decreto salva infrazioni

Decreto Salva Infrazioni: legge in vigore Il decreto Salva infrazioni UE, dopo l'ok definitivo del Parlamento al ddl di conversione è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il 15 novembre

Decreto Salva infrazioni UE

Il decreto Salva infrazioni UE (Decreto legge n. 131/2024) che si pone l’obiettivo di risolvere le procedure di infrazione e pre-infrazione che gravano sullo Stato Italiano, è stato convertito in legge dal Parlamento e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 novembre, per entrare in vigore il giorno successivo.

Il testo del decreto era stato approvato mercoledì 4 settembre 2024 dal Consiglio dei Ministri per risolvere 16 casi di infrazioni contestate.

Vediamo cosa prevede il testo della nuova legge n. 166/2024, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”.

Scarica il testo coordinato (del dl 131/2024 con la legge di conversione 166/2024)

Decreto Salva infrazioni UE: procedure interessate

Le procedure di cui si occupa la nuova legge spaziano dai contratti a termine, al trattamento previdenziale dei magistrati onorari al recepimento della direttiva sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati, fino alle misure adeguate per migliorare la qualità dell’aria.

Contratti a termine

L’articolo 11 della nuova legge si occupa dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva prevista per la violazione della disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato nel settore privato. La legge italiana (art. 28, co. 2, Dlgs 81/2015) era contestata per i paletti previsti nel computo dell’indennità, in quanto prevedeva una misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità, quale somma onnicomprensiva.

La nuova disposizione, invece, permette al lavoratore di ottenere un’indennità superiore se lo stesso dimostra di aver subito un maggior danno. La norma, inoltre, abroga la disposizione (comma 3) che prevedeva la riduzione della metà dei minimi e massimi del risarcimento allorquando i CCNL prevedano l’assunzione di già occupati con contratti a termine in specifiche graduatorie.

Magistrati onorari

Tra le procedure interessate il trattamento previdenziale dei magistrati onorari (n. 2016/4081), il diritto di avvalersi di un difensore  in alcuni atti di indagine e il diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso a un familiare o ad un altra persona di fiducia in caso di arresto e di fermo (n. 2023/2006)”.

Ministero giustizia

Il testo si occupa poi delle: “Misure per il rafforzamento della capacità amministrativo-contabile del Ministero della giustizia finalizzato alla riduzione dei tempi di pagamento dei debiti commerciali e dei servizi di intercettazione nelle indagini penali (n. 2021/4037), del corretto recepimento della direttiva 2016/800 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (n. 2023/2090), del completo recepimento della direttiva 2020/1057 relativamente al controllo su strada (n. 2022/0231) e della procedura in materia di diritto d’autore (n. 2017/4092)”.

Concessioni balneari

Tra le procedure di infrazione di maggior rilievo ci sono quelle che riguardano le concessioni balneari. La soluzione al problema è il risultato della collaborazione tra Roma e Bruxelles.

Il compromesso raggiunto tiene conto della necessità di aprire il mercato delle concessioni, tutelando nel contempo le aspettative degli attuali concessionari.

Per raggiungere questo obiettivo le concessioni balneari attualmente in essere vengono prorogate fino al 30 settembre 2027. Il decreto prevede però l’obbligo di avviare le gare per le nuove concessioni entro giugno 2027.

Le nuove concessioni potranno avere una durata minima di 5 anni e massima di 20 anni. In questo modo il concessionario può ammortizzare i costi sostenuti per il personale e gli investimenti sostenuti. Non solo, il concessionario subentrante sarà tenuto a riconoscere a quello uscente un indennizzo. L’importo dovrà essere “pari al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione, ivi compresi gli investimenti effettuati in conseguenza di eventi calamitosi debitamente dichiarati dalle autorità competenti ovvero in conseguenza di sopravvenuti obblighi di legge, al netto di ogni misura di aiuto o sovvenzione pubblica eventualmente percepita e non rimborsata, nonché pari a quanto necessario per garantire al concessionario uscente unequa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni.”

Miglioramento della qualità dell’aria

Di estremo interesse le misure finalizzate a superare le procedure di infrazione  n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299.

La norma, modificata alla Camera prevede lo stanziamento di risorse per concorrere all’attuazione efficace degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei  relativi interventi in materia di mobilità e per finanziare gli interventi nelle zone in cui è intervenuto il superamento dei valori limiti di qualità dell’aria.

Previsto poi un Piano elaborato dalla cabina di regia e approvato con delibera del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata della durata di 24 mesi, prorogabile di altri 24, sulla cui attuazione è tenuto a monitorare il Ministero dell’Ambiente.

Vedi il dossier della Camera

Ti interessa l’argomento? Leggi “Concessioni balneari: la proroga viola la Bolkestein

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giudice predibattimentale

Giudice predibattimentale: non può celebrare il giudizio La Consulta boccia l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice predibattimentale a celebrare il giudizio dibattimentale

Giudice predibattimentale incompatibilità

Il giudice predibattimentale è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale. E’ quanto ha affermato la Consulta (sentenza n. 179/2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale di primo grado il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, introdotta recentemente nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2022, sul modello dell’udienza preliminare.

La qlc

Il Tribunale di Siena ha sollevato la questione di costituzionalità nell’ambito di un procedimento penale nel quale lo stesso giudice, che aveva tenuto l’udienza di comparizione predibattimentale, si trovava ad essere anche investito del giudizio dibattimentale.

Il Tribunale ha rilevato che la censurata norma processuale (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.) si limitava a porre la regola secondo cui il giudice del dibattimento sarebbe dovuto essere «diverso» rispetto al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale; ma non prevedeva l’incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen.

Censura fondata

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma Cost., affermando che la mancata previsione, in tal caso, di una vera e propria incompatibilità viola i principi costituzionali di terzietà e imparzialità del giudice, quali presupposti dell’effettività della tutela giurisdizionale.

La Consulta ha, infatti, sottolineato che nelle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 34 cod. proc. pen., l’imparzialità del giudice è compromessa ex sé, in generale e in astratto, diversamente da quanto si verifica nei casi di possibile astensione del giudice per gravi ragioni di convenienza, di cui all’art. 36 cod. proc. pen.; disposizione questa che, invece, si riferisce a situazioni, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultano compromesse in concreto, caso per caso.

“La sola prescrizione della diversità del giudice del dibattimento rispetto a quello predibattimentale non è sufficiente ad assicurare la piena garanzia del giusto processo, trattandosi in una fattispecie in cui il pregiudizio all’imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento è di gravità tale da dover essere necessariamente prevista in via generale e predeterminata come ipotesi di incompatibilità” ha ritenuto la Corte.

Il giudice delle leggi ha, poi, ritenuto violato anche l’art. 3 Cost., rilevando che il giudice dell’udienza preliminare e il giudice dell’udienza predibattimentale sono soggetti alla medesima regola di giudizio compendiata nel canone secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna».

La decisione

Invece l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. detta una disciplina ingiustificatamente differenziata nella misura in cui prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio soltanto per «il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare» e non anche per il giudice dell’udienza predibattimentale. Dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale è conseguita la necessità di assicurare il principio del giusto processo anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sicché la Corte, in via consequenziale, ha altresì esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche a questa ulteriore ipotesi.

giurista risponde

Omesso versamento ritenute in caso di difficoltà economica In materia di reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali può integrare una causa di esclusione della responsabilità penale l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta in presenza di una situazione economica di difficoltà?

Quesito con risposta a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini

 

Costituisce costante indirizzo di legittimità quello per cui, nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Cass. pen., sez. III, 19 agosto 2024, n. 32682). 

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo sul piano dell’effettiva rimproverabilità al ricorrente degli omessi versamenti previdenziali e assistenziali.

In primo e secondo grado era stata affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato continuato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali per gli anni 2016 e 2017.

Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, contestando, per quanto qui di interesse, l’erronea individuazione dell’elemento soggettivo del reato. In particolare, la difesa ha lamentato l’omessa valutazione da parte dei giudici di merito di ogni apprezzamento in punto di esigibilità soggettiva non avendo considerato quanto dedotto nell’atto di appello in ordine alla crisi d’impresa.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, accogliendo il ricorso, ha ribadito un costante indirizzo di legittimità secondo cui nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto.

Alla luce di tale principio di diritto i giudici di legittimità hanno affermato che correttamente la difesa ha lamentato la mancata valutazione delle allegazioni difensive, e della documentazione allegata, concernenti l’importante crisi preceduta dal crollo del fatturato che aveva colpito la società. In particolare, il ricorrente aveva evidenziato: che la società era stata costretta a lavorare in perdita in regime di mono-committenza per un unico cliente; l’impossibilità di accedere al credito bancario; la revoca degli affidamenti; gli elevati tassi applicati da altro istituto di credito.

Tali allegazioni sono ritenute dalla Corte potenzialmente idonee a incidere sulla complessiva valutazione della vicenda in termini di effettiva rimproverabilità al soggetto agente. Pertanto, il Collegio annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello.

 

Contributo in tema di “Omesso versamento ritenute previdenziali e assistenziali in caso di difficoltà economica”, a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà Una guida completa alle azioni a difesa della proprietà: dalle azioni petitorie a quelle possessorie e di nunciazione

Azioni a difesa della proprietà: tipologie ed esercizio

Le azioni a difesa della proprietà mirano a tutelare uno dei diritti reali fondamentali nel sistema giuridico italiano, protetto sia dal Codice Civile che dalla Costituzione. Questo diritto conferisce al titolare il potere di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, possono sorgere situazioni in cui tale diritto viene leso o minacciato. In questi casi, il nostro ordinamento prevede una serie di azioni legali a difesa della proprietà.

Questa guida approfondisce le diverse tipologie di azioni disponibili, analizzandone le caratteristiche, le condizioni di applicabilità e le modalità di esercizio.

La proprietà nel diritto italiano

Secondo l’articolo 832 del Codice Civile, “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Questo diritto è quindi caratterizzato da:

  • Pienezza: il proprietario può utilizzare il bene in tutti i modi consentiti dalla legge.
  • Esclusività: il proprietario può escludere chiunque altro dall’uso del bene.

La Costituzione Italiana, all’articolo 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, stabilendo che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Caratteristiche del diritto di proprietà

Le principali caratteristiche del diritto di proprietà sono:

  • Assolutezza: è opponibile erga omnes, ovvero nei confronti di chiunque.
  • Immediatezza: il proprietario esercita direttamente il suo diritto sul bene, senza l’intermediazione di altri soggetti.
  • Tipicità: è un diritto previsto e disciplinato dalla legge.
  • Patrimonialità: ha un valore economico e può essere oggetto di transazioni commerciali.

Azioni a difesa della proprietà: le azioni petitorie

Le azioni a difesa della proprietà contemplate dal codice civile, cosiddette azioni “petitorie” sono quattro: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini, l’azione di apposizione di termini.

Azione di rivendicazione

Tra le azioni a difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione, disciplinata dall’articolo 948 del Codice Civile, è lo strumento legale attraverso il quale il proprietario può recuperare il possesso di un bene detenuto da terzi.

Questa azione mira ad accertare la titolarità del diritto di proprietà e a ottenere la restituzione del bene. Ex articolo 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa…”. 

Condizioni di applicabilità

Per esercitare l’azione di rivendicazione, è necessario:

  • Dimostrare il diritto di proprietà: l’attore deve fornire la prova della sua titolarità sul bene.
  • Identificare il bene: deve essere chiaro quale sia il bene oggetto della controversia.
  • Presenza di un terzo possessore o detentore: il bene deve essere in possesso o nella detenzione di un altro soggetto.

Onere della prova e Probatio diabolica

Una delle sfide principali nell’azione di rivendicazione è l’onere probatorio, noto come probatio diabolica. L’attore deve dimostrare:

  • Un valido titolo di acquisto: ad esempio, un contratto di compravendita.
  • La legittimità dei passaggi di proprietà precedenti: potrebbe essere necessario risalire fino all’acquisto originario.
  • L’assenza di usucapione da parte del convenuto: deve essere esclusa la possibilità che il convenuto abbia acquisito la proprietà per usucapione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onere probatorio nell’azione di rivendicazione si attenua se il convenuto oppone un titolo d’acquisto come l’usucapione. In tal caso, l’attore può limitarsi a dimostrare il proprio titolo e l’appartenenza del bene ai suoi danti causa in un periodo antecedente all’inizio del possesso del convenuto (Cass. n. 25865/2021).

Azione Negatoria

L’azione negatoria, regolata dall’articolo 949 del Codice Civile, è volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi sul bene di proprietà dell’attore. Serve a proteggere il proprietario da pretese illegittime che possano limitare il suo diritto. Ex articolo 949 c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio…”. 

Condizioni di applicabilità

  • Affermazione di diritti da parte di terzi: un altro soggetto sostiene di avere un diritto reale sul bene.
  • Pregiudizio o timore di pregiudizio: il proprietario teme che tali affermazioni possano ledere il suo diritto.
  • Prova della proprietà: l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, anche mediante presunzioni.

Onere della prova

A differenza dell’azione di rivendicazione, nell’azione negatoria l’onere della prova è meno gravoso. L’attore deve:

  • Dimostrare il proprio titolo di proprietà: può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, inclusa la presunzione di possesso.
  • Non è tenuto a una probatio diabolica: non è necessario risalire ai titoli di acquisto precedenti.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare l’esistenza del diritto affermato.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha chiarito che nell’azione negatoria il proprietario deve dimostrare il suo diritto, ma non in modo rigoroso come nell’azione di rivendicazione. Spetta al convenuto provare l’esistenza del diritto che limita la proprietà altrui (Cass. n. 1905/2023).

Azione di regolamento di confini

L’azione di regolamento di confini, prevista dall’articolo 950 del Codice Civile, è utilizzata quando esiste incertezza sulla linea di confine tra due fondi contigui. L’azione mira a stabilire giudizialmente il confine esatto. Ex articolo 950 c.c.: “Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente…”

Condizioni di applicabilità

  • Incertezza sul confine: non è chiaro dove si trovi esattamente la linea di separazione tra i fondi.
  • Contiguità dei fondi: i terreni devono essere confinanti.
  • Assenza di accordo tra le parti: i proprietari non riescono a definire il confine in via amichevole.

La prova

  • Titoli di proprietà: si esaminano i documenti di acquisto dei fondi.
  • Mappe catastali: utilizzate in mancanza di altri elementi probatori.
  • Perizie tecniche: un consulente tecnico può effettuare rilievi sul terreno.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di regolamento di confini non richiede la probatio diabolica. È sufficiente dimostrare la proprietà dei rispettivi fondi, e ogni mezzo di prova è ammesso, inclusi testimonianze e presunzioni (Cass. n. 34825/2021).

Azione di apposizione di termini

L’azione di apposizione di termini, disciplinata dall’articolo 951 del Codice Civile, ha lo scopo di rendere visibile il confine tra due proprietà mediante l’installazione di segni materiali, come paletti, muretti o recinzioni. Ex articolo 951 c.c.: “Se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.”

Condizioni di applicabilità

  • Confine certo ma non visibile: la linea di confine è nota, ma i segni materiali mancano o sono deteriorati.
  • Accordo sulle spese: le spese per l’apposizione dei termini sono a carico di entrambi i proprietari.

Differenze con l’azione di regolamento di confini

  • Oggetto dell’azione: l’azione di apposizione riguarda la visibilità del confine, non la sua determinazione.
  • Presupposto: il confine è certo, a differenza dell’azione di regolamento dove è incerto.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha affermato che se durante l’azione di apposizione di termini emerge una contestazione sul confine, l’azione si trasforma implicitamente in un’azione di regolamento di confini (Cass. n. 9512/2014).

Le altre azioni a difesa della proprietà

Tra le altre azioni a difesa della proprietà troviamo anche le azioni possessorie e le azioni di nunciazione:

Azioni possessorie

  • Azione di reintegrazione (spoglio): per chi è stato privato del possesso in modo violento o clandestino (art. 1168 c.c.).
  • Azione di manutenzione: per chi subisce molestie nel possesso o è stato spogliato con modalità non violente (art. 1170 c.c.).

Azioni di nunciazione

  • Denuncia di nuova opera: quando un vicino esegue lavori che possono danneggiare la proprietà altrui (art. 1171 c.c.).
  • Denuncia di danno temuto: quando si teme che una situazione possa causare danni imminenti (art. 1172 c.c.).

Queste azioni tutelano il possesso, che è distinto dalla proprietà, ma possono essere utilizzate anche dal proprietario possessore.

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doppio della caparra

Doppio della caparra: quando se ne ha diritto Doppio della caparra: restituzione solo in caso di grave inadempimento, il mero rinvio del certificato di destinazione urbanistica non basta

Restituzione del doppio della caparra

Il superamento di un termine fissato per il rilascio del certificato di destinazione urbanistica dell’immobile non dà automaticamente diritto al compratore di ottenere la restituzione del doppio della caparra confirmatoria in materia di compravendita immobiliare. Lo afferma l’ordinanza n. 28568/2024 della Corte di Cassazione. Per ottenere questa conseguenza, è necessario dimostrare una colpa grave del venditore.

Caparra confirmatoria: effetti  legali

La caparra confirmatoria rappresenta un elemento centrale nel contratto preliminare di compravendita immobiliare. Essa viene versata dall’acquirente al venditore come segno della serietà dell’accordo e come garanzia di adempimento. Se una delle parti non rispetta infatti gli impegni contrattuali, la caparra può assumere funzioni diverse: l’acquirente, in caso di inadempimento da parte del venditore, può recedere dal contratto e chiedere la restituzione del doppio dell’importo versato. Al contrario, se è l’acquirente a essere inadempiente, il venditore può trattenere la caparra.

La Cassazione però ha chiarito che il diritto alla doppia restituzione non è automatico, occorre infatti valutare la gravità dell’inadempimento. Solo un inadempimento “grave” e non giustificabile può legittimare la richiesta di vedersi restituire il doppio della caparra.

Contratto preliminare non rispettato: doppio della caparra

La  vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione nasce da un accordo preliminare di compravendita immobiliare stipulato tra due soggetti nel novembre 2006. In questa occasione, l’acquirente versa 40.000 euro a titolo di caparra confirmatoria, impegnandosi a concludere il contratto definitivo entro il 28 febbraio 2007. Nel contratto è previsto che il venditore debba ottenere il rilascio del certificato di destinazione urbanistica entro la stessa scadenza. Detto termine però non viene rispettato.

Termine certificato di destinazione urbanistica

Nel giugno 2007, l’acquirente decide di agire legalmente contro il venditore presso il Tribunale di Frosinone. In questa sede l’attore sostiene di aver legittimamente esercitato il diritto di recesso dal contratto a causa dell’inadempimento del venditore, chiede quindi la condanna del venditore al pagamento del doppio della caparra versata. In subordine richiede la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra. In primo grado, il Tribunale di Frosinone respinge la domanda dell’acquirente. Il termine del 28 febbraio 2007 indicato nel preliminare non ha infatti carattere essenziale per cui il suo superamento non può considerarsi un inadempimento così grave da giustificare la richiesta del doppio della caparra. La Corte d’Appello conferma la decisione del Tribunale, sottolineando che, anche qualora il venditore avesse superato il termine fissato per il rilascio del certificato di destinazione urbanistica, tale ritardo non avrebbe costituito una violazione sufficientemente significativa da comportare l’applicazione delle conseguenze di cui all’articolo 1453 del Codice Civile. Per la Corte d’Appello linadempimento non può considerarsi grave perché non ha pregiudicato l’interesse principale dell’acquirente alla conclusione del contratto definitivo.

Doppio della caparra: serve inadempimento grave

La Corte di Cassazione conferma la decisione delle autorità giudiziarie di merito, rigettando il ricorso dell’acquirente. Per gli Ermellini il termine indicato nel preliminare non può considerarsi essenziale. Le parti non hanno infatti qualificato espressamente questa scadenza come fondamentale per l’adempimento del contratto. La Suprema corte ha evidenziato inoltre che l’acquirente non ha dimostrato la gravità dell’inadempimento, elemento imprescindibile per richiedere la risoluzione del contratto con conseguente restituzione del doppio della caparra.

 

Leggi anche: Caparra: tipologie e disciplina

 

 

 

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gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: la guida Il gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato) è un istituto che permette ai soggetti meno abbienti di potersi difendere in giudizio

Cos’è il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio, o patrocinio a spese dello Stato, è un istituto giuridico che consente alle persone che non hanno sufficienti risorse economiche di accedere alla giustizia, garantendo loro la possibilità di essere assistiti da un avvocato senza dover sostenere i costi delle spese legali. Questo beneficio viene concesso dallo Stato, che si fa carico delle spese per il patrocinio legale, tra cui onorari e altri costi necessari per la difesa. Il gratuito patrocinio consente quindi, a chi ha difficoltà economiche, di accedere alla giustizia, tutelando il diritto di difesa garantito dalla Costituzione italiana all’art. 24.

Disciplina del patrocinio a spese dello Stato

Il gratuito patrocinio è un’agevolazione che permette infatti, a chi ha un reddito basso, di essere assistito in giudizio da un avvocato senza dover sostenere le spese legali. Il DPR 115/2002, noto come “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, disciplina le condizioni, i requisiti e le procedure per l’accesso a questo servizio.

A chi spetta il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio spetta a tutti i cittadini italiani e agli stranieri residenti in Italia che si trovano in situazioni economiche disagiate. In particolare, il beneficio viene concesso a chi non è in grado di sostenere le spese per la difesa in un processo e il cui reddito non superi determinati limiti stabiliti dalla legge. Le condizioni per accedere al patrocinio sono basate principalmente sul reddito e sulla composizione del nucleo familiare.

Requisiti reddituali

I limiti di reddito sono adeguati in base alla variazione degli indici ISTAT con decreto del Ministero della Giustizia e del’Economia e delle Finanze. Tale limite è stabilito in relazione al reddito pro capite, tenendo conto anche del numero di componenti del nucleo familiare.

Nel calcolo del reddito, infatti, si tiene conto non solo di quello del richiedente, ma anche di quello di tutti i componenti del nucleo familiare, tranne in alcuni casi particolari come quando il processo riguarda diritti personali o conflitti all’interno del nucleo familiare.

Se il reddito supera la soglia stabilita, l’ammissione al gratuito patrocinio non è concessa. Nel caso in cui il richiedente abbia un patrimonio elevato, pur avendo un reddito inferiore alla soglia, il gratuito patrocinio potrebbe comunque essere negato.

Per l’anno 2024, il limite di reddito è di 12.838,01 (d.m. 10 maggio 2023 in GU n. 130 del 6 giugno 2023).

Altri casi di ammissione al patrocinio

Oltre ai requisiti di reddito, il DPR 115/2002 prevede che possano beneficiare del patrocinio gratuito:

  • le vittime di violenza domestica o di genere, che possono presentare domanda per ottenere assistenza legale gratuita, a prescindere dal reddito;
  • i minori stranieri non accompagnati e coinvolti in un procedimento giurisdizionale;
  • gli imputati in processi penali, che hanno diritto alla difesa d’ufficio se non possono permettersi un avvocato.

Procedimenti ammessi al gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio può essere richiesto in vari tipi di procedimenti legali:

  • penali: per difendersi in caso di accusa di reato;
  • civili: per cause civili, separazioni, divorzi, cause di famiglia o in ambito lavorativo.
  • amministrativi: in caso di controversie con enti pubblici;
  • processi contabili, tributari e negli affari di volontaria giurisdizione

Beneficiari e limitazioni

Il gratuito patrocinio può essere esteso a chiunque sia parte in un processo, ma ci sono alcune limitazioni. Per esempio, in ambito penale, il beneficio non viene concesso a chi ha già una condanna penale per determinati reati, come quelli legati alla mafia o al terrorismo, o se il processo riguarda un reato di grande gravità. In ambito civile, la domanda di gratuito patrocinio può essere rigettata se il processo è manifestamente infondato o se riguarda questioni di difficile risoluzione giuridica.  

Come richiedere il gratuito patrocinio

Per richiedere il gratuito patrocinio, è necessario seguire una procedura specifica.

La domanda deve essere presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del tribunale competente. È possibile richiedere l’assistenza di un avvocato per compilare correttamente la documentazione.

La domanda prevede la compilazione di moduli disponibili presso il Consiglio dell’ordine competente a cui allegare il documento di identità del richiedente. Il modulo presentato dal difensore richiede l’autentica da parte di questo soggetto della firma dell’istante.

Documentazione necessaria

Occorre fornire la copia dell’ultima dichiarazione dei redditi e, in alcuni casi, altri documenti che dimostrino la situazione economica del richiedente e del suo nucleo familiare.

Esame della domanda

Il Consiglio dell’Ordine verifica i requisiti economici e decide se concedere il patrocinio gratuito. La decisione viene comunicata al richiedente entro un periodo di tempo stabilito. In caso di rigetto la richiesta può essere fare richiesta al giudice competente per il giudizio.

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Antitrust Ryanair

Antitrust: Ryanair rimborserà i costi del check-in Chiusa dall'AGCM l'istruttoria nei confronti della compagnia irlandese che si è impegnata a rimborsare oltre un milione e mezzo di euro per i costi extra del check-in

L’Antitrust, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso l’istruttoria nei confronti di Ryanair D.A.C., risolvendo la questione con impegni concreti da parte della compagnia aerea. L’indagine era stata avviata per una presunta pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo, in particolare riguardo alla mancanza di trasparenza sulle condizioni di check-in online e sull’aggravio di costi per il check-in in aeroporto. Lo rende noto l’Antitrust con un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito.

Le contestazioni dell’Antitrust

Nel corso dell’istruttoria, l’AGCM aveva rilevato che le informazioni fornite da Ryanair sui costi e sulle condizioni di check-in online erano potenzialmente ingannevoli. In particolare, la compagnia non informava adeguatamente i consumatori sulla finestra temporale in cui il check-in online fosse disponibile gratuitamente e sugli eventuali costi aggiuntivi che si sarebbero applicati qualora il check-in fosse stato effettuato in aeroporto, superando il termine di scadenza per il check-in online.

Un ulteriore problema rilevato dall’Autorità riguardava l’opzione di prenotazione di un biglietto di andata e ritorno con il servizio di priorità e bagaglio a mano. Se l’utente selezionava questa opzione per una tratta, il sistema la estendeva automaticamente anche alla tratta di ritorno, senza consentire una selezione separata per ciascun volo.

Gli impegni di Ryanair e i rimborsi ai consumatori

Per risolvere la situazione, Ryanair ha preso impegni formali di risarcimento e modifica delle sue pratiche.

In particolare, la compagnia irlandese ha accettato di rimborsare interamente i consumatori che, tra il 2021 e il 2023, hanno sostenuto costi extra per il check-in in aeroporto, a causa della scarsa chiarezza sulle condizioni del check-in online. Ogni consumatore riceverà un rimborso di 55 euro, che corrisponde all’intero costo del check-in effettuato in aeroporto.

Inoltre, tutti i consumatori che, nel medesimo periodo, hanno effettuato una prenotazione di volo e poi hanno scelto di effettuare il check-in in aeroporto, pagando il supplemento, riceveranno un ristoro pari a 15 euro. In alternativa, potranno scegliere di ricevere un voucher del valore di 20 euro da utilizzare per l’acquisto di servizi Ryanair. Questo riguarda oltre 100.000 prenotazioni, e si stima che l’importo totale da rimborsare si aggiri intorno al milione e mezzo di euro.

Modifiche alle politiche di prenotazione e trasparenza

Oltre ai rimborsi, Ryanair si è impegnata a modificare la modalità di selezione dell’opzione priorità e bagaglio a mano. D’ora in poi, i consumatori avranno la possibilità di selezionare separatamente questo servizio per ciascun volo di andata e ritorno, con la visualizzazione del relativo prezzo unitario per ogni tratta, evitando così l’estensione automatica dell’opzione all’intero viaggio.

Inoltre, la compagnia ha promesso di aggiornare il sito web, l’app mobile e il testo delle email di conferma prenotazione, per garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sulla finestra temporale in cui è possibile effettuare il check-in online gratuitamente e sugli eventuali costi relativi al check-in in aeroporto.

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Certificato carichi pendenti: cos’è e chi può richiederlo Il certificato carichi pendenti serve a conoscere se un soggetto ha procedimenti penali in corso a suo carico

Il certificato dei carichi pendenti è un documento ufficiale che attesta se un soggetto ha procedimenti penali in corso a suo carico ed eventuali relativi giudizi di impugnazione. Viene rilasciato dal Ministero della Giustizia e può essere richiesto per una serie di motivi legali, amministrativi o professionali.

Vediamo nel dettaglio cos’è il certificato carichi pendenti, come si richiede e chi può farne richiesta.

Cos’è il certificato carichi pendenti

Il certificato dei carichi pendenti è dunque un documento che certifica la presenza o meno di procedimenti penali in corso a carico di una persona. Questi procedimenti possono riguardare indagini, processi o procedimenti esecutivi che non sono ancora stati definitivi (ad esempio, una sentenza di condanna che non è ancora passata in giudicato). Il certificato, quindi, non riporta condanne definitive (distinguendosi perciò dal certificato del casellario giudiziale), ma solo quelle in corso di svolgimento.

Il certificato ha valore legale ed è spesso richiesto in ambito lavorativo, per la partecipazione a concorsi pubblici, o per altre finalità amministrative e legali.

Come si richiede il certificato carichi pendenti

La richiesta del certificato può essere fatta in vari modi, a seconda delle necessità del richiedente e della modalità che preferisce.

Il certificato viene rilasciato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale che ha giurisdizione sul luogo di residenza dell’interessato. Il documento riporta i procedimenti pendenti presso tale ufficio e quelli in corso presso le procure distrettuali antimafia (DDA), di cui si è ricevuta comunicazione.

Non risultano comunque divieti al rilascio del certificato da parte di una Procura diversa da quella di residenza.

Presso molti uffici giudiziari, inoltre, è possibile prenotare il certificato online tramite l’apposito modulo disponibile nelle procure e sul sito del ministero della Giustizia, unitamente a un documento di riconoscimento in corso di validità.

I certificati prenotati si ritirano allo sportello dell’ufficio locale del casellario selezionato, consegnando il modulo di richiesta prodotto dal sistema ovvero in alternativa il numero di prenotazione assegnato nel corso della procedura online.

Chi può richiedere il certificato

Il certificato carichi pendenti può essere richiesto da:

  • dal diretto interessato o da persona da lui delegata;
  • dalle pubbliche amministrazioni o dai gestori di pubblici servizi, quando è necessario per l’espletamento delle loro funzioni;
  • dall’autorità giudiziaria penale, che provvede direttamente alla sua acquisizione;
  • dal difensore dell’imputato, nei confronti della persona offesa o del testimone.

Quando viene richiesto il certificato dei carichi pendenti

Il certificato è spesso richiesto in numerosi contesti, tra cui:

Concorsi pubblici

Molti concorsi pubblici, soprattutto per incarichi che implicano responsabilità giuridiche o finanziarie, richiedono che i candidati presentino il certificato dei carichi pendenti per escludere soggetti con procedimenti penali in corso.

Assunzione in aziende private

Alcune aziende, soprattutto nei settori della sicurezza o in posizioni sensibili, possono chiedere il certificato dei carichi pendenti ai propri dipendenti o ai candidati per garantire che non ci siano procedimenti legali in corso.

Procedimenti legali

In caso di contenziosi legali, l’avvocato potrebbe richiedere il certificato per accertare la situazione penale del cliente o della controparte.

Cessione di immobili o altri contratti

In alcune situazioni, come la cessione di beni immobili o la firma di contratti di rilevante valore, può essere richiesto il certificato per verificare l’affidabilità della parte coinvolta.

spese condominio

Spese condominiali: costruttore esonerato Spese condominiali: è valida e non viola il Codice del Consumo la clausola che esonera il costruttore venditore dal pagamento

Spese condominiali: valida la clausola di esonero

Valida la clausola del regolamento contrattuale che esonera il costruttore dal pagamento delle spese condominiali che si riferiscono alle unità immobiliari invendute. La clausola può essere modificata, ma occorre l’unanimità. Lo afferma la sentenza del Tribunale di Bari n. 4515-2024.

Violazione del regolamento condominiale

Il costruttore e venditore di un edificio condominiale contesta l’addebito delle spese condominiali poste a suo carico dal consesso condominiale in violazione dell’articolo 23 del regolamento contrattuale. Questa regola lo esonera, infatti, nella sua qualità di costruttore, dall’obbligo di contribuire alle spese condominiali relative alle proprietà invendute. Nella citazione l’attore chiede quindi la dichiarazione di nullità/annullamento delle due delibere che pongono a suo carico le spese ordinarie e di manutenzione dello stabile.

Il Condominio convenuto contesta la validità dell’art. 23 del Regolamento perché contrario alle regole previste dal Codice del Consumo. La clausola risulterebbe infatti abusiva.

Clausola di esonero dalle spese condominiali

Il Tribunale accoglie le richieste dell’attore ricordando che la giurisprudenza di legittimità, in diverse occasioni, si è pronunciata a favore delle clausole contenute nei regolamenti condominiali che esonerano il costruttore dal pagamento delle spese condominiali.

Il regolamento, nel caso di specie, ha natura contrattuale, per cui, sono valide e vincolanti per tutti i condomini, le clausole che, anche in violazione dell’art. 1123 c.c., dispongono in materia di spese condominiali. E’ legittima la deroga al criterio di riparto che si basa sulle quote millesimali stabilito dalla legge, anche se esonera dal pagamento uno dei condomini e nonostante la previsione dell’art., 1118 c.c.

Clausola di esonero: modificabile all’unanimità

La clausola che esonera il costruttore dal contribuire alle spese del condominio può comunque essere modificata, ma solo all’unanimità, costruttore beneficiario compreso. La delibera che venisse adottata a maggioranza invece sarebbe nulla perché così come il contratto richiede la volontà unanime per l’approvazione del regolamento contrattuale, tutti devono esprimersi a favore anche per la sua modifica. La deroga al criterio stabilito dall’art. 1223 c.c può essere contenuta in una convenzione di modifica contenuta nel regolamento condominiale o in una delibera approvata all’unanimità.

Clausola di esonero: vessatoria se crea squilibrio

Il Tribunale ricorda poi che la Cassazione nell’ordinanza n. 20007/2022 ha chiarito che: la validità della clausola regolamentare che esoneri il costruttore dal pagamento delle spese condominiali non può essere messa in dubbio nemmeno mediante il richiamo alla disciplina delle clausole vessatorie di cui al Codice del consumo, quanto meno nel rapporto tra condominio e impresa costruttrice.” 

La giurisprudenza di legittimità in effetti ha qualificato il Condominio come un soggetto consumatore, ma non si deve confondere il rapporto tra questo soggetto e il singolo condomino moroso in relazione alle spese condominiali con quello che riguarda il costruttore – venditore e l’acquirente della singola unità.

La vessatorietà della clausola può essere fatta valere solo dal Condominio acquirente se la stessa provoca uno squilibrio dei diritti e degli obblighi che derivano dal contratto di compravendita e se incide sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sullacquirente restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della vendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano.”

 

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Colpa medica per dimissioni premature Le dimissioni premature del paziente con infarto in corso portano alla responsabilità penale omissiva del medico di pronto soccorso

Dimissioni premature e responsabilità penale omissiva

Colpa medica per le dimissioni premature e il mancato approfondimento diagnostico che provocano la morte del paziente a distanza di poche ore nella propria abitazione. Scatta la responsabilità per omissione del medico di pronto soccorso. L’alterazione della troponina, in base a quanto previsto dalle linee guide, richiede un monitoraggio per procedere eventualmente a un esame successivo del valore. L’ospedale sovraffollato e l’impossibilità di un intervento tempestivo non rilevano. Queste le conclusioni a cui è giunta la Cassazione nella sentenza n. 41173/2024.

Responsabilità medico di pronto soccorso

La Corte d’Appello assolve l’imputato dal reato di omicidio colposo perché prescritto.

Il PM lo ha ritenuto responsabile del decesso della vittima a causa della sua negligenza, imperizia e imprudenza. Nella sua qualità di medico del pronto soccorso, l’imputato ha infatti ignorato le linee guida da adottare in caso di sospetto infarto, procedendo alle dimissioni premature del paziente.

La Corte ha ritenuto non contestabili le conclusioni dei periti del PM e del GUP. Gli esami di laboratorio hanno rivelato un aumento della troponina, dal valore di riferimento di 14 a 17,42. Le linee guida della società europea di cardiologia del 2011 impongono che il paziente che presenti questi valori sia mantenuto in uno stato d’osservazione con ripetizione degli esami di laboratorio ogni 3 ore. Previsto poi il ricovero in presenza dell’aumento del valore, con esami da ripetere nelle 6/24 ore successive. Tutte queste condotte sono state  omesse dal medico. Il paziente infatti, una volta dimesso, è deceduto presso la propria abitazione dopo circa 6 ore e 1/2.

Ipertensione pregressa del paziente: segnale significativo

Per la Corte la presenza della pregressa patologia del paziente (ipertensione arteriosa) era tale da aggravare i profili di responsabilità del sanitario, che avrebbe dovuto essere maggiormente allertato in ordine alla necessità di un monitoraggio diretto del medesimo secondo quanto suggerito dalle linee guida (con consulenza cardiologica, esame ecocardiografico, test da sforzo, controlli seriali da ECG e ripetizione ogni quattro ore per almeno tre volte degli esami sugli enzimi miocardici); responsabilità, tra l’altro, ritenuta desumibile anche sulla base della prescrizione indicata in sede di dimissioni e con le quali era stato suggerito il mero monitoraggio dei soli valori pressori.”

Quando il paziente è entrato nel pronto soccorso non presentava una percentuale elevata di rischio di morte. Se la crisi cardiaca fosse sopraggiunta in ospedale e fosse stata trattata adeguatamente, il paziente si sarebbe potuto salvare.

La Corte d’Appello ha concluso quindi per la responsabilità penale del medico per condotta omissiva e nesso di causa tra questa e il decesso del paziente. La stessa però ha rilevato che il reato era estinto a causa della prescrizione sopravvenuta e quindi lo ha assolto sotto il profilo della responsabilità penale, ritenendolo responsabile dal punto di vista civilistico.

Errata l’assoluzione per prescrizione del reato

L’imputato nell’impugnare la decisione contesta la negata assoluzione con la formula “perché il fatto non costituisce reato.” Per l’imputato è errato avere ritenuto che il lieve aumento della troponina fosse collegato alla crisi cardiaca causata dalla crisi ipertensiva. I dati clinici rivelavano l’assenza di una alterazione ecocardiografica per cui escludevano con una probabilità elevata l’infarto del miocardio. Più verosimile che lo stesso si fosse manifestato quando il paziente era a casa. Da escludere quindi il nesso di causa. Il tutto senza trascurare che le condizioni del pronto Soccorso erano tali da non poter garantire un’adeguata e rapida assistenza. L’evento letale pertanto si sarebbe manifestato comunque.

Colpa medica per omissione

Per la Cassazione però il ricorso è del tutto inammissibile e l’unico motivo sollevato del tutto infondato.

Dopo aver analizzato la giurisprudenza in materia di responsabilità penale medica la Cassazione ribadisce che: in tema di responsabilità del sanitario per omissione, l’accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l’effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (…) conseguendone che l’esistenza del nesso causale può essere ritenuta quando l’ipotesi circa il sicuro effetto salvifico dei trattamenti terapeutici non compiuti sia caratterizzata da elevata probabilità logica, ovvero sia fortemente corroborata alla luce delle informazioni scientifiche e fattuali disponibili.” 

Nesso di causa tra dimissioni premature e decesso

I giudici di merito hanno effettuato delle valutazioni inattaccabili e fondate sul sapere scientifico. Dalle prove è emerso che la patologia che ha condotto all’esito letale si stava sviluppando nel momento in cui è intervenuto l’imputato. Se il medico avesse seguito il percorso diagnostico corretto, sottoponendo il paziente a un elettrocardiogramma e alla ripetizione del dosaggio della troponina, la diagnosi si sarebbe rivelata rapida e corretta. Questa condizione avrebbe permesso di intervenire repentinamente ed efficacemente. L’evento sarebbe stato scongiurato con una probabilità prossima alla certezza. Per la Cassazione i Giudici di merito sono giunti pertanto a una valutazione corretta, aderente e rispettosa ai principi sanciti dalla giurisprudenza in materia di responsabilità penale medica. Sussiste infatti il nesso causale tra la condotta omissiva del medico e la morte del paziente in base al criterio della probabilità logica calato nel caso concreto.

 

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