vespaio

Il vespaio: regime condominiale Il vespaio in condominio: cos’è e a cosa serve, disciplina, qual’è la sua natura giuridica e come vengono ripartite le spese di manutenzione

Cos’è il vespaio e a cosa serve?

Il vespaio è una struttura edilizia situata tra il suolo e il pavimento del piano terra di un edificio, composta generalmente da uno spazio vuoto o da un sistema di elementi modulari in plastica o calcestruzzo. La sua funzione principale è migliorare l’isolamento termico e impedire l’umidità di risalita, oltre a garantire una maggiore protezione contro infiltrazioni d’acqua e la presenza di gas nocivi come il radon.

Il vespaio è un bene comune? 

Uno dei principali quesiti in ambito condominiale riguarda la qualificazione del vespaio come bene comune o pertinenza esclusiva di alcuni condomini.

Ai sensi dell’art. 1117 c.c., rientrano tra le parti comuni dell’edificio le strutture essenziali alla stabilità, sicurezza e funzionalità dell’immobile. La giurisprudenza ha più volte chiarito che, salvo diversa indicazione nel titolo di proprietà o nel regolamento condominiale, il vespaio deve considerarsi una parte comune, in quanto necessario alla stabilità e all’isolamento dell’edificio.

Tuttavia, se il vespaio è stato realizzato successivamente da un singolo condomino per migliorare il comfort del proprio appartamento senza incidere sulla struttura portante dell’edificio, potrebbe essere considerato una pertinenza esclusiva.

Ripartizione delle spese del vespaio

Poiché il vespaio ha la funzione di preservare l’integrità strutturale dell’edificio e migliorare l’abitabilità degli ambienti, le spese per la sua manutenzione e riparazione sono generalmente a carico di tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà (art. 1123 c.c.).

Tuttavia, si possono verificare delle eccezioni:

  • se il vespaio serve esclusivamente un’unità immobiliare, il costo della manutenzione spetterà al relativo proprietario;
  • se il titolo di proprietà o il regolamento di condominio dispone diversamente, le spese possono essere ripartite in modo differente;
  • se l’intervento sul vespaio è legato a un abuso edilizio o a una modifica non autorizzata da parte di un condomino, le spese saranno interamente a suo carico.

Giurisprudenza sul vespaio condominiale

La giurisprudenza ha fornito diverse indicazioni in merito alla natura condominiale del vespaio.

Cassazione n. 8252/2025

Secondo l’interpretazione giuridica, il vespaio sottostante il pavimento del piano terra, se realizzato con uno strato di materiale inerte e avente la sola funzione di isolamento e separazione tra la superficie di sedime e la soletta inferiore, non è considerato parte del suolo comune ai sensi dell’articolo 1117 del Codice Civile. Questo perché tale manufatto è specificamente destinato a migliorare le condizioni abitative dell’unità immobiliare al piano terra, pur poggiando sul suolo comune. In altre parole, la sua funzione è strettamente legata alla singola unità abitativa e non al condominio nel suo insieme.

Cassazione n. 18216/2017

L’intercapedine tra le fondamenta e il piano terra, utilizzata per l’aerazione e la coibentazione dell’edificio, è considerata parte comune del condominio, a meno che i titoli di acquisto non stabiliscano diversamente. Pertanto, la Corte d’Appello ha commesso un errore nel considerare il vespaio sottostante l’unità immobiliare al piano terra come proprietà esclusiva del proprietario di tale piano e nell’escludere che i danni causati dal suo cattivo stato debbano essere interamente a carico del condominio.

Cassazione n. 23304/2014

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, il vespaio, ovvero l’intercapedine tra le fondamenta e la prima soletta del piano interrato di un edificio condominiale, è generalmente considerato di proprietà comune. Questa interpretazione deriva dalla funzione del vespaio, che è quella di garantire l’aerazione e la coibentazione dell’edificio. Tuttavia, questa regola generale può essere derogata se i titoli d’acquisto, come il regolamento contrattuale o il rogito, specificano diversamente. In assenza di tali specificazioni, le spese relative alla costruzione e alla manutenzione del vespaio devono essere ripartite tra tutti i condomini, in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà.

 

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abrogazione norme pre-repubblicane

Legge abrogazione norme pre-repubblicane Abrogazione norme pre-repubblicane: è legge il ddl che ha disposto l’eliminazione di più di 30.000 norme obsolete, semplificando il sistema

Legge abrogazione norme pre-repubblicane

Abrogazione norme pre-repubblicane. Il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 1314, che ha eliminato più di 30.000 norme risalenti all’epoca pre-repubblicana, compresa nello specifico tra il 1861 e il 1946.

Un grande passo verso la semplificazione

La legge abroga numerosi atti normativi ormai superati. Tra questi, figurano regi decreti, leggi formali, decreti legislativi luogotenenziali e decreti del Capo del Governo. Il testo si compone di due articoli e dodici allegati, che elencano dettagliatamente le norme eliminate.

Abrogate più di 30.000 norme

L’abrogazione di queste norme risponde alla necessità di semplificare il sistema legislativo. Dal 1861 al 2023, l’ordinamento italiano ha visto l’adozione di oltre 204.000 atti normativi. Di questi, 94.000 erano già stati eliminati. L’attuale intervento elimina altre 30.000 disposizioni, riducendo il numero complessivo delle norme obsolete ancora in vigore.

Quali norme sono state eliminate?

Il provvedimento riguarda atti ormai privi di utilità pratica. Tra questi:

  • norme che regolavano enti e società non più esistenti,
  • regi decreti che istituivano imposte comunali ormai abolite;
  • disposizioni che autorizzavano la ratifica di trattati internazionali non più in vigore;
  • atti che disciplinavano la denominazione di comuni oggi scomparsi o rinominati;
  • norme relative alla regolamentazione delle camere di commercio e del settore creditizio.

L’intervento non crea vuoti normativi. Le disposizioni prive di valore giuridico e che risultano cancellate non compromettono infatti in alcun modo il sistema attuale.

Ordinamento più chiaro ed efficiente

Negli ultimi decenni, diversi governi hanno lavorato per snellire il quadro normativo. L’eliminazione di leggi obsolete aiuta a rendere più chiaro il sistema legislativo, facilitando il lavoro di giuristi, pubbliche amministrazioni e cittadini.

Questa riforma rappresenta un passo importante per la modernizzazione del diritto italiano. L’eliminazione delle norme pre-repubblicane contribuisce a un ordinamento più razionale ed efficace.

 

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irap

IRAP (Imposta Regionale Attività Produttive) IRAP: guida breve all'imposta regionale sulle attività produttive applicabile alle attività economiche dirette alla produzione e allo scambio di beni o servizi

Cos’è l’IRAP

L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) è un tributo locale introdotto con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Si applica alle attività economiche dirette alla produzione e allo scambio di beni o servizi esercitate abitualmente nel territorio delle regioni, incidendo sul valore della produzione netta generata dalle imprese.

Normativa di riferimento

L’IRAP è disciplinata dal D.Lgs. 446/1997, che ne stabilisce l’ambito di applicazione, il calcolo e le modalità di versamento. Le regioni hanno facoltà di modificare l’aliquota base entro i limiti fissati dalla normativa statale.

Soggetti passivi IRAP

Sono obbligati al pagamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive:

  • le società si capitali e le società di persone;
  • gli enti non commerciali;
  • gli enti privati diversi da trust e società;
  • le amministrazioni pubbliche.

Dal 2022, le persone fisiche e i soggetti che esercitano una attività agricola (art. 32 TUIR) non sono più tenute al pagamento dell’Irap, così come certe cooperative e consorzi. Da prima del 2022 sono esclusi  dal pagamento dell’imposta coloro che operano in regime forfettario.

Base imponibile

L’IRAP si applica sul valore della produzione netta, che si determina in modo diverso a seconda della categoria di soggetti passivi e che deriva dall’attività che viene esercitata nel territorio della regione.

Aliquote IRAP

L’aliquota ordinaria è fissata al 3,9%, ma le regioni possono modificarla nei limiti di legge. Alcune aliquote differenziate riguardano il settore agricolo, quello bancario, quello assicurativo e la sanità pubblica.

Scadenze e modalità di pagamento

Il versamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive prevede la possibilità di rateizzare l’importo nelle seguenti modalità:

  • Acconto: suddiviso in due rate (a giugno e a novembre);
  • Saldo: entro il termine di pagamento delle imposte sui redditi.

Il pagamento avviene mediante modello F24, utilizzando i codici tributo specifici dell’Agenzia delle Entrate, che variano a seconda che si decida di rateizzare o meno il pagamento.

Modello IRAP 2025

L’Agenzia delle Entrate nel mese di marzo 2025 ha approvato il modello di dichiarazione “Irap 2025”, insieme alle relative istruzioni, per la presentazione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive nell’anno 2025. Questo modello, che include anche le specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati, definisce le modalità di compilazione e di invio della dichiarazione.

 

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comunione dei beni

La comunione dei beni Comunione dei beni: regime patrimoniale legale della famiglia: come funziona e differenza con la separazione dei beni

Cos’è la comunione dei beni

La comunione dei beni è il regime patrimoniale legale previsto dall’ordinamento italiano per le coppie sposate, disciplinato dagli articoli 159 e seguenti del Codice Civile. In assenza di una diversa scelta espressa dai coniugi, questo regime si applica automaticamente al matrimonio, determinando la condivisione dei beni acquisiti durante la vita coniugale.

Cos’è il regime patrimoniale della famiglia?

Il regime patrimoniale della famiglia stabilisce le norme che regolano la proprietà e la gestione dei beni dei coniugi durante il matrimonio. In Italia, i principali regimi patrimoniali sono la comunione dei beni e la separazione dei beni. La scelta del regime influisce significativamente sulla titolarità e sull’amministrazione del patrimonio familiare.

Come funziona

In virtù di questo regime i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, sia congiuntamente che separatamente, diventano automaticamente di proprietà comune. Questo implica che entrambi i coniugi possiedono una quota indivisa del 50% su tali beni, indipendentemente dal contributo economico effettivamente apportato da ciascuno.

Beni rientranti nella comunione

Secondo l’articolo 177 del Codice Civile, rientrano nella comunione legale:

  • i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, ad eccezione di quelli personali;
  • gli utili e gli incrementi delle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
  • i frutti dei beni propri di ciascun coniuge, se percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione.

Beni esclusi dalla comunione

Sono esclusi dalla comunione e considerati beni personali:

  • i beni posseduti prima del matrimonio dal singolo coniuge;
  • i beni acquisiti durante il matrimonio per donazione o successione, salvo diversa volontà del donante o del testatore di destinarli alla comunione.
  • i beni di uso strettamente personale e quelli necessari all’esercizio della professione di ciascun coniuge.
  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni e pensioni attinenti alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa.

Vantaggi e svantaggi della comunione dei beni

L’istituto della comunione applicata ai coniugi presenta vantaggi e svantaggi. Vediamoli più in dettaglio.

Vantaggi

  • parità patrimoniale: entrambi i coniugi beneficiano equamente dei beni acquisiti durante il matrimonio;
  • tutela del coniuge economicamente più debole: garantisce una protezione patrimoniale a chi ha contribuito meno finanziariamente.

Svantaggi

  • responsabilità condivisa: i debiti contratti per esigenze familiari ricadono su entrambi i coniugi;
  • limitazioni nella gestione autonoma: per atti di straordinaria amministrazione è necessario il consenso di entrambi.

Differenze con la separazione dei beni

Nel regime di separazione dei beni, ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo comporta una netta distinzione patrimoniale, offrendo maggiore autonomia nella gestione dei propri beni. Tuttavia, in caso di scioglimento del matrimonio, il coniuge che ha contribuito meno economicamente potrebbe trovarsi in una posizione svantaggiata.

Principali differenze

  • Proprietà dei beni: nella comunione, i beni acquisiti durante il matrimonio sono condivisi; nella separazione, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome.
  • Gestione patrimoniale: nella comunione, per atti di straordinaria amministrazione è richiesto il consenso di entrambi; nella separazione, ciascun coniuge gestisce autonomamente i propri beni.
  • Responsabilità sui debiti: i debiti contratti per esigenze familiari gravano su entrambi; nella separazione, ciascun coniuge risponde dei propri debiti, salvo quelli contratti per necessità familiari.

 

 

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legato remuneratorio

Il legato remuneratorio Il legato remuneratorio: definizione, l’articolo 632 c.c., gli effetti, differenze con la donazione rimuneratoria e giurisprudenza

Cos’è il legato remuneratorio

Il legato remuneratorio è una disposizione testamentaria con cui il testatore attribuisce un bene o un diritto a un soggetto per ricompensarlo di servizi o benefici ricevuti in vita, senza che vi sia un obbligo giuridico di corrispettivo. Si distingue dalla donazione remuneratoria, poiché opera mortis causa.

Normativa di riferimento: articolo 632 c.c.

Il comma 2 dell’articolo 632 del Codice Civile disciplina il legato remuneratorio, stabilendo che “Sono validi i legati fatti a titolo di rimunerazione per i servizi prestati al testatore, anche se non ne sia indicato l’oggetto o la quantità.”

Per comprendere il significato del legato rimuneratorio occorre menzionare però anche il comma 1 della norma, ai sensi del quale: “È nulla la disposizione che lascia al mero arbitrio dell’onerato o di un terzo di determinare l’oggetto o la quantità del legato.”

In sostanza il legislatore ammette il legato per riconoscenza, a condizione che la volontà testamentaria venga rispettata e non sia rimesso a un terzo o al beneficiario del legato compreso, la determinazione arbitraria dell’oggetto o della quantità del legato stesso.

Effetti del legato remuneratorio

  1. Acquisto automatico: come ogni legato, si acquista di diritto alla morte del testatore, senza necessità di accettazione espressa, salvo rinuncia;
  2. Irriducibilità totale o parziale: se il valore del legato eccede la quota disponibile, può essere ridotto a tutela dei legittimari;
  3. Diritto di prelazione: in alcuni casi, il legatario può vantare un diritto di prelazione sul bene rispetto agli eredi;
  4. Esonero dai debiti ereditari: il legatario non risponde delle passività ereditarie oltre il valore del legato ricevuto.

Differenze con la donazione remuneratoria

A differenza della donazione remuneratoria (disciplinata dall’art. 770 c.c.), che è un atto inter vivos, il legato remuneratorio produce effetti solo alla morte del testatore e non richiede accettazione espressa.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire alcuni aspetti applicativi dell’articolo 632 c.c

Cassazione n. 191/1970: l’art. 632, comma 1, c.c., prevede la nullità della disposizione testamentaria quando l’oggetto o la quantità del legato sono rimessi al mero arbitrio dell’onerato o di un terzo. Tuttavia, tale norma non si estende alla scelta della data di esecuzione della prestazione, anche se questa può influire sull’ammontare del legato.

 

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fornitore energia elettrica

Fornitore energia elettrica: cambio in 24 ore Bollette energia: dal 1° gennaio 2026 sarà possibile cambiare il fornitore in sole 24 ore. Cosa prevede la proposta di ARERA

Fornitore energia: dal 12° gennaio cambio in 24 ore

Dal 1° gennaio 2026 cambiare il fornitore di energia elettrica sarà più rapido. Il passaggio avverrà in un solo giorno lavorativo, rispetto agli attuali due mesi. La novità è prevista da una direttiva europea (Clean Energy Package) ed è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 210/2021.

ARERA, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, deve approvare la delibera di attuazione entro il mese di luglio di quest’anno. Nel frattempo, ha avviato una consultazione pubblica aperta fino ad aprile 2025.

Cambio fornitore: lo switching veloce  

La proposta prevede che il cambio fornitore avvenga in sole 24 ore. Se la controparte commerciale non coinciderà con la società energetica, il tempo massimo sarà di tre giorni per completare le verifiche necessarie.

L’utente farà richiesta al proprio fornitore, che gestirà l’intera pratica attraverso il Sistema Informativo Integrato (SII). Oggi il processo richiede da uno a due mesi. Con il nuovo sistema, il passaggio invece sarà immediato, consentendo ai consumatori di approfittare velocemente di offerte più vantaggiose.

Regole per imprese e criticità del sistema

Le nuove tempistiche si applicheranno ai clienti domestici e alle piccole imprese. Le grandi aziende, invece, seguiranno ancora le regole attuali per evitare impatti eccessivi sulla gestione dei contratti e sulla programmazione degli approvvigionamenti.

Gli operatori del settore esprimono perplessità. Temono che un cambio troppo rapido possa destabilizzare il mercato e aumentare la gestione delle richieste. Alcuni propongono di limitare il numero di cambi annuali per cliente. ARERA, per ora, non intende introdurre questa restrizione, ma valuterà eventuali modifiche dopo l’entrata in vigore della riforma.

Infine, ARERA ha deciso di allineare le tempistiche di recesso e cambio fornitore a un solo giorno lavorativo. Rimangono da definire le regole per la gestione delle morosità, che saranno oggetto di futuri interventi.

 

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finestre mobili

Finestre mobili Le finestre mobili per la pensione: cosa sono, come funzionano, quali sono le finestre attuali e giurisprudenza

Cosa sono le finestre mobili?

Le “finestre mobili” sono un meccanismo previsto dal sistema pensionistico italiano. Si tratta, in sostanza, di un periodo di attesa che interviene tra il raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione e il momento effettivo in cui il pensionato può iniziare a percepire il trattamento pensionistico.

Il termine “finestra” si riferisce alla finestra temporale di accesso alla pensione, che varia a seconda della tipologia di pensione e del sistema in vigore. Le finestre mobili si “muovono” nel tempo in base alla normativa vigente, modificando così i tempi e le modalità di accesso alla pensione.

Come funzionano le finestre mobili?

In virtù del decreto legge n. 78/2010 le pensioni di anzianità e di vecchiaia che venivano liquidate ai lavoratori dipendenti decorrevano una volta che erano trascorsi 12 mesi dalla maturazione dei requisiti, mentre per i lavoratori autonomi era necessario il decorso di 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Si trattava quindi di un sistema “personalizzato”. L’apertura della finestra infatti dipendeva dalla data in cui il lavoratore raggiungeva i requisiti necessari per andare in pensione.

Con la riforma delle pensioni avvenuta per opera della legge Fornero del 2012 il sistema personalizzato è venuto meno. Ulteriori modifiche poi sono state introdotte dal decreto legge n. 4/2019, che ha introdotto una finestra mobile di 3 mesi per quei lavoratori che maturavano i requisiti per la pensione anticipata a partire dal 1° gennaio 2019.

Lo stesso decreto ha poi introdotto una finestra mobile di tre mesi, sei per i dipendenti pubblici, per chi maturava i requisiti per la pensione anticipata con quota 100, con quota 102 e con quota 103 dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2023.

A seconda della tipologia di pensione anticipata, il lavoratore deve quindi attendere un periodo di tempo variabile, che può andare dai tre ai sei mesi, per cominciare a percepire il trattamento pensionistico.   

L’introduzione delle finestre mobili ha avuto l’effetto di rendere il sistema pensionistico più sostenibile nel lungo periodo, diluendo il numero di pensionamenti anticipati e dando il tempo alle casse previdenziali di adattarsi. Tuttavia, questo ha comportato anche un allungamento dei tempi di attesa per gli utenti che intendono ritirarsi dal lavoro prima del pensionamento ufficiale.

Le attuali finestre mobili per la pensione

Oggi le finestre mobili continuano a essere un elemento centrale del sistema previdenziale italiano. Le regole attuali si differenziano a seconda del tipo di pensione a cui si accede. Ecco alcune delle principali finestre mobili per la pensione anticipata, come stabilito dalla normativa in vigore legge n. 213/2023:

– per chi matura i requisiti quota 103 dal 1° gennaio 2024 la finestra mobile è di sette mesi (che sale a 9 mesi per il pubblico impiego);

– dal 1° gennaio 2024 è prevista una finestra mobile di tre mesi per chi raggiunge i requisiti per la pensione anticipata contributiva  (64 anni e 20 anni di contributi effettiva);

– per gli assicurati ex casse di previdenza amministrate dal tesoro (CPDEL, CPI, CPS e CPUG) la finestra mobile per l’accesso alla pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne; 41 anni di contributi i precoci) è progressivamente innalzata:

  • 4 mesi per chi matura i requisiti nel corso del 2025;
  • 5 mesi per chi matura i requisiti nel corso del 2026;
  • 7 mesi per chi matura i requisiti nel corso del 2027;
  • 9 mesi per chi matura i requisiti a partire dal 2028 in poi.

Giurisprudenza rilevante  

La giurisprudenza italiana ha avuto un ruolo importante nell’interpretare e chiarire le regole relative alle finestre mobili.Essa nel tempo ha risolto soprattutto i contenziosi legati ai tempi di attesa per il pensionamento. Numerosi ricorsi sono stati presentati riguardo alla corretta applicazione di questi meccanismi. Sono diverse le sentenze significative che hanno influenzato il sistema pensionistico.

Di recente però occorre segnalare, in particolare la Cassazione n. 32453/2024, la quale ha avuto il pregio di precisare che il regime delle “finestre” previsto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 12, si applica anche ai lavoratori invalidi in misura non inferiore all’80%. Questa interpretazione deriva dal chiaro tenore testuale della norma, che individua in modo ampio l’ambito soggettivo di riferimento per lo slittamento di un anno dell’accesso alla pensione di vecchiaia. Tale ambito comprende non solo coloro che maturano il diritto a sessantacinque anni per gli uomini e a sessanta anni per le donne a partire dal 2011, ma anche tutti i soggetti che, in altri casi, maturano il diritto al pensionamento di vecchiaia alle età previste dai rispettivi ordinamenti.

 

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esame avvocati cassazionisti

Esame avvocati cassazionisti 2025 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero della Giustizia di indizione dell'esame avvocati cassazionisti 2025

Esame avvocati cassazionisti 2025: decreto in GU

Esame avvocati cassazionisti: è stato pubblicato in Gazzetta il decreto del ministero della Giustizia del 12 marzo 2025 di indizione della sessione di esami per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori per l’anno 2025. Il termine per l’invio delle domande di ammissione è il 6 giugno 2025.

I requisiti

Per essere ammessi all’esame gli aspiranti devono essere iscritti nell’albo degli avvocati e avere esercitato la professione per almeno 5 anni dinanzi ai Tribunali e alle Corti di appello. Devono, inoltre, aver compiuto lodevole e proficua pratica di almeno 5 anni presso lo studio di un avvocato che eserciti abitualmente il patrocinio davanti alla Cassazione.
I candidati ai quali non sia stata comunicata l’esclusione dall’esame sono tenuti a presentarsi, per sostenere le prove scritte, nel luogo, giorno ed ora indicati nella GU dell’11 luglio 2025.

La domanda

Le domande di ammissione all’esame, corredate di marca da bollo e della documentazione richiesta, dovranno pervenire, improrogabilmente, al Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale degli affari interni – Ufficio II – Ordini professionali e albi – via Arenula n. 70, 00186 Roma, entro il termine del 6 giugno 2025.

Le prove

Le prove sono le seguenti:

  • 3 scritti, consistenti nella compilazione di tre ricorsi per cassazione in materia civile, penale e amministrativa. Quest’ultima prova può anche consistere in un ricorso al Consiglio di Stato o alla Corte dei conti in sede giurisdizionale;
  • una prova orale, sostenuta dai candidati dichiarati idonei agli scritti, su un tema avente per oggetto una contestazione giudiziale. Nella stessa il candidato deve dimostrare la propria cultura e l’attitudine al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

Sono dichiarati idonei i candidati che conseguano complessivamente, una media di sette decimi, avendo riportato non meno di sei decimi in ciascuna prova.
Una volta ultimate le prove orali, la commissione forma l’elenco dei candidati che hanno conseguito l’idoneità.

usucapione breve

Usucapione breve Usucapione breve: cos'è, tipologie, caratteristiche distintive ed elementi comuni all’usucapione breve sugli immobili

Usucapione breve: definizione generale

L’usucapione breve è una forma accelerata di acquisto della proprietà o di altri diritti reali di godimento su un bene immobile che si realizza con il possesso continuato nel tempo. Rispetto all’usucapione ordinaria, che richiede un possesso ventennale, quella abbreviata riduce i tempi a 10 e a 5 anni, a seconda dei casi.

Tipologie  

1. Usucapione abbreviata decennale (art. 1159 c.c.)

  • riguarda gli immobili e i diritti reali di godimento sugli immobili;
  • l’acquisto deve avvenire in buona fede e da chi non è proprietario dell’immobile;
  • il possesso deve essere in buona fede e derivare da un titolo idoneo a trasferire la proprietà (es. atto di compravendita nullo per vizi formali);
  • il titolo deve essere trascritto nei registri immobiliari;
  • dopo 10 anni di possesso continuato, il possessore può ottenere la proprietà del bene in presenza di tutti i requisiti sopra indicati.

2. Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale (art. 1159 bis c.c)

  • riguarda i fondi rustici con fabbricati annessi situati nei comuni montani, così come definiti dalla legge;
  • l’acquisto deve avvenire da chi non è proprietario dell’immobile;
  • il possesso deve  avvenire in buona fede in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà;
  • il titolo deve essere trascritto nei registri immobiliari;
  • dopo 5 anni dalla data di trascrizione, si compie l’usucapione.

Questa seconda tipologia di usucapione è regolata, dal punto di vista procedurale, da leggi speciali. Essa si realizza anche su fondi rustici con fabbricati annessi presenti in comuni non montani, ma in questi casi il reddito dell’immobile non deve superare certi limiti.

Elementi chiave 

Gli elementi che caratterizzano questo tipo particolare di usucapione possono essere così sintetizzati:

  • il possesso pacifico e ininterrotto: il possesso deve essere esercitato in modo continuativo, senza interruzioni e senza contestazioni;
  • la buona fede: il possessore deve essere convinto, in modo ragionevole, di essere il legittimo proprietario del bene;
  • il titolo idoneo: deve trattarsi di un contratto valido che, se non fosse nullo o inefficace,  potrebbe trasferire la proprietà;
  • trascrizione nei registri pubblici: questo elemento è essenziale per l’usucapione abbreviata sugli immobili e sulle piccole proprietà rurali.

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condominio minimo

Condominio minimo Condominio minimo: cos’è, normativa e regole di gestione, costituzione, maggioranze, obbligo del codice fiscale e dell'amministratore

Cos’è il condominio minimo

Il condominio minimo è una particolare forma di condominio che sorge quando in un edificio vi sono almeno due proprietari di unità immobiliari distinte. Nonostante il numero ridotto di partecipanti, il condominio minimo è soggetto alla disciplina del Codice Civile e alle normative condominiali generali.

Gestione semplificata

Si parla di condominio minimo quando un edificio con almeno due unità immobiliari autonome appartiene a due diversi proprietari, i quali condividono alcune parti comuni come il tetto, le scale, la facciata o l’ascensore. Questo tipo di condominio si distingue per la sua gestione semplificata, che non prevede l’obbligo di un amministratore, fatte salve specifiche necessità.

Normativa di riferimento

Il condominio minimo è regolato dagli articoli 1117 e seguenti del Codice Civile, che disciplinano la gestione delle parti comuni nei condomini.

La Legge n. 220/2012 (riforma del condominio) del reato ha confermato l’applicabilità della normativa condominiale anche ai condomini minimi, sebbene con alcune semplificazioni.

Vediamo quali sono le disposizioni più significative del codice civile che interessano il condominio minimo.

L’art. 1117 c.c elenca le parti comuni dell’edificio, che devono essere gestite congiuntamente dai proprietari.

L’articolo 1129 c.c stabilisce che quando i condomini sono più di nove è necessario nominare un amministratore. Da questa norma si deduce che la gestione è semplificata fino a quando i condomini non sono più di otto. In questi casi infatti la nomina dell’amministratore è facoltativa.

L’art. 1138 c.c.: esonera dall’obbligo di approvare un regolamento i condomini in cui i condomini non siano più di 10.

Come si costituisce  

A differenza di un condominio tradizionale, il condominio minimo nasce automaticamente nel momento in cui un edificio con parti comuni è suddiviso tra due proprietari diversi. Non è necessario un atto formale di costituzione. I condomini però devono rispettare alcune regole fondamentali:

  • attribuzione delle spese: le spese per la manutenzione delle parti comuni vanno ripartite tra i proprietari in base ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo;
  • registrazione fiscale: se il condominio ha necessità di gestire un conto corrente o di effettuare operazioni fiscali (ad esempio, pagamenti a fornitori), è necessario richiedere un codice fiscale presso l’Agenzia delle Entrate;
  • assemblea condominiale: anche se si tratta di un piccolo condominio, è necessario rispettare le regole decisionali per la gestione delle spese e delle manutenzioni straordinarie.

Maggioranze necessarie nel condominio minimo

Le decisioni nel condominio minimo devono essere prese con il consenso dei due proprietari. Se non si trova un accordo, è possibile rivolgersi al giudice per dirimere la controversia.

Le maggioranze richieste sono:

  • Unanimità per le decisioni che riguardano la modifica delle parti comuni e le innovazioni;
  • Maggioranza semplice (50% + 1) per le spese ordinarie e le decisioni di gestione.

Se uno dei due proprietari si oppone a una decisione necessaria, l’altro può rivolgersi al Tribunale per ottenere un provvedimento che autorizzi l’intervento.

Obbligo di amministratore e codice fiscale

Nel condominio minimo non è obbligatoria la nomina di un amministratore, a meno che i due condomini non lo ritengano opportuno. Tuttavia, se il condominio deve effettuare operazioni contabili o fiscali (ad esempio, lavori straordinari che richiedono detrazioni fiscali), è necessario dotarsi di un codice fiscale condominiale.

 

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