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Decreto Omnibus: in vigore la legge In vigore dal 9 ottobre 2024 la legge di conversione del decreto Omnibus: dalla flat tax doppia per i "Paperoni" alla Zes sino agli sfollati di Scampia, ecco le misure

Decreto Omnibus: le novità

Via libera definitivo della Camera al decreto Omnibus (con 134 voti a favore e 96 contrari), già approvato dal Senato nei giorni scorsi (con la fiducia apposta dall’esecutivo sul ddl di conversione del decreto approvato il 7 agosto 2024).  Il testo, come licenziato dalle Commissioni bilancio e finanze, è stato approvato da Montecitorio il 3 ottobre ben prima della scadenza per la conversione prevista entro l’8 ottobre 2024.

Il ddl di conversione del dl 113/2024, recante “Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico“, contiene misure che spaziano dal raddoppio della flat tax per i Paperoni stranieri, alla Zes sino al bonus Natale per i lavoratori dipendenti ed ha subito modifiche di rilievo nel corso dell’esame parlamentare.

La nuova legge n. 143/2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’8 ottobre 2024 per entrare in vigore il giorno successivo.

Ecco le novità nel dettaglio:

Procedure di erogazione PNRR

Semplificata l’erogazione delle risorse che devono essere impiegate per realizzare gli interventi previsti dal PNRR.

In particolare le amministrazioni devono erogare, nel temine di 30 giorni dal ricevimento delle istanze, il 90% dell’importo dell’intervento.

Bonus Natale

Approvato il riconoscimento dell’indennità esentasse di 100 euro che andrà ad aggiungersi alla tredicesima. Beneficeranno della misura i lavoratori con reddito non superiore a 28.000 euro, spostati e con almeno un figlio a carico. Escluse dalla misura le famiglie di fatto.

Bonus psicologo

Per il 2024 il limite di spesa per il bonus psicologo aumenta di 2 milioni di euro, raggiungendo i 12 milioni di euro.

Peste suina

Contributo straordinario per gli allevatori che devono affrontare le problematiche legate alla peste suina.

La misura varia in base al danno subito.

Misure antipirateria

Due le novità contro la pirateria in TV. La prima prevede l’estensione dell’obbligo di bloccare l’accesso ai contenuti diffusi in modo abusivo ai fornitori VPN e DNS. La seconda prevede il carcere per chi non segnala immediatamente gli abusi alle autorità.

Flat tax Paperoni

Sale da 100mila a 200mila euro l’anno l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero calcolata in via forfetaria per chi sposta la residenza fiscale in Italia.

Ad oggi sono circa 1.200 i soggetti che hanno goduto di questo regime agevolato.

Zes Unica

Il credito di imposta per gli investimenti nella Zes Unica nel Mezzogiorno è di 1800 milioni di Euro per il 2024. Per accedere all’agevolazione, gli operatori economici che hanno già presentato la documentazione prevista dovranno inviare, dal 18 novembre al 2 dicembre 2024, all’Agenzia delle entrate, una comunicazione integrativa attestante l’avvenuta realizzazione entro il termine del 15 novembre 2024 degli investimenti già indicati. La comunicazione, a pena del rigetto della stessa, dovrà anche indicare l’ammontare del credito di imposta maturato in relazione agli investimenti effettivamente realizzati e le relative fatture elettroniche.

Scampia

Quasi mille euro mensili fino al 31 dicembre per gli sfollati in conseguenza del crollo del ballatoio delle Vele di Scampia del 22 luglio scorso. Li erogherà il comune di Napoli (si va da un minimo di 400 a un massimo di 900 in base al nucleo familiare, più somme aggiuntive in presenza di over65 o disabili).

Enti locali

Il ddl Omnibus contiene anche chiarimenti sulle imposte riscosse dagli enti locali e sull’applicazione in legge della spending review delle Regioni. Il testo contiene inoltre misure in materia di differimento di termini fiscali, a sostegno degli enti territoriali, di rinegoziazione dei mutui da parte degli enti territoriali e di attuazione delle misure del PNRR.

Aree sciistiche

Il provvedimento stanzia 13 milioni di euro per sostenere le imprese turistiche dei Comuni dei comprensori e delle aree sciistiche della dorsale appenninica che nella scorsa stagione sciistica hanno subito una riduzione dei ricavi non inferiore al 30% rispetto a quelli registrati nell’anno precedente. Destinatari del provvedimento:

  • gli esercenti attività di impianti di risalita a fune e di innevamento artificiale, nonché di preparazione delle piste da sci;
  • i noleggiatori di attrezzature per sport invernali;
  • i maestri di sci, iscritti negli appositi albi professionali, e delle scuole di sci presso le quali questi operano;
  • le agenzie di viaggio, i tour operator e i gestori di stabilimenti termali;
  • le imprese turistico-ricettive e di ristorazione.

Decreto del ministero del turismo

Sarà il ministero del turismo ad individuare i comuni interessati dalla misura e a definire i criteri e le modalità di erogazione delle risorse.

Iva associazioni sportive

Il provvedimento interviene anche sulla disciplina Iva per le associazioni sportive dilettantistiche, per i maestri di sci e sul trasferimento dei puledri per contrastare la concorrenza estera in materia fiscale.

Scuola

Si estende anche per l’anno scolastico e per l’anno accademico 2024-2025 la tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore.

Per il 2024 tutte le risorse destinate alla promozione dell’attività di ricerca e   competitività del Paese sono destinate alla quota base per il Fondo per il finanziamento delle università.

 

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patente a crediti

Patente a crediti: le Faq dell’Ispettorato Patente a crediti: l’iniziale fase applicativa della patente a crediti fa sorgere dubbi sulla corretta applicazione delle nuove regole

Patente crediti: prime Faq sul sito dell’INL

La patente crediti da qualche giorno è nella sua prima fase applicativa e subito sorgono dubbi sull’interpretazione delle norme del decreto n. 132/2024.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito i primi chiarimenti sulla misura con la circolare INL n. 4/2024. I dubbi però sono tanti, vediamo quelli che sono stati sollevati all’ispettorato e come ha risposto lo stesso con le Faq del 4 ottobre 2024.

La patente a crediti finora ha sollevato 4 dubbi principali, a ognuno dei quali l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha prontamente risposto.

Requisiti e autocertificazione patente crediti

Questo il primo quesito: “Fino a quando si può presentare l’autocertificazione/ dichiarazione sostitutiva per attestare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere la patente?”

L’INL precisa che l’autocertificazione deve essere inviata a mezzo pec dalle imprese e dagli autonomi che alla data del 1 ottobre operano già in un cantiere temporaneo o mobile.

Sono esclusi dall’obbligo di inviare l’autocertificazione per chi in data 1 ottobre 2024 opera già in un cantiere e nello stesso giorno richiede la patente e coloro che alla data del 1à ottobre 2024 non stanno operando in un cantiere.

Rilascio patente e rilevanza della categoria

“La categoria SOA rileva visto che la norma precisa solo la classificazione?” è il secondo quesito al quale l’Ispettorato ha risposto precisando prima di tutto che la SOA è un’attestazione di qualificazione che consente a chi ne è in possesso di poter partecipazione a gare d’appalto per l’esecuzione di appalti pubblici di lavori. L’INL chiarisce che sono escluse dall’applicazione della patente a crediti le imprese che possiedono la SOA con classifica superiore alla III, la categoria non rileva.  

Aziende con più unità, nomine RSPP e redazione DVR

“Se un’azienda ha più DVR e più RSPP come va interpretata la norma visto che menziona questi termini al singolare?”. A questo quesito, l’INL ha risposto in questi termini: se un’azienda ha diverse unità produttive e sono pertanto presenti diversi datori, ciascuno deve nominare un RSPP (Responsabile del servizio di prevenzione e protezione) e redigere un DVR (Documento di valutazione del rischio).

Obbligo formativo patente crediti e dichiarazione

“Il nuovo obbligo formativo è soggetto all’accordo Stato Regioni e alla scadenza del periodo entro il quale si deve applicare la nuova normativa. E’ quindi necessario attendere ulteriori chiarimenti sull’oggetto della autocertificazione?”. All’ultimo quesito, l’Ispettorato ha risposto che non occorre attendere, perché la dichiarazione è veritiera se effettuata alla luce della normativa vigente. Essa non può quindi tenere conto di adempimenti che ancora non sono obbligatori.

 

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divieto di cumulo pensione

Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo Scadenza modello RED 2024: chi deve trasmettere la dichiarazione sul divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo

Divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo

Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo: i soggetti percettori di pensione che abbiano conseguito redditi da lavoro autonomo nell’anno di riferimento devono presentare il modello RED 2024 entro il 31 ottobre 2024.

I soggetti tenuti all’invio di tale dichiarazione reddituale sono, quindi, i pensionati che abbiano percepito redditi da lavoro autonomo nell’anno 2023.

Modello RED come si presenta

Per presentare la dichiarazione RED, è necessario accedere con SPID o Carta Nazionale dei Servizi al sito www.inps.it, selezionando l’apposito servizio online “La dichiarazione della situazione reddituale (RED)”, nella sezione “Pensione e Previdenza”.

Con il modello RED il pensionato non dichiara soltanto l’ammontare dei redditi già percepiti nell’anno precedente a quello in cui viene rilasciata la dichiarazione. Deve anche indicare, in via preventiva e presuntiva, i redditi che suppone di percepire nell’anno in corso e che andrà, quindi, a dichiarare – in via consuntiva – nel RED dell’anno successivo.

A tal riguardo, è opportuno evidenziare che, anche qualora i redditi effettivamente percepiti nell’anno precedente corrispondano all’importo indicato in via presuntiva nella dichiarazione dell’anno precedente, il contribuente dovrà ugualmente presentare il modello RED indicando tali importi “a consuntivo”.

In base al reddito presuntivo indicato dal pensionato, l’ente previdenziale effettua delle trattenute in via preventiva. Successivamente, se dalle risultanze della dichiarazione successiva risulta un credito in favore del pensionato, l’Inps provvede a conguagliare la differenza.

Per esempio: nel modello RED 2024, il pensionato indica “a consuntivo” i redditi da lavoro autonomo percepiti nell’anno 2023 e, in via preventiva, quelli che presume di percepire nel 2024. Se poi, nella dichiarazione presentata nel 2025, i redditi effettivamente percepiti nel 2024 risulteranno inferiori a quelli indicati in via preventiva nella precedente dichiarazione, l’Ente provvederà ad effettuare l’opportuno conguaglio.

Le regole sul divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo

I redditi da lavoro autonomo percepiti nell’anno precedente alla dichiarazione non vanno indicati sotto forma di importo complessivo, bensì come singoli importi per ogni tipologia di reddito, suddivisi nei vari periodi dell’anno (con un massimo di sei periodi per ogni tipologia di reddito).

Ad esempio, per una specifica tipologia di reddito va indicato il mese di inizio e quello di fine dell’attività e il relativo reddito ottenuto.

Modello RED: le sanzioni per il mancato invio

La mancata dichiarazione della situazione reddituale RED è sanzionata in modo piuttosto severo. Infatti, la disciplina del divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo, prevista dall’art. 10 del d.lgs. 503/1992, dispone che l’omessa presentazione telematica del modello RED è sanzionata con un importo pari all’importo annuo della pensione percepita nell’anno cui la dichiarazione avrebbe dovuto riferirsi (in sostanza, l’INPS provvede a trattenere l’importo di tale sanzione dalle successive rate della pensione).

Chi sono i pensionati che devono presentare il RED?

Infine, va segnalato che, come chiarito dal recente messaggio Inps n. 3077 del 19 settembre 2024, sono esclusi dal divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo:

  • i titolari di pensione e assegno di invalidità con decorrenza anteriore al 31 dicembre 1994;
  • i titolari di pensione di vecchiaia a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i titolari di pensione di anzianità e di trattamento di prepensionamento a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i titolari di pensione o di assegno di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti.
ctu discordanti

CTU discordanti: il giudice può scegliere a quale aderire CTU discordanti: il giudice che decide di aderire ad una delle due deve motivare indicando le ragioni specifiche della scelta

CTU discordanti: la scelta tra le due va motivata

Se tra due CTU discordanti, che giungono cioè a conclusioni opposte sulla responsabilità medica di un’azienda ospedaliera e di alcuni dottori, se il giudice dell’appello preferisce la seconda deve motivare specificamente le ragioni per le quali l’ha scelta ai fini del decidere.

Non basta affermare che la seconda CTU ha chiarito dubbi e criticità presenti nella prima relazione. La Cassazione fornisce questi importanti chiarimenti nell’ordinanza n. 18308/2024.

Danni celebrali alla neonata: genitore chiede i danni

Il genitore di una bambina cita in giudizio un’azienda ospedaliera. L’uomo chiede il risarcimento dei danni derivanti dalle omesse o tardive diagnosi e terapie post partum. Le condotte dei medici hanno compromesso gravemente le funzioni celebrali della figlia appena nata. La struttura chiama in causa le compagnie assicurative e i sanitari coinvolti nella vicenda.

CTU discordanti: decisioni opposte in primo e secondo grado

Il Tribunale per appurare le responsabilità dispone una CTU. Conclusa l’istruttoria il giudice di primo grado accoglie le richieste del genitore. La sentenza riconosce all’attore e alla figlia un risarcimento danno superiore agli 800.000,00.

I convenuti soccombenti impugnano la decisione. In appello i giudici dispongono una nuova CTU. La decisione della Corte ribalta l’esito del giudizio di primo grado. La consulenza tecnica afferma infatti che il ritardo psicomotorio della bambina non è riconducibile a una ipossia celebrale verificatasi durante il parto, ma ad una patologia genetica.

Obbligatorio motivare perché si preferisce una delle due CTU

Il genitore della bambina impugna la decisione in sede di Cassazione sollevando 11 motivi di doglianza. Solo l’undicesimo viene accolto con conseguente rinvio alla Corte d’appello territorialmente competente in diversa composizione.

In questo motivo il ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza d’appello. La Corte di appello, pur esistendo una CTU precedente e contraria a quella che si è svolta in appello, non ha preso in considerazione le note critiche del difensore. L’esistenza di contestazioni specifiche sulla consulenza avrebbe dovuto indurre il giudice dell’appello a fornire una motivazione reale e non meramente apparente alla sua preferenza per le conclusioni della CTU successiva.

Motivazione apparente

La Cassazione accoglie questo motivo perché risulta in effetti fondato. Gli Ermellini ricordano che in una precedente pronuncia (n. 19372/2021) la stessa aveva precisato che se nel corso di un giudizio di merito vengono eseguite due consulenze tra loro difformi il giudice deve indicare le ragioni per le quale preferisce una delle due.

In particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione.” 

Nel caso di specie però la Corte ha affermato di ritenere necessaria la rinnovazione della consulenza tecnica di primo grado. La stessa però, nella motivazione, dopo l’illustrazione del contenuto della consulenza del secondo grado di giudizio e delle osservazioni alla stessa si limita ad affermare che:le risultanze della consulenza tecnica collegiale disposta nel presente grado hanno consentito di chiarire e superare quelle che, a parere di questa Corte, erano le criticità ed i dubbi del primo elaborato peritale, e dunque ritenendone di condividere le conclusioni, deve essere integralmente rivista la decisione impugnata che sulle prime aveva fondato il suo convincimento”. 

Tale motivazione è apparente, perché il giudice dell’appello non chiarisce quali erano le criticità del primo elaborato che sono state chiarite con la consulenza di secondo grado. La Corte in sostanza non chiarisce per quali ragioni ritiene di preferire la seconda consulenza rispetto alla prima. Il richiamo generico ai dubbi e alle criticità relative alla prima consulenza non riesce da solo a colmare la lacuna motivazionale.

 

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amministratori di sostegno

Amministratori di sostegno retribuiti: la proposta dell’Aiga I giovani avvocati hanno inviato ai capigruppo della commissione giustizia della Camera una proposta di legge volta a riformare la figura dell'amministratore di sostegno

Amministratore di sostegno: presentata la proposta AIGA

Amministratori di sostegno, una proposta per dare dignità alla figura. Così l’AIGA, l’Associazione Italiana dei Giovani Avvocati sintetizza la proposta di legge inviata ai capigruppo della commissione giustizia della Camera dei Deputati volta a riformare la figura dell’amministratore di sostegno.

Amministratori professionisti

“L’iniziativa mira a garantire una tutela più efficace dei diritti delle persone in condizioni di vulnerabilità e a valorizzare il ruolo cruciale svolto dai professionisti iscritti in albi professionali chiamati a rivestire il ruolo di amministratori di sostegno, quali ausiliari del Giudice” scrive l’associazione.

Riconoscimento natura professionale dell’attività svolta

I principi cardine della proposta riguardano:

  • la corretta e puntuale individuazione delle attività di competenza dell’amministratore di sostegno;
  • il riconoscimento della natura professionale (non volontaristica) dell’attività svolta dall’amministratore di sostegno, con conseguente liquidazione di un compenso (non di un’indennità) adeguato e dignitoso;
  • l’applicazione della normativa che regola il patrocinio a spese dello Stato, in presenza dei necessari requisiti di legge in capo beneficiario.

Istituto non gratuito se la nomina ricade su un professionista

“Laddove la nomina dell’amministratore di sostegno ricada su figure esterne all’ambito familiare o istituzionale, scegliendole in appositi elenchi di professionisti in materie giuridiche o economiche, l’istituto non può più essere di natura socio-assistenziale e di mera gratuità”, afferma il Presidente Nazionale di AIGA, Carlo Foglieni, spiegando la ratio della proposta di legge.

Il tempo e le risorse impiegate nella gestione dell’incarico ricevuto, infatti, sostengono i giovani avvocati, “non possono in alcuna misura essere ritenuti congruamente retribuiti mediante la corresponsione di un’indennità annuale, liquidata dal Giudice Tutelare solo in presenza di disponibilità sufficienti nel patrimonio dell’amministrato ed in via forfettaria, in assenza di precisi riferimenti normativi”.

“È evidente – conclude l’associazione – la lesione della dignità professionale dei soggetti incaricati e il legislatore non può più ignorare il problema, pena il rischio di una progressiva e cronica carenza di professionisti disposti ad accettare tale fondamentale ufficio”.

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giudizio di ottemperanza

Giudizio di ottemperanza Il giudizio di ottemperanza: funzione, presupposti e procedimento. I provvedimenti oggetto del giudizio e la nomina del commissario ad acta

Cos’è l’azione di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza è un particolare procedimento che si svolge davanti al giudice amministrativo per conseguire l’adempimento, da parte della Pubblica Amministrazione, di un obbligo previsto da un precedente provvedimento giudiziario.

I provvedimenti oggetto del giudizio di ottemperanza

Il Codice del processo amministrativo (d. lgs. 104/2010) prevede un’apposita disciplina per l’azione di ottemperanza.

In particolare dispone che essa può essere adottata da un soggetto privato per ottenere l’attuazione di:

  • sentenze pronunciate dal giudice amministrativo (Tar o Consiglio di Stato) passate in giudicato;
  • provvedimenti esecutivi pronunciati dal giudice amministrativo;
  • sentenze del giudice ordinario che obbligano una pubblica amministrazione all’adempimento di un obbligo (ad esempio, pagamento di una somma di denaro);
  • lodi arbitrali esecutivi.

Cosa significa giudizio di ottemperanza

La funzione del giudizio di ottemperanza è, quindi, quella di offrire, al soggetto che sia risultato vittorioso in un giudizio nei confronti di una pubblica amministrazione, uno strumento efficace per ottenere l’adempimento da parte dell’ente pubblico rimasto inerte di fronte al comando contenuto in un provvedimento giudiziario.

Il procedimento di ottemperanza

È importante notare, però, che vi è la possibilità che la sentenza (o altro provvedimento definitorio) oggetto dell’azione di ottemperanza non sia del tutto chiara nel definire in cosa consista l’obbligo a carico della p.a. soccombente.

Per tale motivo, il procedimento di ottemperanza può anche comportare una fase di cognizione, per consentire al giudice dell’ottemperanza di conoscere atti e fatti che lo aiutino a individuare, in concreto e con precisione, l’obbligo cui è tenuto l’ente pubblico.

Così procedendo, il giudice dell’ottemperanza è chiamato a valutare la conformità – o meno – del comportamento tenuto dalla PA rispetto al comando contenuto a suo carico nella pronuncia impugnata, facendo particolare attenzione all’eventuale residua presenza di margini di discrezionalità in capo alla stessa, con riferimento all’obbligo da adempiere.

Chi è competente nel giudizio di ottemperanza

Quanto al rito da osservare nel procedimento di ottemperanza, va innanzitutto evidenziato che la competenza appartiene al giudice amministrativo che ha adottato il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza oppure al Tar della medesima circoscrizione del giudice ordinario che ha adottato il provvedimento cui conformarsi.

Il giudizio di ottemperanza viene introdotto con ricorso (anche senza previa diffida) ed i termini processuali del procedimento sono ridotti alla metà. La sentenza viene adottata in forma semplificata e contiene le prescrizioni del giudice in ordine alle modalità cui la pubblica amministrazione deve attenersi per soddisfare l’interesse del privato ricorrente.

Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza

A norma dell’art. 114 del Codice del Processo Amministrativo, il giudice, se necessario, può nominare un commissario ad acta al fine di emanare gli atti che dovrebbero essere adottati dalla PA.

Inoltre, su richiesta di parte, il giudice ha facoltà di fissare una somma di denaro che l’ente pubblico deve pagare al ricorrente in caso di ritardo o di mancata osservanza del suo provvedimento.

L’azione di ottemperanza si prescrive decorsi dieci anni dal passaggio in giudicato del provvedimento di cui si chiede l’osservanza.

giurista risponde

Risarcimento del danno ingiusto e giurisdizione Costituisce materia di giurisdizione esclusiva il risarcimento del danno ingiusto?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore ( T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 3 giugno 2024, n. 3528).

È opportuno precisare che in tema di riparto della giurisdizione, l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato, non costituendo il risarcimento del danno ingiusto una materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio.

Pertanto, la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’amministrazione per i danni subiti dal privato, che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo, rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato.

Ed invero, la situazione giuridica, la cui lesione costituisce la causa della pretesa del privato di vedersi risarciti i danni causati dall’annullamento di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica, non è l’interesse legittimo alla conservazione del bene della vita acquisito con tale provvedimento, bensì l’affidamento incolpevole dal medesimo riposto nella legittimità di tale provvedimento.
Sul punto la giurisprudenza della Cote di Cassazione (Cass., Sez. Un., ord. 24 aprile 2023, n. 10880; Id., 6 febbraio 2023, n. 3514; Id., ord. 24 gennaio 2023, n. 2175, Id., ord. 29 aprile 2022, n. 13595; Id., 11 maggio 2021, n. 12428; Id., 8 luglio 2020, n. 14231) ha specificato che in relazione agli interessi legittimi pretensivi, infatti, l’interesse del privato all’ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto quando l’amministrazione, all’esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l’effetto positivo, senza che rilevi, dal punto di vista del medesimo privato, se tale emanazione sia legittima o illegittima; al privato interessa soltanto di poter vedere ampliata la propria sfera giuridica, cioè acquisire un bene della vita.

Con riguardo alla vicenda in esame la Sezione ha dichiarato il difetto di giurisdizione, in relazione ad una richiesta di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta dell’ente che aveva dapprima autorizzato lo svolgimento dell’attività degli indicati locali e, successivamente, rilevato l’assenza dei presupposti per il rilascio della necessaria autorizzazione unica ambientale.

Contributo in tema di “Risarcimento del danno ingiusto e giurisdizione”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / Settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

riforma cartabia

Riforma Cartabia: costituzionale l’art. 473.bis-17 c.p.c.? Riforma Cartabia: dubbi sulla costituzionalità del termine di 10 giorni che ha l'attore per esercitare il suo diritto di difesa

Riforma Cartabia: i dubbi di costituzionalità

La Riforma Cartabia concede all’attore 10 giorni per prendere posizione sulle difese del convenuto, precisare e modificare le proprie conclusioni, proporre domande ed eccezioni  in conseguenza della domanda riconvenzionale e formulare istanze di prova. Questa regola però viola i principi sanciti dagli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. Il nuovo art. 473bis.17 c.p.c, che prevede questo termine, non consente all’attore di esercitare il proprio diritto di difesa come il convenuto. Lo ha sancito il Tribunale di Genova che, accogliendo le rimostranze di parte attrice, ha rimesso la questione di legittimità costituzionale alla Consulta con l’ordinanza del settembre 2024.

Domanda per la modifica delle condizioni della separazione

Nella vicenda, una donna agisce in giudizio per chiedere la modifica delle condizioni della separazione sancita con una sentenza del 2016. Nella domanda chiede l’aumento del contributo dovuto dall’ex marito in favore della figlia maggiorenne, affetta da serti disturbi dell’apprendimento. Il marito si costituisce in giudizio, si oppone alle richieste della ex moglie e in via riconvenzionale chiede il divorzio.

Parte ricorrente con memoria 473bis.17 c.p.c. eccepisce l’inammissibilità della domanda di divorzio. Per l’attrice essa non presenta alcuna connessione oggettiva con la domanda principale. In udienza le parti raggiungono un accordo sul mantenimento e sulle spese straordinarie in favore della prole. La causa viene rinviata e le parti depositano note scritte per tentare di trovare un punto di incontro su tutte le questioni patrimoniali pendenti.

Costituzionale l’art. 473bis.17 c.p.c.?

Il giudice prende atto dell’impossibilità di raggiungere una soluzione condivisa sul divorzio a causa dell’eccezione sollevata da parte attrice. Essa ha sollevato infatti un dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 473 bis. 17 introdotto dalla Riforma Cartabia nel procedimento in materia di persone e famiglia. Per la ricorrente il termine di 10 giorni che viene concesso alla parte attrice per prendere posizione sulle domande nuove del convenuto sono insufficienti e lesivi dei principi sanciti dall’articolo 3 (uguaglianza), 24 (diritto di difesa) e 111 (giusto processo).

Il Tribunale di Genova, nel pronunciarsi sulla dubbia legittimità costituzionale dell’art. 473bis. 17, dopo aver analizzato gli articoli 473 bis 11 si sofferma sull’art. 474bis. 17. Questo articolo al comma 1 dispone che: “entro venti giorni prima della data dell’udienza, l’attore può depositare memoria con cui prendere posizione in maniera chiara e specifica sui fatti allegati dal convenuto, nonché, a pena di decadenza, modificare o precisare le domande e le conclusioni già formulate, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle difese del convenuto, indicare mezzi di prova e produrre documenti. Nel caso in cui il convenuto abbia formulato domande di contributo economico, nello stesso termine l’attore deve depositare la documentazione prevista nell’articolo 473-bis. 12, terzo comma”.

Il convenuto ha 30 giorni per impostare la difesa, l’attore solo 10

Analizzando la normativa in questione emerge che il convenuto ha 30 giorni di tempo per impostare la difesa, sollevare le sue eccezioni e formulare eventuali domande riconvenzionali. L’attore invece, per prendere posizione sulle domande e sulle difese del convenuto, modificare le proprie domande, sollevare eventuali accezioni e proporre domande nuove in conseguenza delle domande e dei mezzi di prova del convenuto ha solo 10 giorni, spesso 9 o meno ancora se la comparsa conclusionale viene depositata lultimo giorno disponibile e scaricata dalla Cancelleria il giorno successivo.”

In un caso come quello di specie, in cui parte attrice si è limitata a chiedere la modifica delle condizioni per il mantenimento della prole mentre parte convenuta ha chiesto in via riconvenzionale il divorzio, quest’ultima mette in discussione tutto quanto stabilito fino a quel momento tra la coppia in materia di diritti patrimoniali e non patrimoniali. Per questo parte attrice lamenta di non aver avuto abbastanza tempo per formulare la domanda per l’assegno divorzile conseguente alla domanda di divorzio di controparte.

Compressione ingiustificata dei termini: l’attore non può difendersi

L’articolo 474bis.17 c.p.c. prevede una compressione ingiustificata del diritto di difesa dell’attore previsto dall’articolo 24 della Costituzione in violazione del principio del giusto processo sancito dall’articolo 111 e di uguaglianza contenuto nell’art. 3 della Costituzione.

“Il termine di soli dieci giorni previsto dall’art. 473 bis.17 c.p.c in favore dell’attore per modificare e precisare le domande e formulare domande nuove e quindi anche i relativi mezzi di prova, si reputa assolutamente incongruo, non rinvenendosi nei vari riti previsti dal nostro ordinamento per i giudizi a cognizione piena una tempistica così ristretta”.

Basti pensare ai tempi previsti dagli articoli 166 e 171 ter del processo a cognizione ordinaria, a quelli indicati dall’art. 281 duodecies c.p.c, che disciplina il rito ordinario semplificato, ai termini del rito lavoro di cui all’art. 481 c.p.c o a quelli previsti dall’art. 166 ante riforma.

Come più volte affermato dalla Consulta “Il difetto di congruità del termine, rilevante sul piano della violazione dell’art. 24, primo comma, Cost., si ha solo qualora esso, per la sua durata, sia inidoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente la tutela accordata al cittadino” (Corte Cost. 10/02/2023, n. 18)”.

 

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autovelox ed etilometro

Autovelox ed etilometro hanno presupposti diversi Per la Cassazione non può contestarsi la validità della rilevazione dell'etilometro in base alle regole previste per l'autovelox

Autovelox ed etilometro

Non si può contestare la validità della rilevazione effettuata con l’etilometro in base alle regole dettate in tema di autovelox, in quanto non applicabili. Questo, in sintesi, quanto emerge dalla sentenza n. 21040/2024 della quarta sezione penale della Cassazione.

La vicenda

A ricorrere al Palazzaccio è un uomo condannato per il reato di cui all’art. 186 co. 2, let. c), 2- bis, 2-sexies e 2-septies cod. strada. Il ricorrente contesta l’inidoneità dell’etilometro utilizzato, i margini di errore dello stesso e il fatto che l’esame strumentale non può costituire una prova legale.

Contesta, inoltre, violazione di legge in relazione alla sussistenza dei requisiti di cui al MD 196/90, l’esistenza di errori massimi tollerabili nel tipo di apparecchio utilizzato e la pena “severissima, prossima al massimo edittale” irrogata non tenendo conto della sua incensuratezza nè della condotta complessiva dello stesso, “inidonea a provocare rischi per l’incolumità di alcuno”. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

Ricorso inammissibile

Il Collegio tuttavia ritiene tutte le doglianze generiche e inammissibili e, per contro, la sentenza impugnata logica e congrua e immune da vizi di legittimità.

Intanto, “la Corte territoriale – anticipano gli Ermellini – ha ritenuto sufficientemente provata la responsabilità dell’imputato non soltanto in base agli esiti degli accertamenti strumentali (quindi il superamento del valore della soglia di 1,50 g/l, essendo stati riscontrati 2,09 g/l alla prima prova e 2,32 alla seconda), bensì anche per via della
convergenza indiziaria emersa in sede istruttoria, tra cui le manifestazioni esteriori, tipiche dello stato di alterazione da alcool, da parte dell’imputato al momento del fatto”. Ormai da tempo, e ben prima del proposto ricorso, la giurisprudenza, infatti, proseguono i giudici (cfr. ex multis, Sez. 4 n. 3201 del 12/12/2019; n. 33371 del 8/6/2023) ha “fugato ogni dubbio sul fatto che, per quanto riguarda l’etilometro, l’omologazione e le verifiche periodiche dello stesso sono espressamente previste dall’art. 379, commi 6, 7 e 8 del Regolamento esecutivo al Codice della Strada, approvato con d.P.R. 16 novembre 1992, n. 495 e ciò differenzia la disciplina in tema di etilometro rispetto a quella avente ad oggetto l’autovelox, colpita dalla declaratoria di incostituzionalità operata con la sentenza della Corte Costituzionale n. 113/2015”.
Pertanto, dovendo ritenersi che, anche nel caso del giudizio penale per guida in stato d’ebbrezza ex art. 186, co. 2, cod. strada, “nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l’alcoltest, fa riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio, che nel caso che ci occupa non è stato adempiuto”.
Peraltro, in tema di guida in stato di ebbrezza, proseguono dalla S.C., “l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova dello stato di ebbrezza (stante l’affidabilità di tale strumento in ragione dei controlli periodici rivolti a verificarne il perdurante funzionamento successivamente all’omologazione e alla taratura) con la conseguenza che è onere della difesa dell’imputato fornire la prova contraria a detto accertamento, dimostrando l’assenza o l’inattualità dei prescritti controlli, tramite l’escussione del dirigente del reparto addetto ai controlli o la produzione di copia del libretto metrologico dell’etilometro (Sez. 4, n. 31843/2023)”.
Anche sul punto della pena irrogata infine il ricorso è inammissibile, giacchè al contrario di quanto sostenuto dalla difesa, non è “prossima al massimo edittale” ma nella “media edittale prevista dall’art. 186, comma 2, cod. strada aggravato dalla circostanza di cui al co. 2-bis (che, nella specie, prevede il raddoppio delle sanzioni previste dal co. 2)”.

La decisione

Da qui l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.

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salario minimo

Salario minimo: la guida Salario minimo: cos’è, come si stabilisce, a cosa serve e cosa prevede la Direttiva UE che gli Stati devono recepire entro il 15 novembre 2024

Salario minimo: che cos’è

Il salario minimo è la retribuzione minima del lavoratore. Si tratta della somma minima, sotto la quale non si può scendere, che i datori di lavoro devono riconoscere e corrispondere ai loro dipendenti, operai o impiegati.

In molti paesi il salario è stabilito per legge da più di un secolo, in altri invece deve ancora trovare uno spazio nella legislazione interna, come in Italia. La misura aspira a riconoscere ai lavoratori una retribuzione più adeguata ai bisogni tipici della società moderna.

Salario minimo: determinazione

Il salario minimo può essere determinato dalla legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale o dalla combinazione tra queste due fonti. In Italia la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva.

L’unico riferimento normativo che si limita a indicare i criteri di determinazione dell’importo della retribuzione e l’articolo 36 della Costituzione. La norma riconosce al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Essa deve essere corrisposta comunque in misura sufficiente a garantire al lavoratore stesso e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

A questa norma si ricollega l’articolo 39 della Costituzione. Esso che riconosce ai sindacati il potere di stipulare i contratti collettivi di lavoro vincolanti per i lavoratori della categoria a cui si riferisce il contratto specifico.

La situazione reale del nostro paese però è caratterizzata dalla mancata estensione dell’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori della categoria con conseguente moltiplicazione dei contratti stessi.

Riferimento normativo UE

Il salario minimo rappresenta l’oggetto della Direttiva 2022/2041, che è stata approvata il 14 settembre del 2022. Essa ha stabilito l’obbligo di recepimento da parte degli stati UE entro 2 anni dalla sua entrata in vigore. Gli Stati quindi devono adeguarsi alla Direttiva entro il 15 novembre 2024.

Questo perché in 21 paesi europei il salario minimo è già previsto e disciplinato, mentre in altri paesi UE come l’Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva e non appare equa e in grado di soddisfare le finalità della direttiva.

La Direttiva UE  2022/2041

La Direttiva europea 2022/2041 si pone l’obiettivo di garantire salari minimi in grado di assicurare ai lavoratori condizioni di lavoro, ma anche di vita, dignitose. Essa mira alla convergenza sociale verso l’alto e alla eliminazione delle differenze retributive.

La Direttiva, per sua natura, non può imporre agli Stati che ricorrono alla contrattazione collettiva di adottare un salario minimo per legge. Nello stesso modo non può imporre di dichiarare un contratto collettivo applicabile universalmente a tutti i lavoratori.

Per garantire uniformità essa prevede che gli Stati UE che abbiano già adottato i salari minimi legali debbano rideterminarli e aggiornarli per perseguire le finalità della normativa. Nei paesi che invece ne affidano la determinazione alla contrattazione collettiva la Direttiva la promuove nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali coinvolte.

La Direttiva prevede inoltre che gli Stati UE debbano essere monitorati. Ogni due anni dovranno infatti fornire alcuni dati alla Commissione UE. Questi dati variano a seconda che il salario minimo sia definito con legge o tramite contrattazione collettiva.

I progetti di legge in materia

Nel corso della precedente legislatura e di quella in corso sono stati presentati diversi progetti di legge sul salario minimo.

Per approfondire leggi la documentazione parlamentare dedicata al “Salario Minimo”

In particolare, il 2 ottobre scorso, la commissione lavoro del Senato, ha avviato l’esame congiunto dei ddl 126 e 281 e dei ddl 956 e 957, quest’ultimo già approvato dalla Camera (“Equa retribuzione”), che prevede una delega al governo in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia della contrattazione collettiva, introducendo strumenti per aumentare i salari minimi.