cli spoofing

Cli Spoofing: cos’è e come difendersi Sul Cli Spoofing l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è intervenuta con una consultazione al fine di introdurre nuove regole

Agcom: nuove regole

Nuove regole per contrastare le truffe e il telemarketing selvaggio, soprattutto, il cosiddetto “Cli Spoofing”, cioè la pratica delle chiamate internazionali con falso suffisso italiano. E’ quanto ha deciso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che, nella seduta del 13 novembre scorso, ha avviato una consultazione pubblica (Delibera n. 457/24/CONS) per “introdurre nuove regole dirette a contrastare frodi e telemarketing selvaggio tramite misure che impediscano il cosiddetto CLI Spoofing, ossia la pratica con cui l’utente viene ingannato sull’identità del soggetto chiamante a seguito della manipolazione del reale numero telefonico”.

Cli Spoofing: stop telefonate spam dall’estero

In particolare, l’Autorità ritiene necessario stabilire l’obbligo, per gli operatori nazionali, di bloccare le chiamate illegittime internazionali in entrata mascherate con numero telefonico nazionale, ossia quelle con prefisso italiano di rete fissa e con numeri cellulari italiani.

Certificazione velocità connessione 5G

Nello stesso provvedimento sono state individuate dall’Agcom, misure di trasparenza e corretta informazione relative alle condizioni economiche e tecniche delle offerte di servizi telefonici e di connettività, tra le quali, in particolare, la valutazione di una serie di bollini per certificare la velocità della connessione 5G.

Diffida a Tim per Cli Spoofing

In relazione all’utilizzo illecito del CLI spoofing l’Autorità, inoltre, ha diffidato TIM (Delibera n. 462/24/CONS) al rispetto degli obblighi previsti dal Codice di condotta sulle attività di teleselling e telemarketing.  Il provvedimento si è reso necessario dopo le segnalazioni di alcuni cittadini che avevano ricevuto proposte di contratto in violazione dei requisiti di trasparenza previsti dal Codice stesso. Ora TIM avrà 120 giorni di tempo per assumere e comunicare nuove e più efficaci azioni di monitoraggio sui call center partner.
L’Autorità ha inoltre approvato (Delibera n. 36/24/CIR) la proposta di impegni assunti dalla società Telecom Italia Sparkle nell’ambito di un procedimento sanzionatorio nei confronti della menzionata società per aver consentito l’utilizzo da parte di società estere non autorizzate di numeri geografici già assegnati a soggetti legalmente operanti in Italia. Gli impegni assunti dalla società sono volti a implementare misure di monitoraggio dei loro partner per evitare la reiterazione delle pratiche di CLI Spoofing.

correzione errore materiale

Correzione errore materiale: nessuna condanna alle spese Correzione errore materiale: la natura amministrativa del procedimento non realizza una soccombenza con relativa condanna alle spese

Correzione errore materiale e condanna spese

Non si può disporre alcuna condanna alle spese al termine di un procedimento volto alla correzione dell’errore materiale presente in una sentenza. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite civili nella sentenza n. 29432/2024. Questo procedimento ha infatti una natura amministrativa, per cui non si può parlare di “soccombenza”; nemmeno quando l’altra parte, partecipa al procedimento e si oppone alla correzione.

Correzione errore materiale: condanna per il soccombente

La vicenda ha inizio perché un soggetto si rivolge al Tribunale per chiedere la correzione di una sentenza ai sensi dell’art. 287 c.p.c. Controparte si oppone all’istanza ritenendo inesistente l’errore lamentato. Il Tribunale dichiara inammissibile l’istanza di correzione presentata dal ricorrente e lo condanna alle spese.

Per il Tribunale quanto dedotto configura un error in iudicando e non un errore materiale. L’istante viene quindi condannato a rimborsare alla controparte le spese del procedimento perché se la parte non ricorrente si costituisce e resiste all’istanza di correzione, al termine del procedimento si realizza una situazione di “soccombenza”.

Natura amministrativa correzione errore materiale

Nell’unico motivo sollevato il ricorrente sostiene la natura non giurisdizionale, ma amministrativa del procedimento di correzione, che si conclude con un provvedimento ordinatorio. La natura del procedimento rende inapplicabile la regola della condanna alle spese a carico del soccombente, situazione che si potrebbe realizzare solo in un procedimento giurisdizionale.

Natura giurisdizionale o amministrativa?

La Cassazione spiega che, secondo una visione minoritaria, pur rimanendo l’inammissibilità di una decisione sulle spese in caso di istanza congiunta o non contestata, è necessario pronunciarla nel caso sorga un contrasto riguardo all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione.

A questa interpretazione fa riferimento l’ordinanza di rinvio che alle SU pone il seguente quesito giuridico:se, in tema di procedimento per la correzione di errori materiali, qualora la parte non ricorrente si costituisca e resista allistanza di correzione, contrapponendo il proprio interesse a quello della parte ricorrente, si configuri una situazione di soccombenza che obbliga il giudice a decidere sulle spese processuali ai sensi dellart. 91 cod. proc. civ.”

Secondo il Collegio rimettente né la struttura camerale né la funzione volontaria del procedimento sono incompatibili con un reale contrasto tra le parti (per cui) nel momento in cui tale contrasto si verifica tramite la costituzione della parte non ricorrente e la sua opposizione allistanza di correzione, esso deve essere risolto rispettando il principio del contraddittorio, anche in merito alla regolamentazione delle spese processuali”.

Natura amministrativa procedimento: nessuna soccombenza

Per le Sezioni Unite però le “peculiarità dello stesso (procedimento di correzione) impediscono ogni assimilazione non solo ai procedimenti contenziosi ma anche a quelli di volontaria giurisdizione”.

Il procedimento per correggere errori materiali, anche quando viene avviato da una sola parte, non comporta l’affermazione di un diritto verso l’altra parte o altre parti e non sostituisce quanto stabilito nel provvedimento corretto. La funzione di questa procedura è solo quella di ripristinare la corrispondenza tra l’espressione formale e il contenuto sostanziale del provvedimento già emesso”.

Si tratta solo di correggere errori presenti nella redazione del documento evidenti a prima vista.

In questo senso, la Corte ritiene che sia possibile concordare sulla natura essenzialmente amministrativa del provvedimento conclusivo questo procedimento.

Del resto il giudice, in sede di procedimento di correzione dell’errore materiale, non esercita potestas iudicandi. Di questa  si libera quando emette il provvedimento che risulta poi da correggere. Non occorre neppure una nuova procura perché di fatto non si apre una nuova fase processuale. Si verifica infatti solo un incidente nello stesso giudizio, pienamente compatibile col giudicato.

Per la Cassazione deve essere pertanto enunciato questo principio:Nel procedimento per correggere errori materiali ai sensi degli artt. 287-288 e 391-bis cod. proc. civ., essendo essenzialmente amministrativo e non volto a incidere in caso di conflitto tra le parti sull’assetto d’interessi regolato dal provvedimento da correggere, non si può procedere alla liquidazione delle spese perché non è configurabile alcuna situazione di soccombenza ai sensi dellart. 91 cod. proc. civ., neppure se chi non richiede opponendosi allistanza”.

Con questa sentenza le Sezioni Unite hanno unificato così l’orientamento giurisprudenziale su questa materia, superando le divergenze interpretative precedenti.

 

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riforma codice della strada

Riforma Codice della Strada 2024: novità e sfide La riforma Codice della Strada 2024 vuole realizzare una cultura della sicurezza stradale per ridurre le vittime di incidenti stradali

Riforma Codice della Strada 2024

L’Italia ha adottato il 20 novembre 2024 la riforma significativa del Codice della Strada, con l’obiettivo di affrontare le sfide emergenti in materia di sicurezza e regolamentazione. Promossa dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, questa riforma, dal 19 novembre in aula al Senato per la discussione e definitivamente approvata il 20 novembre, mira a ridurre il numero di incidenti stradali, migliorare la convivenza tra i vari mezzi di trasporto e aggiornare le normative in linea con le esigenze della mobilità moderna.

Monopattini elettrici: casco, targa e assicurazione

Negli ultimi anni, i monopattini elettrici hanno conosciuto una diffusione esponenziale nelle città italiane. Questo mezzo di trasporto, apprezzato per la sua praticità ed eco-sostenibilità, ha tuttavia sollevato preoccupazioni significative in termini di sicurezza stradale. Secondo i dati dell’ACI (Automobile Club d’Italia), nel 2022 si sono verificati oltre 2.000 incidenti che hanno coinvolto monopattini, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente.

Le nuove misure

Il nuovo Codice della Strada introduce l’obbligo di:

  • Casco obbligatorio: per tutti gli utenti di monopattini elettrici, indipendentemente dall’età.
  • Targa identificativa: per consentire l’identificazione immediata del veicolo.
  • Assicurazione RC obbligatoria: per coprire eventuali danni a terzi.
  • Frecce si segnalazione obbligatorie

Queste misure si applicano sia ai monopattini in sharing che a quelli di proprietà privata. L’obiettivo è responsabilizzare gli utenti e ridurre il numero di incidenti.

Il modello parigino: critiche

Salvini ha citato l’esempio di Parigi, dove i monopattini in sharing sono stati vietati a seguito di un referendum cittadino nel 2023, con il 89% dei votanti favorevoli al divieto. Tuttavia, a differenza della capitale francese, l’Italia ha scelto una strada meno drastica, optando per una regolamentazione più stringente anziché un divieto totale.

Non mancano le critiche da parte delle associazioni di categoria. Andrea Giaretta, rappresentante di Assosharing, ha espresso preoccupazioni riguardo al possibile impatto economico e occupazionale. Secondo Giaretta, l’introduzione di obblighi come targa e assicurazione potrebbe disincentivare l’uso dei monopattini in sharing, spingendo gli utenti verso l’acquisto privato e potenzialmente aumentando il rischio di incidenti a causa di una minore manutenzione dei veicoli privati.

In altri paesi europei, come la Germania e la Spagna, sono già in vigore regolamentazioni simili. In Germania, ad esempio, i monopattini elettrici devono essere assicurati e dotati di targa, e l’uso del casco è fortemente raccomandato.

Inasprimento sanzioni per la guida irresponsabile

Una delle principali cause di incidenti stradali gravi è la guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o alcoliche. Secondo l’ISTAT, nel 2022, il 24% degli incidenti mortali è stato attribuito a questa causa. Il nuovo Codice della Strada prevede:

  • Revoca della patente: per chi viene sorpreso alla guida sotto l’effetto di droghe o con un tasso alcolemico superiore ai limiti consentiti.
  • Sanzioni amministrative elevate: con multe che possono superare i 6.000 euro.
  • Confisca del veicolo: in caso di recidiva.

Uso del cellulare alla guida

L’utilizzo del cellulare durante la guida è un fenomeno in crescita, nonostante le campagne di sensibilizzazione. Le nuove disposizioni prevedono:

  • Multe più salate: con importi che possono arrivare a 1.700 euro.
  • Decurtazione di punti dalla patente
  • Sospensione della patente da 7 a 30 giorni

Recidivi e patente a punti

Per coloro che commettono ripetutamente infrazioni gravi, il Codice introduce:

  • Ritiro temporaneo della patente: che può variare da 1 a 3 mesi.
  • Obbligo di frequentare corsi di recupero punti: presso autoscuole autorizzate.
  • Esami di revisione: per verificare l’idoneità alla guida.

Impatto atteso

L’inasprimento delle sanzioni mira a creare un effetto deterrente. Studi condotti in paesi come la Svezia e il Regno Unito hanno dimostrato che sanzioni più severe possono ridurre significativamente le infrazioni legate alla guida pericolosa.

Autovelox e dispositivi di controllo della velocità

La normativa italiana ha mostrato incertezze nella regolamentazione degli autovelox, con una distinzione poco chiara tra “omologazione” e “approvazione”. Questo ha portato a numerose contestazioni legali e all’annullamento di molte sanzioni.

Il nuovo Codice della Strada prevede:

  • Standardizzazione dei dispositivi: con specifiche tecniche uniformi a livello nazionale.
  • Regolamento di esecuzione: che definisce le procedure per l’installazione e l’uso degli autovelox.
  • Formazione del personale: con corsi obbligatori per gli operatori che gestiscono i dispositivi.

Massimiliano Mancini, segretario dell’Unione Polizia Locale, ha evidenziato l’importanza di un regolamento chiaro per evitare ricorsi e garantire l’efficacia dei controlli. Senza norme tecniche precise, si rischia di continuare con una situazione in cui le multe vengono facilmente annullate, vanificando gli sforzi per migliorare la sicurezza stradale.

In Francia, l’introduzione di autovelox con standard tecnici elevati ha portato a una riduzione del 50% degli incidenti mortali nelle aree controllate. Questo evidenzia come una corretta implementazione possa avere effetti positivi significativi.

Obiettivo ridurre le vittime della strada

Con oltre 3.000 vittime all’anno, l’Italia registra uno dei tassi più alti di mortalità stradale in Europa. Le cause principali includono:

  • Eccesso di velocità
  • Guida in stato di ebbrezza
  • Distrazione al volante
  • Mancato rispetto delle precedenze

Strategie di intervento

Il nuovo Codice della Strada fa parte di una strategia più ampia che comprende:

  • Campagne di sensibilizzazione: rivolte soprattutto ai giovani, attraverso media tradizionali e social network.
  • Educazione stradale nelle scuole: per formare una cultura della sicurezza fin dall’infanzia.
  • Miglioramento delle infrastrutture: con investimenti in segnaletica, illuminazione e manutenzione delle strade.

Collaborazione con le Forze dell’Ordine

Un aumento dei controlli su strada è previsto, con l’utilizzo di tecnologie avanzate come:

  • Etilometri portatili di ultima generazione
  • Sistemi di rilevamento automatico delle infrazioni
  • Droni per il monitoraggio del traffico

Prospettive Future del Nuovo Codice

La mobilità sta cambiando rapidamente, con l’introduzione di veicoli elettrici, servizi di car sharing e nuove forme di micromobilità. Il Codice della Strada deve quindi evolvere per:

  • Regolare i nuovi mezzi: come e-bike, hoverboard e scooter elettrici.
  • Promuovere la mobilità sostenibile: incentivando l’uso di veicoli a basso impatto ambientale.
  • Garantire l’inclusività: prevedendo norme per la sicurezza di pedoni, ciclisti e persone con disabilità.

L’implementazione di sistemi intelligenti di trasporto (ITS) può contribuire a migliorare la sicurezza e l’efficienza del traffico. Questo include:

  • Semafori intelligenti: che si adattano ai flussi di traffico in tempo reale.
  • Veicoli connessi: che comunicano tra loro e con le infrastrutture stradali.
  • Applicazioni mobili: per informare gli utenti su condizioni del traffico, incidenti e tempi di percorrenza.

Nonostante le buone intenzioni, la riforma presenta alcune sfide:

  • Applicazione uniforme: assicurare che le nuove norme siano applicate in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.
  • Risorse finanziarie: reperire i fondi necessari per l’aggiornamento delle infrastrutture e la formazione del personale.
  • Resistenza al cambiamento: superare le possibili resistenze da parte di cittadini e categorie professionali interessate dalle nuove regolamentazioni.

Verso una cultura della sicurezza stradale

La Riforma del Codice della Strada 2024 rappresenta un passaggio cruciale per l’Italia nella promozione di una cultura della sicurezza stradale. Affrontando temi chiave come la regolamentazione dei monopattini elettrici, l’inasprimento delle sanzioni per la guida irresponsabile e la standardizzazione dei dispositivi di controllo della velocità, la riforma mira a ridurre significativamente il numero di incidenti e vittime sulle strade italiane.

Il successo di queste misure dipenderà dalla collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine, associazioni di categoria e cittadini. Solo attraverso un impegno condiviso sarà possibile creare un ambiente stradale più sicuro e sostenibile per tutti.

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riforma codice della strada

Riforma Codice della strada: è legge Approvata in via definitiva la riforma del Codice della Strada che introduce alcune importanti novità anche in materia di guida con il cellulare e sospensione breve della patente

Riforma del Codice della Strada ok definitivo

La Riforma del Codice della Strada, dopo l’approvazione del testo alla Camera il 27 marzo 2024, è stata ferma per mesi in Senato, dove il 22 ottobre scorso, la commissione 8° ha terminato i lavori respingendo o trasformando in ordini del giorno gli emendamenti presentati. Per cui, il testo risultante dall’esame delle commissioni a palazzo Madama, in discussione in aula dal 19 novembre 2024 senza alcuna modifica rispetto a quello trasmesso dalla Camera, ieri ha ricevuto il via libera definitivo con 83 voti facorevoli, 47 contrari e un astenuto.

Vediamo, dunque, quali sono le novità più significative del ddl 1086, diventato dal 20 novembre legge dello Stato.

Via la patente per chi usa il cellulare mentre guida

Per chi durante la marcia fa uso di smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi che richiedono l’allontanamento anche solo temporaneo delle mani dal volante corre il rischio di dover pagare fino a 1000 euro di multa e a essere privato della patente per due mesi.

Pene più severe per la guida in stato di ebbrezza

Sulla patente del conducente che ha commesso il reato di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a certi limiti, la riforma prevede l’apposizione dei codici unionali 68 “LIMITAZIONE DELL’USO – Niente alcool” e 69 “LIMITAZIONE DELL’USO –Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock conformemente alla norma EN 50436”.

Veicoli con alcolock

Questi codici (Allegato I della direttiva n. 2006/126/CE) indicano che quel conducente non può più bere prima di mettersi alla guida (cod. 68) o che può guidare solo veicoli muniti di alcolock, per cui il guidatore, prima di accendere la macchina, deve sottoporsi a controllo soffiando nell’apposito apparecchio.

Per chi guida in stato di ebbrezza e presenta un tasso alcolemico elevato la contravvenzione prevede l’arresto, sanzioni pecuniarie salate e la sospensione della patente.

Abbandono animali: pene più severe se su strada

Abbandonare un animale sulla strada o in una sua pertinenza costituisce una circostanza aggravante del reato di abbandono di animali, contemplato dall’art. 727 c.p e comporta anche l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente da sei mesi a un anno.

Sospensione breve della patente

La riforma introduce il nuovo art. 218-ter, che prevede la sospensione della patente in relazione al punteggio per la durata di 7 o di 15 giorni a seconda che sul documento di guida, al momento dell’accertamento, vi siano meno di 20 o di 10 punti.

La nuova norma al comma 1 indica le violazioni del codice della Strada a cui si applica la sospensione breve. Pena raddoppiata per chi provoca incidenti.

Più punti patente per chi segue corsi extracurriculari

Per incentivare lo studio delle regole sulla circolazione stradale la riforma vuole riconoscere due punti in più sulla patente, al momento del rilascio a quei ragazzi che partecipino a corsi extracurriculari organizzati dalle scuole superiori statali o paritarie e delle autoscuole.

Nuovi limiti per i neopatentati

Si vogliono estendere da uno a tre anni i divieti previsti nei confronti dei neo-patentati con patente B per quanto riguarda la guida di autoveicoli con potenze specifiche, ossia superiori a 75 kw per tonnellata e veicoli M1 ibridi o interamente elettrici superiori a 105 kw per tonnellata.

Monopattini: più obblighi e divieti

La riforma prevede alcune importanti novità anche per i conducenti di monopattini e dispositivi per la micromobilità. Previsto il contrassegno per tutti i monopattini, l’obbligo di indossare il casco indipendentemente dall’età, il divieto di utilizzo fuori dai centri urbani e l’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile.

Revisione dei veicoli: controlli sulle imprese autorizzate

I controlli sulle imprese autorizzate a effettuare la revisione periodica dei veicoli devono essere effettuati da personale debitamente abilitato dal Dipartimento competente del MIT. Il decreto che stabilirà le tariffe della revisione stabilirà anche gli importi che saranno a carico delle autofficine e che sono destinate al capitolo specifico di pertinenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la cui mancata corresponsione sarà sanzionata.

Segnalazioni acustiche per i pedoni con disabilità visive

Per aiutare i pedoni con disabilità visive ad attraversare la strada la riforma prevede, presso gli attraversamenti pedonali semaforizzati, la presenza di segnalazioni acustiche per indicare lo stato di accensione delle luci e guide tattili a pavimento per consentire l’individuazione dei pali che sostengono i semafori.

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notaio non versa le tasse

Notaio non versa le tasse: rispondono anche le parti Se il notaio non versa le tasse della compravendita immobiliare perché si appropria del denaro, i contraenti restano comunque responsabili 

Pagamento tasse rogito: responsabilità contraenti

In relazione a un atto di compravendita immobiliare se il notaio non versa le tasse previste perché se ne appropria, i contraenti restano responsabili. La registrazione telematica degli atti effettuata dal notaio non lo rende soggetto unico responsabile del versamento delle imposte previste. Lo ha ribadito la Cassazione nell’ordinanza n. 26800/2024.

L’Agenzia chiede i soldi alla contraente

Una s.r.l a socio unico presenta ricorso per Cassazione contro una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, che ha respinto l’appello della società, confermando la decisione di rigetto dell’impugnazione contro l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima ha infatti richiesto il pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale in relazione a un atto di compravendita immobiliare. La s.r.l però sostiene di aver già versato l’intero importo al notaio incaricato, che però si è appropriato indebitamente delle somme senza trasferirle all’erario.

Notaio non versa le tasse: unico responsabile?

Nell’unico motivo di ricorso che la s.r.l presenta in Cassazione lamenta la violazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986, in combinato disposto con l’art. 3-bis del d.lgs. n. 463 del 1987 e degli artt. 3 e 53 della Costituzione italiana.

Per la società  il giudice d’appello ha erroneamente attribuito una responsabilità solidale alla contribuente, nonostante il comportamento illecito del notaio, che ha trattenuto indebitamente le somme destinate al pagamento delle imposte. La società sostiene inoltre che, con l’introduzione della registrazione telematica degli atti immobiliari, il notaio diventa l’unico responsabile del versamento dell’imposta, poiché le parti contraenti forniscono la provvista necessaria al notaio stesso. La consegna delle somme al notaio dovrebbe quindi liberare il contribuente dall’obbligo tributario, ai sensi dell’art. 1188 del codice civile.

Il contribuente rischia di pagare due volte

La società evidenzia inoltre una presunta disparità di trattamento. Il contribuente, infatti, rischia di dover pagare nuovamente l’imposta in caso di appropriazione indebita da parte del notaio. Quest’ultimo invece beneficia di garanzie sia preventive (deposito delle somme prima del rogito) sia successive (privilegio speciale sugli immobili).

La stessa infine rileva come l’applicazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 rappresenterebbe una violazione dell’art. 53 della Costituzione, imponendo un onere economico al contribuente senza una sua colpevolezza manifesta e senza espressione di capacità contributiva.

Notaio solidalmente responsabile

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso della società confermando che, anche quando si utilizza la registrazione telematica dell’atto tramite il modello unico informatico (M.U.I.), il notaio rimane solidalmente responsabile per il pagamento delle imposte.

Questa modalità di registrazione non modifica però la responsabilità solidale prevista dall’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986, che coinvolge le parti contraenti dell’atto.

La responsabilità del notaio è una garanzia per l’amministrazione finanziaria, ma non esclude che il presupposto impositivo riguardi le parti contraenti. Il fatto che il notaio possa appropriarsi indebitamente delle somme non altera il vincolo di solidarietà tra le parti, che resta intatto in base alla normativa vigente. Pertanto, il contribuente è comunque tenuto al pagamento, poiché il rapporto fiduciario tra le parti e il notaio non influisce sulla responsabilità fiscale solidale.

Sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente, la Cassazione precisa infine che l’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 non viola i principi di uguaglianza (art. 3 Costituzione) e di capacità contributiva (art. 53 Costituzione). Il notaio, nel ricevere le somme, agisce in virtù di un rapporto fiduciario e non come esattore dello Stato. Eventuali illeciti del notaio non possono essere imputati alla normativa sulla solidarietà fiscale, che resta valida.

 

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reato maternità surrogata

Reato di maternità surrogata: in vigore dal 3 dicembre Cosa prevede la nuova legge che introduce il reato di maternità surrogata commesso all’estero da un cittadino italiano pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre e in vigore dal 3 dicembre 2024

Maternità surrogata: reato universale

Nella giornata del 16 ottobre 2024 con 84 voti favorevoli, 58 contrari e nessuna astensione, è arrivato il sì definitivo del Senato, al ddl n. 824 proposto da Fratelli d’Italia che rende la maternità surrogata un reato universale.

La nuova legge n. 169/2024, recante “Modifiche all’art. 12 della legge n. 40/2004, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano”, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre 2024 per entrare in vigore il 3 dicembre.

Modifica della legge 40/2004

Il testo va a modificare l’articolo 12 della legge n. 40 del 19 febbraio del 2004, che punisce la realizzazione, la commercializzazione, l’organizzazione o pubblicizza il commercio dei gameti e degli embrioni o la surrogazione di maternità.

Al comma 6 dell’articolo 12 di detta legge il ddl aggiunge il seguente periodo: se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi allestero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. 

Condotte in paese straniero

Il provvedimento prevede in pratica l’applicazione della legge italiana anche quando le condotte punite dal comma 6 relative alla maternità surrogata vengono commesse in un paese straniero.

In questo modo si potranno perseguire penalmente anche le condotte, già punite dalla legge n. 40/2004, anche se poste in essere in un paese estero e anche qualora questo paese estero non le consideri un illecito penale.

Pene previste per reato di maternità surrogata

Il testo della nuova legge è lo stesso che era già stato approvato dalla Camera durante la prima lettura avvenuta nel luglio del 2023.

Durante l’iter la Lega aveva proposto un inasprimento ulteriore delle sanzioni derivanti dal reato portando la reclusione a 10 anni e la multa fino a 2 milioni di euro, ma la proposta è stata respinta.

Al reato di surrogazione di maternità si applicheranno di conseguenza le pene previste dallo stesso comma 6 ossia la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da 600.000 euro fino a 1 milione di euro.

tessera sanitaria

Tessera sanitaria: la guida La tessera sanitaria è un documento gratuito rilasciato a tutti i cittadini che hanno diritto alle prestazioni fornite dal SSN

Tessera sanitaria cos’è

La tessera sanitaria è il documento personale rilasciato a tutti i cittadini che hanno diritto alle prestazioni fornite dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il documento contiene il codice fiscale assegnato dall’Agenzia delle Entrate e lo certifica.

Leggi anche la guida sulla Tessera sanitaria – pdf con le istruzioni dedicate anche ai neo-genitori e ai cittadini stranieri

A cosa serve e quanto dura

La tessera sanitaria serve ogni volta che il cittadino si reca dal medico, acquista un medicinale o richiede una visita presso le strutture del Sistema sanitario nazionale. Ad oggi, il documento vale anche come Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

La durata della tessera sanitaria è di sei anni. Alla scadenza l’Agenzia spedisce automaticamente una nuova Tessera sanitaria al proprio indirizzo di residenza presente in Anagrafe Tributaria.

La tessera europea

Nella parte posteriore del documento, spiega l’Agenzia delle Entrate, c’è la “Tessera Europea Assistenza Malattia (T.E.A.M.)”. Ciò garantisce l’assistenza sanitaria nell’Unione Europea, in Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera, secondo le normative vigenti nei singoli Paesi.

Come ottenere la tessera sanitaria

La tessera sanitaria è ottenibile gratuitamente e può essere emessa se:

  • il cittadino ha il codice fiscale correttamente attribuito dall’Agenzia delle Entrate
  • è iscritto all’ASL di competenza e questa ha trasmesso i suoi dati al “Sistema tessera sanitaria”.

Chi non possiede il codice fiscale, dovrà preventivamente acquisirlo. Per l’attribuzione del codice fiscale è necessario presentare all’Agenzia il modello AA4/8 compilato e accompagnato da un valido documento d’identità.

Tessera sanitaria per neonati

Dopo la nascita del figlio, spetta ai genitori chiedere al Comune di residenza il codice fiscale per poter ricevere la tessera sanitaria a casa. I genitori, pertanto, devono presentare la dichiarazione di nascita al Comune, che attribuisce al neonato il codice fiscale, attraverso un sistema informatico collegato con l’Anagrafe Tributaria.

Una volta attribuito il codice fiscale, viene emessa la prima tessera sanitaria del neonato, che vale un anno e viene spedita al suo indirizzo di residenza, coincidente con quello della madre.

Nel momento in cui il bambino viene registrato all’ASL di competenza e viene scelto il medico pediatra, la nuova tessera sanitaria viene spedita presso la residenza, con validità di sei anni.

Tessera sanitaria per cittadini stranieri

Per i cittadini stranieri che intendono richiedere la tessera sanitaria occorre l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, di regola, ha la stessa validità della durata del permesso di soggiorno. Alla scadenza, il cittadino che ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno deve rivolgersi di nuovo all’ASL di competenza per rinnovare l’iscrizione e richiedere l’emissione di una nuova tessera sanitaria.

Ai fini dell’iscrizione al SSN, il cittadino può usare anche il codice fiscale provvisorio attribuito dall’Agenzia delle Entrate.

Smarrimento o furto tessera sanitaria

In caso di furto, smarrimento o anche di deterioramento della tessera sanitaria, infine, è possibile richiederne una nuova direttamente online sul sito dell’Agenzia delle Entrate, via e-mail o pec presso un qualunque ufficio dell’Agenzia delle Entrate, mediante richiesta alla propria ASL.

 

certificato casellario giudiziale

Certificato casellario giudiziale Certificato casellario giudiziale: è il documento che attesta la presenza di provvedimenti penali, civili e amministrativi passati in giudicato o definitivi a carico di una persona

Certificato casellario giudiziale: cos’è

Il Certificato del casellario giudiziale è un documento ufficiale che attesta la presenza di provvedimenti penali, civili e amministrativi passati in giudicato o definitivi emessi a carico di una persona. Questo certificato fornisce una panoramica delle vicende giuridiche in cui una persona è stata coinvolta.

Il Casellario giudiziale è gestito dal Ministero della Giustizia e raccoglie i dati relativi a tutte le decisioni giudiziarie emesse da tribunali italiani, comprese le condanne, le sentenze di non luogo a procedere, le assoluzioni e le misure di sicurezza.

Chi può richiederlo

Il Certificato del casellario giudiziale può essere richiesto da chiunque abbia interesse a ottenere una certificazione sulla propria posizione giuridica.

  1. Dalla persona interessata per se stessa per attestare se si ha o meno un’eventuale condanna penale a proprio carico.
  2. Da un soggetto che ha un interesse legittimo. Ad esempio, un datore di lavoro può richiedere il certificato di un candidato durante una selezione, per verificare che non ci siano condanne penali. In questo caso, è necessaria una specifica autorizzazione della persona interessata.
  3. Dall’ente pubblico o dall’istituzione che necessita di verificare la posizione giuridica di una persona può richiederlo per motivi legati a incarichi o adempimenti particolari (es. assunzioni in ambito pubblico, concessione di licenze, etc.).

A cosa serve il certificato del casellario giudiziale

Il certificato del casellario giudiziale ha numerosi usi e applicazioni pratiche. Alcuni dei principali sono:

  1. Adempimenti lavorativi: Il certificato può essere richiesto da datori di lavoro, sia pubblici che privati, per verificare se un candidato abbia condanne penali o procedimenti pendenti, soprattutto in contesti sensibili (es. assunzioni in ambito sanitario, educativo, giuridico, etc.).
  2. Partecipazione a concorsi pubblici: Le pubbliche amministrazioni richiedono spesso il Certificato del Casellario Giudiziale per i candidati ai concorsi pubblici, al fine di verificare l’idoneità morale e giuridica alla posizione.
  3. Concessione di licenze e autorizzazioni: In alcuni casi, come per l’ottenimento di licenze professionali o per la gestione di attività sensibili (come bar, ristoranti, o agenzie di sicurezza), le autorità locali possono richiedere il certificato per garantire che il richiedente non abbia precedenti penali.
  4. Esigenze personali: Può essere richiesto anche per motivi personali, come ad esempio per la presentazione di una domanda di visto o per procedimenti legali in corso. Alcuni cittadini possono anche richiederlo per semplici motivi di trasparenza o per tutelarsi in specifiche situazioni.
  5. Adempimenti giuridici: In determinati contesti legali, come per la partecipazione a cause civili o per l’affidamento di minori, il certificato può essere richiesto per accertare l’affidabilità del soggetto coinvolto.

Come si richiede il certificato del casellario giudiziale

La richiesta del Certificato del Casellario Giudiziale può essere effettuata attraverso vari canali:

  1. Online: È possibile richiederlo direttamente online tramite il portale del Ministero della Giustizia, con una procedura semplificata che permette di ottenere il certificato in modo rapido. In alcuni casi, è necessaria una firma digitale per completare la richiesta.
  2. Presso gli uffici giudiziari: In alternativa, il certificato può essere richiesto recandosi direttamente presso l’ufficio del Casellario Giudiziale del tribunale competente (tribunale di residenza o di domicilio dell’interessato).
  3. Per posta: È possibile inviare una richiesta scritta al tribunale competente, allegando la documentazione necessaria per l’identificazione.
  4. In agenzia pratiche: Alcune agenzie o studi legali si occupano di inoltrare la richiesta per conto di terzi, in cambio di una tariffa per il servizio.

Costo del certificato

La richiesta di un Certificato del Casellario Giudiziale comporta un costo, che può variare a seconda del tipo di certificato richiesto e delle modalità di rilascio (ad esempio, online, in tribunale, per posta, etc.).  Il sito del Ministero precisa che il costo per il rilascio del certificato è di 19,92 Euro (16,00  Euro per la marca da bollo e 3,92 euro per i diritti). Per la spedizione occorre poi sostenere i relativi costi di affrancatura.

Durata e validità

Il Certificato del Casellario Giudiziale ha una validità limitata, in quanto le informazioni contenute possono cambiare nel tempo. Solitamente, il certificato è valido per un periodo di 6 mesi, ma per determinati scopi, come la partecipazione a concorsi pubblici o richieste di lavoro, potrebbe essere richiesta una data di rilascio più recente.

giurista risponde

Dolo alternativo e delitto tentato La figura del dolo diretto nella forma di dolo alternativo è compatibile con il delitto tentato?

Quesito con risposta a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini

 

L’analisi relativa alla ricorrenza del dolo nel tentato omicidio non deve necessariamente approdare alla ricostruzione di un dolo specifico di tipo intenzionale, posto che il tentativo punibile è tale anche in presenza di dolo diretto di tipo alternativo, ferma restando la ritenuta incompatibilità tra tentativo punibile e dolo eventuale (Cass., sez. I, 5 giugno 2024, n. 34379)

Il caso portato all’attenzione della Corte di Cassazione permette di ribadire i caratteri principali dell’istituto del tentativo soffermandosi sulla compatibilità con il dolo alternativo.

Il Tribunale aveva rigettato la richiesta di riesame confermando l’ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di uno degli imputati in relazione al reato di cui agli artt. 110, 56 e 575 c.p.

Veniva proposto ricorso per Cassazione contestando sia la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e, dunque, l’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, che la qualificazione giuridica dei fatti posti in essere per insussistenza del c.d. animus necandi.

La Suprema Corte, nella decisione in esame, respingendo il ricorso, ha preliminarmente ricordato il consolidato principio espresso in tema di ordinanza “de libertate” del tribunale del riesame secondo cui «è ravvisabile il vizio di omessa motivazione quando dal provvedimento, considerato nella sua interezza, non risultino le ragioni del convincimento del giudice su punti rilevanti per il giudizio e non anche quando i motivi per il superamento delle tesi difensive su una determinata questione siano per implicito desumibili dalle argomentazioni adottate» (così Cass., sez. III, 16 aprile 2020, n. 15980).

Osserva, la Corte, che nel caso de quo la motivazione del provvedimento risulta coerente e adeguata, fondandosi su una valutazione complessiva di tutti gli elementi allo stato emersi.

Allo stesso modo, infondate sono state ritenute le censure relative alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti realizzati dall’agente.

Il Supremo Collegio ha poi ricordato come nel delitto tentato – fattispecie caratterizzata dalla punibilità di atti che, per definizione, non hanno raggiunto lo scopo perseguito dall’agente e tipizzato dal legislatore nella norma incriminatrice di parte speciale – si pone il duplice problema di individuare sia l’idoneità e l’univocità in fatto degli atti (da valutarsi ex ante e in concreto, secondo la prospettiva dell’agente) che la reale intenzione perseguita dall’autore del fatto.

L’istituto del tentativo nei delitti richiede la sussistenza sia dell’elemento oggettivo che soggettivo, costituendo autonoma fattispecie rispetto al reato consumato (ex multis Cass., sez. II, 14 novembre 2014, n. 6337).

L’elemento soggettivo, ad eccezione del dolo eventuale pacificamente ritenuto incompatibile con il tentativo, è identico a quello previsto per il reato che il soggetto agente si propone di compiere. L’elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarità in quanto ruota intorno a tre concetti: l’idoneità degli atti, l’univocità degli atti e il mancato compimento dell’azione o il mancato verificarsi dell’evento.

Il delitto tentato si colloca fra la semplice ideazione o l’accordo – non punibile – ed il delitto consumato ed è, pertanto, necessario stabilire quando un’azione, avendo superato la soglia della mera ideazione, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, deve essere ugualmente punibile.

E ciò in quanto il fondamento giuridico di tale istituto viene ravvisato nella esposizione a pericolo, o nella mancata neutralizzazione di un pericolo, per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Alla luce di questo inquadramento devono essere valutati gli elementi essenziali della direzione non equivoca degli atti e della loro idoneità necessari anche ad accertare l’intenzione perseguita dall’autore e, quindi, la sussistenza dell’elemento psicologico (così Cass., sez. V, 24 novembre 2015, n. 4033).

Il concetto di idoneità degli atti prescinde dalla mancata realizzazione dell’evento e attiene alla possibilità che questo aveva di realizzarsi.

In tal caso, dunque, il criterio cui fare riferimento, non è costituito dalla probabilità, più o meno concreta, che l’evento si verifichi ma dalla possibilità che ciò avvenga.

Ciò in quanto le eventuali difficoltà concrete che il soggetto agente dovesse trovare non rilevano per la sussistenza o meno del tentativo ma, anzi, ne costituiscono l’essenza, nel senso che ogni evento ha una maggiore o minore probabilità di verificarsi e che, proprio laddove non si dovesse verificare, saremo in presenza di un delitto tentato piuttosto che consumato.

Invero, solo qualora l’evento non sia accaduto e questo non aveva alcuna possibilità di accadere può ritenersi che il tentativo non sussista, a nulla rilevando se la realizzazione o meno dell’evento stesso fosse, allorché la condotta è stata posta in atto, più o meno probabile, anche solo per incapacità dell’agente o per mere difficoltà oggettive (Cass., sez. I, 17 ottobre 2019, n. 870).

Ulteriore e imprescindibile caratteristica della condotta nel delitto tentato è rappresentata dalla univocità degli atti.

L’idoneità degli atti, infatti, in sé e per sé considerata, non è da sola sufficiente ai fini della rilevanza penale della condotta, in quanto un atto, ontologicamente, può apparire ovvero essere potenzialmente idoneo a conseguire una pluralità di risultati, per cui solo la sua univoca direzione a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall’agente si pone in linea con il principio di offensività del fatto.

Sotto tale profilo, pertanto, la direzione non equivoca non indica un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza della condotta che, non escludendo che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, impone che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l’id quod plerumque accidit, l’intenzione ovvero il fine perseguito dall’agente ( ex multis Cass., sez. I, 7 gennaio 2010, n. 9411).

Ai fini della rilevanza penale e della punibilità del tentativo la Corte ricorda come gli atti non possono essere in astratto distinti e classificati in atti preparatori e atti esecutivi, discrimine da ritenersi generico e superato, poiché quello che rileva è l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché la univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta.

Ciò in quanto per la configurabilità del tentativo assumono rilievo non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quelli che, pur classificabili come preparatori, siano in qualche modo tipici, siano cioè corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata e, di conseguenza, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, potendosi così affermare che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili, ed indipendenti dalla volontà del reo ( cfr. Cass., sez. V, 24 novembre 2015, n. 4033).

Il requisito dell’univocità, infatti, prescindendo da ogni classificazione degli atti, deve essere accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di identificare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo.

Passando all’elemento soggettivo, la verifica dello stesso appare particolarmente delicata, data la mancata verificazione dell’evento; pertanto, la riconoscibilità di un tentativo punibile impone la logica e coerente individuazione di ‘segni esteriori’ della condotta che, in rapporto alle circostanze del caso concreto, siano idonei, attraverso una catena inferenziale solida, di dedurre la presenza del necessario elemento psicologico.

Invero, come altresì espresso dalla Cass., Sez. Un., 24 aprile 2024, n. 38343, il dolo è un fenomeno interiore – costituito dalla rappresentazione e dalla volontà della condotta e di determinare l’evento preso di mira – che si ricostruisce necessariamente in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di indicatori fattuali capaci di sostenere l’opzione ricostruttiva di sussistenza e di qualificazione dello stesso.

Fatta questa premessa, nel caso del tentato omicidio, non è necessario dimostrare un dolo specifico di tipo intenzionale, poiché il tentativo punibile può sussistere anche con un dolo diretto di tipo alternativo, rimanendo incompatibile solamente con il dolo eventuale.

Secondo un principio consolidato dalla giurisprudenza si possono individuare differenti gradi di intensità della volontà dolosa, con accettazione dell’evento che varia in base alla percezione della sua probabilità di accadere.

Il dolo si configura come diretto nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, quando l’autore non si limita ad accettarlo come conseguenza accessoria ma di fatto lo vuole con un’intensità maggiore, mentre, viene qualificato come dolo eventuale quando l’evento è previsto come altamente probabile ma non necessario.

In questa prospettiva interpretativa, per riconoscere il dolo diretto di omicidio non è richiesta la previsione e la volontà esplicita di provocare la morte come unica e certa conseguenza, ma è sufficiente che essa sia prevista e voluta come altamente probabile nell’ambito di una dinamica lesiva che includa anche, in via cumulativa e alternativa, l’evento di lesioni (da ultimo ex multis, Cass., sez. I, 13 ottobre 2022, n. 4773; Cass., sez. I, 30 marzo 2022, n. 29611).

Il cosiddetto dolo alternativo, che contempla un secondo evento altamente probabile accanto al primo, viene considerato, dunque, come dolo diretto in quanto anche il secondo è previsto come scopo della condotta e non è per tale ragione meramente accettato come conseguenza accessoria o ulteriore (così Cass., sez. I, 30 marzo 2023, n. 33435).

Pertanto, la distinzione tra dolo diretto di tipo alternativo e dolo eventuale richiede un’analisi attenta delle manifestazioni esteriori, considerando indicatori significativi dell’intenzione dell’agente come, a titolo di esempio, nel tentato omicidio, la potenzialità dell’azione lesiva, desumibile dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata, nonché dalle modalità dello stesso atto lesivo (così Cass., sez. I, 5 aprile 2022, n. 24173).

Nel caso di specie, secondo la Corte, il Tribunale del riesame si è correttamente conformato ai criteri indicati.

Invero, il giudice del riesame ha evidenziato come il ricorrente abbia utilizzato un coltello dall’elevata potenzialità e che con questo ha attinto la vittima sul fianco, provocando una lesione tale da porre in pericolo la vita della vittima.

Con specifico riferimento alle modalità dell’azione poi, ha dato atto dell’idoneità del mezzo, dell’univocità dell’azione e della natura dell’elemento psicologico quale dolo alternativo. Quanto a quest’ultimo, il Tribunale ha correttamente fatto riferimento alla zona, l’addome, che il ricorrente ha deliberatamente e consapevolmente attinto, così rappresentandosi come altamente probabile e quindi volendo, anche in via cumulativa o alternativa, l’evento morte.

Contributo in tema di “Dolo alternativo e delitto tentato”, a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

permessi sindacali

Permessi sindacali: legittimo licenziare chi ne abusa Permessi sindacali: legittimo il licenziamento del dipendente che usa o meglio abusa di due giorni di permessi sindacali per motivi personali

Permessi sindacali: abuso e licenziamento

I permessi richiesti per prendere parte alle riunioni sindacali non possono essere usati per soddisfare motivi personali. E’ quindi legittimo il licenziamento del dipendente che usa i due giorni di permesso richiesti per partecipare a delle riunioni sindacali e poi va fuori regioni per accompagnare il figlio alle prove selettive delle Forze armate. Il lavoratore, con la sua condotta, ha inclinato irrimediabilmente il rapporto di fiducia che il datore di lavoro nutre nei suoi confronti. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 29135/2024.  

Uso non autorizzato dei permessi sindacali

L’ex impiegato di una società per azioni (S.p.A) viene licenziato per giusta causa il 20 ottobre 2016, a causa dell’uso non autorizzato di permessi sindacali nei giorni 6 e 7 ottobre dello stesso anno. In quei giorni, il lavoratore non aveva svolto infatti alcuna attività sindacale, in quanto fuori regione per motivi personali.

Reintegra e risarcimento del danno

L’ex dipendente contesta il licenziamento, ritenendolo ingiusto per diverse ragioni:

  • violazione delle norme sui permessi sindacali stabilite dagli articoli 23 e 24 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori);
  • insufficienza di giorni per giustificare un simile provvedimento;
  • mancata comunicazione delle motivazioni;
  • presunta inesattezza del rapporto investigativo che documentava i suoi movimenti.

Per il ricorrente infine le indagini condotte hanno violato la sua privacy poiché erano state avviate durante un periodo di ferie.

Licenziamento legittimo: uso improprio dei permessi

Il lavoratore si rivolge quindi al Tribunale, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento per i danni subiti. In primo grado, il Tribunale respinge il ricorso, confermando la legittimità del licenziamento. Successivamente, l’ex dipendente presenta appello, ma anche questo viene rigettato. Il Tribunale ha motivato la sua decisione affermando che non vi era stata alcuna violazione della privacy. I controlli infatti sono stati eseguiti in luoghi pubblici con l’obiettivo di  verificare l’effettiva ragione della richiesta dei permessi sindacali.

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza del Tribunale ritenendo infondati i motivi dell’opposizione. La questione disciplinare infatti riguardava non una semplice assenza ingiustificata dal lavoro, ma l’uso improprio dei permessi sindacali. Le indagini hanno dimostrato che nei giorni in cui il dipendente aveva ottenuto i permessi questi si trovava fuori regione con suo figlio, impegnato in prove selettive per l’arruolamento nelle Forze Armate, senza svolgere alcuna attività sindacale.

Abuso se si usano per motivi personali

L’investigatore privato incaricato dall’azienda ha confermato l’accuratezza del suo rapporto che descriveva dettagliatamente gli spostamenti del dipendente nei giorni in questione. Per la Corte, se il diritto ai permessi sindacali fosse protetto dall’art. 30 della Legge n. 300/1970, in questo caso specifico si è verificato un abuso dell’istituto usandolo per scopi personali invece che per attività sindacali.

La sanzione è quindi proporzionata e del tutto legittima la decisione del licenziamento. Il comportamento del lavoratore ha infatti compromesso irrimediabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda. L’abuso dei permessi sindacali retribuiti è più grave rispetto a una semplice assenza ingiustificata.

Diritto di controllare la partecipazione alle riunioni

L’ex dipendente ricorre in Cassazione sollevando tre motivi di doglianza. Con il secondo lamenta la falsa applicazione delle norme sul diritto ai permessi sindacali. Il terzo motivo riguarda invece la presunta mancata comunicazione delle ragioni del licenziamento da parte dell’azienda.

La Cassazione però respinge il secondo perché il datore di lavoro ha tutto il diritto di controllare l’effettiva partecipazione dei sindacalisti alle riunioni per cui sono concessi i permessi, respinge invece  il terzo perché la lettera ha esposto chiaramente le motivazioni del licenziamento.

In sintesi, tutte le fasi processuali hanno confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa adottata dall’azienda a fronte dell’abuso fraudolento dei permessi sindacali da parte del dipendente.

 

Leggi anche: Abuso dei permessi sindacali: ok al licenziamento

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