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Tutela degli animali: pene più severe per legge In Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 1° luglio la legge in materia di tutela degli animali. Ecco cosa prevede

Tutela degli animali: legge in vigore dal 1° luglio

Dopo l’approvazione definitiva del 29 maggio scorso da parte del Senato, la nuova legge n. 82/2025 che mira a a rafforzare la tutela degli animali, in linea con la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, che riconosce la protezione degli animali come valore fondamentale, è approdata in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore dal 1° luglio 2025.

Il testo introduce numerose modifiche al codice penale, intensificando le sanzioni per i reati contro gli animali e prevedendo nuove misure di prevenzione e contrasto.

Queste modifiche rappresentano un passo avanti nella tutela giuridica degli animali, con pene più severe, nuove aggravanti e misure preventive. Le legge sottolinea il riconoscimento degli animali come esseri senzienti e introduce strumenti concreti per combattere la crudeltà e promuovere il loro benessere.

Sanzioni penali più elevate a tutela degli animali

L’articolo 1 modifica il Titolo IX-bis del Libro II del codice penale, riformulando il titolo in “Dei delitti contro gli animali”. Questo cambiamento elimina il riferimento al “sentimento per gli animali”, concentrandosi sulla tutela diretta degli animali come esseri senzienti. Ecco un riepilogo delle principali modifiche introdotte:

Organizzazione di spettacoli con sevizie (art. 544-quater)

La pena pecuniaria passa da 3.000-15.000 euro a 15.000-30.000 euro. Verrà inoltre punito anche chi, al di fuori dei casi di concorso, si limita a partecipare a questi spettacoli e manifestazioni.

Combattimenti tra animali (art. 544-quinquies)

La reclusione per questo reato aumenta da 1-3 anni a 2-4 anni. La pena per i partecipanti, in precedenza limitata ai proprietari degli animali, si estende a chiunque partecipi ai combattimenti (reclusione 3 mesi-2 anni e multa 5.000-30.000 euro).

Uccisione di animali (art. 544-bis)

La reclusione sale da 4 mesi-2 anni a 6 mesi-3 anni, con l’aggiunta di una multa di 5.000-30.000 euro.

Aggravante: sevizie o sofferenze prolungate sono punite con reclusione da 1 a 4 anni e una multa 10.000-60.000 euro.

Maltrattamento di animali (art. 544-ter)

La reclusione passa da 3-18 mesi a 6 mesi-2 anni, la multa (5.000-30.000 euro) diventa obbligatoria e si estende l’aggravante in caso di somministrazione di sostanze dannose agli animali.

Uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638)

Chi, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora tre o più animali raccolti in gregge o in mandria, ovvero compie il fatto su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria, verrà punito con la pena della reclusione minima di un anno e massima di 4 anni.

Abbandono di animali (art. 727)

La multa minima passa da 1.000 a 5.000 euro. L’ammenda resta invece fissata nella misura massima di 10.000 euro.

Protezione della fauna selvatica (art. 727-bis)

Per l’uccisione, la cattura e la detenzione di esemplari di specie animali selvatiche protette la reclusione aumenta da 1-6 mesi a 3 mesi-1 anno. La multa invece passa da 4.000 a 8.000 euro.

Distruzione di habitat protetti (art. 733-bis)

Per chi distrugge o deteriora un habitat all’interno di un sito protetto la reclusione passa da un massimo di 18 mesi a 3 mesi-2 anni, mentre la multa minima diventa 6.000 euro.

Aggravante comune (art. 544-septies)

Viene introdotta un’aggravante a effetto comune per i reati di cui agli articoli 544 bis c.p, 544 ter c.p, 544 quater c.p, 544 quinquies c.p e 638 c.p, commessi in presenza di minori, nei confronti di più animali, o con diffusione attraverso strumenti telematici.

Misure preventive e procedurali a tutela degli animali

La legge tutela la salute psico fisica-degli animali, introducendo   importanti novità anche sotto il profilo procedurale.

Sequestro e confisca di animali

Gli animali vittime di reato non potranno essere abbattuti o ceduti fino alla sentenza definitiva. Il nuovo art. 260-bis del codice di procedura penale regola il sequestro, consentendo l’affidamento degli animali a enti, associazioni o privati dietro cauzione. Chi commette reati abituali contro gli animali potrà essere soggetto a misure di prevenzione previste dal codice antimafia.

Responsabilità amministrativa di enti e società

L’introduzione dell’art. 25-undevicies nel decreto legislativo 231/2001 prevede sanzioni specifiche per gli enti coinvolti in reati contro gli animali.

Divieto di catene

Sarà vietato tenere gli animali legati con catene o strumenti simili, salvo esigenze documentate. La violazione sarà punita con una multa da 500 a 5.000 euro.

Traffico illecito di animali da compagnia

La reclusione aumenta a 4-18 mesi e la multa da 6.000 a 30.000 euro. Sanzioni più severe sono previste per l’introduzione illecita di animali sul territorio nazionale.

Banca dati dei reati contro gli animali

Sarà creata una sezione specifica nella banca dati delle Forze di polizia, con il coinvolgimento del Ministero dell’Ambiente per il coordinamento.

Divieto di commercio di pellicce di gatti domestici

Sarà vietato utilizzare a fini commerciali pelli e pellicce della specie Felis catus.

 

Leggi anche: Reato somministrare farmaci non necessari agli animali

permesso di costruire

Permesso di costruire per recinzioni: quando è necessario Il Consiglio di Stato chiarisce quando è richiesto il permesso di costruire per le recinzioni: attenzione alle opere permanenti. Ecco i criteri e le regole applicabili

Recinzioni e permesso di costruire

Con la sentenza n. 4044 del 2025, il Consiglio di Stato ha stabilito che anche una recinzione può richiedere il permesso di costruire, quando assume carattere permanente e incide in modo non transitorio sull’assetto edilizio del territorio.

L’occasione è data dal ricorso avverso una decisione del T.A.R. Campania (sentenza n. 6962/2021), e offre lo spunto per riepilogare i principi che regolano l’edilizia libera e gli interventi che esulano da essa.

Il diritto alla recinzione e i suoi limiti edilizi

Ai sensi dell’art. 841 c.c., ogni proprietario ha diritto a chiudere il proprio fondo. Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi modalità di recinzione sia esente da titoli abilitativi. La giurisprudenza, infatti, distingue tra:

  • recinzioni leggere e precarie, come reti metalliche su paletti infissi nel terreno;

  • recinzioni strutturalmente rilevanti, come muretti in calcestruzzo o opere murarie con carattere di durabilità e impatto visivo.

Solo le prime possono rientrare nel regime di edilizia libera, mentre le seconde necessitano di permesso di costruire in quanto assimilabili a nuove costruzioni (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 26 marzo 2025, n. 2575).

Edilizia libera: cosa si può fare senza titolo abilitativo

Il quadro normativo dell’edilizia libera è disciplinato da tre riferimenti principali:

  1. Art. 6 del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), che elenca tassativamente le opere realizzabili senza permesso;

  2. DM 2 marzo 2018, che contiene un glossario esplicativo delle opere più comuni (es. arredi da giardino, giochi per bambini, pergotende, piccoli manufatti);

  3. Art. 3, comma 1, lett. e.5) del D.P.R. 380/2001, che si riferisce a strutture mobili temporanee, come tende e roulotte.

Secondo la giurisprudenza, questo regime va interpretato in senso restrittivo: le opere edilizie sono libere solo se non producono impatti permanenti sul territorio e non modificano volumi, superfici o destinazioni d’uso (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6668).

Esempi pratici: cosa richiede titolo edilizio e cosa no

Serve il permesso di costruire:

  • Recinzioni con muro di sostegno in cemento o simili;

  • Opere che modificano in modo stabile l’assetto del territorio;

  • Installazioni con impatto paesaggistico o urbanistico.

Rientra nell’edilizia libera:

  • Recinzioni leggere (reti su paletti senza fondazioni);

  • Cancelli funzionali alla delimitazione, in assenza di vincoli speciali;

  • Tinteggiature che ripristinano l’aspetto preesistente;

  • Soppalchi interni non abitabili né volumetricamente rilevanti;

  • Pergotende, se amovibili e prive di elementi edilizi rigidi.

Compatibilità con vincoli paesaggistici e urbanistici

Anche quando l’opera rientra nell’edilizia libera, non è mai slegata dal rispetto delle norme urbanistiche e paesaggistiche. Le amministrazioni locali possono imporre prescrizioni tecniche per garantire l’armonia con il contesto, specialmente in aree vincolate (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964).

Il diritto del proprietario non è quindi illimitato: il Comune può valutare caso per caso, considerando materiali, dimensioni, impatto visivo e durata dell’opera (T.A.R. Toscana, Firenze, 10 settembre 2019, n. 1227).

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iscro indennità lavoratori autonomi

ISCRO: indennità lavoratori autonomi Cos'è l'ISCRO (Indennità lavoratori autonomi), quali sono i requisiti e come fare domanda dal 16 giugno 2025

ISCRO: cos’è

L’ISCRO (indennità lavoratori autonomi) è l’acronimo del termine Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa, un’indennità riservata a coloro che sono iscritti alla Gestione separata INPS e che hanno subito un decremento del reddito.

Riferimenti normativi

L’ISCRO è stata introdotta per gli anni 2021-2023 dai commi 386-400 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2021 n. 178/2020 in via sperimentale. In seguito è entrata a regime grazie alla legge di bilancio per il 2024 n. 213/2023, ai sensi dei commi 142-155 dell’articolo 1.

ISCRO: requisiti necessari

Per poter beneficiare della misura il richiedente deve essere in possesso di determinati requisiti.

  • Essere titolare di partita Iva da almeno 3 anni nel momento in cui presenta la domanda. La partita Iva deve essere collegata all’attività per la quale è stata richiesta l’iscrizione alla gestione separata.
  • Essere un lavoratore autonomo professionale e abituale iscritto alla Gestione Separata INPS.
  • Essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali obbligatori INPS.
  • Non essere titolare del trattamento pensionistico diretto.
  • Non essere assicurato in altre forme previdenziali obbligatorie nel momento in cui presenta la domanda.
  • Non essere titolare dell’assegno di inclusione per tutto il periodo in cui beneficia dell’ISCRO, a pena di decadenza.
  • Essere titolare di un reddito derivante dallo svolgimento del lavoro autonomo e relativo all’anno precedente rispetto alla presentazione della domanda inferiore al 70% della media dei redditi derivanti dal lavoro autonomo dei 2 anni precedenti.
  • Aver dichiarato nell’anno anteriore a quello di presentazione della domanda un reddito non superiore ai 12.000 euro, che viene calcolato annualmente in base alla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rispetto all’anno precedente.
  • Autocertificare i redditi prodotti negli ultimi 3 anni quando presenta la domanda se queste informazioni non sono già in possesso dell’Inps;
  • Partecipare a percorsi di aggiornamento professionale definiti dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

Incompatibilità con altre misure

L’Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale Operativa non viene concessa se il soggetto richiedente:

  • è titolare di una pensione diretta;
  • percepisce già un’indennità di disoccupazione come la NASpI, la DIS-COLL, l’ALAS e l’indennità di discontinuità lavorativa prevista per i lavoratori dello spettacolo;
  • ricopre cariche elettive o politiche che prevedono il riconoscimento di indennità di funzione o di trattamenti economici diversi dal gettone di presenza.

Domanda ISCRO: come e quando

Come precisato nel messaggio INPS n. 1858/2025, la domanda per richiedere l’ISCRO 2025 può essere presentata all’Inps a partire dal 16 giugno fino 31 ottobre 2025 nelle seguenti modalità:

  • tramite il contact center al numero 803164 per chi chiama da rete fissa (gratuito) o al numero 06164 164 per chi utilizza un device mobile (a pagamento in base alla tariffa dell’operatore);
  • in modalità telematica dopo avere effettuato l’accesso al portale INPS con le proprie credenziali (SPID, CIE 3.0, CNS);

Attenzione: la misura non può essere richiesta nei due anni successivi rispetto a quello in cui il richiedente ha iniziato a beneficiare della misura.

Vai alla pagina del servizio sul sito Inps

ISCRO: decorrenza e durata

L’ISCRO viene erogata per la durata di sei mesi dal giorno successivo rispetto alla data di presentazione della domanda.

Importo ISCRO

L’importo mensile stabilito per l’indennità ISCRO non può essere inferiore a 250 euro e non può superare gli 800 euro.

Per stabilire l’importo spettante vengono presi come riferimento i redditi dei due anni che precedono quello della richiesta. Si calcola poi la media dei due redditi annuali dividendoli per due. Una volta ottenuto il reddito medio annuale lo si divide ancora per 2 per stabilire il reddito medio semestrale. La media del reddito semestrale così ottenuto viene infine moltiplicata per il 25%.

Regime fiscale e contributivo dell’indennità

L’ Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa non è considerata una voce di reddito per il beneficiario e non comporta l’accredito della contribuzione figurativa.

ISCRO: quando si perde

Il diritto all’indennità ISCRO si perde quando il beneficiario:

  • chiude la partita IVA mentre viene erogata l’indennità;
  • diventa titolare di una pensione diretta;
  • si iscrive ad altre forme previdenziali obbligatorie;
  • acquisisce la titolarità dell’assegno di inclusione.

Per maggiori dettagli leggi la Circolare INPS n. 84/2024

 

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reati fiscali

Reati fiscali, tenuità del fatto se il debito è quasi estinto La Cassazione riconosce la tenuità del fatto per chi, pur indagato per reati fiscali, ha quasi integralmente estinto il debito

Reati fiscali e tenuità del fatto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22076/2025, ha ribadito un importante principio in materia di reati fiscali: l’elevato grado di collaborazione del contribuente con l’amministrazione finanziaria può giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., che disciplina la non punibilità per particolare tenuità del fatto. Ciò vale soprattutto quando l’autore del reato ha versato quasi per intero l’importo contestato.

La vicenda

La questione riguarda una contribuente, legale rappresentante di una società, imputata per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, D.lgs. 74/2000). Secondo l’accusa, l’imputata aveva inserito in dichiarazione elementi passivi fittizi per evadere l’IVA.

Condannata in primo grado dal Tribunale di Salerno il 12 marzo 2024, la sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello. La difesa, nel ricorso per Cassazione, ha però evidenziato che l’imputata aveva già versato 95.500 euro su un debito complessivo di circa 97.000 euro, lamentando il mancato riconoscimento della tenuità del fatto.

Il principio affermato

Per la Suprema Corte, il comportamento successivo alla commissione del reato — nella specie il versamento quasi integrale del debito — costituisce un indice rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La valutazione della particolare tenuità deve tenere conto della parte residua del debito ancora da saldare e dell’impegno concreto e attuale al pagamento.

Secondo i giudici, se la parte versata copre la quasi totalità del dovuto, tale condotta assume particolare rilevanza sotto il profilo collaborativo e può prevalere sull’offensività originaria del fatto.

Collaborazione e recupero prevalgono sulla punizione

La Cassazione sottolinea che negare rilevanza a tali comportamenti finirebbe per svuotare di significato la riforma dell’art. 13 del D.lgs. 74/2000, orientata a privilegiare il recupero delle somme evase rispetto alla sola finalità punitiva. Il diritto penale tributario moderno, in questa prospettiva, è volto a incentivare la regolarizzazione spontanea, anche parziale, dei debiti tributari.

Allegati

giurista risponde

Adescamento di minore e reati-fine: quale confine Come si atteggia il delitto di adescamento di minore previsto e punito dall’art. 609undecies c.p. rispetto ai reati-fine cui tende la condotta dell’agente?

Quesito con risposta a cura di Giulia Boursier Niutta e Tiziana Cassano

 

Il delitto di adescamento, di cui all’art. 609undecies c.p., è stato introdotto dalla L. 1° ottobre 2012, n. 172, recante la ratifica della Convenzione di Lanzarote, per accrescere la tutela del minore rispetto ai pericoli cui è esposto, in particolare sul web, e contiene una clausola di riserva “se il fatto non costituisce più grave reato”. Punisce infatti solo le condotte prodromiche a quelle previste dagli articoli da 600 a 600quinquies e dagli art. 609bis, 609quater, 609quinquies, 609octies c.p., sempre che non si sia verificato il reato fine. Il presupposto, pertanto, è che non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato fine. Si tratta quindi di una tutela anticipata rispetto alla commissione del reato fine, sia pure allo stadio del tentativo, e non è ammesso il concorso formale tra i due reati, perché vi sarebbe un bis in idem (Cass. sez. VI, 23 gennaio 2025, n. 2787).

Avverso la sentenza di condanna pronunciata in secondo grado che riconosceva la responsabilità penale dell’imputato in ordine al delitto previsto e punito dall’art. 609undecies c.p., la difesa ricorreva per Cassazione, eccependo violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo alla carenza dell’elemento soggettivo del reato di adescamento sotto il duplice profilo dell’assenza di prova dell’intenzione di commettere il reato-fine di atti sessuali con minorenne e della mancanza di prova della conoscenza o conoscibilità dell’età della persona offesa.

Dall’ipotesi accusatoria recepita dai giudici di merito, emergeva che l’imputato – venticinquenne – avesse adescato la persona offesa – dodicenne – su un social, carpendone la fiducia mediate la cessione delle credenziali di accesso alla piattaforma Netflix, finalizzata ad ottenere incontri sessuali. Inequivocabile appariva l’intento dal contenuto erotico delle conversazioni virtuali intrattenute, connotate da richieste ed inoltro da parte dell’imputato di materiale pornografico autoprodotto, nonché dalle bramose richieste di incontro in circostanze di intimità. Parimenti sconfessata appariva l’eccezione della difesa in ordine alla conoscibilità dell’età della persona offesa, atteso che quest’ultima denegava una richiesta d’incontro a causa della punizione impartita dai genitori.

Ebbene, la Suprema Corte adita – ritenendo il ricorso complessivamente infondato – ha trattato della fattispecie di adescamento di minore, analizzandone natura e funzione. Partendo dalla ratio legis della fattispecie in esame – rappresentata dalla necessità di tutelare i minori rispetto ai pericoli cui sono esposti, in particolare sul web, concepita al precipuo scopo di neutralizzare il rischio di commissione di reati più gravi – e dall’analisi della casistica nella quale si è costantemente ravvisato il tentativo del delitto di atti sessuali con minorenni, la Corte di legittimità ha evidenziato quanto segue. La disposizione di cui all’art. 609undecies c.p., integrando un reato di pericolo concreto, offre una tutela anticipata al bene giuridico che mira a proteggere (corretto sviluppo psicofisico del minore e sua autodeterminazione), criminalizzando condotte prodromiche rispetto a quelle previste dagli articoli da 600 a 600quinquies e dagli artt. 609bis, 609quater, 609quinquies e 609octies c.p., sempreché non si sia verificato il reato fine. Segnatamente, il delitto de quo si configura allorquando l’agente ponga in essere – attraverso artifici, lusinghe o minacce – atti volti a carpire la fiducia del minore, al fine di attrarre la persona offesa al proprio volere e addivenire al compimento del reato-fine. Affinché si configuri il delitto di cui all’art. 609undecies c.p. è, pertanto, necessario che non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato-fine, cui si accede quando si passa a richieste insistenti o pressanti di ottenere materiale pornografico ovvero atti sessuali. Quanto detto fuga ogni dubbio in ordine alla tenuta costituzionale della norma rispetto al principio di offensività. Parimenti è a dirsi per quanto concerne la legittimità della norma rispetto ai principi di determinatezza e proporzionalità della pena, atteso che il vaglio sull’elemento soggettivo del reato – dolo specifico – e sulla materialità dello stesso è ancorato a parametri oggettivi dai quali possa dedursi il movente sessuale e che gli atti posti in essere dall’agente finalisticamente orientati alla commissione del reato fine sono sanzionati con una cornice edittale autonoma – equa, proporzionata e inferiore – rispetto a quella prevista per i delitti cui accede. Di qui, la compatibilità del sistema anche con il principio di rieducazione della pena.

 

(*Contributo in tema di “Il confine tra il delitto di adescamento di minore e i reati-fine che la norma mira a prevenire”, a cura di Giulia Boursier Niutta e Tiziana Cassano, estratto da Obiettivo Magistrato n. 84 / Aprile 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

limiti deontologici

Critiche offensive sui social: il CNF ribadisce i limiti deontologici Il CNF ribadisce i limiti deontologici alla libertà di critica verso l’ordine: offese e accostamenti criminali sui social violano la deontologia forense

Critiche offensive sui social e limiti deontologici

Critiche offensive e limiti deontologici: la libertà di manifestare il proprio pensiero non può trasformarsi in un attacco denigratorio contro le Istituzioni Forensi. A ribadirlo è il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 415/2024, pubblicata l’8 giugno 2025 sul sito ufficiale del Codice Deontologico, che richiama con fermezza gli avvocati al rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e rispetto verso l’Ordine professionale e l’intera Avvocatura.

I fatti: accuse offensive e accostamenti inaccettabili

Il caso trae origine dalla condotta di un avvocato che, attraverso un utilizzo improprio dei social network, ha pubblicato contenuti offensivi e denigratori rivolti alle Istituzioni Forensi, accostandole ad organizzazioni criminali e utilizzando espressioni gravemente lesive della dignità dell’Ordine. I post, pur esprimendo un pensiero critico, hanno oltrepassato la soglia del lecito per assumere i tratti della vera e propria invettiva personale.

La decisione del CNF

Nel confermare la sanzione disciplinare irrogata in primo grado, il CNF ha sottolineato che: “La libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale.”

Il giudice deontologico ha precisato che la libertà di espressione, pur costituzionalmente garantita, non è assoluta, soprattutto quando si esercita in ambiti professionali regolati da obblighi di condotta. È pertanto incompatibile con la dignità della professione l’utilizzo dei social per esprimere dissenso con toni deplorevoli, gravemente offensivi o denigratori.

Il confine tra critica e offesa

Secondo il CNF, esprimere opinioni o critiche sull’operato dell’Ordine o delle istituzioni dell’Avvocatura è legittimo, ma solo se svolto nel rispetto delle forme e dei principi di civile confronto. Quando la critica degenera in accostamenti infamanti o insinuazioni diffamatorie, si concretizza una grave violazione deontologica, poiché si compromette non solo il decoro del singolo avvocato, ma l’immagine dell’intera categoria.

modello 5

Modello 5 inviato in ritardo? L’illecito deontologico resta Il CNF chiarisce: l’invio tardivo del Modello 5 revoca la sospensione ma non esclude la responsabilità disciplinare

Modello 5, regolarizzazione non elimina l’illecito

Con le decisioni n. 407, 408 e 409 del 2024, pubblicate il 12 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito un principio importante in tema di responsabilità deontologica degli avvocati: l’invio tardivo del Modello 5 alla Cassa Forense non scrimina l’illecito disciplinare, anche se comporta la revoca della sospensione amministrativa.

Il caso: omissione del Modello 5 e difesa in giudizio

Il caso esaminato riguardava un avvocato sanzionato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina per omesso invio del Mod. 5. L’incolpato aveva impugnato la decisione davanti al CNF, sostenendo che la propria posizione era stata nel frattempo regolarizzata con Cassa Forense e chiedendo quindi l’estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere.

La decisione del CNF: responsabilità confermata

Il Consiglio Nazionale Forense ha però rigettato l’eccezione difensiva, chiarendo che la regolarizzazione tardiva rileva solo per individuare la data finale di consumazione dell’illecito, ma non comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.

Infatti, secondo l’art. 17, comma 5 della legge n. 576/1980 (come modificato dalla legge n. 141/1992), l’omesso invio del Mod. 5 determina la sospensione amministrativa dell’avvocato, sospensione che viene meno una volta trasmesso il modello. Tuttavia, la violazione deontologica si consuma comunque e rimane sanzionabile.

bonus anziani

Bonus anziani 2025: a chi spetta la prestazione universale Cos'è e come funziona il Bonus anziani, la nuova prestazione universale 2025, pari a 850 euro al mese che vanno ad aggiungersi all'indennità di accompagnamento

Bonus anziani 2025 INPS

E’ partito il 2 gennaio 2025 il Bonus anziani, la nuova Prestazione Universale che l’INPS ha iniziato a erogare, in via sperimentale. Questo beneficio è destinato agli ultraottantenni non autosufficienti con un bisogno assistenziale classificato come “gravissimo”, come stabilito dall’articolo 34 del decreto legislativo 29/2024 recante “Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33”.

Periodo di sperimentazione

Il progetto pilota, ha reso noto l’INPS specificando tutti i dettagli del nuovo bonus anziani nel messaggio n. 4490 del 30 dicembre 2024, avrà durata biennale, con decorrenza dal 1° gennaio 2025 e conclusione al 31 dicembre 2026.

Bonus anziani e indennità di accompagnamento

La Prestazione Universale assorbirà l’indennità di accompagnamento (prevista dalla legge n. 18/1980) e alcune prestazioni fornite dagli ATS (Agenzie di Tutela della Salute), limitatamente agli ambiti di loro competenza, come previsto dall’articolo 1, comma 164, della legge 234/2021.

Modalità di presentazione della domanda

Dal 2 gennaio 2025, è possibile presentare la domanda online tramite la pagina dedicata sul sito INPS, intitolata “Decreto Anziani – Prestazione Universale”.

L’accesso potrà avvenire mediante:

  • Identità digitale personale (SPID, CIE o CNS);
  • Assistenza dei patronati.

A chi spetta il Bonus anziani 2025

Per ottenere il beneficio, è necessario soddisfare i seguenti criteri:

  1. Età: avere almeno 80 anni compiuti;
  2. Bisogno assistenziale: condizione di gravissima non autosufficienza, accertata dalla Commissione medico-legale dell’INPS sulla base delle indicazioni della Commissione tecnico-scientifica (nominata con DM n. 155/2024 e approvate con decreto ministeriale del 19 dicembre 2024);
  3. Situazione economica: ISEE per prestazioni sociosanitarie agevolate ordinario non superiore a 6.000 euro;
  4. Indennità di accompagnamento: essere titolari dell’indennità prevista dalla legge n. 18/1980 (l’eventuale sospensione di tale indennità comporta l’impossibilità di ottenere la Prestazione Universale).

Isee sociosanitario nucleo ristretto

Con il messaggio 10 giugno 2025, n. 1842, l’INPS ha chiarito che, per il riconoscimento della Prestazione Universale, è valido anche l’ISEE sociosanitario recante un nucleo ristretto e non solo quello recante un nucleo ordinario, come precedentemente dichiarato. Restano fermi il valore dell’attestazione ISEE, che non deve essere superiore a 6.000 euro, e gli ulteriori requisiti previsti per il riconoscimento della prestazione. L’Istituto procederà d’ufficio al riesame delle domande presentate.

Importo del Bonus anziani 2025

Il beneficio verrà erogato mensilmente e comprende:

  • Quota fissa monetaria: pari all’importo dell’indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18/1980 (attualmente fissato a 531,76 euro);
  • Quota integrativa: un assegno di assistenza di 850 euro mensili, destinato a:
    • Coprire i costi per l’assunzione regolare di lavoratori domestici con mansioni di assistenza;
    • Finanziarie servizi di assistenza erogati da imprese specializzate, in linea con la programmazione regionale e locale.

Monitoraggio e adeguamenti futuri

L’INPS si occuperà di monitorare le spese legate alla Prestazione Universale. Qualora si riscontrassero scostamenti tra il numero di richieste e le risorse finanziarie disponibili, potrebbe essere necessario rivedere l’importo mensile della quota integrativa.

 

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Naspi

Naspi, ferie e riposi contano come giornate di lavoro effettivo La Cassazione chiarisce: per la Naspi valgono ferie e giorni retribuiti come lavoro effettivo. Anche le pause rientrano nel requisito dei 30 giorni

Naspi, il concetto di lavoro effettivo

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 15660/2025, ha precisato i criteri interpretativi relativi al requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo” richieste per l’accesso alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego). Secondo la Corte, non solo le giornate di effettiva attività lavorativa, ma anche quelle di ferie e riposi retribuiti contribuiscono al raggiungimento del requisito.

Ferie e pause retribuite: giorni da includere

I giudici hanno ribadito che le giornate in cui il lavoratore è in ferie o in pausa retribuita non interrompono il sinallagma contrattuale. Anche in assenza di attività materiale, l’obbligo retributivo e contributivo permane, rendendo queste giornate giuridicamente assimilabili al lavoro effettivo.

Tali momenti, infatti, sono considerati parte integrante e fisiologica del rapporto di lavoro, finalizzati alla tutela della salute e al recupero psico-fisico del dipendente.

Lavoro effettivo: interpretazione giuridica

La Cassazione ha chiarito che il concetto di “lavoro effettivo” non va interpretato in senso strettamente materiale, cioè come prestazione fisica resa, ma secondo un’accezione giuridica. Conta ogni giornata che dà diritto alla retribuzione e alla contribuzione, a prescindere dalla concreta attività lavorativa svolta.

Naspi: i principi di diritto fissati dalla Cassazione

Nel corpo della sentenza, la Suprema Corte ha espresso due importanti principi di diritto applicabili ai casi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, in base all’art. 3, comma 1, lett. c), del D.lgs. 22/2015, nella versione anteriore alla riforma della legge n. 207/2024:

  • Sono valide ai fini della Naspi tutte le giornate che comportano retribuzione e contribuzione, comprese ferie e riposi;

  • Non vanno conteggiati i periodi di sospensione del rapporto per cause tutelate dalla legge, che vengono considerati “neutrali” nel computo dei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

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farmacie dei servizi

Farmacie dei servizi: quali limiti Il TAR Sicilia chiarisce i limiti delle farmacie dei servizi: prestazioni solo in sede e non assimilabili a quelle dei centri sanitari accreditati

Cosa sono le farmacie dei servizi

Le farmacie dei servizi sono un’evoluzione della farmacia tradizionale, introdotta per offrire sul territorio prestazioni a valenza socio-sanitaria complementari a quelle dei medici e delle strutture sanitarie accreditate. Introdotte con il D.lgs. n. 153/2009, hanno trovato attuazione con il D.M. 16 dicembre 2010 e successive norme, soprattutto in risposta all’emergenza Covid-19. Il loro scopo è potenziare l’offerta sanitaria del Servizio sanitario nazionale (SSN), soprattutto nei piccoli centri e nelle aree a bassa densità medica.

Le prestazioni erogabili includono, ad esempio, servizi di screening, prenotazioni CUP, autoanalisi, misurazioni, vaccinazioni e test diagnostici in farmacia.

Il caso esaminato dal TAR Sicilia

Con la sentenza n. 881/2025, il TAR Sicilia ha risolto una controversia avviata da alcune associazioni e strutture sanitarie private contro l’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana. In particolare, venivano contestate:

  • le linee guida regionali per l’erogazione sperimentale di nuovi servizi da parte delle farmacie di comunità;

  • la possibilità di eseguire tali servizi in locali esterni alla farmacia;

  • la remunerazione delle prestazioni a carico del SSN senza il rispetto dei requisiti di autorizzazione e accreditamento previsti per le strutture sanitarie private.

TAR: non sono operatori sanitari

Il tribunale ha stabilito che le farmacie dei servizi non sono assimilabili agli operatori sanitari accreditati. Infatti, esse erogano prestazioni socio-sanitarie, non sanitarie in senso stretto, e quindi non devono sottostare agli stessi requisiti strutturali e autorizzativi imposti a poliambulatori o cliniche private. Per questo motivo, non si configura alcuna violazione in termini di autorizzazione sanitaria.

Stop alle prestazioni in locali esterni

Diverso è il giudizio sulla possibilità di erogare le prestazioni in spazi esterni alla sede della farmacia. Su questo punto, il TAR ha accolto il ricorso, ritenendo illegittima la previsione regionale che autorizzava l’erogazione in ambienti del tutto separati dalla farmacia stessa.

Secondo il Collegio, il D.M. 16 dicembre 2010, che parla di “spazi dedicati e separati dagli altri ambienti”, fa riferimento a locali interni alla farmacia, e non a strutture esterne. Inoltre, l’unica eccezione ammessa dal legislatore è quella prevista dall’art. 1, comma 2, lett. e-quater del D.lgs. 153/2009, che consente l’uso di locali esterni solo per vaccinazioni e tamponi anti-Covid o antinfluenzali.

In mancanza di una base normativa chiara, un ampliamento tramite atto amministrativo è stato giudicato inammissibile.