amministratori di società

Amministratori di società: pec obbligatoria Gli amministratori di società costituite a partire dal 1° gennaio 2025 dovranno munirsi di una pec personale. Il MIMIT ha prorogato la scadenza al 31 dicembre 2025, ecco per chi

PEC obbligatoria per gli amministratori di società

Dal 1° gennaio 2025, una novità importante è entrata in vigore per le aziende italiane: tutti gli amministratori di società dovranno avere una casella di posta elettronica certificata (PEC) personale. Lo stabilisce la legge di bilancio 2025.

La PEC è come una raccomandata digitale: garantisce che un messaggio sia stato inviato e ricevuto, e funge da prova legale. L’obiettivo di questa nuova norma è rendere la comunicazione tra aziende e amministrazione pubblica più sicura e tracciabile.

Il MIMIT proroga al 31 dicembre 2025 l’obbligo per gli amministratori di società già costituite di comunicare la PEC al Registro Imprese. Vediamo per quali motivi e cosa cambia.

Proroga dell’obbligo PEC per gli amministratori di società

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), con una nuova comunicazione diffusa il 25 giugno 2025, ha ufficialmente prorogato il termine entro il quale gli amministratori delle imprese costituite in forma societaria dovranno comunicare il proprio domicilio digitale (PEC) al Registro delle Imprese. La nuova scadenza è fissata al 31 dicembre 2025.

La proroga si è resa necessaria dopo i numerosi dubbi interpretativi sorti in merito alla tempistica dell’adempimento, generando incertezze tra imprese, professionisti e Camere di Commercio.

L’obbligo introdotto dalla Legge di Bilancio

La Legge di Bilancio ha esteso agli amministratori delle società l’obbligo di possedere un domicilio digitale e di comunicarlo al Registro delle Imprese, al fine di garantire maggiore trasparenza e semplificazione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Per le società costituite dal 1° gennaio 2025 in poi, resta confermato che la comunicazione del domicilio digitale deve avvenire contestualmente alla domanda di iscrizione al Registro delle Imprese.

Il caos sulle scadenze e l’intervento di Unioncamere

In un primo momento, con la nota prot. n. 43836 del 12 marzo 2025, il MIMIT aveva fissato la scadenza per le imprese già esistenti al 30 giugno 2025.

Tuttavia, questa indicazione è stata smentita da Unioncamere, che ha chiarito come il termine non derivasse da alcuna norma di legge. Secondo Unioncamere, l’obbligo per le società già costituite dovrebbe essere adempiuto solo al momento del primo rinnovo o variazione degli amministratori successivo al 1° gennaio 2025.

Le Camere di Commercio si sono divise: alcune hanno seguito la linea di Unioncamere, altre hanno mantenuto un approccio prudenziale richiamando la scadenza ministeriale, mentre alcune hanno ritenuto che il termine fosse di carattere ordinatorio e non perentorio.

Il confronto con i commercialisti e la nuova proroga

A ridosso della scadenza originaria, anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha avviato un dialogo con il Ministero per chiarire la corretta applicazione dell’obbligo, evidenziando il rischio di sanzioni non legittime.

Alla luce delle difficoltà interpretative, il MIMIT è intervenuto nuovamente con la nota del 25 giugno 2025, stabilendo in via ufficiale la proroga del termine al 31 dicembre 2025.

Cosa devono fare le imprese costituite dal 1° gennaio 2025

Per le nuove società costituite dal 1° gennaio 2025, l’obbligo di indicare il domicilio digitale dell’amministratore rimane invariato: la comunicazione deve avvenire già al momento della domanda di iscrizione al Registro Imprese.

avvocato deve privilegiare la verità

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato Il CNF ribadisce che l’avvocato deve privilegiare la verità e la legge anche rinunciando al mandato. I principi deontologici su lealtà e dignità professionale

Il dovere di verità come cardine della funzione difensiva

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato: la sentenza n. 445/2024, pubblicata il 25 giugno 2025 sul sito del Codice Deontologico Forense, interviene su un profilo essenziale della professione: il rapporto tra l’obbligo di lealtà e verità e il mandato difensivo.

La decisione richiama il principio secondo cui l’attività dell’avvocato deve essere improntata al rispetto della verità e della legge, in quanto elementi qualificanti la funzione difensiva e la dignità professionale.

Il prevalente dovere di rispettare la legge e la verità

Il CNF ha precisato che, qualora si crei un conflitto tra il mandato ricevuto e l’osservanza della verità e della legge, l’avvocato è tenuto a privilegiare questi ultimi, anche a costo di rinunciare all’incarico.

Tale orientamento trova fondamento:

  • nell’art. 50 del Codice Deontologico Forense, che disciplina il dovere di verità e correttezza nell’attività professionale;

  • nell’art. 3 della L. n. 247/2012, che impone il rispetto dei principi di lealtà e probità;

  • nell’art. 88 del codice di procedura civile, che richiede alle parti e ai difensori comportamento leale e veritiero nel processo.

La rinuncia al mandato per giusto motivo

La sentenza sottolinea che l’ossequio alla verità rappresenta un dovere di rango superiore, in virtù del quale l’avvocato deve astenersi da qualsiasi condotta che possa porsi in contrasto con la legge o con la verità dei fatti.

Se la prosecuzione del mandato dovesse comportare una violazione di tali principi, l’avvocato è tenuto a valutare la rinuncia all’incarico per giusto motivo, quale espressione della propria indipendenza e della dignità della funzione difensiva.

Verità, mandato e dignità professionale

La pronuncia evidenzia come il dovere di verità non sia limitato all’attività processuale, ma si estende anche ai rapporti stragiudiziali e alle relazioni con la controparte e i terzi.

Questo dovere si pone come limite invalicabile alla libertà di difesa tecnica, la quale non può mai tradursi in atti contrari alla legge o idonei a ingenerare inganno nell’autorità giudiziaria o negli altri soggetti coinvolti.

inps in videochiamata

INPS in videochiamata: come funziona il nuovo servizio dall’1 luglio Come funziona il nuovo servizio sperimentale INPS in videochiamata disponibile dal 1° luglio 2025: vantaggi, sedi coinvolte e come prenotare l’appuntamento online

INPS in videochiamata: servizio dall’1 luglio

INPS in videochiamata: dal 1° luglio 2025, l’INPS inaugura una fase sperimentale del servizio di videochiamata con i cittadini. L’iniziativa, come annunciato nel messaggio n. 1979/2025, rientra in un più ampio progetto di innovazione digitale pensato per semplificare l’accesso alle informazioni e alle pratiche, riducendo i tempi di attesa e gli spostamenti verso gli sportelli fisici.

La sperimentazione riguarderà inizialmente un numero selezionato di sedi e sportelli, con l’obiettivo di estendere progressivamente il servizio a tutto il territorio nazionale.

Cosa offre il nuovo servizio di videochiamata

La videochiamata INPS introduce un’interazione più diretta e completa rispetto alla tradizionale assistenza telefonica, permettendo di vedere e parlare con un operatore qualificato in tempo reale.

Tra i principali vantaggi del servizio:

  • Accessibilità totale: basta un dispositivo (PC, tablet, smartphone) con connessione internet e videocamera per collegarsi da qualsiasi luogo.

  • Appuntamenti strutturati: ogni sessione dura 20 minuti, con possibilità di estensione se necessario.

  • Riduzione dei tempi di attesa: il collegamento è rapido e senza code.

  • Facilità d’uso: la piattaforma è intuitiva e pensata anche per chi ha poca dimestichezza con il digitale.

  • Assistenza personalizzata: puoi parlare con un operatore specializzato su pensioni, NASpI, invalidità civile e altre pratiche.

  • Scambio sicuro di documenti: durante la chiamata puoi inviare o ricevere documenti ufficiali che verranno protocollati.

  • Chat integrata: una live chat testuale consente di scrivere eventuali domande.

  • Benefici ambientali: meno spostamenti significano minori emissioni di CO2.

Come prenotare la videochiamata

Per utilizzare la nuova modalità di assistenza è necessario prenotare un appuntamento nel giorno dedicato dalla sede INPS sperimentale.

Le modalità di prenotazione sono diverse:

  • Accedi al sito inps.it e usa la funzione “Prenota un appuntamento” nell’area MyINPS.

  • Utilizza l’app INPS Mobile nella sezione “Sportelli di sede”.

  • Chiama il Contact Center:

    • Numero gratuito da rete fissa: 803164

    • Da cellulare (a pagamento): 06164164

  • Rivolgiti direttamente agli sportelli di prima accoglienza delle sedi INPS.

Il giorno della videochiamata, troverai il link per avviare la sessione tra le notifiche della tua area personale MyINPS. Non è necessario installare software aggiuntivi.

Dove parte la sperimentazione

La sperimentazione coinvolge una selezione di sedi INPS che offrono giornate dedicate al servizio di videochiamata. L’elenco completo e aggiornato è disponibile sul portale istituzionale nella pagina dedicata agli sportelli in videochiamata.

Guide e assistenza

Per facilitare l’uso del nuovo servizio, l’INPS mette a disposizione (nella sezione “Sportelli di sede” e “Contatti” sul sito ufficiale):

  • Un tutorial PDF dettagliato consultabile online.

  • Un breve video di presentazione che spiega come prenotare e avviare la videochiamata.

quattordicesima 2025

Quattordicesima 2025: arriva a luglio per i pensionati L’INPS comunica il pagamento d’ufficio della quattordicesima a luglio 2025 per pensionati over 64 con redditi nei limiti. Scopri requisiti, importi e come fare domanda

Cos’è e quando viene pagata la quattordicesima 2025

Con il messaggio INPS n. 1966 del 20 giugno 2025, l’Istituto informa che la quattordicesima sarà erogata d’ufficio sulla pensione di luglio 2025, per i pensionati che rispettano requisiti anagrafici e reddituali. 

Chi ha diritto e quali redditi valgono

Per accedere al beneficio:

  • È necessario aver compiuto 64 anni entro il 31 luglio 2025 (o entro il 30 giugno per gestioni pubbliche e ex‑INPGI)

  • Il reddito annuo personale (pensionistico e altri redditi esclusi quelli esenti) deve rientrare in fasce stabilite: fino a 1,5× o 2× il trattamento minimo (603,40 €). Il limite massimo è di 15.688,40 € lordi

Importi in base a contributi e reddito

L’ammontare della quattordicesima varia in funzione degli anni di contribuzione e del reddito:

Anni di contribuzione Reddito ≤ 1,5× TM Reddito tra 1,5× e 2× TM
Fino a 15 anni 437 € (dipend.) 336 €
15–25 anni 546 € 420 €
Oltre 25 anni 655 € 504 €

Clausola di salvaguardia

Se il reddito supera il limite ma resta sotto soglia più importo, si applica un pagamento proporzionato. 

Modalità d’erogazione e aggiornamento dati

  • Erogazione automatica on July 2025 per chi possiede i requisiti; a dicembre 2025 per chi compie 64 anni o diventa titolare di pensione dopo le scadenze indicate

  • L’INPS impiega i redditi certificati fino al 2021/2022, in attesa di dati aggiornati

  • Eventuali importi indebiti verranno recuperati automaticamente .

Come richiedere la quattordicesima se non arriva

Chi non la riceve ma ritiene di averne diritto può presentare domanda di “Ricostituzione reddituale per quattordicesima” tramite SPID/CNS/CIE o rivolgendosi a patronati per assistenza gratuita. 

Come verificare nel cedolino e tramite INPS

La quattordicesima comparirà nel cedolino di luglio (o dicembre) con apposita voce. Le comunicazioni verranno trasmesse tramite MY INPS, email certificata, modello Obis/M e app IO; non saranno inviate lettere cartacee. 

Vedi anche la guida Quattordicesima

vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: contributi dalla Cassa La Cassa dei Dottori Commercialisti stanzia 200.000 euro per un contributo economico destinato alle professioniste vittime di violenza di genere. Ecco requisiti, importo e modalità di domanda

Commercialiste vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha previsto, per il 2025, un contributo economico di supporto dedicato esclusivamente alle Commercialiste che hanno subito violenza di genere. La finalità è sostenere il percorso di fuoriuscita dalla violenza e favorire il recupero dell’autonomia professionale, grazie a un fondo complessivo pari a 200.000 euro.

Chi può beneficiarne

L’accesso al contributo è riservato alle professioniste iscritte alla Cassa alla data del 31 dicembre 2025 e residenti sul territorio nazionale. Per ottenere il beneficio occorre trovarsi in una delle seguenti situazioni:

  • aver intrapreso dal gennaio 2021 un percorso di protezione e fuoriuscita dalla violenza, ancora in corso al momento della domanda;

  • oppure aver avviato azioni giudiziarie di tutela, concluse o pendenti.

Il requisito dello stato di bisogno si considera automaticamente sussistente in relazione alla particolare condizione di vulnerabilità derivante dalla violenza subita.

Importo e caratteristiche del contributo

L’ammontare del sostegno economico non è predeterminato in misura fissa: sarà stabilito caso per caso dal Consiglio di Amministrazione, che valuterà la situazione specifica della richiedente.

Qualora la professionista abbia percepito il “Reddito di Libertà” previsto dal D.P.C.M. 17 dicembre 2020, il nuovo contributo potrà integrare quanto già ricevuto. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione tramite bonifico bancario sul conto corrente indicato nella domanda.

Come e quando presentare domanda

Le domande potranno essere inoltrate a partire dal 1° luglio 2025 fino al 30 giugno 2026, e comunque fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Le modalità di invio ammesse sono:

Documentazione da allegare

Alla richiesta è necessario allegare:

  • un documento di identità in corso di validità;

  • una dichiarazione firmata dal legale rappresentante di un centro antiviolenza, oppure dai Servizi Sociali o altro Ente preposto, che attesti l’avvio e il proseguimento di un percorso di protezione e l’effettivo stato di violenza;

  • se già percepito, il documento che comprovi l’erogazione del Reddito di Libertà.

In presenza di irregolarità contributive, l’erogazione del contributo resta sospesa fino alla regolarizzazione.

interrogatorio formale

Interrogatorio formale Interrogatorio formale: cos’è, quando è ammissibile, normativa, come si richiede, quale valore ha e giurisprudenza

Cos’è l’interrogatorio formale

L’interrogatorio formale è un mezzo di prova tipico del processo civile regolato dagli articoli 230 e seguenti del codice di procedura civile. Consiste in una serie di domande rivolte alla parte avversaria, su fatti rilevanti e controversi, idonea a produrre effetti vincolanti nel giudizio.

A differenza dell’interrogatorio libero, che ha funzione esplorativa, quello formale valore probatorio, in quanto può determinare una vera e propria prova legale.

Quando è ammissibile e quando no

Secondo l’art. 230 c.p.c., l’interrogatorio formale è ammissibile solo in relazione a fatti personali della parte e che essa possa conoscere direttamente. Non è quindi consentito proporre l’interrogatorio su fatti:

  • notori;
  • irrilevanti ai fini della decisione;
  • già pacifici tra le parti;
  • non riferibili direttamente alla parte stessa.

Inoltre, l’interrogatorio non può essere ammesso nei confronti di soggetti incapaci di rendere confessione, come i minori o gli interdetti, salve le eccezioni previste dalla legge.

Qual è la normativa di riferimento

La disciplina dell’istituto si rinviene principalmente nel codice di procedura civile, agli articoli:

  • Art. 230 c.p.c. – “Modo dell’interrogatorio”;
  • Art. 231 c.p.c. – “Risposta”;
  • Art. 232 c.p.c. – “Mancata risposta”.

Queste norme stabiliscono i presupposti, le modalità e gli effetti della confessione giudiziale resa in sede di interrogatorio formale.

Come si propone la richiesta di interrogatorio

La parte interessata deve chiedere l’ammissione dell’interrogatorio nell’atto introduttivo del giudizio, indicando specificamente i capitoli sui quali intende che la controparte venga interrogata. La richiesta può essere formulata anche successivamente, ma prima dell’apertura della fase istruttoria.

Se il giudice accoglie la richiesta, dispone l’interrogatorio mediante ordinanza, fissando un’udienza per l’assunzione della prova.

L’interrogatorio è assunto personalmente dal giudice, il quale formula le domande sui singoli capitoli previamente autorizzati. La parte interrogata ha l’obbligo di rispondere personalmente e direttamente.

Qual è il valore dell’interrogatorio formale

L’interrogatorio formale ha un elevato valore probatorio quando si conclude con confessione su fatti sfavorevoli alla parte che confessa e favorevoli alla controparte. In tal caso, la confessione giudiziale ex art. 2730 c.c ha efficacia vincolante, essendo considerata prova legale.

Se la parte non compare oppure rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice può considerare come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio ex art. 232 c.p.c.

Giurisprudenza

Cassazione n. 24799/2024: Quando una parte rilascia dichiarazioni a proprio favore durante un interrogatorio formale, il giudice non è obbligato ad accettarle in automatico. Spetta a lui valutarle liberamente, tenendo conto di tutte le altre prove raccolte. Solo così, infatti, possono diventare un elemento per formare la sua decisione finale.

Cassazione n. 29473/2023: L’interrogatorio formale ha un unico scopo: ottenere la confessione giudiziale di fatti che vanno contro chi li ammette, e che tornano a esclusivo vantaggio della parte che ha richiesto l’interrogatorio. Non può invece essere usato come prova di fatti che favoriscono la parte che sta rendendo la confessione.

Cassazione n. 2956/2018: La parte che ha richiesto l’interrogatorio formale della controparte può liberamente rinunciarvi in qualsiasi momento, senza bisogno del consenso della controparte o del giudice. Questo è il rovescio della medaglia del fatto che una parte non può mai chiedere il proprio interrogatorio formale.

 

Leggi anche l’articolo di procedura penale dedicato all’Interrogatorio di garanzia

giurista risponde

Risoluzione del contratto e rilascio di immobile In caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, il rilascio dell’immobile preclude l’azione di risarcimento per il mancato guadagno?

Quesito con risposta a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli, Mariella Pascazio

 

Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione da parte del locatore di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell’immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l’apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c. (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite dalla questione dalla Terza Sezione Civile, sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale riguardante il diritto del locatore di conseguire il risarcimento del danno da mancato guadagno conseguente alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, in relazione ai casi in cui la restituzione del bene locato avvenga in data antecedente alla scadenza naturale del contratto. In particolare, ci si interroga se il locatore possa ottenere un risarcimento per i canoni non percepiti tra la riconsegna dell’immobile e la naturale scadenza del contratto o, se anteriore, fino alla stipula di una nuova locazione.

In assenza di una disposizione normativa volta a regolare la fattispecie, sussistevano sul punto due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Secondo un primo orientamento, prevalente seppur più risalente, risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore riconsegnato l’immobile al locatore, questi avrebbe avuto anche diritto al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto, da individuarsi nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore e il cui ammontare è riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto. (Cass. 5 gennaio 2023, n. 194; Cass. 5 maggio 2020, n. 8482; Cass. 13 febbraio 2015, n. 286; Cass. 3 settembre 2007, n. 18510 e Cass. 29 gennaio 1980, n. 676).

Secondo altro orientamento, recepito dalla sentenza di merito, il locatore, una volta rientrato nella materiale disponibilità dell’immobile, non avrebbe diritto ad ottenere alcun risarcimento correlato alla mancata percezione dei canoni, rappresentando i canoni il corrispettivo che il locatore percepisce per non potere godere direttamente dell’immobile. Invece, un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 c.c. (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1426; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27614).

Con la pronuncia in esame, pur con alcune puntualizzazioni, le Sezioni Unite si sono espresse in favore del primo orientamento, rilevando che la diversa tesi che individua la causa della locazione nella preliminare rinuncia al godimento diretto non considera che non necessariamente in capo al locatore risiede un interesse al godimento diretto del proprio immobile, compensato dal canone.

Tale impostazione, secondo le Sezioni Unite, sarebbe riduttiva e non aderente alla realtà contrattuale della locazione, atteso che non terrebbe conto di tutte quei casi, diffusi nella pratica, in cui chi loca un bene intende utilizzarlo al solo fine di trarne delle rendite o realizzare profitti (es. società commerciale orientata a realizzare profitti attraverso l’acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compensi).

La tesi secondo cui il rilascio dell’immobile locato a seguito di risoluzione per inadempimento del conduttore non sarebbe di per sé tale da integrare un danno trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti.

Attraverso la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato (sia pure in una diversa composizione materiale: una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell’immobile, e viceversa), bensì a raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive d’interesse.

La frustrazione che il locatore è costretto a subire per effetto dell’inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico-patrimoniale precedente la conclusione del contratto.

Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite ritengono di dover dar seguito all’orientamento secondo il quale “il locatore, il quale abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore”.

Allo stesso tempo, deve essere escluso qualsiasi automatismo in ipotesi volto a identificare il danno del locatore nell’insieme dei canoni non percepiti. Non si deve confondere l’azione risarcitoria con l’azione di adempimento (solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto) e, dall’altro, occorre rammentare come l’operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento (qui coincidente con l’inadempimento e identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore) e danno-conseguenza disciplinato dall’art. 1223 c.c., ai sensi del quale il “mancato guadagno” del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una “conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento.

Tale nesso di “causalità giuridica” tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (il carattere di derivazione immediata e diretta di queste ultime dal primo) costituisce materia di un onere probatorio (necessariamente) incombente sul locatore ai sensi dell’art. 2697 c.c.; e tanto, a prescindere da quanto il conduttore potrà eventualmente opporre ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.

Da questa prospettiva, la circostanza dell’avvenuta restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente a seguito della risoluzione del contratto se, da un lato, non esclude di principio la risarcibilità delle possibili conseguenze dannose correlate alla mancata percezione dei canoni dovuti fino alla naturale scadenza del contratto (o alla conclusione di un’eventuale nuova locazione), dall’altro, non potrà non offrire al giudice del merito elementi utili (sul piano del ragionamento probatorio d’indole critica) ai fini della più corretta ricostruzione in fatto delle conseguenze dannose effettivamente ricollegabili al l’inadempimento, normalmente identificabili con la perdita dei canoni previsti fino alla naturale scadenza del contratto.

È in questo quadro che si colloca la giustificazione dell’attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione.

Le Sezioni Unite, infine, hanno anche escluso in tali ipotesi la possibilità di fare applicazione in via analogica della disciplina prevista dalla regola dettata dall’art. 1591 c.c. (“Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”), rimarcando che detta norma disciplina le sole conseguenze risarcitorie connesse al ritardo nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore.

 

(*Contributo in tema di “Risoluzione del contratto e rilascio di immobile”, a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli e Mariella Pascazio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

corso d'inglese ai figli

Corso d’inglese ai figli: è spesa ordinaria, nessun obbligo di consenso La Cassazione chiarisce: il corso d'inglese per i figli è una spesa ordinaria, non serve il preventivo assenso dell’altro genitore

Corso d’inglese ai figli: rientra tra le spese ordinarie

Corso d’inglese ai figli: con l’ordinanza n. 17017/2025, la Cassazione ha ribadito un principio importante in materia di separazione e responsabilità genitoriale: le spese per i corsi di lingua inglese, sebbene possano sembrare “straordinarie”, rientrano a pieno titolo tra le spese ordinarie e prevedibili, e pertanto non necessitano del preventivo assenso dell’altro genitore.

Spese ordinarie e straordinarie: quando serve l’accordo?

In generale, il genitore collocatario può sostenere spese legate ai figli senza dover ottenere un accordo preliminare, purché si tratti di esborsi ripetitivi e prevedibili nella vita del minore, come:

  • spese scolastiche ricorrenti,

  • cure mediche di routine,

  • attività sportive o didattiche integrative di comune diffusione.

Il preventivo assenso è invece richiesto per le spese straordinarie, ovvero quelle non usuali, imprevedibili o economicamente rilevanti, tali da incidere significativamente sull’equilibrio patrimoniale o educativo del minore.

Il corso d’inglese è “ordinario” per la società attuale

Nel caso specifico, il genitore collocatario aveva iscritto il figlio a un corso di lingua inglese senza informare l’ex coniuge. La Corte ha ritenuto tale scelta conforme al superiore interesse del minore, riconoscendo che oggi l’apprendimento dell’inglese costituisce una necessità formativa, radicata nel contesto sociale e lavorativo contemporaneo.

L’insegnamento dell’inglese non solo rafforza il percorso scolastico, ma prepara il minore agli studi universitari e all’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo motivo, tale spesa, se pur apparentemente “straordinaria”, assume un carattere ordinario e prevedibile.

Rimborso possibile anche senza consenso, se c’è utilità per il figlio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Cassazione è che, anche laddove una spesa possa rientrare tra quelle straordinarie, l’assenza di accordo preventivo non preclude il diritto al rimborso da parte dell’altro genitore. La condizione è che il giudice ne valuti:

  • la rispondenza all’interesse del minore,

  • la congruità con il tenore di vita familiare precedente.

Allegati

naspi 2025

NASpI 2025: nuovo requisito contributivo per chi si dimette Dal 1° gennaio 2025 cambia l’accesso alla NASpI: introdotto un nuovo requisito contributivo per chi ha lasciato volontariamente un lavoro a tempo indeterminato. L'INPS chiarisce le modifiche apportate dalla legge di bilancio

Nuove regole NASpI 2025

La circolare INPS n. 98 del 2025 ha chiarito le modifiche apportate all’articolo 3 del d.lgs. n. 22/2015 dalla Legge di Bilancio 2025, introducendo un nuovo requisito contributivo per accedere alla NASpI, applicabile agli eventi di disoccupazione avvenuti dal 1° gennaio 2025.

NASpI dopo le dimissioni: servono 13 settimane di contributi

Chi ha interrotto volontariamente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per dimissioni o risoluzione consensuale) nei 12 mesi precedenti alla nuova disoccupazione, dovrà dimostrare almeno 13 settimane di contribuzione maturate tra i due eventi per accedere alla NASpI.

Dimissioni escluse dalla nuova regola

Non tutte le cessazioni volontarie sono penalizzate. Restano escluse le ipotesi in cui il lavoratore ha diritto alla NASpI senza ulteriori requisiti contributivi, ovvero:

  • dimissioni per giusta causa;

  • dimissioni durante il periodo tutelato di maternità o paternità;

  • risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura di conciliazione ex art. 7 legge n. 604/1966.

Che tipo di rapporti di lavoro sono coinvolti?

Il nuovo requisito si applica alle cessazioni volontarie da rapporti a tempo indeterminato. Tuttavia, la cessazione involontaria successiva, che dà titolo alla NASpI, può riferirsi a rapporti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.

Contributi validi per maturare il requisito NASpI

Sono ritenuti utili ai fini del calcolo delle 13 settimane:

  • i contributi obbligatori versati durante rapporti di lavoro subordinato;

  • i contributi figurativi per maternità obbligatoria se già iniziata con contribuzione attiva;

  • i congedi parentali indennizzati in costanza di lavoro;

  • i periodi di lavoro svolti all’estero in Paesi UE o convenzionati con l’Italia;

  • fino a 5 giorni l’anno di astensione per malattia dei figli sotto gli 8 anni;

  • eventuali settimane agricole, se comprese nel periodo tra la cessazione volontaria e quella involontaria, che sono anch’esse cumulabili.

Il calcolo dell’importo e della durata resta invariato

È importante sottolineare che il nuovo requisito introdotto riguarda solo l’accesso alla prestazione. La misura e la durata della NASpI non subiscono modifiche e continuano ad essere determinate secondo le regole previgenti.

ddl intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: cosa prevede il ddl in Parlamento Il 25 giugno 2025 la Camera ha approvato, con modificazioni, il testo del ddl in materia di intelligenza artificiale trasmesso dal Senato

Intelligenza artificiale: sì della Camera

La Camera il 25 giugno 2025 ha approvato, con modifiche, il testo del ddl trasmesso dal Senato e di iniziativa del Governo in materia di Intelligenza Artificiale. I voti a favore sono stati 136, i voti contrari 94, gli astenuti 5.

Il testo prevede un giro di vite e introduce fattispecie di reato,  confermando l’obbligo dei professionisti di informare i clienti sull’utilizzo dei sistemi di IA.

Cinque gli ambiti in cui il ddl, recante “Disposizioni e deleghe al governo in materia di intelligenza artificiale”, mira ad intervenire. Nel testo è compresa una delega al governo per l’adeguamento al Regolamento UE sull’alfabetizzazione dei cittadini sull’IA e la formazione degli ordini professionali per professionisti e operatori, oltre all’adeguamento, sul fronte penale, di reati e sanzioni per l’uso illecito dell’IA.

Il testo è ora all’esame del Senato per la lettura definitiva.

I cinque ambiti di intervento

Il testo individua criteri regolatori capaci di riequilibrare il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso. Inoltre, introduce norme di principio e disposizioni di settore che, da un lato, promuovono l’utilizzo delle nuove tecnologie per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e della coesione sociale e, dall’altro, forniscono soluzioni per la gestione del rischio fondate su una visione antropocentrica.

Il testo contiene disposizioni di principio e di settore, si occupa della strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, delinea le funzioni delle Autorità nazionali per l’IA e dedica la parte conclusiva alle disposizioni penali introducendo reati e sanzioni.

Strategia nazionale

Si introduce la Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, il documento che garantisce la collaborazione tra pubblico e privato, coordinando le azioni della PA in materia e le misure e gli incentivi economici rivolti allo sviluppo imprenditoriale ed industriale.

Dopo il passaggio alla Camera l’articolo 19 prevede ora che la strategia debba essere sottoposta ad approvazione quantomeno biennale dal Comitato interministeriale per la transizione digitale e che in sede di attuazione il Dipartimento per la trasformazione digitale della presidenza del CdM debba sentire la Banca d’Italia, l’Ivass e la Consob.

I risultati del monitoraggio dovranno essere trasmessi annualmente alle Camere.

Autorità nazionali per l’intelligenza artificiale

Si istituiscono le Autorità nazionali per l’intelligenza artificiale, disponendo l’affidamento all’Agenzia per lItalia digitale (AgID) e all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) del compito di garantire l’applicazione e l’attuazione della normativa nazionale e UE in materia di AI.
AgID e ACN, ciascuna per quanto di rispettiva competenza, assicurano l’istituzione e la gestione congiunta di spazi di sperimentazione finalizzati alla realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale conformi alla normativa nazionale e UE.

Misure di sostegno ai giovani sull’IA

Tra i requisiti per beneficiare del regime agevolativo a favore dei lavoratori rimpatriati rientrerà l’aver svolto un’attività di ricerca nell’ambito delle tecnologie di intelligenza artificiale.
Nel piano didattico personalizzato (PDP) delle scuole superiori per le studentesse e gli studenti ad alto potenziale cognitivo potranno essere inserite attività volte all’acquisizione di ulteriori competenze attraverso esperienze di apprendimento presso le istituzioni della formazione superiore.

Il comma 3 dell’articolo 22 infine promuove l’intervento statale per favorire l’accesso all’intelligenza artificiale con la finalità di migliorare il benessere psicologico e fisico grazie all’attività sportiva.

Professioni intellettuali, giustizia e diritto d’autore

L’uso di sistemi di intelligenza artificiale è consentito nelle professioni per attività strumentali e di supporto, con prevalenza del lavoro intellettuale. E’ obbligatoria la comunicazione chiara e completa al cliente sull’uso di tali sistemi, per tutelare il rapporto fiduciario.

L’uso dell’IA nel settore giustizia deve essere limitato all’organizzazione del lavoro giudiziario e alla ricerca giurisprudenziale e dottrinale. Ai magistrati è riservata l’interpretazione della legge, la valutazione di fatti e prove e l’adozione di provvedimenti.

Le opere create con l’intelligenza artificiale sono protette dal diritto d’autore, a patto che la loro creazione derivi dal lavoro intellettuale.

In ambito sanitario l’intelligenza artificiale migliora il sistema, la prevenzione, la diagnosi e la cura,  nel rispetto ovviamente dei diritti e delle libertà degli individui e dei dati personali.

Per quanto riguarda il lavoro invece l’intelligenza artificiale del essere impiegata per migliorare le condizioni dei lavoratori, la loro salute e la produttività, nel rispetto della dignità, dei diritti inviolabili e della riservatezza.

Disciplina penale

Il testo prevede un aumento della pena per i reati commessi mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale, quando gli stessi, per natura o modalità di utilizzo, “abbiano costituito mezzo insidioso, o quando il loro impiego abbia comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa o aggravato le conseguenze del reato”.

Il testo introduce una circostanza aggravante del delitto di attentati conto i diritti politici dei cittadini (art. 294 c.p.) commessi impiegando l’intelligenza artificiale.

Si punisce l’illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di IA, atti a indurre in inganno sulla loro genuinità, con la pena da uno a cinque anni di reclusione, se dal fatto deriva un danno ingiusto.
Si introducono circostanze aggravanti speciali per alcuni reati come l’aggiotaggio e la manipolazione del mercato, se commessi con l’impiego dell’intelligenza artificiale.

Sanzionato anche il plagio commesso con l’utilizzo dell’AI.

 

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