decreto sud

Decreto Sud legittimo La Consulta decidendo il ricorso della regione Campania sui fondi di coesione e sulla Zes unica del decreto Sud ha ritenuto non fondati i dubbi di costituzionalità

Il Decreto Sud è legittimo. La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 175/2024, sul ricorso con cui la regione Campania ha impugnato diverse disposizioni contenute nel dl. n. 124/2023 (meglio noto come Decreto Sud).

Nessuna lesione all’autonomia regionale

Il ricorso della regione lamentava, in primo luogo, che alcune disposizioni contenute nel “decreto Sud” in materia di programmazione e utilizzazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione ledessero, per più aspetti, l’autonomia regionale.

Fondi di coesione

Con la sua pronuncia, la Corte ha ritenuto, innanzitutto, non fondati i dubbi di costituzionalità della previsione secondo cui la stipula dell’Accordo per la coesione tra Stato e Regione possa intervenire solamente una volta «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione» (art. 1, comma 178, lettera d, della legge n. 178 del 2020, come sostituito dall’art. 1 del d.l. n. 124 del 2023).

Secondo la sentenza, il riferimento ai risultati dei precedenti cicli di programmazione non impone alla Regione destinataria dei fondi di dare prova dell’avvenuto completamento dei progetti, ma si traduce in un «adempimento istruttorio nel corso del quale viene operata una ricognizione dei progetti in essere al fine di verificare la maggiore o minore fattibilità di quelli rientranti nel ciclo di programmazione futuro».

Nel complesso, la sentenza ha ritenuto che la disciplina del Fondo per lo sviluppo e la coesione rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato perché è finalizzata a «rimuovere gli squilibri economici e sociali» e assolve, pertanto, “a finalità perequative, secondo quanto previsto dagli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, quinto comma, Cost.

Accanto a ciò, la Corte ha chiarito che, secondo un ordinato assetto dei rapporti finanziari tra Stato e regioni, è necessario tenere distinte le risorse destinate a «finanziare integralmente le funzioni pubbliche» attribuite alle regioni medesime e agli enti locali e le risorse aggiuntive di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., «la cui finalità resta quella di sostenere interventi di natura diversa dall’esercizio delle funzioni ordinarie, in quanto connessi a obiettivi di natura strutturale rivolti al necessario riequilibrio tra le diverse aree del Paese e la cui realizzazione è demandata a progetti specifici»”.

Zes unica

Con un secondo gruppo di doglianze, la Regione Campania ha impugnato l’insieme degli articoli con cui, nel “decreto Sud”, vengono disciplinati l’istituzione e il funzionamento della Zona economica speciale per il Mezzogiorno.

In relazione all’art. 9 del d.l. n. 124 del 2023, che istituisce la ZES unica, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere, alla luce della rinuncia al ricorso avanzata dalla Regione.

Ape social

Ape Social: verifica requisiti entro il 30 novembre L'Inps pubblica avviso sulla scadenza del termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all'anticipo pensionistico

Ape Sociale termine domanda

Ape Sociale: scade il 30 novembre 2024 il termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all’anticipo pensionistico. Lo rammenta l’Inps con un avviso pubblicato sul sito istituzionale, rammentando condizioni e presupposti dell’Ape social.

Ape Social: a chi spetta

L’indennità, rammenta l’istituto, “spetta ai lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria dei lavoratori dipendenti, alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla Gestione Separata che si ritrovano in determinate condizioni lavorative, personali e familiari”.

Per verificare condizioni e requisiti di accesso l’Inps rinvia all’apposita pagina “APE Sociale – Anticipo pensionistico – Verifica Requisiti”.

Requisiti

Per ottenere l’indennità è necessario che i soggetti in possesso delle condizioni indicate dalla legge abbiano, al momento della domanda di accesso, i seguenti requisiti:

  • almeno 63 anni e 5 mesi di età;
  • almeno 30 anni di anzianità contributiva; per i lavoratori che svolgono le attività gravose, l’anzianità contributiva minima richiesta è di 36 anni (o almeno 32 anni, per le categorie di gravosi illustrate nella pagina APE Sociale). Ai fini del riconoscimento dell’indennità, i requisiti contributivi richiesti sono ridotti, per le donne, di 12 mesi per ogni figlio, nel limite massimo di due anni;
  • non essere titolari di alcuna pensione diretta.

L’accesso al beneficio è inoltre subordinato alla cessazione di attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.

Incompatibilità

L’indennità non è compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con l’assegno di disoccupazione, nonché con l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.

Ape social anche nel 2025

La misura, in vigore dal 1° maggio 2017 e già prorogata fino al 31 dicembre 2024, sarà oggetto di ulteriore proroga al 31 dicembre 2025, come previsto dall’articolo 24 del Disegno di legge di bilancio 2024, già approvato dalla Camera e in via di definizione al Senato.

Per approfondimenti leggi anche la nostra guida all’Ape Social

assistenza sanitaria

Assistenza sanitaria per i senzatetto Assistenza sanitaria per i senzatetto a partire dal 1° gennaio 2025, lo prevede il disegno di legge approvato definitivamente dal Senato il 7 novembre 2024

Assistenza sanitaria per i senza dimora dal 2025

Dal 2025 verrà garantita l’assistenza sanitaria anche ai soggetti senza fissa dimora. Lo prevede il Disegno di legge n. 1175.

La Camera ha approvato il testo lo scorso 25 giugno, il Senato invece in via definitiva e all’unanimità il 7 novembre 2024.

Il disegno di legge, che si compone di soli 3 articoli, vuole trasmettere un messaggio molto importante di civiltà e di attenzione nei  confronti degli “invisibili” della società.

Senzatetto delle città metropolitane

L’articolo 1 prevede lo stanziamento di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, per finanziare un programma sperimentale. Le risorse verranno destinate primariamente alle Città metropolitane. Il progetto verrà poi esteso a tutto il territorio italiano per garantire a tutti i soggetti senza fissa dimora, di poter accedere all’assistenza sanitaria.

Dal nuovo anno i soggetti privi di una residenza anagrafica, presenti nel territorio italiano o all’estero, che soggiornano regolarmente sul nostro territorio, potranno iscriversi alle liste delle aziende sanitarie locali per ricevere assistenza medica. In questo modo anche i senza fissa dimora potranno scegliere il proprio medico curante o il pediatra e accedere alle prestazioni che rientrano nei LEA.

Ripartizione del fondo: decreto e pareri

Le risorse a disposizione per l’attuazione di questo progetto saranno divise tra le varie Regioni in base alla popolazione residente. Le operazioni di riparto verranno stabile con un decreto del Ministero dell’economia e delle Finanze, che verrà adottato entro 90 giorni dalla entrata in vigore della legge, dopo aver raggiunto l’intesa in sede di Conferenza permanente per “per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le associazioni di volontariato e di assistenza sociale maggiormente rappresentative operanti in favore delle persone senza dimora.”

Questo decreto stabilirà  inoltre i criteri di accesso al programma sperimentale, la sua attuazione e le modalità di verifica della spesa complessiva sostenuta.

Lo schema del decreto dovrà essere trasmesso alle Camere per consentire alle Commissioni di esprimere i propri pareri in relazione alla materia e agli aspetti finanziari. Le Commissioni avranno a disposizione 20 giorni per dire la loro, decorso questo termine il decreto si intenderà comunque approvato.

Assistenza sanitaria: relazione entro il 30 giugno

A partire dall’anno successivo a quello di entrata in vigore della legge entro ogni 30 giugno, il Governo dovrà relazionare alle Camere lo stato di attuazione della legge.

Nella relazione il Governo dovrà indicare:

  • le persone che si sono iscritte agli elenchi delle aziende sanitarie di ogni regione;
  • il numero e il tipo di prestazioni erogate in favore di questi soggetti;
  • le criticità eventualmente emerse;
  • il denaro speso.

 

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messa alla prova

Messa alla prova e domiciliari sono compatibili I due istituti, chiarisce la Cassazione, possono coesistere ed anzi ammesse tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni

Messa alla prova e domiciliari

La messa alla prova non è impedita dalla mera circostanza che la persona sia ai domiciliari, in quanto le due misure in linea di massima sono compatibili. Questo in sintesi quanto affermato dalla prima sezione penale della Cassazione con sentenza n. 41185/2024.

La vicenda

Nella vicenda giunta all’attenzione della S.C., un detenuto era autorizzato dal magistrato di sorveglianza di Catania ad assentarsi dal domicilio, due giorni a settimana, per svolgere, in relazione ad un processo penale pendente a suo carico, il programma di messa alla prova.
In costanza di esperimento sopraggiungeva il provvedimento adottato d’ufficio, con il quale il magistrato di sorveglianza dava atto della diversità ontologica esistente tra la detenzione domiciliare e la sospensione del procedimento con messa alla prova, riteneva l’impossibilità di applicazione congiunta dei due regimi (dovendo il secondo essere postergato alla conclusione del primo) e revocava le autorizzazioni già concesse.
L’uomo, perciò, ricorreva innanzi al Palazzaccio con il ministero del suo difensore di fiducia. Nell’unico motivo deduceva l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, e processuale penale, sostenendo non esservi alcuna rigida preclusione alla concessione della messa alla prova in pendenza di una misura alternativa alla detenzione e rimarcando l’assenza di circostanze sopravvenute, ostative al mantenimento delle autorizzazioni già concesse.

Presupposti della messa alla prova

La Cassazione concorda. “L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova,
esteso dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, agli imputati maggiorenni – spiegano infatti i giudici di legittimità – si caratterizza quale modalità alternativa di definizione del procedimento penale,  attivabile nella fase delle indagini preliminari o nei prodromi dell’udienza preliminare o del giudizio, mediante la quale è possibile pervenire, in presenza di determinati presupposti normativi, ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato all’esito di un periodo di prova, destinato a saggiare l’avvenuto reinserimento sociale del condannato”.
Si tratta, aggiungono, “di un meccanismo che, su base consensuale e in funzione della riparazione sociale e individuale del torto connesso alla consumazione del reato, innesta nel procedimento una vera e propria fase incidentale ni cui si svolge l’esperimento trattamentale, il cui esito positivo determina l’effetto estintivo”.

Portata rieducativa e afflittiva

L’istituto riveste una portata rieducativa e afflittiva al tempo stesso, in quanto l’esperimento è accompagnato, tra l’altro, dall’obbligo di prestare lavoro di pubblica utilità, nonché dall’imposizione di prescrizioni, concordate all’atto dell’ammissione al beneficio e modulate sullo schema dell’affidamento in prova al servizio sociale, incidenti in maniera significativa, nel corso del procedimento penale, sulla libertà personale del soggetto che vi è sottoposto (cfr. Cass. Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022).
L’art. 298 cod. proc. pen. regola il concorso di titoli esecutivi e misure cautelari processuali.
Tale disposizione, nel suo comma 1, risolve l’interferenza tra ordine di carcerazione e cautela processuale, accordando rilievo poziore al primo, salvo che gli effetti della misura cautelare disposta siano compatibili con l’espiazione della pena.
“In base al suo comma 2, è da ritenere viceversa possibile, in linea di principio – proseguono i giudici – la contestuale esecuzione della misura alternativa alla detenzione e di una misura cautelare, dovendosi poi solo verificare, in concreto, avuto riguardo alle limitazioni connaturali alle due misure anzidette, l’effettiva compatibilità fra l’una e l’altra, nel rispetto, dalla legge ritenuto preminente, della misura cautelare”.
Pertanto, “la natura di misura endoprocessuale, sostanzialmente limitatrice della libertà personale, che, come osservato, deve essere riconosciuta alla messa alla prova ex art. 168-bis cod. pen., rende analogicamente applicabile l’art. 298, comma 2, cod. proc. pen.”

La coesistenza di una misura alternativa alla detenzione, anche restrittivamente conformata, quale la detenzione domiciliare, con il regime della messa alla prova, anteriormente o successivamente disposta, “non solo, dunque, non è da escludere in linea di principio, ma deve essere ammessa tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni”.

Le autorizzazioni in costanza di detenzione domiciliare

In materia di detenzione domiciliare, spiegano infine dal Palazzaccio, “il condannato può essere autorizzato a lasciare il domicilio non solo per il soddisfacimento delle proprie indispensabili esigenze di vita, o per svolgere l’attività lavorativa necessaria per il sostentamento, a norma dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ma per ogni diversa esigenza connessa agli interventi del servizio sociale, anche relativi ad una procedura giudiziaria diversa da quella esecutiva in atto, o, più in generale, per altre finalità di giustizia penale; le prescrizioni della detenzione domiciliare possono essere, a tal fine, sempre modificate dal magistrato di sorveglianza, come consentito dall’art. 47-ter, comma 4, Ord. pen.”.
Il criterio, dunque, che deve orientare la discrezionalità di quest’ultimo organo giudiziario, e che funge da limite esclusivo alla concessione di tali autorizzazioni, “è che quest’ultima non alimenti realmente il pericolo che il condannato commetta, suo tramite, altri reati, essendo la detenzione domiciliare costruita sul presupposto che la misura risulti idonea a scongiurare la recidiva delittuosa”.

La decisione

Pertanto, il provvedimento impugnato non è conforme agli esposti principi di diritto, poichè muove dal presupposto errato dell’ontologica inconciliabilità tra le misure giudiziarie di causa, e deve essere annullato senza rinvio.

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parcheggio non pagato

Parcheggio non pagato: non è valido il verbale dell’agente ATM Per la Cassazione, gli ispettori dell'azienda di trasporto pubblico non hanno il potere di accertare le violazioni del Cds nell'intero territorio comunale

Parcheggio non pagato

Parcheggio non pagato: non è valido il verbale dell’agente ATM. Ciò perchè l’ispettore dell’azienda di trasporto pubblico non ha il potere di accertare le violazioni del Cds nell’intero territorio comunale. E’ quanto ha ribadito la Cassazione nell’ordinanza n. 19244/2024.

La vicenda

Un uomo proponeva opposizione avverso tre verbali di accertamento del 2019, con i quali gli veniva contestata la violazione dell’art. 157, comma 8, c.d.s., per sosta del veicolo di sua proprietà in località prossima alla stazione della metropolitana, senza avere azionato il dispositivo di controllo del pagamento della tariffa.
Il Giudice di pace, nel contraddittorio del Comune di Milano ha accolto l’opposizione, in ragione dell’assenza di parchimetri e ha annullato le sanzioni.
Il comune proponeva impugnazione e il tribunale di Milano riformava la pronuncia di primo grado rilevando, da un lato, che, al contrario di quanto affermato dal primo giudice, l’art. 157, comma 6, c.d.s., non implica che il parchimetro debba essere collocato nella stessa via in cui avviene il parcheggio del veicolo; dall’altro lato, che, posto che è possibile pagare la sosta in diversi modi, è persino ultronea la possibilità di provvedere al pagamento a mezzo dei parchimetri situati nelle vie adiacenti.
Il giudice d’appello, inoltre, ha richiamato l’orientamento dello stesso Tribunale per cui sussiste il potere sanzionatorio in capo agli agenti accertatori dell’ATM, come si desume dalle disposizioni di riferimento (art. 17, commi 132 e 133, legge n. 127 del 1997).
L’uomo proponeva ricorso per cassazione, denunciando, innanzitutto, la violazione dell’art. 17, commi 132 e 133, legge n. 127 del 1997, per avere il Tribunale erroneamente affermato che agli ispettori delle aziende di trasporto pubblico siano conferite le funzioni di accertamento delle violazioni in materia di sosta dei veicoli nell’intero territorio comunale e non limitatamente alle aree in concessione alle aziende medesime.

La decisione

Per la Cassazione, iil primo motivo è fondato, il che comporta l’assorbimento degli altri motivi.
Gli Ermellini affermano infatti che va data continuità al precedente sezionale – Cass. n. 30288 del 2022 – relativo a controversia, tra le stesse parti, avente ad oggetto la medesima fattispecie, che interpreta l’art. 17, commi 132 e 133, legge n. 127 del 1997, nel senso che “il legislatore abbia inteso conferire agli ausiliari del traffico, ai fini di semplificazione dell’attività amministrativa, il potere di prevenire ed accertare infrazioni al codice della strada in ipotesi tassative. In presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, quali quelle connesse alla gestione delle aree da riservare a parcheggio e l’esercizio del trasporto pubblico di persone, la disciplina ha previsto che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati i quali abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione ‘della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi’ (Cass. 551/2009)”.
La tesi secondo cui gli ispettori delle aziende di trasporto sarebbero però titolari di un potere di controllo limitato alle aree date in concessione alle aziende da cui dipendono, proseguono dal Palazzaccio, “appare confortata dal tenore letterale del comma 133, il quale, nel prevedere la possibilità di conferimento delle funzioni di cui al precedente comma 132 (accertamento delle violazioni in materia di sosta, limitatamente alle aree oggetto di concessione), chiarisce che le funzioni di prevenzione e di accertamento attengono alla materia della circolazione e sosta sulle sole corsie riservate al trasporto pubblico”.
“La natura derogatoria delle norme in oggetto rispetto alla regola generale secondo cui la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale compete ai soggetti di cui all’articolo 12, comma 3, c.d.s., non consente di ampliare in via interpretativa il novero delle funzioni attribuite a soggetti privati (Cass. 551/2009; Cass. 2973/2016; Cass. 3494/2019)”.
Quindi, mentre i dipendenti delle imprese gestrici di pubblici posteggi hanno poteri di accertamento e contestazione soltanto per le “violazioni in materia di sosta” e “limitatamente alle aree oggetto di concessione”, per i soggetti di cui al comma 133 le funzioni di prevenzione e accertamento devono intendersi limitate alla “sosta nelle aree oggetto di concessione” alle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone, ed “inoltre” alle ipotesi di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico”, attribuite al personale ispettivo di dette aziende”.
Per cui, il Tribunale di Milano, discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità, “ha erroneamente affermato che gli ispettori delle aziende di trasporto pubblico urbano hanno il potere di accertare le violazioni del c.d.s. ‘nell’intero territorio comunale'”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.

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società in accomandita semplice

Società in accomandita semplice Guida sulla società in accomandita semplice (s.a.s.): disciplina e vantaggi. La differenza tra soci accomandatari e soci accomandanti

Come funziona la società in accomandita semplice

La società in accomandita semplice è una tipologia di società di persone caratterizzata da una spiccata flessibilità organizzativa, unita ad alcuni aspetti tipici delle società di capitali, in primis la possibilità di parteciparvi con una limitazione della responsabilità patrimoniale.

Soci accomandatari e soci accomandanti

La principale caratteristica della s.a.s., infatti, è quella di prevedere due distinte categorie di soci (cfr. art. 2313 del codice civile):

  • i soci accomandatari, cui è riservata l’amministrazione della società, che rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali;
  • e i soci accomandanti, che non hanno alcun potere di gestione e rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti della quota conferita.

Che differenza c’è tra socio accomandante e accomandatario

I soci accomandatari, quindi, hanno il potere di amministrazione della società, sia per l’attività ordinaria che straordinaria. La loro responsabilità illimitata nei confronti dei creditori sociali comporta che, nell’ipotesi in cui il capitale sociale non sia sufficiente per soddisfarli, questi ultimi hanno diritto di rivalersi sul patrimonio personale degli accomandatari (beneficium excussionis: i creditori devono sempre escutere prima il patrimonio sociale, e aggredire quello dei soci solo in caso di incapienza).

Inoltre, solo i soci accomandatari sono soggetti a fallimento, come disposto dall’art. 222 della Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942).

I soci accomandanti, invece, rispondono nei limiti della quota conferita. Va evidenziato, però, che se questi pongono in essere atti di amministrazione non autorizzati o ratificati dai soci accomandatari, contravvenendo al c.d. divieto di immistione, perdono il beneficio della limitazione di responsabilità e dunque rispondono delle obbligazioni sociali (tutte, comprese quelle pregresse) anche con il proprio patrimonio personale (senza, peraltro, acquisire con questo lo status di accomandatari e quindi permanendo esclusi dalla gestione della società).

Inoltre, gli accomandanti che violano il divieto di immistione possono essere esclusi dalla società e sono soggetti al fallimento al pari dei soci accomandatari.

Ai soci accomandatari spetta, di regola, anche il potere di rappresentanza, che può essere conferito anche al socio accomandante, ma solo per singoli affari e con procura speciale.

Che vantaggi ha una SAS

Tale configurazione dei ruoli societari vale a rendere la società in accomandita semplice un modello organizzativo flessibile, che può risultare attraente per chi intende reperire capitale senza compromettere il proprio potere gestionale (dal punto di vista dell’accomandatario) e, dall’altro lato, per chi intende cercare un guadagno, senza investire più della propria quota (dal punto di vista dell’accomandante).

Disciplina dell’art. 2313 codice civile

La società in accomandita semplice viene costituita con atto pubblico o scrittura privata autenticata; solo con la registrazione di tale atto nel Registro delle imprese avviene la formale costituzione della s.a.s. In mancanza di iscrizione, si crea una s.a.s. irregolare, la cui disciplina è analoga a quella della società in nome collettivo irregolare, pur permanendo la distinzione tra le due categorie di soci.

Nell’atto costitutivo deve essere espressamente indicato il tipo di società creata, i nominativi dei soci e la categoria a cui appartengono (accomandatari o accomandanti). Il numero minimo di soci è due, uno per categoria.

La disciplina della società in accomandita semplice non prevede un limite minimo di capitale. I conferimenti possono consistere in denaro, beni o prestazioni in favore della società.

La s.a.s. può avere ad oggetto anche un’attività commerciale, a differenza della società semplice e in analogia alla società in nome collettivo, la cui disciplina si applica alla s.a.s. per quanto non diversamente disposto dal codice civile.

Nella ragione sociale (il “nome” della società) deve necessariamente apparire il nome di uno dei soci accomandatari e il modello di società scelto (“s.a.s.”). Eccezionalmente, il socio accomandante può acconsentire all’inserimento del proprio nome nella ragione sociale, ma questo comporta per lui la perdita del beneficio della responsabilità limitata, analogamente a quanto più sopra esaminato.

Scioglimento della s.a.s.

La s.a.s. si estingue per i seguenti motivi:

  • volontà unanime dei soci
  • scadenza del termine
  • raggiungimento dell’oggetto
  • fallimento
  • sopravvenuta mancanza della pluralità di categorie dei soci, se non ricostituita entro sei mesi.

In tale ultimo caso, se a mancare è la categoria dei soci accomandatari, dev’essere nominato un amministratore temporaneo per compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

Vedi gli altri articoli e guide di diritto civile

matrimonio per prova

Matrimonio per prova: sì della Cassazione Il matrimonio per “prova” non produce un danno ingiusto meritevole di risarcimento del danno: lo afferma la Cassazione

Matrimonio per “prova”: no al danno ingiusto

La Cassazione ammette il matrimonio per “prova”. Lo stesso “non rappresenta il fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva”. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza  n. 28390/2024.

Riserva mentale: matrimonio nullo per il diritto ecclesiastico

Una coppia di coniugi si scontra in Tribunale. La moglie, dopo sei mesi dalle nozze avvia una causa presso il Tribunale ecclesiastico per ottenere la nullità del matrimonio. La donna afferma di non aver mai creduto nella indissolubilità del legame matrimoniale. La stessa si è sposata “per prova”. Il Tribunale ecclesiastico dichiara nullo il matrimonio con sentenza. In seguito la donna avvia diversi procedimenti nei confronti del marito, compresi un procedimento penale e la separazione, opponendosi alla richiesta di dividere i beni in comunione e di divorziare.

Risarcimento del danno per il matrimonio per “prova”

Per tutte le ragioni suddette l’uomo agisce in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali provocati dalla condotta della moglie. Il Tribunale però respinge la domanda e condanna l’uomo per responsabilità aggravata. Questa decisione viene confermata anche in sede d’appello. La questione giunge infine in Cassazione.

Il matrimonio per prova non produce un danno ingiusto

La Cassazione nel rigettare il ricorso precisa che nel caso di specie manca un comportamento produttivo di un danno ingiusto o in grado di configurare una responsabilità pre-negoziale.

Il ricorrente denuncia, come produttiva di danno, la mancata comunicazione da parte dell’ex moglie, prima della celebrazione del matrimonio, della propria riserva mentale.

Controparte infatti ha affermato di essersi voluta sposare per “prova”. La stessa era incerta sulla possibilità della futura insorgenza di fatti capaci di rendere intollerabile la convivenza. Il Tribunale Ecclesiastico ha dichiarato nullo il matrimonio. In sede civile però la Corte di appello non ha accolto la domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica. La stessa è contraria all’ordine pubblico “derivante dalla necessità di protezione dell’affidamento incolpevole del coniuge ignaro della riserva mentale, la quale è estranea al regime della nullità del matrimonio previsto dall’ordinamento civile.”

Ed è proprio l’assenza di una nullità rilevante per l’ordinamento civile a sgombrare il campo dalla responsabilità dell’ex moglie in malafede.

La presenza di un dubbio tale da spingere la donna a contrarre matrimonio per “prova” non genera una responsabilità risarcitoria a carico della stessa.

Ogni coniuge ha il diritto di separarsi e di divorziare

La Corte di legittimità ricorda che la SU n. 500/1999 hanno stabilito che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente.”

Alla luce di questo principio gli Ermellini ricordano che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità sancito dall’articolo 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Nel vigente diritto di famiglia ogni coniuge ha il diritto, a prescindere dalla volontà o dalle colpe dell’altro, di separarsi e di divorziare. In questo modo attua un diritto individuale di libertà da ricondurre all’articolo 2 della Costituzione.

“(…) Affinché tale libertà non sia compromessa dall’incombenza di una  conseguenza come la responsabilità risarcitoria derivante dall’inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale non emergono, dalla mancata comunicazione dello stato d’animo di incertezza in questione, un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell’ordinamento con il riconoscimento e rimedio risarcitorio e, dunque, un danno ingiusto.”

 

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avvocati monocommittenti

Avvocati monocommittenti: la posizione dell’Aiga I giovani avvocati chiedono l'intervento del legislatore sul fenomeno degli avvocati monocommittenti dopo la sentenza della Corte di Cassazione

Avvocati monocommittenti in legge professionale

“Alla luce della Sentenza n. 28274/2024 pronunciata dalla Cassazione Civile, Sez. Lavoro, con la quale viene confermata la natura autonoma del rapporto degli avvocati monocommittenti, AIGA torna a chiedere con forza un intervento legislativo”. E’ questa la richiesta dei giovani avvocati dopo la pronuncia della Suprema Corte in materia.

Leggi in merito Avvocati sempre autonomi

Avvocato “collaboratore”

“Il fenomeno dell’avvocato “collaboratore” in regime di monocommittenza, che investe soprattutto la giovane avvocatura, rende necessaria l’individuazione di criteri affinché, da un lato, non venga intaccata la natura libero professionale dell’avvocato, ben distinta da quella del lavoratore subordinato. Dall’altro si evitino storture tali da esporre ad un eccesso di incertezze l’avvocato monocommittente, al quale spesso vengono richiesti impegni stringenti verso lo studio presso cui opera, con un elevato carico di lavoro” afferma in una nota istituzionale, il presidente dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, Carlo Foglieni.

Le proposte avanzate al Congresso Nazionale Forense

“Durante il Congresso Nazionale Forense dello scorso dicembre, AIGA ha avanzato una serie di proposte, tutte approvate dall’Assise, che permetterebbe di disciplinare al meglio questa emergenza” prosegue l’Aiga.

Tra queste si ricordano: l’obbligo della forma scritta del contratto di prestazione d’opera intellettuale, un “compenso minimo inderogabile”, oltre ad una serie di garanzie e diritti a favore dei colleghi monocommittenti. Ad esempio, rimborso spese per la formazione, conseguimento del titolo di specialista e per la polizza RC professionale; obbligo di preavviso per l’esercizio di recesso e previsione di un’indennità sostitutiva del preavviso; divieto di recesso in caso di gravidanza, adozione, malattia o infortunio.

Le richieste dell’AIGA

Da qui la richiesta dei giovani avvocati affinchè “queste proposte tornino sul tavolo del Consiglio Nazionale Forense per essere inserite nella Legge professionale di prossima attuazione”. Solo così, conclude l’Aiga, “si potranno finalmente dare le adeguate garanzie e lo sperato riconoscimento ad una categoria di professionisti collaboratori, sinora di fatto priva di tutela alcuna”. 

avvocati sempre autonomi

Avvocati sempre autonomi Avvocati sempre lavoratori autonomi anche se operano all’interno di studi associati con vincoli orari e regole di organizzazione e coordinamento

Prestazioni avvocato studio associato: natura autonoma

Avvocati sempre autonomi, anche se operano in via esclusiva all’interno di uno studio associato e seguono le regole necessarie a coordinare e organizzare il lavoro di tutti. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28274/2024.

Natura subordinata prestazioni avvocato

Una avvocata agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del proprio lavoro, svolto all’interno di uno studio legale associato, con tutte le conseguenze di legge. I giudici di primo e di secondo grado giungono alla medesima conclusione. Il rapporto di lavoro nell’ambito di una prestazioni a contenuto professionale, ha natura autonoma.

Avvocati lavoratori autonomi?

La legale impugna la decisione in sede di Cassazione. Per la ricorrente la Corte d’appello ha negato la natura di lavoro subordinato sulla base di due elementi. Il primo è l’assenza di soggezione della ricorrente a un potere di conformazione esercitato dal socio di riferimento dello Studio associato, in relazione al merito contenutistico della sue prestazioni professionali. Il secondo è la sussistenza di un ambito di autoregolazione dell’orario di lavoro e delle assenze per le vacanze. Per la ricorrente la Corte ha trascurato il potere di direzione e quello conformativo del contenuto dell’attività intellettuale richiesta.

Studi associati: avvocati lavoratori autonomi

Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione precisa che la questione giuridica da risolvere riguarda la qualificazione autonoma o subordinata dell’attività professionale svolta dalla professionista in uno Studio associato. Trattasi nello specifico di uno Studio di grandi dimensioni in cui operano avvocati associati e non associati, come la ricorrente.

Gli Ermellini ricordano di essersi già occupati in diverse occasioni di questa tematica e di aver  chiarito che: la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero- organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”. 

Orari ed esclusiva non rendono subordinato il rapporto

In diverse pronunce gli Ermellini hanno chiarito che le prestazioni professionali che vengono svolte dall’avvocato, per loro natura, non richiedono l’esercizio di un potere gerarchico, che si manifesti in ordini specifici e tipici del potere disciplinare.

La fissazione di un orario di lavoro ed eventuali controlli sull’operato non sono sintomatici del vincolo della subordinazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione da parte del datore.

La Corte di merito ha rilevato correttamente, dopo un’approfondita indagine sulle modalità di svolgimento del lavoro, che la ricorrente ha svolto l’attività di avvocato in modo libero, autonomo e del tutto indipendente, pur in presenza di regole necessarie a coordinare la sua attività con quella dello Studio. Essa ha rilevato inoltre che lo studio in cui la ricorrente era inserita è un’associazione professionale composta da 50 avvocati, 296 professionisti iscritti a vari albi e 95 dipendenti a supporto. L’autorità di secondo grado ha esaminato il regolamento interno e i documenti che disciplinano i vari aspetti dello studio e ha rilevato che i poteri decisionali non sono di spettanza esclusiva dei soci.

Agevolazioni e prerogative in cambio di limitazioni

All’intero di questo Studio il singolo avvocato, in cambio di qualche limitazione, beneficia di agevolazioni e prerogative. Le regole organizzative sono previste solo per gestire la complessità collegata al numero dei professionisti e al tipo di clientela.

Per quanto riguarda le ferie, i singoli professionisti si limitano a segnalare le singole esigenze per consentire a tutti di godere di un periodo di riposo senza lasciare scoperto lo studio. Anche il fisso mensile non è idoneo a inquadrare il rapporto come subordinato. Ogni avvocato infatti partecipa anche al ricavato delle pratiche che procura, tipico aspetto della libera professionale.

L’obbligo di esclusiva infine è previsto solo per evitare conflitti di interesse che potrebbero insorgere se a ogni professionista fosse consentita la gestione di una clientela propria.

 

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Allegati

affitti brevi

Affitti brevi: IVA e fattura elettronica obbligatorie Affitti brevi: raggiunto l’accordo UE sul regime IVA, che riguarderà anche AIRBNB, obbligata dal 2030 a riscuotere e versare l’imposta

Accordo IVA UE

Per gli affitti brevi novità dall’Unione Europea in materia di Iva e fatturazione elettronica. Lo comunica il Consiglio Europeo, che informa di avere raggiunto un accordo (VIDA Vat in the digital age) sulle misure fiscali che riguarderanno anche le piattaforme digitali.

Il pacchetto IVA, sul quale è stato raggiunto un accordo dopo due anni di trattative, persegue l’obiettivo di contrastare le frodi e semplificare gli adempimenti delle piccole imprese e dei singoli prestatori di servizi.

L’accordo riguarda in particolare un regolamento, un regolamento di esecuzione e una direttiva.

Modifiche del sistema IVA: novità anche per le locazioni brevi

Questi tre atti modificheranno vari aspetti del sistema IVA.

  • Entro il 2030, gli obblighi di comunicazione IVA potranno essere assolti in modalità completamente digitale.
  • Le piattaforme online, compresa AIRBNB, dovranno pagare l’IVA sui servizi del contratto di locazione breve se i prestatori di servizi non addebiteranno l’imposta.
  • Più sportelli IVA e più efficienti per evitare registrazioni costose a carico delle imprese che operano in più Stati.

Comunicazioni digitali IVA:  e-fattura

L’attuale obbligo di presentazione degli elenchi riepilogativi di beni e servizi alienati alle imprese di altri Stati UE e soggetti a IVA verrà sostituito dalla comunicazione in tempo reale delle fatture elettroniche a fini IVA. Le varie amministrazioni fiscali degli Stati condivideranno i dati attraverso un sistema che sarà in grado di rilevare le operazioni fraudolente. Questo progetto verrà attuato in due fasi diverse. La sua introduzione avverrà nel 2030, la sua interoperabilità entro il 2035.

Locazioni brevi: obblighi IVA per le piattaforme

Al momento molte piattaforme online che prestano servizi non pagano l’IVA. Questo perché i singoli proprietari di appartamenti che li concedono a terzi con contratti di locazione breve, ignorano completamente gli obblighi fiscali o non conoscono i vari adempimenti da rispettare nei singoli paesi UE, soprattutto se soggetti privati od operanti con un regime speciale previsto in favore delle piccole imprese.

Questo crea una discrasia tra coloro che stipulano contratti di locazione breve in modo tradizionale e coloro che, invece, si affidano alle piattaforme.

In base alle nuove regole IVA, chi gestisce le piattaforme sarà responsabile della riscossione dell’Iva se i prestatori di servizi non adempiono (modello del prestatore presunto). La piattaforma quindi riscuoterà l’IVA dal cliente e poi la verserà alle autorità competenti.

Il regime di raccolta e di versamento dell’IVA da luglio 2028 sarà facoltativo, ma dal gennaio 2030 diventerà obbligatorio.

Sportello Unico registrazioni IVA

L’accordo estende l’utilizzo dello sportello unico non solo per le cessioni e prestazioni transfrontaliere, anche per le vendite tra le imprese e i consumatori di determinati prodotti, come l’energia elettrica o il gas, che vengono effettuate in uno Stato membro diverso dal proprio.

In questo modo più imprese potranno assolvere ai propri obblighi IVA tramite uno sportello unico e in un’unica lingua.

 

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