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Salario minimo: la guida Salario minimo: cos’è, come si stabilisce, a cosa serve e cosa prevede la Direttiva UE che gli Stati devono recepire entro il 15 novembre 2024

Salario minimo: che cos’è

Il salario minimo è la retribuzione minima del lavoratore. Si tratta della somma minima, sotto la quale non si può scendere, che i datori di lavoro devono riconoscere e corrispondere ai loro dipendenti, operai o impiegati.

In molti paesi il salario è stabilito per legge da più di un secolo, in altri invece deve ancora trovare uno spazio nella legislazione interna, come in Italia. La misura aspira a riconoscere ai lavoratori una retribuzione più adeguata ai bisogni tipici della società moderna.

Salario minimo: determinazione

Il salario minimo può essere determinato dalla legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale o dalla combinazione tra queste due fonti. In Italia la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva.

L’unico riferimento normativo che si limita a indicare i criteri di determinazione dell’importo della retribuzione e l’articolo 36 della Costituzione. La norma riconosce al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Essa deve essere corrisposta comunque in misura sufficiente a garantire al lavoratore stesso e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

A questa norma si ricollega l’articolo 39 della Costituzione. Esso che riconosce ai sindacati il potere di stipulare i contratti collettivi di lavoro vincolanti per i lavoratori della categoria a cui si riferisce il contratto specifico.

La situazione reale del nostro paese però è caratterizzata dalla mancata estensione dell’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori della categoria con conseguente moltiplicazione dei contratti stessi.

Riferimento normativo UE

Il salario minimo rappresenta l’oggetto della Direttiva 2022/2041, che è stata approvata il 14 settembre del 2022. Essa ha stabilito l’obbligo di recepimento da parte degli stati UE entro 2 anni dalla sua entrata in vigore. Gli Stati quindi devono adeguarsi alla Direttiva entro il 15 novembre 2024.

Questo perché in 21 paesi europei il salario minimo è già previsto e disciplinato, mentre in altri paesi UE come l’Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva e non appare equa e in grado di soddisfare le finalità della direttiva.

La Direttiva UE  2022/2041

La Direttiva europea 2022/2041 si pone l’obiettivo di garantire salari minimi in grado di assicurare ai lavoratori condizioni di lavoro, ma anche di vita, dignitose. Essa mira alla convergenza sociale verso l’alto e alla eliminazione delle differenze retributive.

La Direttiva, per sua natura, non può imporre agli Stati che ricorrono alla contrattazione collettiva di adottare un salario minimo per legge. Nello stesso modo non può imporre di dichiarare un contratto collettivo applicabile universalmente a tutti i lavoratori.

Per garantire uniformità essa prevede che gli Stati UE che abbiano già adottato i salari minimi legali debbano rideterminarli e aggiornarli per perseguire le finalità della normativa. Nei paesi che invece ne affidano la determinazione alla contrattazione collettiva la Direttiva la promuove nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali coinvolte.

La Direttiva prevede inoltre che gli Stati UE debbano essere monitorati. Ogni due anni dovranno infatti fornire alcuni dati alla Commissione UE. Questi dati variano a seconda che il salario minimo sia definito con legge o tramite contrattazione collettiva.

I progetti di legge in materia

Nel corso della precedente legislatura e di quella in corso sono stati presentati diversi progetti di legge sul salario minimo.

Per approfondire leggi la documentazione parlamentare dedicata al “Salario Minimo”

In particolare, il 2 ottobre scorso, la commissione lavoro del Senato, ha avviato l’esame congiunto dei ddl 126 e 281 e dei ddl 956 e 957, quest’ultimo già approvato dalla Camera (“Equa retribuzione”), che prevede una delega al governo in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia della contrattazione collettiva, introducendo strumenti per aumentare i salari minimi.
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EquiPro: come funziona la piattaforma per gli intermediari A cosa serve la piattaforma messa a disposizione dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione e quali sono i servizi offerti nell'area riservata agli intermediari

EquiPro: cos’è

EquiPro è la piattaforma esclusiva rivolta agli intermediari. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ne illustra le caratteristiche nella pagina dedicata al servizio. Attraverso quest’area riservata, a disposizione dunque di commercialisti, consulenti del lavoro, tributaristi, Caf e associazioni di categoria, gli intermediari possono accedere e utilizzare i servizi online dell’AdeR per gestire le pratiche dei loro assistiti. Ciò consente di tenere sempre sotto controllo cartelle, avvisi, rate e scadenze.

I servizi di EquiPro

Gli intermediari abilitati e i loro incaricati possono visualizzare online la situazione debitoria (cartelle e avvisi di pagamento emessi dal 2000), i piani di rateizzazione dei loro assistiti.

E’ possibile utilizzare, inoltre, i seguenti servizi dispositivi, direttamente dal proprio dispositivo (pc, smartphone, tablet) senza andare allo sportello:

  1. pagare cartelle e avvisi di pagamento;
  2. ottenere direttamente online, in presenza dei requisiti, la rateizzazione per importi fino a 120 mila euro;
  3. trasmettere istanze di sospensione legale della riscossione;
  4. presentare e gestire le istanze di Definizione agevolata;
  5. chiedere informazioni specifiche sulla situazione debitoria, cartelle, rateizzazioni e procedure di riscossione con il nuovo servizio «Appuntamenti e contatti».

Come accedere

Per accedere a EquiPro, spiega il fisco, gli intermediari abilitati e i loro incaricati devono essere abilitati:

  • al servizio Entratel dell’Agenzia delle Entrate (ex art. 3 comma 3 DPR n. 322/1998) oppure avere l’identità digitale SPID, la Carta d’identità elettronica o la Carta nazionale dei servizi. In questi casi è comunque necessario essere abilitati a Entratel;
  • alla funzione denominata “servizi online Agenzia delle entrate-Riscossione”.

La delega dell’assistito

Per utilizzare i servizi online gli intermediari devono necessariamente ricevere la delega dai loro assistiti.
La delega ha carattere generale e consente di gestire la posizione del delegante mediante l’utilizzo di tutti i servizi disponibili via web. Ha una validità di due anni e può essere revocata in qualsiasi momento.

Le modalità di attribuzione delle deleghe prevedono una procedura di delega online e una procedura di delega cartacea.

Delega online

La modalità di attribuzione e accettazione delle deleghe online prevede tre passaggi fondamentali:

  1. l’intermediario abilitato (o suo incaricato) deve entrare in EquiPro (Agenzia delle Entrate, SPID, Carta d’identità elettronica, CNS-Carta Nazionale dei Servizi) accedere alla sezione “Gestione deleghe” e accettare il nuovo regolamento con le “Condizioni generali di adesione – pdf” al servizio, che hanno validità quattro anni;
  2.  il contribuente (delegante), se persona fisica, deve entrare nell’area riservata ai Cittadini con le proprie credenziali. Nel caso di soggetto diverso da persona fisica deve accedere all’area riservata alle Imprese e ai Professionisti utilizzando le credenziali ottenute come rappresentante legale. A questo punto, il delegante nella sezione “Delega un intermediario” prende visione delle “Condizioni generali di adesione – pdf” ai servizi web e indica il codice fiscale dell’intermediario abilitato a cui conferire la delega;
  3. l’intermediario abilitato (o suo incaricato), sempre nella sezione “Gestione deleghe”, deve accettare la delega ricevuta.

Delega cartacea

La delega cartacea invece può essere conferita compilando il modello cartaceo DP1 – pdf.

  • Se il delegante è persona fisica deve consegnare all’intermediario – insieme al modello compilato – copia del proprio documento d’identità.
  • Nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche occorre consegnare copia del documento d’identità del rappresentante legale.

Come trasmettere la delega cartacea

Gli estremi della delega del modello DP1 e gli elementi di riscontro devono essere trasmessi dall’intermediario utilizzando unicamente il software di compilazione e controllo pubblicato sul sito di Agenzia delle entrate.

La delega, rammenta infine l’Ader, non va trasmessa tramite PEC.

 

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modello red

Modello RED: cos’è, a cosa serve, quando si presenta Guida al modello RED: che cos’è, quali sono i soggetti tenuti a presentarlo ed entro quando bisogna inviare il RED 2024

Che cos’è il modello RED

Il modello RED è il documento telematico che i percettori di pensione devono compilare per dichiarare quei redditi che risultano rilevanti ai fini del riconoscimento di alcune prestazioni economiche.

Vi sono, infatti, alcune prestazioni assistenziali previste dalla legge – come la maggiorazione sociale o l’integrazione del minimo della pensione – per il cui riconoscimento devono ricorrere determinati requisiti reddituali (c.d. prestazioni collegate al reddito).

Perciò, l’Inps, cioè l’ente erogatore di tali prestazioni, deve essere messo in condizioni di conoscere i redditi percepiti dal titolare di trattamento pensionistico, per valutare correttamente se questi abbia diritto a tali ulteriori prestazioni.

Quali sono i pensionati che devono presentare il modello RED?

Con il modello RED, quindi, vengono comunicati tutti quei redditi che non vengono dichiarati con le ordinarie comunicazioni annuali.

In particolare, devono compilare il modello RED:

  • i pensionati che non sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi con modello 730 o con modello Redditi PF e che siano percettori di redditi ulteriori alla pensione (es. redditi immobiliari);
  • i pensionati che abbiano presentato la dichiarazione dei redditi ma che non erano tenuti a indicarvi determinati redditi, ulteriori alla pensione (es. interessi bancari), che invece influiscono sul riconoscimento o meno delle prestazioni economiche erogate dall’Inps;
  • i pensionati che percepiscono redditi che vanno dichiarati in modo diverso all’Agenzia delle Entrate (es. redditi da lavoro autonomo: al riguardo, vedi il nostro approfondimento sul Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo);
  • sono, inoltre, tenuti alla compilazione del modello RED i pensionati che hanno il coniuge o un altro familiare percettori di redditi che influiscono sulla determinazione del diritto a prestazioni erogate dall’Inps.

Chi non deve inviare il Modello Red

Di converso, non sono tenuti all’invio del modello RED i pensionati che hanno inviato all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi (o che non sono tenuti all’invio della stessa) e che non percepiscono ulteriori redditi, oltre a quelli dichiarati.

Come si presenta il modello RED 2024

Il modello RED si può presentare rivolgendosi a un CAF autorizzato, dove si potrà ricevere l’opportuna assistenza, oppure collegandosi in modo autonomo sul sito www.inps.it, autenticandosi con Spid o Carta Nazionale dei Servizi.

Per chi sceglie di inviare da sé il modulo, da quest’anno è possibile fare affidamento sul modello RED precompilato, che prende il posto del modello RED semplificato. In sostanza, si tratta di una funzione molto utile che permette di completare l’inserimento dei propri dati reddituali semplicemente confermando, integrando o rettificando i dati precompilati.

Scadenza modello RED: quando si deve fare il Red 2024?

L’Inps ha già comunicato, con il messaggio n. 3301 dello scorso 4 ottobre, che la scadenza per il Modello RED 2024, relativo ai redditi percepiti nel 2023, è fissata al 28 febbraio 2025.

Il mancato invio della dichiarazione, ove dovuta, può portare alla sospensione o revoca della prestazione collegata al reddito da parte dell’Inps, a seguito di successivi controlli.

commercialista sbaglia

Commercialista sbaglia? Culpa in vigilando anche per il cliente Per la Cassazione, non è esente da responsabilità il contribuente per mancato pagamento delle imposte che consegua alla condotta del professionista infedele

Culpa in vigilando

Scatta la culpa in vigilando per il cliente che non dimostra di aver controllato il commercialista che sbaglia o che ha un comportamento infedele. Lo ha affermato la sezione tributaria della Cassazione, con ordinanza n. 25158/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il titolare di un’impresa individuale impugnava un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2003, con cui – a seguito dell’omessa dichiarazione dei redditi – venivano accertati maggiori ricavi e recuperate IRPEF, IRAP e IVA, oltre sanzioni e accessori. Il contribuente deduceva che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi era ascrivibile all’infedele comportamento del proprio consulente.
La CTP di Palermo accoglieva parzialmente il ricorso e la CTR Sicilia rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che le sanzioni non fossero dovute, “in quanto le violazioni erano ascrivibili al comportamento del consulente e il contribuente aveva sporto denuncia nei confronti del medesimo”.

L’Ufficio propone ricorso per cassazione sostanzialmente lamentando che il contribuente “non può andare esente da comportamenti assunti dal proprio consulente ove non abbia vigilato sull’operato – dello stesso – né essendo la proposizione della denuncia penale idonea a rimuovere la responsabilità”.

Sanzioni amministrative per violazioni tributarie

La Cassazione dà ragione al fisco. Secondo una costante giurisprudenza, rilevano infatti i giudici della S.C., “in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza; non può, quindi, ritenersi esente da responsabilità il contribuente che non abbia vigilato sul professionista cui erano affidate le incombenze fiscali (cfr., tra le tante, Cass., n. 12901/2019; n. 21061/2018).
Pertanto, non è esente da responsabilità il contribuente per mancato pagamento delle imposte che consegua alla condotta del professionista infedele, ove lo stesso non fornisca prova dell’attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato del professionista, ovvero ove non dia prova del suo comportamento fraudolento (cfr. Cass. n. 9422/2018), non essendo sufficiente la mera presentazione di denuncia penale (cfr. Cass. n. 19422/2018).

La decisione

La sentenza impugnata, in definitiva, per la S.C., non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e va cassata con rinvio per nuovo esame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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giurista risponde

Mutuo a tasso fisso e mancata indicazione modalità di ammortamento La mancata indicazione di elementi, quali le modalità di ammortamento «alla francese» di tipo standardizzato tradizionale ovvero il regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, è causa di nullità parziale del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa

 

 

In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese» di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti (Cass., Sez. Un., 29 maggio 2024, n. 15130).

Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi a seguito di rinvio proposto da un tribunale di merito che ha evidenziato l’esistenza di diverse interpretazioni giurisprudenziali in ordine alle conseguenze derivanti sia dalla mancata indicazione del regime di ammortamento c.d. “alla francese” nel contratto di mutuo bancario nonché alle modalità con cui vengono composte le singole rate di rimborso e determinati gli interessi relativi al capitale.

Tale regime di ammortamento, molto diffuso nella prassi bancaria, prevede la corresponsione di rate costanti di rimborso in cui la quota parte degli interessi è progressivamente decrescente e quella della sorte capitale è progressivamente crescente, essendo dapprima corrisposti prevalentemente gli interessi e poi il capitale via via residuo.

Una prima ricostruzione, restrittiva, ritiene che non deriverebbe alcuna conseguenza di sorta in punto di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto.

Una seconda ricostruzione, invece, ritiene che la mancata indicazione del regime di ammortamento (nel caso di specie, cd. “alla francese”) avrebbe conseguenze in termini di validità del contratto, facendo leva sul principio di trasparenza bancaria e sul diritto del cliente di ricevere una corretta e trasparente informazione in quanto “parte debole” contrapposta al “bonus argentarius”; ciò soprattutto in relazione al fatto che tale regime di ammortamento potrebbe determinare un significativo incremento del costo del denaro per effetto del regime “composto” di capitalizzazione degli interessi poiché l’interesse prodotto in ogni periodo si sommerebbe al capitale e produrrebbe a sua volta interessi. Secondo questa tesi, la mancata esplicitazione del regime di ammortamento renderebbe indeterminato il tasso con conseguente violazione del requisito della forma ad substantiam e nullità parziale del contratto ex artt. 1346 e 1418 c.c.

Viene sottolineato come una dottrina abbia ammesso l’estraneità di questa tipologia di ammortamento alla tematica dell’anatocismo, rilevando che tale sistema non farebbe incrementare il montante complessivo ma, diversamente, non permetterebbe di farlo scendere nonostante gli avvenuti pagamenti, deprivando in via istituzionale la forza restitutoria dei pagamenti.

Altra dottrina ne contesta la validità sotto il profilo della meritevolezza dell’interesse perseguito e della causa concreta del negozio, argomentando come tale sistema di ammortamento comporti una programmata imputazione dei pagamenti a interessi in misura maggiore che al capitale, con conseguente esigibilità degli interessi prima di quella del capitale a cui sono correlati e per una misura superiore che si assume non consentito ex art. 821, comma 3 c.c.; a tale impostazione si replica tuttavia come sia presente nel sistema civilistico italiano l’istituto degli interessi compensativi che decorrono sul capitale ancorché questo non sia ancora divenuto esigibile. L’obbligazione degli interessi sarebbe quindi “accessoria”, con un vincolo genetico dipeso nella sua vicenda costitutiva dall’obbligazione principale ma, una volta venuta ad esistenza, separato dalla sua causa genetica con assunzione di una propria autonomia.

In conclusione le Sezioni Unite, dirimendo il contrasto giurisprudenziale in corso, hanno dato risposta negativa al quesito oggetto di rinvio, enunciando come nel regime di ammortamento alla francese di tipo standardizzato normale non sia causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione delle modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione degli interessi.

Contributo in tema di “Mutuo bancario a tasso fisso e mancata indicazione delle indicazione delle modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione”, a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / Settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

Confisca edilizia: non deve pregiudicare il diritto di ipoteca La Corte Costituzionale dichiara l'incostituzionalità dell'art. 7, 3° comma, della legge n. 47/1985 nella parte in cui la confisca edilizia "comprime" il diritto di ipoteca

Confisca edilizia e diritto di ipoteca

“La confisca edilizia, conseguente alla mancata demolizione dell’immobile abusivo da parte del responsabile dell’abuso e del proprietario, deve preservare il diritto di ipoteca iscritto dal creditore prima della trascrizione dell’acquisto a favore del Comune, se il creditore ipotecario non è responsabile dell’abuso”. Così si è espressa la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 160/2024, dichiarando illegittimo l’articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire.

La medesima declaratoria di illegittimità costituzionale è stata estesa in via consequenziale anche all’art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, norma che è subentrata alla precedente e che presenta un identico contenuto precettivo.

L’interpretazione della giurisprudenza

Le disposizioni suddette erano state interpretate dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato nel senso di attribuire alla confisca edilizia la qualifica di acquisto a titolo originario, cui consegue, in mancanza di una diversa previsione di legge, l’estinzione di «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti».

La Consulta, preso atto di tale interpretazione, “ha ritenuto irragionevole e sproporzionato che non sia fatto salvo il diritto di ipoteca, ove il creditore titolare di tale garanzia reale non sia responsabile dell’abuso edilizio. In tal caso, infatti, il creditore non è tenuto a rispondere della mancata demolizione dell’immobile abusivo, vale a dire dell’illecito al quale consegue la sanzione della confisca”.

Effetto sanzionatorio

Pertanto, l’estinzione del diritto di ipoteca finisce per far subire al creditore ipotecario l’effetto sanzionatorio di un illecito commesso da altri.

Del resto, ha rilevato il giudice delle leggi, “la tutela del credito ipotecario non sacrifica l’interesse al rispetto della normativa urbanistico-edilizia. Tale tutela si realizza, infatti, attraverso l’espropriazione forzata e, se l’immobile oggetto della vendita forzata è abusivo, l’aggiudicatario deve comunque o sanare l’abuso o demolirlo”.

La Corte, infine, ha reputato sproporzionato il sacrificio imposto al creditore, non responsabile dell’abuso, attraverso l’estinzione del diritto di ipoteca, “in quanto al creditore residuerebbero in tal caso rimedi inesigibili o inadeguati a compensare il pregiudizio ingiustificatamente comminato”.

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inadempimento al mandato

Inadempimento al mandato: non sempre scatta la responsabilità disciplinare per l’avvocato L’inadempimento al mandato conduce alla responsabilità deontologica se la condotta è improntata a una non scusabile e rilevante trascuratezza

Rilevanza deontologica dell’inadempimento al mandato

Linadempimento al mandato non sempre rileva dal punto di vista deontologico. Esso integra la responsabilità disciplinare quando è frutto di una non scusabile e rilevante trascuratezza” ex art. 26 del Codice Deontologico Forense. Lo ha precisato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 141/2024.

Esposto contro l’avvocato che non va in mediazione e offende l’assistita

Una signora presenta un esposto nei confronti di un avvocato. La donna riferisce di aver ricevuto una comunicazione dall’avvocato denunciato in data 12.12.2016. Con questa lettera, successiva alla revoca del mandato, il legale la insultava, la minacciava di denunciarla per truffa e avanzava richieste di pagamento non dovute.

Nella denuncia la donna evidenzia che l’avvocato non si era presentato a un incontro di mediazione per il quale la stessa gli aveva conferito mandato, portando alla redazione di un verbale negativo.

Censura per l’avvocato che non ha adempiuto al mandato

Il Consiglio Distrettuale di disciplina irroga all’avvocato la sanzione della censura. Per il CDD l’avvocato ha violato gli articoli 9 e 12 del codice deontologico, che impongono il rispetto dei doveri di correttezza, probità, dignità e decoro. La condotta ha violato inoltre l’art. 52, che punisce l’utilizzo di espressioni sconvenienti e offensive nell’esercizio della professione.

Il Consiglio contesta però all’avvocato anche la violazione degli articoli 26 comma 3 e art. 27 comma 7 del Codice deontologico. Lo stesso ha omesso di adempiere correttamente gli atti relativi al mandato o alla nomina che gli erano stati conferiti dalla donna in presenza di una non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi dell’assistita, non prendendo parte all’incontro di mediazione del 2.11.2016 e non avendo comunicato alla parte la necessità di compiere gli atti necessari per evitare prescrizioni, decadenze e altre conseguenze pregiudizievole collegate all’incarico in essere, non informandola del fatto che il 2.11.2016 si sarebbe tenuto l’incontro di mediazione e che ella avrebbe potuto/dovuto a parteciparvi personalmente, anche in sua assenza.

Ricorso al CNF: nessun inadempimento al mandato

L’incolpato ricorre al CNF contestando l’addebito relativo all’inadempimento del mandato e facendo presente che, in relazione all’incontro di mediazione, la sua assistita aveva manifestato un chiaro disinteresse a prendervi parte. Questa affermazione è corroborata dal mancato pagamento dell’indennità prevista per aderire alla mediazione.

Serve una non scusabile e rilevante trascuratezza

Il CNF accoglie parzialmente l’impugnazione del ricorrente e conferma la censura perché adeguata e proporzionata. Per il CNF l’incolpato nella missiva inviata all’assistita ha in effetti utilizzato espressioni che superano il limite consentito. Non giustificabile l’utilizzo di espressioni gratuitamente offensive ed esorbitanti. L’ardore espositivo delle proprie ragioni deve comunque rispettare i doveri di probità, dignità e decoro.

Il discorso è ben diverso per quanto riguarda il capo dell’incolpazione che accusa l’avvocato di non avere adempiuto correttamente il proprio mandato. Il CNF rileva che dall’istruttoria e dagli atti prodotti non emerge la responsabilità del legale.

Come precisato in sentenza l’art. 26 comma 3 prevede una condotta di esplicita e rilevante trascuratezza da parte del difensore perché la sua condotta possa ritenersi lesiva della norma in esso richiamata.” La disposizione è molto chiara nella sua formulazione: Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”.

Nella condotta dell’avvocato però non si rileva la non scusabile e rilevante trascuratezza. La denunciante ha infatti conferito mandato all’avvocato per farsi assistere all’incontro di  mediazione del 02.11.2016, come emerge dal mandato professionale del 28.10.2016. Il giorno stesso l’avvocato ha inviato un fax alla Camera di conciliazione comunicando la propria impossibilità a presenziare all’incontro del 2 novembre e chiedendo per questo un rinvio.

La condotta dell’avvocato non è contestabile, visto che lo stesso ha comunicato in forma scritta e con un certo anticipo la propria impossibilità a presenziare all’incontro di mediazione. Il ritardo con cui l’assistita ha adempiuto gli oneri amministrativi previsti dalla mediazione non rilevano. Neppure la mancata concessione del rinvio può condurre alla censura della condotta dell’avvocato.

 

Ti interessa l’argomento della responsabilità deontologica degli avvocati? Allora leggi anche: Sospeso l’avvocato che non paga l’affitto

bonus cicogna

Bonus cicogna: cos’è e a chi spetta Online il bando dell'Inps per ottenere il "bonus Cicogna 2024": vediamo cos'è, a chi spetta e come fare domanda

Bonus Cicogna 2024: online il bando

Bonus Cicogna 2024, il bando è online. È stato pubblicato dall’Inps, infatti, il bando di concorso “Bonus Cicogna” 2024 in favore dei bambini nati o adottati nel 2023, figli e orfani dei dipendenti del Gruppo Poste Italiane SpA e dei dipendenti iscritti alla Gestione Postelegrafonici, sottoposti alla trattenuta mensile dello 0,40%, nonché dei pensionati già dipendenti del Gruppo Poste Italiane SpA e già dipendenti IPOST. La domanda può essere presentata online attraverso il Portale prestazioni welfaresino alle ore 12 del 31 ottobre 2024.

Requisiti di ammissione al concorso

Il concorso è destinato al conferimento, ai soggetti sopraindicati, di n. 880 contributi ciascuno di importo pari ad € 500,00.

Sono ammessi al concorso i figli o gli orfani del titolare del diritto, così come individuato all’art. 1, comma 2, nati o adottati nel corso dell’anno solare 2023. In caso di adozione assume rilievo la data del provvedimento della competente Autorità italiana che abbia disposto o riconosciuto l’adozione stessa nel corso dell’anno solare 2023.

Come presentare domanda

La domanda va presentata dal soggetto richiedente la prestazione esclusivamente online pena l’improcedibilità della stessa, con le seguenti modalità, spiega l’Inps, “entrare nella propria area riservata del sito www.inps.it, digitare nella stringa di ricerca ‘Portale Prestazioni welfare’ e selezionare la voce relativa; successivamente cliccare su ‘Accedi all’area tematica’; dopo aver effettuato l’accesso tramite SPID, CIE o CNS, selezionare la voce all’interno del portale, cliccare su ‘Vai a gestione domanda’ ed infine, sulla scheda ‘Presentazione domanda’ , cliccare ‘Utilizza il servizio’ e selezionare la prestazione ‘Bonus Cicogna Ipost'”.

Verrà quindi visualizzato il modulo da compilare ove compaiono i dati identificativi del soggetto richiedente, compresi i recapiti del richiedente. Nella domanda è obbligatorio indicare anche il codice IBAN del conto corrente bancario o postale italiano o della carta prepagata abilitata alla ricezione di bonifici bancari da parte delle Pubbliche Amministrazioni, intestato o cointestato al richiedente la prestazione.

La domanda deve essere inoltrata entro le ore 12:00 del giorno 31 ottobre 2024.

La graduatoria

La graduatoria sarà pubblicata sul sito Inps nella sezione riservata al concorso e verrà redatta attraverso procedura informatizzata, nel rispetto dei seguenti criteri:

secondo valori crescenti di indicatore ISEE del nucleo familiare di appartenenza del beneficiario;

In caso di parità, prevarrà il beneficiario figlio di titolare del diritto con maggiore anzianità di iscrizione alla Gestione Postelegrafonici.

I beneficiari, per i quali non risulti presentata una DSU valida alla data di inoltro della domanda di partecipazione al concorso, spiega l’istituto, verranno collocati in coda alla graduatoria.

giustizia riparativa

Giustizia riparativa e processo penale: regole alternative La Cassazione rammenta che l'oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, per cui non possono in entrambi operare gli stessi principi

Giustizia riparativa e processo penale

La giustizia riparativa non si fonda su principi mutuabili dal processo penale, in quanto è percorso alternativo a esso. Così la Cassazione con la sentenza n. 24343/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Milano, riformava parzialmente la sentenza del tribunale della stessa città con cui un imputato era stato condannato in ordine al reato ex art. 609 bis cod. pen. applicando le attenuanti generiche e rideterminando la pena finale, confermando altresì nel resto la sentenza.

Il ricorso

L’uomo, tramite il difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione degli artt. 589 e 599 bis cod. proc. pen., avendo la corte deciso in maniera difforme rispetto a quanto stabilito in sede di intervenuto concordato. In quella sede si era chiesta l’applicazione della pena finale di anni 4 mesi 3 di reclusione con domanda altresì di accesso al programma di giustizia riparativa. Istanza tuttavia rigettata dala Corte di appello.

Inoltre, a dire della difesa, essendo stato condannato l’imputato per un reato cd. ostativo, “il denegato positivo svolgimento di un programma di giustizia riparativa prima della espiazione della pena in carcere gli avrebbe consentito di chiedere – alla luce del novellato art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario – l’applicazione di una misura alternativa, potendo chiedere così di scontare la pena fuori dell’istituto penitenziario una volta che la stessa risulterà inferiore a 4 anni”.

Giustizia riparativa e processo

Per la S.C., tuttavia, il ricorso è inammissibile. “Va premesso – affermano i giudici – che l’art. 129-bis cod. proc. pen., norma di portata generale, introdotto dall’art. 7 D. Igs. n. 150/2022, dispone che: ‘1. In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, al Centro per la giustizia riparati va di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”.
Inoltre, “nel caso di reati perseguiblli a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il giudice, a richiesta dell’imputato, può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni”.
Il procedimento riparativo, tuttavia, continua la Corte richiamando la pregressa giurisprudenza (cfr. Cass. n. 6595/2023) “non è un procedimento giurisdizionale: il programma riparativo e le attività che gli sono propri appartengono non al procedimento/processo penale, quanto piuttosto all’ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale. Ciò spiega le ragioni per le quali, all’interno del procedimento riparativo, operano regole di norma non mutuabili da quelle del processo penale, ed anzi, incompatibili con quelle del processo penale: volontarietà, equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, consensualità, riservatezza, segretezza”.

La decisione

Ed invero, “proprio perché l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi principi”. Motivo per cui, la domanda di ammissione al programma di giustizia ripartiva, chiariscono infine dalla S.C., “non può ritenersi parte integrante del patto di concordato, così che la decisone della corte di non sospendere il procedimento ‘a fronte di una richiesta di ammissione alla giustizia riparativa’ non integra alcuna violazione degli evocati artt. 589 e 599 bis cod. proc. pen.”.
Sulla base delle considerazioni svolte, pertanto, il ricorso è dichiarato inammissibile, con condanna al pagamento delle spese del procedimento e di tremila euro in favore della Cassa dele Ammende.

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Riforma fiscale: imposte successioni e donazioni più razionali Riforma Fiscale: il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che mira a semplificare diverse imposte e tributi indiretti

Riforma fiscale in vigore

Nell’ambito della complessa opera di Riforma fiscale il Consiglio dei Ministri ha approvato il 7 agosto 2024 un decreto legislativo, in esame definitivo.

Il testo (D.Lgs. 139/2024) che vuole razionalizzare l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta di bollo e gli altri tributi indiretti diversi dall’IVA”, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2024, per entrare in vigore il giorno successivo, anche se le disposizioni saranno operative soltanto dal 1° gennaio 2025.

Tra le novità più rilevanti, quelle sulla riforma delle successioni e donazioni.

Novità su trust, successioni e dichiarazione integrativa

Il provvedimento attua la legge delega sulla riforma fiscale (legge 9 agosto 2023, n. 111). Queste le novità  più importanti:

  • tassazione dei trust;
  • dichiarazione integrativa a favore del contribuente;
  • svincolo di somme per gli eredi fino a 26 anni.

Queste misure mirano a semplificare e rendere più efficiente il sistema fiscale italiano e a garantire maggiore equità e trasparenza in materia di imposte indirette.

Tassazione dei Trust

Il decreto stabilisce che, per quanto riguarda la tassazione dei trust, se il disponente o il trustee versano il tributo quando i beni vengono conferiti o quando si apre la successione (l’imposta viene quindi determinata in base al valore dei beni nel momento del conferimento e in base al rapporto esistente tra disponente e beneficiario), qualora non sia possibile determinare con certezza la categoria dei beneficiari (classe di parenti o affini per i quali è omogenea l’aliquota della tassazione e la franchigia) al momento del conferimento dei beni o dell’apertura della successione, verrà applicata l’aliquota più elevata senza considerare le franchigie.

Dichiarazione integrativa per il contribuente

Un’altra importante novità è l’estensione della dichiarazione integrativa a favore del contribuente. Questa facoltà, già prevista per le imposte sui redditi, IRAP e IVA, viene estesa all’imposta di bollo e all’imposta sostitutiva su operazioni di finanziamento a medio e lungo termine. Questo consente ai contribuenti di correggere eventuali errori od omissioni nelle loro dichiarazioni, compresi quelli che hanno determinato un maggiore o minore credito o debito.

Svincolo delle somme per gli eredi fino a 26 anni

Il decreto introduce anche nuove disposizioni per facilitare lo svincolo di somme per gli eredi fino a 26 anni. Le banche e altri intermediari finanziari potranno permettere lo svincolo delle attività ereditate prima della presentazione della dichiarazione di successione. La condizione necessaria è che vi siano beni immobili nell’asse ereditario e che le somme vengano utilizzate per pagare le imposte catastali, ipotecarie e di bollo.

Tasso di interesse per imposte superiori a quelle dichiarate

Il decreto fissa il tasso di interesse al 4,5% per le somme dovute dai contribuenti in seguito a rettifiche e liquidazioni di imposte superiori rispetto a quanto dichiarato.

Coefficienti rendite vitalizie

Alle rendite vitalizie soggette all’imposta di registro (oltre a quelle soggette all’imposta sulle successioni e donazioni), se il tasso di interesse legale è uguale o inferiore allo 0,1%, si applicheranno i coefficienti definiti dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) n. 302 del 30 dicembre 2015.

 

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