contratto di spedalità

Contratto di spedalità Contratto di spedalità: cos'è, normativa, contenuto, novità della Legge Gelli Bianco n. 24/2017 e responsabilità della struttura

Cos’è il contratto di spedalità?

Il contratto di spedalità è l’accordo che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria all’atto del ricovero. Questo contratto regola i diritti e i doveri di entrambe le parti, disciplinando sia gli aspetti assistenziali che quelli economici. Con l’introduzione della Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), la normativa sulla responsabilità sanitaria ha subito importanti modifiche, incidendo direttamente anche sulla disciplina del contratto di spedalità.

La normativa sul contratto di spedalità

Il contratto di spedalità è un contratto atipico, cioè non espressamente disciplinato dal Codice Civile, ma riconosciuto dalla giurisprudenza come un contratto a prestazioni corrispettive. Esso prevede che:

  • il paziente riceva cure mediche, assistenza e prestazioni sanitarie;
  • la struttura sanitaria garantisca servizi idonei e organizzazione adeguata;
  • il paziente corrisponda un pagamento se la prestazione è erogata in regime privatistico.

Questo contratto si applica sia alle strutture pubbliche (ospedali, ASL) sia a quelle private accreditate.

Contenuto del contratto di spedalità

Il contratto di spedalità comprende diverse obbligazioni a carico della struttura sanitaria:

  1. obbligo di prestare cure adeguate secondo le linee guida mediche;
  2. corretta gestione delle risorse umane e tecnologiche per garantire la sicurezza del paziente;
  3. rispetto del diritto all’informazione e al consenso informato;
  4. diligenza nella tenuta della cartella clinica e nella gestione dei dati sanitari;
  5. obbligo di garantire la continuità assistenziale in caso di trasferimento o dimissioni del paziente;
  6. messa a disposizione del personale, dei medicinali e delle attrezzature;
  7. fornitura di prestazioni alberghiere come vitto e alloggio.

Le novità introdotte dalla Legge Gelli-Bianco

La Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) ha ridefinito il sistema di responsabilità sanitaria, introducendo novità rilevanti per il contratto di spedalità.

  • Doppio regime di responsabilità:
    • contrattuale per la struttura sanitaria (art. 1218 c.c.);
    • extracontrattuale per il medico (art. 2043 c.c.), salvo che non vi sia un rapporto diretto tra paziente e medico (es. libera professione intramoenia).
  • Obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di copertura assicurativa, per garantire il risarcimento dei danni ai pazienti;
  • Definizione delle linee guida per la valutazione della condotta medica.
  • Maggior tutela per i pazienti, con regole più chiare sulla trasparenza delle cure e sulla responsabilità della struttura.

Responsabilità della struttura sanitaria

La struttura sanitaria è responsabile contrattualmente per le prestazioni rese nei confronti del paziente. Tale responsabilità può essere:

  • diretta, quando il danno è dovuto a difetti organizzativi (es. carenza di personale, attrezzature inadeguate);
  • indiretta, se il danno deriva dalla condotta negligente di un medico dipendente.

Onere della prova

Secondo la Cassazione, in caso di danno subito dal paziente, spetta alla struttura sanitaria dimostrare di aver adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni oppure che l’inadempimento della prestazione è dipesa da una causa non imputabile (Cassazione n. 5922/2024)

Termini di prescrizione

La responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ha un termine di prescrizione di 10 anni, mentre quella del medico libero professionista (extracontrattuale) si prescrive in 5 anni.

 

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matrimonio concordatario

Matrimonio concordatario: la guida Matrimonio concordatario: cos’è, normativa di riferimento, differenze con il matrimonio civile ed efficacia giuridica

Cos’è il matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario è una particolare forma di matrimonio religioso celebrato secondo il rito canonico della Chiesa cattolica che, grazie agli accordi stipulati tra lo Stato italiano e la Santa Sede, produce effetti anche nell’ordinamento civile. Esso rappresenta una delle principali applicazioni del principio di cooperazione tra Stato e Chiesa previsto dall’art. 7 della Costituzione italiana.

Il matrimonio concordatario, per effetto del Concordato tra Stato e Chiesa (Patti Lateranensi del 1929, modificati nel 1984), viene riconosciuto anche come matrimonio civile, a condizione che:

  • sia trascritto nei registri dello stato civile;
  • siano rispettati i requisiti richiesti dall’ordinamento italiano (es. capacità giuridica, assenza di impedimenti legali);
  • vi sia una dichiarazione congiunta delle parti, espressa davanti al parroco e al ministro di culto.

In sostanza, con un solo rito (quello religioso) si ottiene un doppio effetto: religioso e civile.

Normativa di riferimento

  • Art. 7 Cost.: riconosce l’autonomia e la sovranità della Chiesa cattolica, ma stabilisce la possibilità di accordi (Concordati) con lo Stato.
  • Concordato Lateranense (1929) e Accordo di Villa Madama (1984): regolano i rapporti tra Stato e Chiesa.
  • Articoli 82-116 del Codice civile: disciplinano i requisiti e gli effetti del matrimonio nell’ordinamento italiano.
  • Legge n. 121/1985: ratifica e dà esecuzione al nuovo Concordato tra Italia e Santa Sede.

Differenza tra matrimonio concordatario e matrimonio civile

Caratteristica

Matrimonio civile

Matrimonio concordatario

Rito

Celebrato davanti all’ufficiale di stato civile

Celebrato con rito religioso cattolico

Effetti civili

Immediati, con redazione dell’atto

Subordinati alla trascrizione nei registri civili

Normativa applicabile

Codice civile

Diritto canonico + Codice civile

Annullamento

Competenza del Tribunale ordinario

Possibile doppia via: Sacra Rota (nullità canonica) + Tribunale civile (scioglimento o cessazione)

Nel matrimonio civile vi è esclusiva valenza giuridica, mentre nel matrimonio concordatario si ha un’unione religiosa che acquista validità giuridica solo attraverso la trascrizione dell’atto presso lo stato civile del Comune competente.

Effetti civili del matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario produce effetti civili analoghi a quelli del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile, a partire dalla data della celebrazione, se vi è regolare trascrizione.

Principali effetti civili:

  • comunione o separazione dei beni;
  • obblighi di assistenza morale e materiale;
  • doveri di coabitazione e fedeltà (art. 143 c.c.);
  • diritti successori;
  • legittimazione dei figli;
  • regime patrimoniale e contributivo.

Se il matrimonio non viene trascritto nei registri dello stato civile, non produce effetti giuridici nell’ordinamento italiano, restando valido solo come atto religioso.

Scioglimento e nullità  

  • Il divorzio può essere richiesto presso il Tribunale civile, con le medesime modalità previste per il matrimonio civile, con la pronuncia di divorzio vengono meno gli effetti civili del matrimonio concordatario.
  • È possibile richiedere la nullità canonica presso i tribunali ecclesiastici (Sacra Rota), ma la relativa decisione deve essere riconosciuta dallo Stato con apposita delibazione da parte della Corte d’appello (ex art. 8 legge n. 121/1985).

Quando conviene il matrimonio concordatario?

Il matrimonio concordatario è preferito da chi intende unire il sacramento religioso alla rilevanza giuridica dell’unione, evitando una doppia cerimonia. È consigliabile in presenza di:

  • convinzioni religiose condivise dalla coppia;
  • desiderio di dare solennità religiosa all’unione senza rinunciare agli effetti legali.

 

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interdittiva antimafia

Interdittiva antimafia: sospensione fino alla decisione del prefetto La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non proroga la sospensione dell’interdittiva antimafia dopo l’esito positivo del controllo giudiziario

Controllo giudiziario e interdittiva antimafia

Con la sentenza n. 109/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 (codice antimafia) nella parte in cui non prevede la prosecuzione della sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia anche dopo la conclusione con esito positivo del controllo giudiziario.

Secondo la Corte, la mancata proroga degli effetti sospensivi sino alla rivalutazione del provvedimento da parte del prefetto viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità, causando un pregiudizio irragionevole per le imprese coinvolte.

Sospensione interrotta al termine del controllo

La questione nasce dal contrasto tra la ratio del controllo giudiziario – misura introdotta per recuperare alla legalità le imprese occasionalmente condizionate da ambienti mafiosi – e l’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la sospensione degli effetti interdittivi si interrompe alla chiusura del controllo, indipendentemente dal suo esito.

Questa ricostruzione determina, secondo la Corte, un vuoto di tutela: l’immediata riattivazione dell’interdittiva può vanificare gli esiti del percorso di risanamento, mettendo a rischio la continuità aziendale e favorendo un possibile riavvicinamento alla criminalità organizzata.

Le due ragioni dell’illegittimità costituzionale secondo la Corte

La Corte costituzionale ha basato la propria pronuncia su due argomenti centrali:

  1. Funzione strumentale della sospensione: la normativa prevede la sospensione per consentire all’impresa, sotto la vigilanza del tribunale e del controllore nominato, di operare legalmente durante il controllo giudiziario. Questo periodo serve a valutare concretamente il superamento dell’infiltrazione mafiosa.

  2. Irreparabilità degli effetti del riattivarsi dell’interdittiva: anche in caso di successiva emissione di informazione liberatoria da parte del prefetto, le conseguenze economiche e reputazionali dell’interdittiva reattivata nel frattempo non sono eliminabili. Si tratta di un pregiudizio che colpisce l’attività economica e può rendere vano l’intero percorso di risanamento.

Un sistema contraddittorio e irragionevole

La Consulta ha ritenuto contraddittoria la disciplina vigente per tre ragioni:

  1. La misura del controllo giudiziario è concepita come strumento di reinserimento dell’impresa nel circuito economico legale;

  2. Il percorso è oneroso per l’imprenditore e per la giustizia, e può durare fino a tre anni;

  3. Tuttavia, anche in caso di esito positivo, il legislatore non impedisce il riattivarsi automatico dell’interdittiva fino alla decisione del prefetto, annullando potenzialmente gli effetti del controllo.

Tale assetto, secondo la Corte, può generare un danno irreversibile, sia sul piano economico, sia sul versante della legalità sostanziale.

Proroga della sospensione fino alla decisione del prefetto

Con la sentenza n. 109/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 34-bis, comma 7, del codice antimafia, e ha esteso la sospensione degli effetti dell’informazione antimafia anche oltre la durata del controllo giudiziario, fino alla rivalutazione prefettizia prevista dall’art. 91, comma 5, del medesimo codice.

In tal modo, si garantisce la continuità della tutela e si valorizzano i risultati conseguiti con il percorso di monitoraggio giudiziario, impedendo che il ritorno automatico dell’interdizione frustri l’obiettivo del risanamento.

contributi nocivi

Pensioni: inammissibili le questioni sui contributi nocivi dei dipendenti pubblici La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sul mancato riconoscimento della neutralizzazione dei contributi “nocivi” nelle pensioni dei dipendenti pubblici

Inammissibili le qlc sui contributi nocivi nel lavoro pubblico

Contributi nocivi: con la sentenza n. 110/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 3, primo comma, della legge 30 dicembre 1965, n. 965 e all’art. 43, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. Le disposizioni in esame regolano rispettivamente la liquidazione delle pensioni per i dipendenti civili dello Stato e per i dipendenti degli enti locali.

Le disposizioni oggetto di censura costituzionale

Le norme impugnate non prevedono, nel settore del pubblico impiego, la possibilità di applicare il meccanismo della neutralizzazione dei periodi contributivi. Tale istituto, in ambito previdenziale, consente di escludere dal calcolo pensionistico quei periodi che, pur oltrepassando il minimo contributivo richiesto, determinano un peggioramento della quota retributiva del trattamento pensionistico, per effetto di una retribuzione finale inferiore rispetto a quella percepita precedentemente.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale denunciando il contrasto con gli articoli 1, comma 1, 3, comma 1, 35, comma 1, 36, 38, comma 2, e 98, comma 1, della Costituzione.

Il cumulo gratuito come causa di inammissibilità

La Corte costituzionale non ha esaminato nel merito le questioni proposte in quanto il trattamento pensionistico oggetto del giudizio era stato liquidato mediante il meccanismo del “cumulo gratuito”. Introdotto dall’art. 1, commi da 239 a 248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, questo strumento consente di unificare contributi versati in diverse gestioni previdenziali, anche se ciascuna da sola non dà diritto autonomo a pensione.

Nel caso di specie, il giudice a quo non ha preso in considerazione – né tantomeno censurato – la normativa sul cumulo gratuito, in particolare la previsione che impone l’utilizzo integrale di tutti i periodi assicurativi accreditati presso le diverse gestioni. Tale disposizione costituisce, secondo la Consulta, un autonomo ostacolo normativo alla possibilità di applicare il principio di neutralizzazione.

La motivazione dell’inammissibilità

L’omessa valutazione della disciplina vigente in materia di cumulo gratuito ha comportato, secondo la Corte, una ricostruzione incompleta del quadro normativo rilevante ai fini del giudizio. Tale incompletezza, come chiarito da costante giurisprudenza costituzionale, è causa di inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate.

interessi moratori

Interessi moratori avvocati: da quando decorrono La Cassazione chiarisce che gli interessi moratori per i crediti professionali degli avvocati decorrono dalla messa in mora, anche stragiudiziale, e non dalla liquidazione del credito

Decorrenza interessi moratori nei crediti professionali

Con l’ordinanza n. 19421/2025, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di crediti professionali maturati dagli avvocati: gli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1224 del codice civile, decorrono dalla messa in mora del debitore, che può coincidere sia con la proposizione della domanda giudiziale sia con una richiesta stragiudiziale di adempimento.

Tale principio si applica anche qualora la liquidazione del compenso professionale avvenga nell’ambito del procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte

Nel caso esaminato, due avvocati avevano prestato assistenza legale a favore di una società, successivamente condannata dal Tribunale di Bergamo – in contumacia – al pagamento della somma di € 10.248,99, oltre interessi legali dalla data della domanda e spese processuali.

I professionisti hanno impugnato la decisione, contestando l’erronea applicazione degli interessi legali in luogo di quelli moratori, e la decorrenza di tali interessi dalla domanda giudiziale, anziché dalla messa in mora avvenuta mediante più atti stragiudiziali.

Applicabilità del d.lgs. 231/2002 ai compensi forensi

La Corte, accogliendo il ricorso dei legali sul punto, ha affermato che la disciplina prevista dal d.lgs. n. 231/2002 in tema di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali si applica anche ai contratti d’opera professionale. Tuttavia, per il riconoscimento degli interessi moratori è necessario che il ritardo non sia giustificato da una causa non imputabile al debitore, come previsto dall’art. 3 dello stesso decreto.

Ne deriva che la liquidazione del credito da parte del giudice non incide sulla decorrenza della mora, né può escluderla in caso di liquidazione in misura inferiore a quanto richiesto. Pertanto, gli interessi moratori decorrono dalla domanda, anche se la somma riconosciuta è diversa da quella originariamente domandata, purché sussista una condotta dilatoria ingiustificata.

La necessità dell’atto di costituzione in mora

La Corte ha invece rigettato la doglianza relativa alla mancata rivalutazione del credito. Le ricorrenti sostenevano che, in assenza di contestazioni sulla parcella, gli interessi e la rivalutazione monetaria dovessero maturare automaticamente dalla scadenza del pagamento.

Secondo la Cassazione, la mora non sorge automaticamente, nemmeno in presenza di crediti illiquidi. È necessario un atto formale di costituzione in mora, i cui effetti si producono solo per la parte di credito riconosciuta o accertata. Il principio romanistico in illiquidis non fit mora è superato solo quando il debitore, pur in presenza di un credito non determinato nel quantum, sia in grado di compierne una stima.

Condotta colpevole e interessi moratori

La Corte richiama il proprio orientamento consolidato (Cass. n. 24973/2022), secondo cui la mora del debitore può configurarsi anche in presenza di un credito illiquido, qualora il debitore abbia la possibilità di stimarne l’entità sulla base di tariffe professionali e attività chiaramente documentate.

Pertanto, l’ingiustificata contestazione del credito o una condotta dilatoria possono integrare una colpa rilevante ai fini dell’applicazione degli interessi moratori. In questi casi, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, ma limitatamente alla parte del credito non contestata o accertata con sentenza.

Conclusioni operative per gli avvocati

L’ordinanza n. 19421/2024 conferma che, per ottenere gli interessi moratori nei crediti professionali, è indispensabile procedere alla costituzione in mora del debitore, anche a mezzo di diffida stragiudiziale. La liquidazione giudiziale non esclude la mora, che si radica nella condotta colpevole del debitore.

È pertanto opportuno, nella gestione dei crediti professionali, formalizzare tempestivamente la richiesta di pagamento tramite diffide scritte, in modo da far decorrere gli interessi ai sensi del d.lgs. n. 231/2002, anche prima dell’introduzione del giudizio.

Allegati

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede il decreto attuativo Bullismo e cyberbullismo: in vigore dal 16 luglio 2025 il decreto legislativo che rafforza la prevenzione e il contrasto in attuazione della legge n. 70/2024

Bullismo e cyberbullismo: il decreto in vigore

Il decreto legislativo n. 99/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2025 per entrare in vigore il 16 luglio 2025.

Il testo recante”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo“, mira a rafforzare la prevenzione e il contrasto a entrambi i fenomeni, in attuazione della legge n. 70/2024, con cui si pone quindi in linea di continuità.

Bullismo e cyberbullismo: emergenza infanzia

Il nuovo decreto potenzia il servizio telefonico “emergenza infanzia 114”, estendendone l’operatività anche a questi fenomeni per tutelare i minori. Il 114, attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, offrirà una prima assistenza psicologica e giuridica, oltreché una consulenza psicopedagogica e segnalerà i casi gravi alle autorità. L’app del 114 includerà anche la geolocalizzazione (previa acquisizione del consenso) e un servizio di messaggistica istantanea. Il tutto ovviamente nel rispetto della privacy. I dati anonimi sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nelle scuole, raccolti dal 114, saranno trasmessi annualmente al Ministero dell’Istruzione e del Merito per programmare azioni di sensibilizzazione. Il sito web del 114 garantirà inoltre un’ ampia accessibilità ai servizi.

Indagini statistiche su bullismo e cyberbullismo

L’ISTAT condurrà rilevazioni biennali su questi fenomeni giovanili la fine di identificarne le caratteristiche, i soggetti a rischio, i fattori e le conseguenze psicologiche che producono. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invierà alle Camere un rapporto di sintesi con i risultati ISTAT e lo stato di attuazione delle misure nelle scuole secondarie.

Più responsabilità genitoriale

Il decreto aggiorna inoltre le comunicazioni dei fornitori di servizi online, richiamando però sul punto anche la responsabilità genitoriale prevista dall’ articolo 2048 del codice civile per i danni causati dai figli minori nel mondo online.

Campagne su uso responsabile della rete

La Presidenza del Consiglio promuoverà campagne informative sull’uso consapevole della rete e sui suoi rischi. Il Ministero dell’Istruzione e le scuole promuoveranno infine la conoscenza del numero 114, strumento fondamentale per esternare il disagio e chiedere aiuto.

 

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contributi volontari

Contributi volontari Contributi volontari: cosa sono, chi e quando vi può accedere, versamento, requisiti contributivi e differenze con i contributi figurativi

Cosa sono i contributi volontari?

I contributi volontari rappresentano un’opportunità per i lavoratori che hanno interrotto o cessato l’attività lavorativa. La finalità di questi contributi è di permettere di integrare i requisiti contributivi necessari per accedere alla pensione o, per chi è già in possesso dei requisiti, aumentare l’importo della futura rendita pensionistica.

Questi contributi possono essere versati per tutte le più importanti tipologie di pensione:

  • dirette (vecchiaia, anzianità, assegno di invalidità e inabilità);
  • indirette (reversibilità o superstiti).

Contributi volontari: chi e in quali casi vi può accedere

I contributi volontari riguardano i lavoratori che non svolgono più un’attività lavorativa, sia dipendente che autonoma, o che l’hanno interrotta. Anche gli iscritti alla Gestione Separata possono beneficiarne.

Essi servono a coprire periodi in cui il lavoratore:

  • non svolge alcuna attività lavorativa;
  • si trova in aspettativa non retribuita per motivi familiari o di studio;
  • ha un contratto part-time e vuole integrare la contribuzione.

Chi può versare i contributi volontari

Possono fare istanza per ottenere l’autorizzazione al versamento di questi contributi diversi soggetti. Essi però non devono essere già iscritti all’INPS o ad altre forme di previdenza obbligatoria per l’attività corrente.

Tra questi vi rientrano:

  • i lavoratori dipendenti e autonomi;
  • lavoratori parasubordinati;
  • liberi professionisti (se non iscritti alla propria Cassa o ad altra previdenza obbligatoria);
  • lavoratori dei fondi speciali di previdenza (telefonici, elettrici, personale di volo, ecc.);
  • titolari di assegno di invalidità o pensione indiretta (reversibilità o superstiti).

L’autorizzazione di solito viene concessa quando il rapporto di lavoro che ha generato l’obbligo assicurativo è cessato o interrotto. Una volta ottenuta, l’autorizzazione non decade mai. I versamenti quindi possono riprendere anche senza presentare una domanda nuova.   

Autorizzazione versamento contributi volontari: casi particolari

È importante notare che l’autorizzazione può essere concessa anche se il rapporto di lavoro non è del tutto cessato, in casi specifici come:

  • sospensioni dal lavoro assimilabili a interruzione o cessazione (es. aspettativa per motivi familiari).
  • sospensioni o interruzioni previste per legge o contratto (congedi per formazione, per gravi motivi familiari, aspettative non retribuite, ecc.), in alternativa al riscatto;
  • contratto di lavoro part-time per integrare i periodi a orario ridotto;
  • integrazione dei versamenti per attività agricola con meno di 270 giornate di contribuzione annue.

Inoltre, possono versare questi contributi anche alcune categorie di lavoratori e pensionati iscritti a forme di previdenza diverse dall’INPS, se autorizzati prima di determinate date.

Requisiti per l’autorizzazione al versamento

Per ottenere l’autorizzazione, il lavoratore deve dimostrare di possedere uno dei seguenti requisiti contributivi:

  • almeno cinque anni di contributi (260 contributi settimanali o 60 contributi mensili) in qualsiasi periodo;
  • almeno tre anni di contribuzione negli ultimi cinque anni precedenti la domanda.

Questi requisiti devono essere maturati con contribuzione effettiva (obbligatoria) o confluita tramite trasferimento, ricongiunzione, riscatto e alcuni tipi di contribuzione figurativa.

La decorrenza dell’autorizzazione e l’importo della contribuzione variano in base alla categoria di appartenenza del lavoratore.

Versamento e benefici fiscali

I contributi volontari possono essere versati comodamente tramite il servizio “Versamenti volontari” sul Portale dei pagamenti INPS, scegliendo tra:

  • pagamento online PagoPA;
  • avviso di pagamento PagoPA.

Uno dei vantaggi più significativi dei contributi volontari è la loro deducibilità fiscale. Essi possono essere indicati come “oneri deducibili” nella dichiarazione dei redditi.

Come fare domanda

La domanda per l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari deve essere presentata in modalità telematica tramite il servizio dedicato.

In alternativa, è possibile rivolgersi :

  • al Contact center INPS (numero 803 164 da rete fissa o 06 164 164 da rete mobile).
  • agli enti di patronato e agli intermediari abilitati dall’INPS.

Contributi volontari e figurativi: differenze

In sintesi le principali differenze tra contributi volontari e contributi figurativi.

I contributi volontari

  • vengono riconosciuti al lavoratore su domanda;
  • sono a carico del lavoratore;
  • servono per agevolare l’accesso alla pensione o aumentarne l’importo.

I contributi figurativi

  • vengono accreditati d’ufficio o su domanda del dipendente in relazione a periodi in cui non può lavorare (Es: maternità, cassa integrazione);
  • non comportano esborsi per il lavoratore e per il datore;
  • evitano che il lavoratore perda la continuità contributiva e quindi sono utili per il conseguimento e la misura della pensione.

Leggi anche: Contributi figurativi

bollo auto

Bollo auto: le novità del decreto approvato dal Governo Bollo auto: uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri prevede possibili novità per il 2026

Bollo auto: novità in arrivo per il 2026?

Dal 1° gennaio 2026, il bollo auto subirà significative modifiche per i veicoli di nuova immatricolazione, rivoluzionando scadenze, modalità di pagamento e responsabilità. Le auto immatricolate prima di questa data continueranno a seguire le vecchie regole, salvo diverse disposizioni regionali. Lo prevede lo “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di tributi regionali e locali e di federalismo fiscale regionale n. 276” approvato dal Consiglio dei Ministri che fida attuazione alla delega fiscale, sottoposto a parere parlamentare.

Per approfondire vedi il Dossier del Senato della Repubblica

Nuove scadenze personalizzate

A partire dal 2026, la scadenza del bollo non sarà più fissa, ma personalizzata. Il pagamento dovrà essere effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di immatricolazione. La validità della tassa resterà di 12 mesi, la data di scadenza però sarà legata alla singola data di immatricolazione. Un cambiamento che richiederà maggiore attenzione da parte degli automobilisti.

Addio alla rateizzazione del bollo auto

Un’altra novità è rappresentata dall‘abolizione della possibilità di rateizzare il bollo per i veicoli immatricolati dal 2026. Attualmente, molte Regioni offrono pagamenti trimestrali o semestrali. Dal 2026, invece, il pagamento sarà annuale e in una soluzione unica. Le Regioni potranno comunque introdurre agevolazioni locali.

Bollo dovuto anche per veicoli fermi

Il bollo auto, dal 2026, sarà legato al possesso del veicolo, non al suo utilizzo. Questo significa che anche i veicoli sottoposti a fermo amministrativo o giudiziario dovranno comunque pagare regolarmente la tassa. L’unica eccezione per l’interruzione del pagamento sarà la perdita del possesso (furto, demolizione, esportazione).

Pagamento nei passaggi di proprietà

Le regole sui passaggi di proprietà saranno più chiare. Il bollo sarà a carico di chi risulta intestatario all’inizio del periodo tributario. Se un’auto viene venduta a maggio, ma il periodo del bollo inizia a marzo, il pagamento sarà a carico del venditore. Questo mira a ridurre i contenziosi e a semplificare la definizione delle responsabilità.

Bollo auto: importi e calcoli come sempre

Invariati gli importi e il calcolo. Il. Bollo continuerà infatti a essere determinato in base alla potenza del motore (kW) e alla classe ambientale. Anche il Superbollo per le auto con oltre 185 kW di potenza rimarrà in vigore. Le esenzioni regionali per auto elettriche, ibride o per disabili permarranno, ma le Regioni decideranno come riconfermarle.

Per facilitare i controlli, verrà istituito l’Archivio Nazionale delle Tasse Automobilistiche (ANTA), un database unico che integrerà le informazioni per una verifica più rapida delle posizioni fiscali dei veicoli.

 

Leggi anche:  Bollo auto: guida completa

reato di sfregio

Reato di sfregio Reato di sfregio: cos’è, l’art. 583 quinquies c.p, caratteristiche del delitto, deformazione e sfregio, la sentenza della  Consulta n.83/2025

Reato di sfregio: cos’è

Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.

Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.

L’articolo 583 quinques c.p. 

L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio  al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.

Caratteristiche del reato di sfregio

Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.

La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.

Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.

Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,  è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.

La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.

Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi

Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.

Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.

Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.

 

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Interessi moratori Interessi di mora: cosa sono, l'articolo 1224 c.c., differenze con quelli compensativi e corrispettivi, calcolo e transazioni commerciali

Cosa sono gli interessi moratori

Gli interessi moratori o di mora rappresentano una forma di risarcimento che il debitore deve al creditore quando ritarda nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, ovvero nel pagamento di una somma di denaro. La loro funzione principale è quindi di compensare il creditore per il danno subito a causa del mancato tempestivo incasso, danno che si presume esistere automaticamente con il ritardo.

Normativa di riferimento: l’articolo 1224 c.c.

Il principale riferimento normativo per  questi interessi è l’articolo 1224 c.c. Questo articolo stabilisce che, dal giorno in cui il debitore è in ritardo, ossia in mora, con il pagamento di una somma di denaro, sono dovuti gli interessi legali, anche se non erano previsti interessi prima del ritardo. Se, invece, prima della mora erano già dovuti interessi a un tasso superiore a quello legale, gli interessi moratori saranno calcolati su questa misura più alta.

Essi svolgono una funzione risarcitoria automatica. Il creditore infatti non deve dimostrare di aver subito un danno riconducibile al ritardo. E’ sufficiente la condizione di mora a far scattare il diritto agli interessi.

Onere probatorio

Come accennato, questi interessi si applicano dal giorno del ritardo senza che il creditore debba provare di aver subito un danno. Tuttavia, se il creditore ritiene di aver subito un danno maggiore rispetto a quello automaticamente risarcito dagli interessi moratori, ha il diritto di richiedere un ulteriore risarcimento.

L’articolo 1224 c.c precisa però che questo risarcimento aggiuntivo non spetta se le parti hanno già convenuto la misura degli interessi moratori. La presunzione legale di danno da ritardo soccorre proprio quando le parti non hanno stabilito diversamente.

Interessi moratori: come si calcolano?

Il calcolo di questi interessi dipende da quanto stabilito tra le parti.

  • Se non sono stati concordati, gli interessi di mora corrispondono al tasso di interesse legale, che viene aggiornato annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
  • Se invece le parti hanno concordato un tasso, questo deve essere applicato, a condizione che non superi i limiti dell’usura.

Transazioni commerciali e interessi moratori

Se il ritardo nel pagamento riguarda le transazioni commerciali (incluse quelle con professionisti o lavoratori autonomi), è previsto un regime speciale (Dlgs 9 ottobre 2002, n. 231 “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”).

Gli interessi di mora decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Il diritto a  questi interessi viene meno per il creditore solo se il debitore riesce a dimostrare che il ritardo nell’adempimento non è riconducibile a una causa a lui imputabile.

Tasso interessi di mora 2° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con il comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2025 ha reso noto il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° luglio al 31 dicembre 2025, è fissato al 2,15% (in luogo del 3,15% del 1° semestre).

Interessi moratori, corrispettivi e compensativi: differenze

È importante distinguere infine gli interessi di mora da altre tipologie di interessi:

  • interessi corrispettivi: sono dovuti sui crediti liquidi ed esigibili (cioè determinati nel loro ammontare e immediatamente richiedibili). Rappresentano una sorta di “prezzo” per l’utilizzo del denaro altrui e sono un’obbligazione accessoria rispetto a quella principale;
  • interessi compensativi: sono dovuti in caso di “debiti di valore”, ovvero quando l’obbligazione non riguarda direttamente una somma di denaro e servono a compensare il ritardo nella messa a disposizione di tale valore.

Gli interessi di mora, a differenza dei corrispettivi e dei compensativi, nascono invece dal ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria già determinata.

 

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