PMA

PMA vietata alle donne single PMA e donne single: la Corte costituzionale conferma la legittimità della limitazione prevista dalla legge 40/2004

PMA e donne single

Con la sentenza n. 69 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’art. 5 della legge n. 40/2004, nella parte in cui esclude l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) da parte della donna singola. Secondo la Consulta, tale previsione legislativa, pur comportando una restrizione al principio di autodeterminazione procreativa, non è manifestamente irragionevole né sproporzionata.

Bilanciamento tra autodeterminazione e tutela

La Corte ha osservato che la disciplina dell’accesso alla PMA implica delicate valutazioni etiche e rilevanti conseguenze sociali, che rientrano nella sfera della discrezionalità legislativa. Tale discrezionalità incontra come unico limite costituzionale il principio di non manifesta irragionevolezza, valutato in rapporto al bilanciamento degli interessi in gioco.

Nel caso specifico, il divieto di accesso alla PMA per le donne non coniugate o non conviventi con un partner maschile si fonda, secondo la Corte, su un principio di precauzione volto a tutelare i diritti e gli interessi del nascituro. Il legislatore ha ritenuto di non legittimare un progetto genitoriale che escluda, sin dall’origine, la presenza paterna, configurando questa scelta come una forma di protezione dell’equilibrio psicofisico del futuro minore.

Apertura a un possibile intervento normativo

Pur ritenendo non fondate le censure di incostituzionalità, la Consulta ha sottolineato che non sussistono preclusioni costituzionali a un’eventuale riforma legislativa che estenda l’accesso alla PMA anche alla famiglia monoparentale. Un’eventuale revisione in tal senso spetterebbe però esclusivamente al Parlamento, nell’esercizio delle proprie prerogative e responsabilità.

suicidio assistito

Suicidio assistito: legittimo il sostegno vitale Suicidio assistito: la Corte costituzionale conferma la legittimità del requisito del trattamento di sostegno vitale

Suicidio assistito: nuovo intervento della Consulta

Suicidio assistito: con la sentenza n. 66 del 2025, la Corte costituzionale ha confermato la non contrarietà alla Costituzione della previsione normativa che subordina la non punibilità dell’aiuto al suicidio alla condizione che la persona malata necessiti, secondo valutazione medica, di un trattamento di sostegno vitale. La pronuncia rigetta le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP di Milano in relazione all’art. 580 c.p., in un procedimento avviato a seguito della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero.

Sostegno vitale come criterio non discriminatorio

La Consulta, richiamando i principi già affermati nella sentenza n. 135 del 2024, chiarisce che il requisito del trattamento di sostegno vitale si considera soddisfatto quando, in base all’indicazione clinica, tale trattamento è necessario per garantire le funzioni vitali del paziente. È sufficiente che, in assenza del trattamento, la morte risulti prevedibile in un arco temporale ristretto. Non è invece richiesta la previa attivazione del trattamento al solo fine di accedere al suicidio assistito.

Non viola la Costituzione il limite salvavita

La Corte ha escluso che tale condizione integri una forma di discriminazione o rappresenti una violazione del diritto all’autodeterminazione. Ha inoltre ribadito che, pur potendo il legislatore adottare scelte differenti, queste dovrebbero essere accompagnate da idonee garanzie contro possibili abusi. Allo Stato deve essere riconosciuto un ampio margine di discrezionalità legislativa nel bilanciamento tra la tutela della vita (art. 2 Cost.) e il diritto all’autonomia personale, intesa come espressione del più ampio diritto allo sviluppo della personalità.

Garanzie procedurali essenziali e ruolo del legislatore

La Corte ha ribadito l’importanza delle condizioni sostanziali e procedurali, già individuate con la sentenza n. 242 del 2019, sottolineando la loro funzione nel prevenire abusi e nel tutelare soggetti vulnerabili. Tali requisiti costituiscono un argine anche rispetto a potenziali derive culturali che possano indurre persone malate a optare per il suicidio in assenza di un adeguato sostegno sociale e sanitario.

Criticità del sistema di cure palliative

Nel testo della pronuncia emerge inoltre un chiaro richiamo al dovere della Repubblica di garantire l’accesso effettivo a cure palliative e assistenza sociosanitaria domiciliare continuativa, poiché l’assenza di tali servizi incide significativamente sulle scelte delle persone affette da gravi patologie. La Corte ha segnalato con preoccupazione le criticità sistemiche: carenza di personale specializzato, disparità territoriali, lunghi tempi d’attesa e una presa in carico spesso inadeguata.

Infine, viene nuovamente sollecitato il Parlamento e il Servizio sanitario nazionale affinché provvedano alla puntuale attuazione della sentenza n. 242 del 2019, anche attraverso l’elaborazione di una disciplina normativa alternativa che, pur nel rispetto delle indicazioni costituzionali, possa fornire una risposta compiuta e uniforme alla tematica del fine vita.

messa in mora

Messa in mora del creditore Messa in mora del creditore ex art. 1206 c.c.: normativa, funzionamento ed effetti

Cos’è la mora del creditore?

La messa in mora del creditore, disciplinata dall’articolo 1206 del Codice Civile, è una situazione giuridica che si verifica quando il creditore rifiuta senza giustificato motivo di ricevere la prestazione dovuta dal debitore o di compiere gli atti necessari affinché l’obbligazione possa essere adempiuta.

La mora del creditore si verifica quando quest’ultimo non collabora all’adempimento dell’obbligazione, rendendo impossibile al debitore l’esecuzione della prestazione. Questo principio tutela il debitore, impedendo che sia considerato inadempiente per cause a lui non imputabili.

L’art. 1206 c.c. stabilisce che il creditore è in mora quando:

  • rifiuta ingiustificatamente di ricevere la prestazione offerta dal debitore;
  • non compie gli atti necessari affinché il debitore possa adempiere all’obbligazione.

Esempi pratici:

  • il creditore non si presenta nel luogo concordato per il pagamento di una somma dovuta;
  • il locatore rifiuta di ricevere il pagamento del canone d’affitto dall’inquilino;
  • un venditore tenta di consegnare la merce, ma l’acquirente rifiuta di accettarla senza motivo valido.

Normativa e funzionamento della mora del creditore

Il Codice Civile disciplina la messa in mora del creditore attraverso una serie di articoli:

  • Art. 1206 c.c. – Definizione della mora del creditore;
  • Art. 1207 c.c. – Effetti della mora del creditore;
  • Art. 1208 c.c. – Offerta formale della prestazione;
  • Art. 1210 c.c. – Deposito liberatorio.

Per far valere la mora del creditore, il debitore deve provare di aver eseguito una offerta reale o formale della prestazione (art. 1208 -1209 c.c.), oppure di aver depositato la somma o il bene presso un istituto bancario o presso un notaio (art. 1210 c.c.).

Effetti della mora del creditore

La mora del creditore produce effetti giuridici rilevanti, così come sancisce l’articolo 1207 c.c.

  • Esclusione della responsabilità del debitore
    • Il debitore non può essere considerato inadempiente se l’obbligazione non viene eseguita a causa della condotta del creditore.
  • Cessazione dell’obbligo di risarcimento danni per ritardo
    • Il debitore non è tenuto a pagare interessi e frutti della cosa se il debitore non li ha percepiti
  • Risarcimento del danno
    • Il creditore deve risarcire i danni che derivano dalla sua mora al debitore.
  • Diritto al rimborso delle spese per custodia e conservazione del bene
    • Se il debitore è costretto a sostenere spese per la custodia e la conservazione del bene non accettato, può richiederne il rimborso al creditore

Come si fa valere la mora del creditore?

Per la messa in mora del creditore, il debitore deve compiere le seguenti azioni:

 Offerta formale della prestazione

L’offerta che il debitore presenta al creditore deve possedere i requisiti indicati dall’articolo 1206 c.c. (creditore o terzo capace di ricevere; persona che può adempiere; totalità della somma o cose dovute, termine scaduto; condizione verificata; aal creditore o al domicilio; dia un pubblico ufficiale autorizzato, consenso del debitore se occorre liberare i beni dalle garanzie)

 Deposito Liberatorio (Art. 1210 c.c.)

  • Se il creditore continua a rifiutare, il debitore può depositare la somma dovuta presso un notaio o un istituto di credito, come previsto dall’articolo 1210 c.c.
  • Se l’oggetto dell’obbligazione è una somma di denaro, il debitore può depositarla presso la Cassa Depositi e Prestiti o un altro ente autorizzato.
  • Se si tratta di un bene mobile, può essere affidato a un custode.

 Ricorso Giudiziale

Se il creditore continua a non collaborare, il debitore può agire in giudizio per ottenere una pronuncia che accerti la mora del creditore e lo obblighi a ricevere la prestazione.

 Giurisprudenza in materia

Ecco alcune sentenze fondamentali in materia di mora del creditore.

Cassazione n. 10605/2016: Nelle obbligazioni pecuniarie con termine di pagamento, è sufficiente che l’offerta reale della somma avvenga entro la scadenza. Non è invece necessario che entro tale termine siano completate anche le formalità successive al deposito, come la notifica al creditore del giorno del deposito o del verbale di deposito in caso di sua assenza. Queste formalità sono infatti solo eventuali e si rendono necessarie solo se il creditore non accetta l’offerta. Pertanto, il debitore può effettuare l’offerta reale anche l’ultimo giorno utile per il pagamento.

Cassazione n. 302/2015: Quando un creditore è in mora, il deposito della prestazione effettuato dal debitore ai sensi degli articoli 1210 e 1212 del Codice Civile (ad esempio, il deposito di una somma di denaro), se non viene accettato dal creditore, non estingue immediatamente l’obbligazione. Per liberare il debitore, è necessaria la convalida del deposito. Questa convalida può essere richiesta dal debitore anche in un momento successivo, ad esempio opponendosi a un precetto (atto di intimazione a pagare) che il creditore gli abbia notificato per ottenere l’adempimento dell’obbligazione. In tal caso, il debitore deve presentare una specifica domanda di convalida del deposito all’interno del giudizio di opposizione all’esecuzione. Spetta al debitore, in qualità di attore in questo giudizio, l’onere di allegare e provare che il deposito è stato eseguito correttamente e che sussistono i presupposti per la sua convalida.

Cassazione n. 20889/2012: La mora del creditore (o mora credendi) si verifica quando il creditore, senza un motivo legittimo, non accetta la prestazione offertagli dal debitore o non compie gli atti necessari per rendere possibile l’adempimento. Questo è quanto stabilito dall’articolo 1206 del Codice Civile. Di conseguenza, se il creditore non coopera, il debitore può subire dei danni. Questi danni, di cui all’articolo 1207, comma 3, del Codice Civile, possono includere, ad esempio, le spese sostenute per la conservazione della cosa dovuta o il lucro cessante per la mancata liberazione dall’obbligazione. Per far sì che si configuri la mora del creditore e per poter poi chiedere il risarcimento di tali danni, è fondamentale che il debitore abbia preventivamente eseguito un’offerta solenne della prestazione, ovvero un’offerta fatta secondo le formalità previste dalla legge.

 

Leggi anche La messa in mora riferita al debitore

giurista risponde

Responsabilità di danno circolazione veicoli e presunzione di corresponsabilità Nella responsabilità di danno per la circolazione di veicoli, al fine di superare la presunzione di corresponsabilità di cui all’art. 2054, comma 2, c.c., è sufficiente dimostrare che uno dei conducenti abbia tenuto una condotta colposa “assorbente”?

Quesito con risposta a cura di Francesca Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio

 

In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, l’accertamento in concreto di una condotta di guida gravemente colposa da parte di uno dei conducenti coinvolti solleva l’altro dall’onere di vincere la presunzione di pari responsabilità, di cui all’art. 2054, comma 2, c.c., solo quando la colpa concreta dell’uno sia stata tale da rendere teoricamente impossibile qualunque manovra salvifica da parte dell’altro. Ne deriva che non è possibile attribuire l’intera responsabilità a uno solo dei conducenti ove non sia possibile stabilire in concreto se l’altro abbia avuto la possibilità, almeno teorica, di evitare la collisione. (Cass., sez. III, 20 novembre 2024, n. 29927 – Responsabilità di danno per la circolazione di veicoli e presunzione di corresponsabilità).

Nel caso in esame la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’operatività della presunzione del concorso di colpa paritario dei conducenti di veicoli in caso di sinistro stradale, sancita dall’art. 2054, comma 2, c.c. In particolare, il Giudice di prime cure ha attribuito alla vittima il concorso di colpa nella causazione dell’evento di danno e, ai sensi dell’art. 1227, comma 1 c.c., ne ha stimato il danno risarcibile. La Corte di appello, in sede di impugnazione, ha diversamente opinato sulla questione, stabilendo che la vittima non abbia concorso a cagionare il danno e, pertanto, ha incrementato la misura della liquidazione. Ad avviso del Collegio giudicante, infatti, opererebbe il consolidato principio secondo cui per superare la presunzione di corresponsabilità di cui all’art. 2054, comma 2, c.c., è sufficiente dimostrare che uno dei conducenti abbia tenuto una condotta colposa “assorbente”, anche quando non sia esattamente nota la condotta del conducente antagonista.

La Suprema Corte ha tuttavia precisato che tale principio non basta l’accertamento della colpa grave di uno solo dei conducenti coinvolti, per ritenere l’altro liberato dalla presunzione di pari colpa. Il superamento della presunzione di pari responsabilità, infatti, avviene nell’unico caso in cui la condotta colposa avrebbe comunque provocato il sinistro, quale che fosse stata la condotta dell’antagonista, e cioè quando colpa concreta dell’uno sia stata tale, da rendere teoricamente impossibile qualunque manovra salvifica da parte dell’altro.

Nella fattispecie concreta – invero – non si è potuto stabilire in concreto quale sia stata la condotta tenuta dall’altro conducente coinvolto, ma la sussistenza della mera possibilità, anche teorica, di evitare la collisione, esclude l’automatica applicazione dell’art. 2054, comma 2, c.c.

Per tali ragioni, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale per nuovo giudizio.

 

(*Contributo in tema di “Responsabilità di danno per la circolazione di veicoli e presunzione di corresponsabilità”, a cura di Francesca Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

obesità

Obesità: cosa prevede la proposta di legge Obesità: il 7 maggio la Camera ha approvato la proposta di legge per la cura e la prevenzione riconoscendola come malattia cronica

Obesità malattia cronica: ok della Camera

Il 7 maggio 2025 la Camera ha approvato la proposta di legge d’iniziativa del deputato Pella. Il testo contiene le “Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità.” Il documento normativo è ora all’esame del Senato. Esso detta i principi e le finalità per la prevenzione e la cura dell’obesità, riconoscendola come una malattia cronica, spesso correlata ad altre patologie. L’obiettivo principale della proposta consiste nel garantire la tutela della salute e migliorare le condizioni di vita dei pazienti. Il testo, composto da sei articoli, si occupa di regolamentare gli aspetti che si vanno a illustrare.

LEA e finanziamenti

Per assicurare equità e accesso alle cure, i soggetti affetti da obesità potranno accedere alle prestazioni previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) erogati dal Servizio Sanitario Nazionale.

La legge prevede un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità con un finanziamento di 700.000 euro per il 2025, 800.000 euro per il 2026 e 1,2 milioni di euro annui a partire dal 2027.

Queste risorse saranno ripartite tra le regioni tramite un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Iniziative di prevenzione e di cura dell’obesità

Le iniziative finanziate mirano a perseguire diversi obiettivi.

  • Prevenire il sovrappeso e l’obesità, in particolare infantile, e le relative complicanze, migliorando nello stesso tempo la cura delle persone obese.
  • Sostenere e promuovere l’allattamento al seno, evidenziandone il ruolo nella prevenzione dell’obesità infantile e promuovendone la continuità almeno fino al sesto mese di età, anche nei luoghi di lavoro e negli asili nido.
  • Responsabilizzare i genitori nella scelta di un’alimentazione equilibrata per i figli, limitando il consumo di alimenti e bevande con un alto apporto energetico e con uno scarso valore nutrizionale.
  • Agevolare l’inserimento delle persone affette da obesità nelle attività scolastiche, lavorative e sportivo-ricreative.
  • Promuovere le attività sportive e la conoscenza delle regole alimentari nelle scuole primarie e secondarie per migliorare lo stile di vita degli studenti.
  • Avviare iniziative didattiche extracurriculari per l’attività sportiva e per la consapevolezza di un corretto stile di vita, nel rispetto dell’autonomia scolastica.
  • Trasmettere campagne di informazione tramite i mass media e le reti di prossimità (enti locali, farmacie, medici di medicina generale, pediatri) per diffondere regole semplici ed efficaci per un corretto stile di vita.
  • Educare sulla corretta profilassi dell’obesità e del sovrappeso.
  • Promuovere la conoscenza dei centri per i disturbi alimentari e per l’assistenza alle persone con obesità, per favorirne l’accesso anche in via preventiva.

Obesità: formazione e aggiornamento 

La proposta prevede una spesa di 400.000 euro annui a partire dal 2025 per promuovere la formazione e l’aggiornamento in materia di obesità e sovrappeso. I fondi sono destinati a studenti universitari, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e personale del Servizio Sanitario Nazionale coinvolto nei processi di prevenzione, diagnosi e cura.

Un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca, stabilirà in seguito le misure per l’attuazione di tale formazione entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge.

Osservatorio per lo studio dell’obesità (OSO)

La proposta di legge vuole istituire, presso il Ministero della Salute, l’Osservatorio per lo studio dell’obesità (OSO).

Entro tre mesi, il Ministro della Salute definirà la composizione dell’OSO, che includerà rappresentanti del Ministero della Salute, del Ministero dell’Istruzione e del Merito, e delle società scientifiche più rappresentative nelle discipline della nutrizione e dell’alimentazione, il tutto a titolo gratuito. L’OSO avrà i seguenti compiti:

  • contribuire alla redazione del programma nazionale di prevenzione e di cura previsto dall’articolo 3;
  • verificare l’attuazione degli obiettivi e delle azioni previsti dal programma da parte delle regioni e delle province autonome.
  • svolgere attività di monitoraggio, di studio e di diffusione di stili di vita corretti.

L’Osservatorio opererà con le strutture e il personale già in dotazione al Ministero della Salute. Questo non comporterà nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il Ministro della Salute presenterà annualmente alle Camere una relazione aggiornata sui dati epidemiologici e diagnostico-terapeutici acquisiti dall’OSO e sulle nuove conoscenze scientifiche sull’obesità.

Informazione e disposizioni finanziarie

Il Ministero della Salute dovrà individuare, promuovere e coordinare azioni di informazione, sensibilizzazione ed educazione. La finalità è di sviluppare la conoscenza di un corretto stile di alimentazione e nutrizione, favorire l’attività fisica e contrastare la sedentarietà. Queste azioni saranno realizzate anche attraverso le amministrazioni locali, gli istituti scolastici, le farmacie, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e le reti socio-sanitarie di prossimità. Per queste attività è autorizzata una spesa di 100.000 euro annui a decorrere dal 2025.

Leggi anche l’articolo dedicato alla Sugar tax, la tassa sulle bevande zuccherate che mira a contrastare l’obesità

legge sulla caccia

Legge sulla caccia: riforma in arrivo Legge sulla caccia: la riforma del Ministro Lollobrigida interviene su armi, giornate di caccia, cinghiali e cani, non senza polemiche

Legge sulla caccia: novità in arrivo

La legge sulla caccia n. 157/1992 potrebbe subire, a breve, un vero restyling. Il Ministro Lollobrigida ha pronta una bozza di 18 articoli che, tra le altre cose, regolamenta le armi consentite per la caccia, la gestione e la protezione della fauna selvatica e i giorni in cui è consentita la caccia. Analizziamo in breve le novità più importanti.

Le armi permesse

In base alla proposta le armi consentite saranno:

  • fucili a canna liscia: con una capacità massima di due colpi;
  • fucili semiautomatici (calibro massimo 12): con caricatore limitato a due cartucce;
  • fucili a canna rigata: con caricatore omologato e un calibro minimo di 5,6 mm;
  • fucili combinati;
  • archi;
  • falchi.

Per la caccia al cinghiale sarà consentito l’utilizzo di fucili a ripetizione con una capacità massima di 5 cartucce.

Giorni di caccia

L’attività di caccia sarà possibile per un massimo di tre giorni a settimana, con il martedì e il venerdì sempre vietati.

Sono previste tuttavia alcune eccezioni: la caccia di selezione agli ungulati e la caccia ad altre specie specifiche verranno regolamentate tramite decreto dal Ministero dell’Agricoltura, previa consultazione di ISPRA e del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale. Le Regioni avranno la possibilità di concedere ai cacciatori una certa libertà nella scelta dei giorni, purché rispettino il limite massimo settimanale.

Controllo dei cinghiali nella riforma della legge sulla caccia

La riforma affronta l’emergenza legata alla proliferazione dei cinghiali, consentendo a imprenditori agricoli, proprietari e conduttori di fondi di partecipare al loro controllo.

Per farlo, dovranno essere però in possesso di una licenza di caccia valida e aver frequentato corsi di formazione specifici. Una volta autorizzati, potranno abbattere gli animali e, in cambio dei costi sostenuti, trattenerli dopo un’analisi igienico-sanitaria.

Stop al parere vincolante di Ispra

La bozza eliminerebbe anche il parere vincolante dell’Organo indipendente e scientifico che si occupa della protezione dell’ambiente e che interviene sui piani venatori delle Regionali.

Questo parare verrebbe sostituito da quello del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, controllato dal ministero dell’Agricoltura.

Gare con i cani e abbattimento della fauna selvatica

Ci sarebbe anche l’intenzione di non considerare esercizio venatorio le gare di caccia con i cani e l’addestramento dei cani finalizzato all’abbattimento della fauna selvatica.

Legge sulla caccia: polemiche sulla riforma

Le associazioni ambientaliste esprimono tutto il loto disappunto sul testo della riforma perché cancellerebbe decenni di interventi finalizzati a tutelare la fauna selvatica, in palese violazione con la recente formulazione dell’articolo 9 della Costituzione, che pone l’accento sull’obbligo di tutelare l’ambiante e gli animali.

Dalla politica piovono invece critiche sul fatto che si vuole far passare la caccia come uno strumento per tutelare la biodiversità. C’è chi chiede inoltre di abolire l’articolo 842 c.c, in base al quale il proprietario di un fondo non può impedire l’ingresso allo stesso per motivi di caccia, a meno che il fondo non sia chiuso o al suo interno non vi siano colture che potrebbero danneggiarsi.

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le unioni civili

Le unioni civili: caratteristiche e giurisprudenza Le unioni civili: cosa sono, la legge Cirinnà, requisiti soggettivi per la loro costituzione, differenze con il matrimonio e giurisprudenza

Cosa sono le unioni civili

Le unioni civili, introdotte con la Legge n. 76/2016, nota come Legge Cirinnà, hanno colmato un vuoto normativo che per decenni ha escluso le coppie omosessuali da qualsiasi forma ufficiale di tutela e riconoscimento.

L’unione civile è un infatti un istituto giuridico riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso, che consente loro di costituire un legame con effetti giuridici simili a quelli del matrimonio.

A differenza delle convivenze di fatto, che possono coinvolgere anche coppie eterosessuali e hanno una regolamentazione più flessibile, l’unione civile è una formazione giuridica specifica, formalizzata davanti all’ufficiale di stato civile.

La Legge Cirinnà

La Legge 20 maggio 2016, n. 76, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 maggio 2016 e in vigore dal 5 giugno 2016 si articola in due parti:

  • la prima parte riguarda le unioni civili tra persone dello stesso sesso;
  • la seconda parte disciplina le convivenze di fatto, sia omosessuali che eterosessuali.

L’obiettivo della legge è quello di garantire uguaglianza e tutela giuridica, evitando discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, in linea con i principi costituzionali e gli orientamenti della giurisprudenza europea.

Le unioni civili: requisiti soggettivi

I soggetti che vogliono costituire un’unione civile devono essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • entrambi devono essere maggiorenni;
  • entrambi devono essere dello stesso sesso;
  • non devono essere legati da altri vincoli matrimoniali o unioni civili;
  • non devono essere parenti stretti o affini entro determinati gradi.

Una volta costituita, l’unione civile attribuisce alla coppia una serie di effetti giuridici immediati.

Differenze tra unione civile e matrimonio

Sebbene molto simili, unioni civili e matrimonio non sono perfettamente equiparati. Le principali differenze riguardano:

  • adozione: le coppie unite civilmente non possono adottare congiuntamente un minore (resta possibile solo la stepchild adoption in casi particolari, riconosciuta dalla giurisprudenza);
  • linguaggio giuridico: si parla di “costituzione dell’unione” e non di “matrimonio”, e non si fa riferimento a “coniugi” ma a “parti”;
  • diritto canonico: l’unione civile non ha rilevanza religiosa o confessionale.

Le unioni civili: giuriprudenza

Corte Costituzionale n. 66/2024: costituzionalmente illegittimo l’art. 1 comma 26 della Legge 20 maggio 2016, n. 76 perché lo stesso prevede lo scioglimento automatico dell’unione civile a seguito di una sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione del sesso, senza offrire la possibilità di sospendere tale effetto.

Cassazione n. 24930/2024: In caso di scioglimento di un’unione civile, per la determinazione dell’assegno in favore della parte economicamente più debole, si applicano i criteri previsti per l’assegno divorzile dall’articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio, richiamato dall’articolo 1, comma 25, della legge sulle unioni civili. Questo significa che l’assegno avrà una natura assistenziale, compensativa e perequativa. Per riconoscerlo, è necessario valutare se il richiedente non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive. Il giudice dovrà quindi comparare le condizioni economiche e patrimoniali delle parti, tenendo conto del contributo di ciascuno alla vita familiare, alla formazione del patrimonio comune, della durata dell’unione e dell’età del richiedente.

Cassazione n. 35969/2023: in caso di scioglimento di un’unione civile, per determinare l’assegno di mantenimento a favore della parte economicamente più debole, la durata del rapporto rilevante non si limita al solo periodo dell’unione civile formalizzata. Richiamando i principi già stabiliti per il divorzio (ex art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970), La Cassazione stabilisce che si deve considerare anche l’eventuale periodo di convivenza di fatto che ha preceduto la formalizzazione dell’unione civile. Questo vale anche se la convivenza è iniziata prima dell’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016 (quella che ha istituito le unioni civili).

Leggi anche la guida dedicata alle unioni civili 

test medicina

Test medicina 2025: cosa cambia con la riforma Test medicina 2025: la riforma elimina il test di ingresso alla facoltà di medicina per incoraggiare la formazione di nuovi medici

Riforma test medicina

Il Parlamento italiano ha approvato definitivamente la riforma del Test di Medicina 2025, con 149 voti favorevoli e 63 contrari. La nuova legge n. 26/2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2025, per entrare in vigore il 2 aprile 2025, delega il Governo a rivedere, entro dodici mesi, le modalità di accesso ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, e medicina veterinaria.

Il decreto attuativo

Sulla GU serie generale n. 112 del 16 maggio 2025 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 71/2025 contenente la “Disciplina delle nuove modalità di accesso ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria e medicina veterinaria in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettere a), b), c), d), e), i) e l) della legge 14 marzo 2025, n. 26.”

Da segnalare per il maggiore rilievo che hanno per l’attuazione della riforma l’articolo 4 che contiene le modalità di iscrizione, di erogazione dell’offerta e di svolgimento delle prove d’esame e l’articolo 6 che riguarda la graduatoria di merito nazionale e l’ammissione al secondo semestre.

Vai al Dossier della riforma del test di medicina

Addio al test d’ingresso: arriva il semestre-filtro

La riforma abolisce il tradizionale test di accesso, sostituendolo con un semestre-filtro. Gli studenti potranno iscriversi liberamente al primo semestre, durante il quale dovranno sostenere esami caratterizzanti. Solo chi supererà con successo questi esami e otterrà i crediti formativi richiesti potrà proseguire al secondo semestre.

Accesso al secondo semestre

L’articolo 6 del dlgs n. 71/2025 stabilisce che l’ammissione al secondo semestre dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico richiede il completamento di tutti i CFU del “semestre filtro” e una posizione utile nella graduatoria nazionale, basata sul punteggio degli esami del semestre filtro, con standard uniformi. Se ammesso, lo studente si immatricola in una delle sedi universitarie indicate come preferenza, o in un’altra sede disponibile. I criteri della graduatoria e le modalità di assegnazione delle sedi saranno definiti da un decreto ministeriale. Chi non rientra in graduatoria può proseguire in un altro corso di laurea (o laurea magistrale a ciclo unico) tra quelli indicati come preferenza, mantenendo i CFU delle discipline comuni. Se non si raggiungono tutti i CFU del semestre filtro, le università possono comunque riconoscere, anche parzialmente, i crediti acquisiti.

Obiettivi della riforma test medicina 2025

L’obiettivo principale della riforma è potenziare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) formando 30.000 medici in più nei prossimi sette anni. La riforma mira a garantire una selezione basata sul merito e non sulle capacità economiche, eliminando la necessità di costosi corsi di preparazione e riducendo l’emigrazione degli studenti all’estero.

I principi chiave della riforma

La riforma si fonda sui seguenti principi ispiratori:

  • iscrizione libera al primo semestre: gli studenti potranno accedere liberamente ai corsi di laurea in medicina e discipline affini;
  • esami caratterizzanti: Il superamento di esami specifici durante il primo semestre determinerà l’ammissione al secondo semestre;
  • uniformità dei programmi: saranno stabiliti programmi formativi standardizzati a livello nazionale;
  • monitoraggio delle esigenze del SSN: un sistema di controllo valuterà il fabbisogno di medici e garantirà l’allineamento tra formazione universitaria e necessità del sistema sanitario;
  • tutoraggio pratico: gli studenti potranno svolgere attività pratiche sotto la guida di medici esperti nelle strutture ospedaliere.

Vantaggi per gli studenti

La riforma del test d’ingresso apporta tutta una serie di vantaggi importantissimi per gli studenti che aspirano alla carriera medica. Vediamo i più importanti

Maggiore accessibilità: l’eliminazione del test elimina la discriminazione economica legata ai corsi di preparazione privati.

Formazione di qualità: il semestre-filtro consente di valutare le reali competenze degli studenti.

Opportunità alternative: i crediti ottenuti nel primo semestre saranno validi per altri percorsi formativi in ambito biomedico, sanitario e farmaceutico.

Tempistiche e attuazione

La legge ha concesso al Governo il tempo di dodici mesi per emanare uno o più decreti legislativi che daranno attuazione alla riforma. Il decreto del 15 maggio 2025 è il primo che contiene disposizioni di attuazione, limitatamente all’art. 2 della legge n. 26/2025.

La legge prevede, comunque, anche un sistema di monitoraggio continuo per garantire l’efficacia delle nuove modalità di accesso.

Con questa riforma, l’Italia compie un passo significativo per rispondere alla carenza di personale medico e migliorare l’accesso alle facoltà sanitarie, ponendo al centro il merito e la qualità della formazione.

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Allegati

ISA

ISA (Indici Sintetici di Affidabilità) ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale): cosa sono, come funzionano e cosa succede con un punteggio basso

Cosa sono gli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità)

Gli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) rappresentano uno strumento introdotto dall’Agenzia delle Entrate con l’obiettivo di valutare la conformità fiscale dei contribuenti esercenti attività d’impresa, arti o professioni.

In vigore a partire dal periodo d’imposta 2018, gli ISA hanno progressivamente sostituito gli studi di settore e i parametri contabili, configurandosi oggi come un sistema integrato per favorire la compliance fiscale e il dialogo collaborativo tra fisco e contribuente.

Gli ISA nello specifico sono indicatori statistico-economici costruiti sulla base di modelli matematici e analisi econometriche. Essi attribuiscono a ciascun contribuente un punteggio sintetico da 1 a 10, che misura il livello di affidabilità fiscale in relazione ai dati dichiarati e alle informazioni presenti nell’Anagrafe tributaria.

I modelli ISA sono differenziati per attività economica (Modelli di business ossia gruppi di imprese con caratteristiche similari) e sono aggiornati periodicamente tenendo conto delle evoluzioni del contesto economico, settoriale e territoriale.

Ogni modello tiene conto di variabili strutturali (dimensione dell’impresa, localizzazione, livello di concorrenza), oltre a indicatori di anomalia, efficienza e coerenza tra i dati contabili e dichiarativi.

A cosa servono gli ISA 

Il principale obiettivo degli ISA è promuovere la trasparenza e l’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti. In concreto, l’attribuzione di un punteggio elevato può tradursi in vantaggi premiali, tra cui:

  • esclusione o limitazione dei controlli fiscali;
  • accesso prioritario ai rimborsi fiscali;
  • riduzione dei termini di accertamento;
  • esclusione dall’applicazione di alcune presunzioni legali.

Il sistema ISA si fonda su un approccio collaborativo: il contribuente è incoraggiato a correggere eventuali anomalie o incoerenze nei dati dichiarati, anche grazie al software messo a disposizione da Sogei e Agenzia delle Entrate.

Qual è il punteggio da raggiungere

Il punteggio ISA si esprime su una scala da 1 a 10 e costituisce una sintesi della posizione fiscale del contribuente.

In generale, un punteggio pari o superiore a 8 consente l’accesso ai benefici premiali. A seconda del tipo di vantaggio, sono previste soglie minime variabili (spesso tra 8 e 9), che possono essere riferite anche alla media dei punteggi degli ultimi tre periodi d’imposta.

Cosa succede con un punteggio ISA basso

Un punteggio ISA inferiore a 6, in particolare se reiterato, può essere sintomo di anomalie o scostamenti rilevanti rispetto ai parametri di settore. In questi casi, il contribuente può essere inserito tra i soggetti a rischio fiscale, con le seguenti conseguenze:

  • maggiore probabilità di controlli o accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate;
  • esclusione dai benefici premiali (rimborsi veloci, esclusione da accertamenti sintetici, ecc.).
  • possibile invio di lettere di compliance con invito a regolarizzare la posizione.

Tuttavia, il sistema ISA consente al contribuente di intervenire: è possibile integrare o modificare i dati dichiarati prima dell’invio della dichiarazione, oppure fornire spiegazioni documentate che giustifichino eventuali disallineamenti, evitando così conseguenze negative.

Chi è obbligato a presentare gli ISA

L’applicazione degli ISA riguarda i soggetti titolari di partita IVA che esercitano attività economiche per le quali è stato approvato uno specifico indice. Ne sono esclusi invece, ad esempio:

  • i contribuenti che adottano il regime forfettario o di vantaggio;
  • i soggetti che hanno iniziato o cessato l’attività nel corso dell’anno.

L’obbligo di applicazione e calcolo ISA avviene tramite apposito software, integrato nei programmi di compilazione della dichiarazione dei redditi (modello REDDITI).

Considerazioni finali

Gli Indici sintetici di affidabilità fiscale rappresentano oggi uno strumento chiave nella relazione tra fisco e contribuente, non solo per valutare l’adeguatezza delle dichiarazioni, ma anche per prevenire il contenzioso e stimolare comportamenti virtuosi. Mantenere un punteggio elevato non è soltanto una garanzia di trasparenza, ma una concreta opportunità per accedere a semplificazioni e tutele nel rapporto con l’amministrazione finanziaria.

 

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contributo unificato

Contributo unificato errato? Scatta la compensazione delle spese La Cassazione chiarisce che un errore nella determinazione del contributo unificato da parte dell'avvocato può giustificare la compensazione delle spese processuali

Contributo unificato errato e spese processuali

Un errore nella determinazione del contributo unificato può giustificare la compensazione integrale delle spese processuali. A stabilirlo è la Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 13145/2025, depositata il 20 maggio 2025.

La vicenda processuale

Nel giudizio d’appello, la parte ricorrente aveva erroneamente indicato come valore della controversia la somma di € 1.200,71, ai fini del pagamento del contributo unificato. Secondo la ricorrente, tale importo non avrebbe dovuto influenzare il valore effettivo della domanda. Riteneva che la liquidazione delle spese fosse stata operata su un errato scaglione tariffario.

Tuttavia, la Corte aveva condannato la parte a rimborsare € 1.378, oltre accessori. La ricorrente chiedeva invece che fosse applicato lo scaglione inferiore (fino a € 1.100), con liquidazione delle spese pari a € 332 oltre CPA, IVA e accessori.

Il principio di diritto espresso dalla Cassazione

Secondo la S.C., la dichiarazione del difensore relativa al contributo unificato non incide sul valore della causa, trattandosi di un’informazione rivolta al funzionario di cancelleria. Però, qualora l’indicazione erronea del valore sia tale da indurre in errore il giudice nella liquidazione delle spese, può costituire una “grave ed eccezionale ragione” per disporre la compensazione delle spese processuali, ex art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.

La Corte ha inoltre ribadito che, ai fini della determinazione del valore della causa:

  • in primo grado, rileva la somma domandata o accordata;

  • in appello, conta solo la parte della pretesa ancora oggetto di contestazione o l’eventuale differenza accordata rispetto alla sentenza impugnata.

Nel caso concreto, la Cassazione ha accolto il ricorso in relazione al capo relativo alle spese del giudizio di appello, rideterminando i compensi per le quattro fasi indicate nel D.M. parametri forensi, oltre accessori.

Tuttavia, nonostante l’accoglimento parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimità sono state integralmente compensate. Secondo la Corte, non è equo che i costi dell’impugnazione, resa necessaria da un errore della parte, gravino sulla controparte che non ha nemmeno resistito all’impugnazione stessa.

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