori dei comportamenti violenti. Offrire loro un’opportunità di cambiamento è un passo fondamentale per proteggere le vittime e ridurre il rischio di recidiva.

Il decreto, se correttamente applicato, potrebbe offrire numerosi vantaggi per la società, il sistema giudiziario e soprattutto per la tutela delle vittime.

 

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decreto coesione legge

Decreto coesione: cosa prevede la legge La legge di conversione del decreto coesione prevede una serie di misure per rimettere in moto il Sud Italia

Decreto coesione e legge di conversione

Il testo della legge (n. 95/2024), di conversione del decreto coesione (decreto legge n. 60/2024) recante “ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione” è in vigore dal 7 luglio 2024.

La legge è composta da 50 articoli e al Titolo I contiene le misure di riforma della politica di coesione in materia di utilizzo delle risorse, di semplificazione amministrativa e contabile, di rafforzamento della capacità amministrativa, di sviluppo e coesione territoriale, di lavoro, di istruzione, università e ricerca, di investimenti, di cultura e di sicurezza.

Il Titolo II invece contiene disposizioni ulteriori relative al piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vediamo le misure più importanti e significative.

Gli interventi per il lavoro

Il Parlamento ha autorizzato il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) ad assumere personale con contratto a tempo indeterminato:

  • 100 unità andranno ad arricchire l’aria elevata professionalità;
  • 300 unità saranno destinate all’area funzionari;
  • 150 unità invece all’area assistenti.

Autorizzata anche la procedura concorsuale per assumere 245 segretari comunali e provinciali.

Iscro

Per accedere all’ISCRO non sarà più necessario partecipare ai vari percorsi di aggiornamento professionale. I beneficiari dell’ISCRO inoltre potranno autorizzare l’INPS a trasmettere i propri dati di contatto alle piattaforme che attivano misure di inclusione sociale e di politica attiva come il SIISL (sistema informativo unitario delle politiche del lavoro) al fine sottoscrivere il patto di attivazione digitale necessario per il successivo patto lavoro e per l’assegno di inclusione sociale.

Scadenze e sgravi

Cambiano le scadenze delle convenzioni per l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili, che vengono prorogate al 31 dicembre 2024.

Incrementato di 9 mesi il termine per l’operatività delle agenzie che somministrano il lavoro in porto.

Incrementato il fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e aeroportuale.

Previsti sgravi ed esoneri contributivi per i datori di lavoro che assumeranno stabilmente lavoratori nei settori strategici e donne in difficoltà per favorire le pari opportunità.

Su queste misure, previste dagli articoli 22 e 23 del decreto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia in data 11 aprile 2025 hanno emanato i decreti attuativi dedicati al bonus giovani under 35 e donne. I decreti si occupano di definire i criteri di applicazione e di funzionamento degli sgravi contributivi totali per quei datori che assumeranno a tempo indeterminato gli under 35 che non hanno mai avuto un’occupazione stabile e le donne prive di un’occupazione retribuita regolarmente.

Le misure per gli enti

Istituita la zona logistica semplificata anche nelle aree portuali delle regioni (Marche Umbria e Abruzzo) non comprese nella ZES Unica.

Premi per le Regioni e le Province autonome che porteranno a compimento rapidamente gli interventi nei settori strategici della coesione.

Dal 2024 al 2028 sono previsti contributi annuali di 5 milioni di euro per la fusione dei comuni.

Nuovi stanziamenti per il Ministero dell’Università e della ricerca e per il Ministero dell’interno.

Nuove risorse verranno destinate anche alla perequazione infrastrutturale del Mezzogiorno e in particolare in favore delle seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Gli interventi riguarderanno strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, risorse idriche, strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche e deputate alla cura dell’infanzia.

Fonti rinnovabili e bonus

Il provvedimento vuole recuperare importanti siti industriali. A tal fine definisce le procedure per individuare i criteri di selezione degli investimenti da attuare nelle regioni del sud Italia e in particolare in Basilicata, Calabria,  Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia per produrre energia, anche termica da fonti rinnovabili da destinare all’autoconsumo delle imprese, ma anche per incrementare la capacità della rete distributiva, accogliere quote sempre più elevate di energia derivante da fonti rinnovabili e sviluppare i sistemi di stoccaggio sempre più efficienti.

Sicurezza

La nuova legge vuole rafforzare la legalità nelle regioni meno sviluppate. Si autorizza inoltre il Ministero dell’Interno a mettere in atto piani di intervento per completare il servizio di telecomunicazione sull’intero territorio nazionale dando priorità di copertura ai territori che saranno protagonisti dei giochi olimpici invernali del 2026.

Nello stato di previsione del Ministero della difesa inoltre è istituito un fondo per potenziare la cybersicurezza e le tecnologie satellitari.

custodia cautelare

La custodia cautelare Custodia cautelare: cos'è, normativa di riferimento, requisiti di applicazione, durata, reati e giurisprudenza

Cos’è la custodia cautelare?

La custodia cautelare è una misura cautelare personale prevista dal codice di procedura penale (art. 285- art. 286 bis c.p.p). Si applica a un imputato quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e specifiche esigenze cautelari, al fine di garantire il corretto svolgimento del processo.

Normativa di riferimento

Le disposizioni relative alla custodia cautelare sono contenute nel Titolo I, Capo II del Libro IV del Codice di procedura penale. Le principali norme di riferimento includono:

  • Art. 272 c.p.p.: sancisce che le libertà della persona possa essere limitata solo con misure cautelari nel rispetto delle disposizioni di legge dedicate presenti nel codice di procedura penale.
  • Art. 273 c.p.p.: le misure cautelari possono essere disposte solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza.
  • Art. 274 c.p.p.: le principali esigenze cautelari sono rappresentate dal pericolo di fuga, da quello di reiterazione del reato, dal possibile inquinamento delle prove.
  • Art. 285 c.p.p.: contiene la disciplina della custodia cautelare in carcere.
  • Art. 286 c.p.p.: prevede la custodia cautelare in un luogo di cura.
  • Art 286 bis c.p.p: prevede in quali casi è previsto il divieto della custodia cautelare.

Requisiti per l’applicazione

La custodia cautelare è disposta dal giudice quando ricorrono tre presupposti fondamentali:

  1. Gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.).
  2. Esigenze cautelari concrete e attuali (art. 274 c.p.p.):
    • Pericolo di fuga;
    • Pericolo di reiterazione del reato;
    • Pericolo di inquinamento delle prove.
  1. Adeguatezza della misura: il giudice deve valutare se misure meno afflittive (es. arresti domiciliari, obbligo di firma) siano insufficienti. Il comma 2 dell’articolo 275 c.p.p sancisce infatti che “ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che si ritiene possa essere irrogata.”

Durata della custodia cautelare

La custodia cautelare ha una durata massima stabilita dagli artt. 303 e 304 c.p.p., che varia in base alla gravità del reato e alla fase del processo:

  • Indagini preliminari: 3 mesi per delitti che prevedono la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, 6 mesi per reati puniti con la reclusione per un periodo non superiore a sei anni salvo quanto sancito dal punto 3), comma 1, art. 2303 c.p.p, 1 anno per reati puniti con l’ergastolo o con una pena non inferiore nel massimo a 20 anni;
  • Giudizio di primo grado: sei mesi per reati puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 1 anno per reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; 1 anno e sei mesi se la pena prevista è l’ergastolo o la pena della reclusione superiore, nel massimo, a 20 anni.
  • Appello e Cassazione: i tempi sono ulteriormente ridotti.

Reati per cui si applica la custodia cautelare

La custodia cautelare può essere applicata per reati di particolare gravità, tra cui:

  • Mafia e associazione per delinquere (art. 416-bis c.p.).
  • Omicidio volontario (art. 575 c.p.).
  • Violenza sessuale aggravata (art. 609-bis c.p.).
  • Traffico di droga (art. 73 D.P.R. 309/90).
  • Rapina aggravata (art. 628 c.p.).

Giurisprudenza rilevante 

La Corte di Cassazione intervenuta spesso in materia di custodia cautelare per precisare le caratteristiche peculiari dell’istituto e la sua applicazione.

Cassazione n. 10925/2025

La misura della custodia cautelare in carcere va confermata nei confronti di un imputato accusato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, evidenziando che il semplice decorso del tempo non è, di per sé, sufficiente a escludere l’attualità delle esigenze cautelari. La decisione si basa sulla persistenza di elementi concreti e attuali che attestano la pericolosità del soggetto, come condotte recenti indicative di una propensione a reiterare reati della stessa natura. In questo contesto, la valutazione dell’autorità giudiziaria deve considerare non solo il tempo trascorso, ma anche eventuali comportamenti che confermino il mantenimento del legame con l’ambiente criminale o la possibilità di nuovi reati.

Cassazione SU n. 44060/2024

Nel caso in cui l’imputato, nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all’esito del giudizio di primo grado, venga successivamente sottoposto, ai sensi dell’art. 300, comma 5, cod. proc. pen., a nuova applicazione della custodia in carcere, il rimedio che egli può esperire per impugnare la relativa ordinanza è quello dell’istanza di riesame ex art. 309 cod. proc. pen.

Cassazione n. 32593/2021

In materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, opera non solo nella fase di applicazione, ma anche nel corso dell’esecuzione della misura, sicché la misura non può essere mantenuta qualora sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite; in motivazione, la Corte ha precisato che i principi di proporzionalità ed adeguatezza devono essere costantemente verificati, al fine di attuare la minor compressione possibile della libertà personale, non potendo prevalere le valutazioni compiute in fase cautelar rispetto alla pronuncia adottata in fase di merito.”

Leggi anche: Custodia cautelare: vietato pubblicare l’ordinanza

clausola risolutiva espressa

Clausola risolutiva espressa Clausola risolutiva espressa art. 1456 c.c.: cos'è, come funziona, differenze rispetto alla condizione risolutiva e giurisprudenza

Cos’è la clausola risolutiva espressa

La clausola risolutiva espressa è una clausola contrattuale che prevede la risoluzione automatica del contratto in caso di inadempimento di uno degli obblighi  che gravano su una delle parti. In altre parole, se una delle parti non adempie agli obblighi stabiliti nel contratto, l’altra parte può considerare il contratto risolto senza necessità di intervento giudiziale.

Questa clausola è esplicitamente indicata nel contratto e deve essere concordata dalle parti al momento della stipula.

Normativa di riferimento: art. 1456 c.c.

La norma che prevede e disciplina la clausola risolutiva espressa è l’articolo 1456 c.c. Esso dispone in particolare che: “1. I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva.”

Dal tenore letterale della norma emerge che la risoluzione del contratto non richiede l’intervento di un giudice, ma è automatica, in quanto le parti hanno esplicitamente previsto l’inadempimento come causa di risoluzione. La clausola risolutiva espressa è quindi uno strumento di protezione per le parti contraenti, per evitare lunghe procedure legali per risolvere un contratto in caso di inadempimento.

Funzionamento della clausola risolutiva espressa

La clausola risolutiva espressa è un meccanismo automatico di risoluzione, che scatta nel momento in cui si verifica un inadempimento da parte di una delle parti. Tuttavia, affinché la risoluzione si realizzi, è necessario che la clausola sia esplicitamente prevista nel contratto, che l’inadempimento sia di entità tale da giustificare la sua attivazione e che la parte interessata dichiari all’altra parte di volersene avvalere.

Un esempio pratico utile a chiarire

Supponiamo che due parti stipulino un contratto di locazione con una clausola risolutiva espressa che preveda la risoluzione del contratto nel caso in cui una delle parti non paghi il canone entro 30 giorni dalla scadenza. Se il conduttore non paga il canone per un mese, il locatore può ritenere risolto il contratto senza bisogno di una causa legale, comunicando l’intenzione al conduttore di volersi avvalere della clausola. La risoluzione avviene  quindi automaticamente, sulla base di quanto concordato nel contratto. La parte che ha subito l’inadempimento non ha quindi bisogno di rivolgersi al tribunale per chiedere la risoluzione del contratto, proprio perché la clausola prevede già l’eventualità di un effetto automatico a fronte di un comportamento inadempiente.

Differenze con la condizione risolutiva

Molti tendono a confondere la clausola risolutiva espressa con la condizione risolutiva, ma ci sono differenze significative tra le due. Vero che entrambe portano alla risoluzione del contratto, ma la modalità e i presupposti sono diversi.

Cos’è la condizione risolutiva

La condizione risolutiva, come definita dal Codice Civile (Art. 1359), è un evento futuro e incerto che determina la cessazione di un contratto. Il contratto esiste già e ha effetti, ma si risolve automaticamente al verificarsi di una condizione che è incerta e non dipende dall’inadempimento di una delle parti. La condizione risolutiva può essere legata a eventi esterni (ad esempio, l’approvazione di un finanziamento, l’ottenimento di una licenza) e il contratto si risolve solo se tali eventi si verificano. La risoluzione avviene senza bisogno di un’azione delle parti, ma dipende dall’evento specifico concordato.

La differenza con la clausola risolutiva espressa

La clausola risolutiva espressa, invece, dipende direttamente dall’inadempimento di una delle parti e prevede una risoluzione automatica del contratto, senza la necessità di un evento futuro e incerto. Il contratto è già in vigore e, se una parte non adempie ai suoi obblighi, il contratto viene risolto in base a quanto stabilito nella clausola. L’inadempimento, quindi, è la causa scatenante, non un evento esterno.

Giurisprudenza  

La giurisprudenza italiana ha esaminato numerosi casi riguardanti la clausola risolutiva espressa e la sua applicazione nei contratti. Ecco alcune sentenze significative:

Cassazione n. 23287/2024: per avvalersi della clausola risolutiva espressa (ex art. 1456 c.c.), l’inadempimento deve essere effettivo; altrimenti, si rischierebbe un abuso del diritto. La buona fede, sancita dagli artt. 1175 e 1375 c.c., guida l’interpretazione per evitare condotte pretestuose e abusi. La giurisprudenza sottolinea che, se il comportamento del debitore è conforme alla buona fede, anche se rientra nei fatti previsti dalla clausola, non può essere considerato inadempimento. Questo principio tutela entrambe le parti da azioni ingiustificate.

Cassazione n. 14195/2022: la tolleranza del creditore (come l’accettazione di pagamenti parziali o tardivi) non elimina la clausola risolutiva espressa né implica una tacita rinuncia ad avvalersene, purché il creditore, contestualmente o successivamente, dichiari l’intenzione di utilizzarla in caso di ulteriori inadempimenti. Secondo la giurisprudenza (Cass. 2005, 2013, 2018), la tolleranza rende temporaneamente inoperante la clausola, ma questa riprende efficacia se il creditore richiama il debitore all’adempimento puntuale delle sue obbligazioni con una nuova manifestazione di volontà.

Cassazione n. 23879/2021: la clausola risolutiva espressa è invalida se non indica specificamente le obbligazioni contrattuali a cui si riferisce. È necessario individuare con precisione gli obblighi la cui violazione giustifica lo scioglimento immediato del contratto. Durante la redazione, è essenziale definire chiaramente le circostanze che possono provocare la risoluzione automatica, evitando riferimenti generici a tutte le obbligazioni contrattuali. In questo modo le parti possono identificare, sin dall’inizio, le violazioni gravi che impediscono la prosecuzione del rapporto, riducendo tempi e costi rispetto a un accertamento giudiziale.

 

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violentometro

Violentometro: cos’è e come funziona Violentometro: che cos’è, come funziona, a che cosa serve, dove trovarlo e perché è importante utilizzarlo

Violentometro: cos’è

Il Violentometro è uno strumento ideato per aiutare le donne a riconoscere i segnali di allarme nelle relazioni e a chiedere aiuto. La sua finalità è di aiutare le donne a identificare i comportamenti violenti e a capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa.

Origini del violentometro

Il Violentometro è stato creato in Francia nel 2018 e da allora è stato utilizzato in molti paesi in tutto il mondo. In Italia, il Violentometro è stato introdotto nel 2013 e da allora è stato distribuito in migliaia di copie.

Come funziona 

E’ uno strumento grafico che illustra le diverse forme di violenza attraverso una scala cromatica che evidenzia i vari livelli di rischio. Questo strumento incoraggia la riflessione su comportamenti che spesso vengono minimizzati, permettendo di riconoscere la tossicità e la pericolosità delle dinamiche relazionali con il partner. Le condotte che vengono prese in considerazione riguardano diversi aspetti della relazione, come il controllo, la gelosia, le umiliazioni e le aggressioni fisiche. In base alle risposte fornite, il Violentometro fornisce un punteggio che indica il livello di rischio della relazione. Se il punteggio è alto, è importante cercare aiuto da un professionista.

Dove trovarlo

Il Violentometro è disponibile online e in molti centri anti-violenza. È anche possibile scaricarlo gratuitamente da Internet.

A cosa serve 

Si tratta di uno strumento utile per:

  • riconoscere i segnali di allarme nella propria relazione;
  • capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa;
  • cercare aiuto da un professionista in grado di fornire il giusto supporto;
  • rivolgersi a un centro anti-violenza per intraprendere il percorso di uscita dal contesto violento in cui si vive.

Importanza del violentometro

Il Violentometro è uno strumento importante per combattere la violenza sulle donne. Aiuta le donne a riconoscere i segnali di allarme e a chiedere aiuto prima che la situazione degeneri.

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assegno temporaneo figli minori

Assegno temporaneo figli minori: legittimo escludere i richiedenti asilo Per la Corte Costituzionale è legittima l'esclusione dei richiedenti asilo dall'assegno temporaneo figli minori

Assegno temporaneo figli minori

Con la sentenza n. 40 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sollevate in merito all’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79 (convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 2021, n. 112), che disciplina l’assegno temporaneo per i figli minori.

Le questioni erano state sollevate dal Tribunale di Padova, adito da una cittadina extracomunitaria, madre di due minori e titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo, alla quale l’INPS aveva negato l’assegno temporaneo in quanto priva del requisito del titolo di soggiorno previsto dalla norma (permesso UE per soggiornanti di lungo periodo o permesso per lavoro o ricerca di durata non inferiore a sei mesi).

Nessun contrasto con la Costituzione

Il giudice a quo aveva ipotizzato un contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione, ritenendo irragionevole l’esclusione di soggetti in stato di bisogno sulla sola base del titolo di soggiorno. Tuttavia, la Corte ha ritenuto infondate le censure.

Secondo i giudici costituzionali, l’assegno temporaneo non rientra tra le prestazioni sociali essenziali a tutela dei diritti inviolabili della persona. Si tratta, piuttosto, di una misura volta a incentivare la genitorialità, connessa a specifiche condizioni economiche, e destinata a essere assorbita dall’assegno unico universale previsto dal d.lgs. n. 230/2021.

I richiedenti asilo e le altre tutele previste

La Corte ha sottolineato che ai richiedenti asilo e ai loro familiari sono già garantiti diversi strumenti di tutela, tra cui l’assistenza sanitaria, l’accesso all’istruzione per i minori e la possibilità di svolgere attività lavorativa, idonei a fronteggiare i bisogni primari.

Una volta riconosciuta la protezione internazionale o sussidiaria, i beneficiari accedono alle medesime prestazioni sociali previste per i cittadini italiani, compreso l’assegno per i figli.

Discrezionalità legislatore e principio ragionevolezza

In conclusione, la Consulta ha ribadito che il legislatore, nel rispetto del principio di ragionevolezza e tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie, può prevedere criteri selettivi o escludere determinate categorie di stranieri dall’accesso a prestazioni sociali non essenziali. L’esclusione dei richiedenti asilo dall’assegno temporaneo, quindi, non risulta lesiva dei principi costituzionali.

banca ore

Banca Ore Banca ore: cos'è, come è regolata, come funziona, vantaggi per lavoratore e datore di lavoro, come viene pagata

Cos’è la banca ore

La banca ore è uno strumento di gestione flessibile dell’orario di lavoro, pensato per agevolare l’equilibrio tra vita privata e attività professionale e per ottimizzare l’organizzazione aziendale. Permette al lavoratore di accumulare ore di lavoro in eccedenza rispetto al normale orario settimanale, da utilizzare successivamente.

Nel contesto delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro, la banca ore è diventata una risorsa centrale e apprezzata in molte realtà aziendali, sia pubbliche che private.

La banca ore è un conto virtuale individuale in cui vengono registrate le ore lavorate in eccesso rispetto all’orario contrattuale. Tali ore possono essere accumulate e poi “spese” dal lavoratore sotto forma di:

  • permessi od ore di riposo compensativo;
  • monetizzazione (in casi previsti dai contratti collettivi);
  • ore disponibili per esigenze personali o familiari.

Normativa di riferimento

L’istituto della banca ore non è disciplinato direttamente dal Codice del lavoro (D.Lgs. n. 66/2003), ma trova fondamento nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) e negli accordi aziendali o territoriali.

La “banca ore” si inserisce nel quadro normativo italiano sull’orario di lavoro, influenzato dalle direttive europee. In particolare:

  • Legge 24/6/1997, n. 196: definisce il contesto in cui si inserisce la gestione dell’orario di lavoro, aprendo la strada a forme di flessibilità come la banca ore;
  • Direttiva CEE n. 93/104: stabilisce i criteri generali sull’orario di lavoro, consentendo agli Stati membri e alla contrattazione collettiva di introdurre deroghe e adattamenti.

Le circolari dell’INPS hanno fornito indicazioni operative per l’implementazione della banca ore:

  • Circ. INPS n. 40 del 20/02/1996
  • Circ. INPS n. 39 del 17/2/2000
  • Circ. INPS n. 95 del 16/5/2000

Come funziona la banca ore

Le modalità di funzionamento della banca ore sono stabilite dal contratto collettivo applicato o da un regolamento aziendale, e possono variare da un’azienda all’altra. In generale:

  1. Accumulo delle ore: ogni volta che il dipendente presta attività oltre l’orario ordinario (es. 40 ore settimanali), queste vengono conteggiate e archiviate nella banca ore.
  2. Utilizzo delle ore: le ore accumulate possono essere utilizzate per:
  • recuperare tempo (es. uscita anticipata, giornata libera);
  • far fronte a esigenze personali o familiari;
  • in alternativa al pagamento degli straordinari, in base all’accordo vigente.
  1. Limiti temporali: molti contratti prevedono un periodo massimo entro cui le ore devono essere utilizzate, oltre il quale si perdono o vengono monetizzate.

Il ricorso alla banca ore è volontario e deve essere regolato da un accordo tra le parti.

Come viene pagata  

Le ore accantonate nella banca ore pertanto possono essere “retribuite” in due modalità:

  1. con riposo compensativo: il dipendente utilizza le ore come se fossero ferie o permessi, senza trattenuta in busta paga;
  2. con pagamento in busta paga: quando previsto dal contratto collettivo o dall’accordo aziendale, il dipendente può richiedere la monetizzazione, spesso con la stessa maggiorazione prevista per il lavoro straordinario (es. +25%, +50% a seconda del giorno e dell’orario).

In fase di cessazione del rapporto di lavoro, tutte le ore residue non godute vengono generalmente liquidate insieme al TFR e agli altri istituti contrattuali.

Vantaggi della banca ore

Per il lavoratore:

  • maggiore equilibrio tra vita e lavoro;
  • possibilità di gestire con autonomia il proprio tempo;
  • recupero di ore extra senza dover ricorrere necessariamente alle ferie.

Per il datore di lavoro:

  • maggiore flessibilità nell’organizzazione delle attività;
  • riduzione del costo degli straordinari;
  • incentivo al benessere organizzativo e alla produttività.

Banca ore e straordinari: le differenze

La principale differenza tra la banca ore e il lavoro straordinario sta nella gestione del tempo e della retribuzione:

Aspetto

Banca ore

Lavoro straordinario

Finalità

Flessibilità e recupero tempo

Incremento salariale

Compensazione

Riposo compensativo (in genere)

Maggiorazione retributiva

Volontarietà

Deve essere concordata

Può essere ordinato dal datore di lavoro

Normativa

Regolata da CCNL e accordi

Regolato per legge (D.Lgs. 66/2003)

Alcuni contratti collettivi consentono anche la monetizzazione delle ore in banca ore in particolari condizioni, ad esempio alla cessazione del rapporto di lavoro o al superamento di una soglia predefinita.

 

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