testo unico tributi indiretti

Testo Unico Tributi indiretti: cosa prevede Approvato dal Consiglio dei ministri il nuovo testo unico tributi indiretti, su imposta di registro, successioni, donazioni e altri tributi

Tributi indiretti: approvato il nuovo Testo unico

Testo Unico Tributi indiretti: il Consiglio dei Ministri il 26 maggio 2025 ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo che introduce il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di imposta di registro e di altri tributi indiretti, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti.

Questo nuovo intervento normativo, previsto nell’ambito dell’attuazione della legge delega 9 agosto 2023, n. 111, si inserisce nel più ampio processo di razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario italiano, volto a garantire maggiore chiarezza e coerenza applicativa.

Contenuti del nuovo Testo unico sui tributi indiretti

Il provvedimento, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, ha l’obiettivo di raccogliere in un unico corpo normativo le disposizioni vigenti in materia di tributi indiretti, prevedendo contestualmente l’abrogazione dei testi frammentati attualmente in vigore.

Le disposizioni del nuovo Testo unico riguardano:

  • Imposta di registro

  • Imposta ipotecaria e catastale

  • Imposta sulle successioni e donazioni

  • Imposta di bollo

  • Imposta di bollo per le attività finanziarie oggetto di emersione

  • Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero

  • Imposte sostitutive e agevolazioni collegate all’imposta di registro e ad altri tributi indiretti (esclusa l’IVA)

Obiettivi della riforma dei tributi indiretti

Il nuovo decreto legislativo ha una duplice finalità:

  1. Semplificare la normativa tributaria mediante la sistematizzazione delle disposizioni legislative in un Testo unico organico e coerente.

  2. Migliorare l’efficienza amministrativa e garantire maggiore certezza del diritto per contribuenti e operatori del settore fiscale.

Quadro normativo di riferimento

La riforma si inserisce nel percorso attuativo della legge delega n. 111/2023, che prevede una revisione generale del sistema fiscale, con particolare attenzione alla semplificazione normativa, alla riduzione degli oneri burocratici e all’unificazione delle fonti legislative.

congedi parentali 2025

Congedi parentali 2025: l’INPS alza l’indennità L'INPS comunica l'aggiornamento delle indennità per i congedi parentali 2025, con i primi tre mesi retribuiti all'80% in virtù delle novità previste dalla legge di bilancio

Congedi parentali 2025: chiarimenti INPS

Congedi parentali 2025: l’INPS, con la circolare n. 95 del 26 maggio 2025, ha annunciato rilevanti modifiche in materia di congedo parentale retribuito, in attuazione delle disposizioni previste dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 217, L. n. 213/2024).

Aumento dell’indennità: tre mesi all’80%

A partire dal 1° gennaio 2025, i genitori lavoratori dipendenti potranno beneficiare di un innalzamento dell’indennità economica per il congedo parentale, che viene così strutturata:

  • Primo mese: indennizzato all’80% della retribuzione (già introdotto con la Legge di Bilancio 2023);

  • Secondo mese: elevato anch’esso all’80% (prima al 60%);

  • Terzo mese: portato all’80% (in precedenza al 30%).

In totale, ciascun nucleo genitoriale avrà diritto a tre mesi retribuiti all’80%, da utilizzare in modo individuale o condiviso, anche alternandosi o contemporaneamente.

Condizioni e beneficiari

Per accedere al beneficio potenziato, è necessario che:

  • Il lavoratore sia dipendente del settore pubblico o privato;

  • Il congedo di maternità o paternità si sia concluso dopo il 31 dicembre 2024;

  • Il congedo parentale sia fruito a partire dal 1° gennaio 2025.

Le nuove regole valgono anche in caso di adozione o affidamento, con riferimento al minore nei primi sei anni dall’ingresso in famiglia e, comunque, entro la maggiore età.

Durata e trattamento economico dei mesi successivi

Oltre ai tre mesi con trattamento all’80%, i successivi periodi di congedo parentale restano regolati come segue:

  • Mesi successivi: indennizzo al 30% della retribuzione;

  • Ultimo mese: potrebbe non essere retribuito, salvo casi particolari legati al reddito ISEE basso.

Presentazione della domanda

La richiesta di congedo parentale deve essere inoltrata esclusivamente in modalità telematica, attraverso i seguenti canali:

  • Il portale INPS: www.inps.it

  • Il Contact Center multicanale al numero verde 803.164

  • Gli Istituti di patronato.

addebito della separazione

Addebito della separazione al marito che disprezza  la moglie Addebito della separazione al marito che quotidianamente e in presenza di terze persone dimostra disprezzo nei confronti della moglie

Marito sprezzante: addebito della separazione

Sull’addebito della separazione al marito della coppia separata la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12799/2025 dichiara di condividere le conclusioni dei giudici di merito. Dalle prove emerse nel giudizio di primo e di secondo grado è emerso infatti che la fine del matrimonio è attribuibile solo al marito. Costui, anche in presenza di terzi, ha infatti sempre palesato il proprio disprezzo nei confronti della moglie.

Addebito della separazione: marito autoritario

Il Tribunale di Milano  pronuncia la separazione personale di due coniugi, addebitandola al marito. Il marito appella la decisione, contestando l’addebito a suo carico.

Marito responsabile della fine del matrimonio

La Corte d’Appello di Milano però conferma la decisione di primo grado su questo punto. Per l’autorità giudiziaria la condotta dell’uomo verso la moglie è stata sempre autoritaria e quotidianamente sprezzante. È proprio questo comportamento ad aver compromesso irrimediabilmente l’unione matrimoniale. La testimonianza della cognata ha confermato questa tesi, confermando il continuo disprezzo del marito nei confronti della coniuge. La Corte ha anche evidenziato che il marito ha costretto la figlia e il suo compagno a lasciare un appartamento di sua proprietà dopo un litigio con la moglie. Ragione per la quale la donna ha abbandonato la casa coniugale per trasferirsi altrove. Per la Corte è quindi indubbio che la responsabilità della fine del matrimonio sia da attribuire interamente all’uomo. Il marito però non accetta queste conclusioni e per questo ricorre in Cassazione.

Contestazioni all’addebito della separazione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., la nullità della sentenza per mancata pronuncia su una specifica domanda, l’assenza dei presupposti per l’addebito a suo carico, l’errata lettura e valutazione delle dichiarazioni testimoniali e dei documenti e la mancata pronuncia sulla domanda di addebito formulata nei confronti della moglie.

Omessa pronuncia su addebito separazione alla moglie

Il ricorrente lamenta in particolare che la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di addebito contro la moglie. Detta richiesta tra l’altro, ampiamente argomentata e supportata da documentazione (anche medica), avrebbe offerto una valutazione delle dichiarazioni testimoniali non coerente, ritenendo attendibile, nonostante le contraddizioni, la testimonianza della figlia, rancorosa nei confronti del padre per la questione dell’appartamento. Sottolinea anche l’omessa valutazione di altre testimonianze. Si duole infine della mancata risposta alla sua domanda di addebito, fondata sul rifiuto della moglie di accompagnarlo a un intervento chirurgico, sugli insulti e le invettive a lui rivolte, e sulla violenza fisica perpetrata dalla moglie dopo il suo intervento al cuore.

Abbandono del tetto coniugale della moglie

L’uomo evidenzia inoltre che la moglie aveva appoggiato la figlia nella disputa sull’appartamento, assumendo un contegno offensivo, allontanandolo dal letto coniugale e abbandonandolo a sé stesso. Afferma infine di essere stato vittima di aggressione fisica e verbale da parte della moglie nonostante fosse convalescente da un intervento di bypass coronarico, circostanza che lo aveva costretto a recarsi al Pronto Soccorso.

Provate le continue condotte sprezzanti

La Corte di Cassazione nel pronunciarsi sul motivo incentrato sulla contestazione dell’addebito della separazione, lo dichiara inammissibile. Per gli Ermellini, in relazione all’addebito della separazione a carico della moglie, il ricorrente si è limitato a fornire una diversa valutazione degli esiti istruttori, il che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo il giudizio sui fatti riservato al giudice di merito. La denuncia dell’omessa pronuncia sulla domanda di addebito da parte della Corte d’Appello non supera la soglia di ammissibilità. Il ricorrente non ha precisato il contenuto esatto della domanda formulata in primo grado e in appello.

Addebito della separazione: marito unico responsabile

In ogni caso, la Corte d’Appello ha ritenuto la responsabilità esclusiva del marito per la fine dell’unione, rigettando implicitamente la domanda di addebito formulata dal marito. Per questo non si configura vizio di omessa pronuncia. Per il resto, il motivo si risolve in censure di merito, inammissibili in sede di legittimità. Del resto, la valutazione delle prove e l’esame dei documenti sono attività riservate al giudice di merito, le cui conclusioni non sono sindacabili in Cassazione se adeguatamente motivate. La Corte ha ritenuto provate le condotte quotidianamente disprezzanti del marito nei confronti della moglie, sufficienti ad addebitare la separazione, il ricorrente invece ha semplicemente contrapposto una sua diversa valutazione.

 

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straniero detenuto

Espulsione straniero detenuto: la misura è amministrativa La Corte costituzionale chiarisce che l’espulsione dello straniero detenuto ha natura amministrativa e non trattamentale, escludendo automatismi e tutelando i soggetti vulnerabili

Espulsione straniero detenuto

Espulsione straniero detenuto: con la sentenza n. 73 del 2025, la Corte costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Palermo, confermando la natura amministrativa dell’espulsione disposta nei confronti di cittadini stranieri irregolari in stato di detenzione. La norma oggetto del giudizio è l’art. 16, comma 5, del D.lgs. n. 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione).

Espulsione anticipata non è alternativa alla detenzione

La Consulta ha chiarito che l’espulsione applicata durante l’esecuzione della pena – nei confronti di stranieri irregolari con pena residua inferiore a due anni per reati non gravi – non costituisce una misura trattamentale, né può essere assimilata alle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario.

Si tratta, piuttosto, di un provvedimento amministrativo che anticipa l’espulsione già prevista a causa dell’irregolarità del soggiorno e che, comunque, sarebbe intervenuta al termine della pena detentiva.

Valutazione individuale e garanzie contro automatismi

La Corte ha escluso qualsiasi automatismo nell’applicazione di tale misura, sottolineando che il magistrato di sorveglianza è tenuto a valutare caso per caso, operando un bilanciamento tra l’interesse pubblico all’espulsione e le condizioni personali e familiari del soggetto. Restano salvi, in ogni caso, i divieti di espulsione previsti per situazioni di vulnerabilità oggettiva o soggettiva, ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. 286/1998, cui rinvia espressamente anche l’art. 16, comma 9, dello stesso testo unico.

giurista risponde

Diritto di critica e diffamazione Il diritto di critica di cui all’art. 21 Cost. può comportare l’applicazione dell’istituto della scriminante di cui all’art. 51 c.p. in relazione al delitto di diffamazione qualora, fatto riferimento ad un fatto preciso, non ci si attenga al criterio di verità?

Quesito con risposta a cura di Silvia Mattei e Michele Pilia

 

La configurabilità dell’art. 51 c.p. quale scriminate in relazione al delitto di diffamazione è soggetta al rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva; pertanto, i fatti narrati debbono essere veri o apparire ragionevolmente come tali al soggetto agente (Cass., sez. I, 20 gennaio 2025, n. 2352 (Diritto di critica e diffamazione).

La sentenza impugnata, nel ricondurre la condotta dell’imputato nella sfera applicativa dell’esercizio del diritto di libera espressione del pensiero ex art. 51 c.p., ha dato continuità al più che costante orientamento del Supremo Collegio secondo cui, pur essendo sussistenti gli elementi oggettivi del diffamazione, le condotte che rappresentano esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, qualora le stesse non si risolvano in uno strumento di avvilimento della dignità delle persone o in un mezzo per perseguire altre finalità illecite, risultano essere scriminate ai sensi dell’art. 51 c.p.

Tale orientamento, inizialmente era applicato alla categoria dei giornalisti, ove però si faceva un diverso bilanciamento tra interessi costituzionalmente garantiti, essendo tale categoria assolutamente peculiare. Invero, più che il “diritto di critica”, veniva invocato il diverso “diritto di cronaca”. Tuttavia, la lettura del diritto di critica, con il mutare anche del contesto sociale è andato via via espandendosi, tale espansione ha portato il Supremo Collegio, anche recentemente ad affermare che il diritto di critica si esplica nella formulazione di un giudizio di valore ed è tutelato direttamente dall’art. 21 Cost. non solo con riferimento ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, essendo riservato a ciascun individuo uti civis (ex multis Cass., sez. V, 20 marzo 2019, n. 32829).

Tuttavia, com’è noto, ogni diritto ha delle modalità a mezzo delle quali può essere esplicato oltre le quali non può debordare poiché va a confliggere con altri diritti costituzionalmente garantiti. Diversamente si sarebbe davanti a quello che in dottrina viene definito “diritto tiranno” che, come ricordato dalla Consulta con la Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, non esiste né potrebbe esistere nell’Ordinamento. Invero, nella predetta sentenza si legge: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sent. 264/2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.” Nel caso di specie il “diritto di critica” garantito dall’art. 21 Cost. trova il proprio contraltare nel “diritto all’onore ed alla reputazione” come corollario dell’art. 2 Cost. In applicazione di questo bilanciamento il Supremo Collegio ha ritenuto che, in tema di diffamazione, il diritto di critica può essere evocato quale scriminate ex art. 51 c.p.; purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva. Pertanto, non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell’espressione, né trasmodare nell’invettiva gratuita, salvo che l’offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico.

In particolare, il requisito della continenza ha una duplice connotazione: continenza sostanziale che attiene alla natura dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’interesse pubblico alla comunicazione; continenza formale concernente il modo con cui il racconto sul fatto è reso, ovvero il giudizio critico è esternato. Tale requisito necessita di una forma espositiva corretta che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione, pur non essendo lo stesso incompatibile con l’uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Al tempo stesso, per delimitare il perimetro applicativo della scriminante, risulta imprescindibile contestualizzare le espressioni rectius valutarle in relazione al contesto spazio/temporale e dialettico nel quale sono state profferite, così da verificare il requisito di pertinenza. Debbono quindi essere valutati sia la diversità dei contesti, sia la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta. Invero, determinati ruoli possono giustificare attacchi anche violenti, se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi.

Alla luce di quest’interpretazione ermeneutica la Cassazione ha ritenuto che, nonostante le doglianze difensive sulla non verità del fatto, fossero stati rispettati tutti i requisiti per il corretto estrinsecarsi del “diritto di critica” tra cui quello di verità, di conseguenza la condotta delittuosa risulta scriminata ex art. 51 c.p.. Sulla base di tale interpretazione il Supremo Collegio confermava la sentenza impugnata mandando assolto l’imputato.

 

(*Contributo in tema di “Diritto di critica e diffamazione”, a cura di Silvia Mattei e Michele Pilia, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

malasanità e danno erariale

Malasanità e danno erariale: la transazione non prova la colpa medica La Corte dei conti chiarisce: l’accordo transattivo tra paziente e Asl non basta a dimostrare la responsabilità del medico. Serve la prova della colpa grave

Malasanità e danno erariale

Malasanità e danno erariale: la sola stipula di un accordo transattivo tra l’Azienda sanitaria e il paziente non è sufficiente a fondare la responsabilità del personale sanitario. Lo ha chiarito la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Calabria – con la sentenza n. 45 del 18 marzo 2025, ribadendo che la transazione può rappresentare un indice di possibile danno pubblico, ma non vale come prova automatica di colpa grave del medico.

Il caso: paralisi ostetrica e richiesta di risarcimento

Il procedimento ha preso le mosse da un’azione promossa dalla Procura contabile nei confronti di un ginecologo e di un’ostetrica, chiamati a rispondere del danno erariale indiretto che sarebbe derivato all’Azienda sanitaria in seguito al risarcimento riconosciuto ai genitori di una neonata affetta da paralisi ostetrica del plesso brachiale destro (C5-C6). La lesione, secondo l’accusa, sarebbe stata causata da errate manovre durante il parto.

L’Azienda, senza attendere un accertamento giudiziale, aveva sottoscritto una transazione con i familiari, su impulso della propria compagnia assicurativa, basandosi su una consulenza medico-legale di parte.

Nessuna colpa grave, nessuna responsabilità

La Corte, tuttavia, ha respinto la domanda risarcitoria. In primo luogo ha escluso l’applicabilità della legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017) per ragioni temporali, trattandosi di fatti anteriori alla sua entrata in vigore. Ma soprattutto ha rilevato l’assenza di prova circa una condotta illecita e, comunque, l’assenza di colpa grave da parte dei sanitari.

Secondo i giudici contabili, non vi era riscontro clinico di una condizione di distocia della spalla, fattore cruciale per attribuire l’evento lesivo all’operato medico. Al contrario, il buon indice di Apgar al momento della nascita costituiva un elemento indiziario in favore della correttezza dell’intervento sanitario.

L’accordo transattivo non vincola il giudice

Elemento centrale della decisione è il chiarimento sul valore della transazione nel giudizio di responsabilità: essa, spiegano i giudici, non costituisce di per sé prova della colpa del medico. L’accordo tra l’Azienda e i genitori ha infatti natura negoziale e non contiene un accertamento formale di responsabilità, configurandosi come “res inter alios acta”, cioè un atto giuridico non opponibile a chi non vi ha preso parte (artt. 1372 e 1965 c.c.).

Il giudice contabile è dunque tenuto ad accertare autonomamente e rigorosamente i presupposti della responsabilità, in particolare la condotta illecita, la colpa grave e il nesso causale tra l’agire del medico e il danno. Solo in presenza di tali elementi può essere pronunciata una condanna per danno erariale.

legittimità costituzionale

Il CNF può sollevare questioni di legittimità costituzionale Le Sezioni Unite della Cassazione chiariscono che il Consiglio Nazionale Forense può sollevare questioni di legittimità costituzionale

Questioni di legittimità costituzionale

Con la sentenza n. 13376/2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno affrontato un rilevante quesito interpretativo di carattere istituzionale e processuale, stabilendo che il Consiglio nazionale forense (CNF) è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale, in quanto rientra tra i giudici speciali previsti dall’art. 134 della Costituzione e dall’ordinamento giudiziario.

Il contesto del giudizio

La pronuncia trae origine da un ricorso per cassazione proposto da un avvocato avverso una decisione del CNF in sede disciplinare. La questione preliminare che si è posta alla Corte ha riguardato la legittimazione del CNF a sollevare q.l.c. davanti alla Corte costituzionale, in un procedimento nel quale era stato messo in discussione un profilo di compatibilità costituzionale di norme che incidono sull’ordinamento forense.

Le motivazioni delle Sezioni Unite

La Corte ha ricostruito il ruolo e la natura del CNF, osservando che, sebbene questo sia un organo amministrativo dotato di autonomia ordinamentale, esercita anche funzioni giurisdizionali in materia disciplinare nei confronti degli avvocati, secondo quanto previsto dalla legge n. 247/2012 e dal Codice deontologico forense.

Richiamando i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, le Sezioni Unite hanno ribadito che per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale è necessario che l’organo:

  • eserciti una funzione giurisdizionale, ossia sia chiamato a risolvere una controversia in contraddittorio tra le parti;

  • sia terzo e imparziale;

  • sia istituito per legge;

  • decida con effetti vincolanti, anche se in ambito settoriale o specialistico.

Il Consiglio nazionale forense, nell’ambito dei procedimenti disciplinari, soddisfa tutti questi requisiti: è istituito per legge, esercita una funzione giurisdizionale, le sue decisioni sono vincolanti, e adotta provvedimenti in contraddittorio con le parti, con piena terzietà rispetto al procedimento.

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Formweb

Formweb, il portale per gli avvocati Processo amministrativo telematico: arriva Formweb, il portale per gli avvocati e i collaboratori per il deposito degli atti

Processo amministrativo telematico: Formweb

Il processo amministrativo telematico compie un altro passo in avanti. È stato introdotto infatti il “Formweb”, un nuovo portale, il cui funzionamento è stato dettagliato nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 109, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 maggio 2025.

Il decreto è in vigore dal 20 maggio 2025 e dal 1° giugno 2025 sarà possibile accedere al fascicolo informatico con identità digitale.

In alcuni uffici inizierà una fase sperimentale del Formweb. Il suo impiego a regime diventerà obbligatorio dal 1° febbraio 2026 per il deposito degli atti.

Fino al 31 gennaio 2026, presso tutti i Tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato, continueranno pertanto a valere le vecchie regole di deposito, ossia a mezzo PEC e con upload.

Formweb: come funziona

Formweb consiste, nello specifico, in un’interfaccia web per il deposito guidato di atti e documenti. Esso genera un “Riepilogo Deposito Formweb” da sottoscrivere digitalmente.

I depositi sono tempestivi e vengono documentati con la ricevuta automatica del portale che deve essere generata entro le 24 del giorno di scadenza.

PAT: accesso a Formweb e responsabilità

Avvocati, parti e collaboratori dei difensori potranno accedere al portale Formweb. L’accesso dovrà avvenire tramite identità digitale (SPID, CIE, CNS). Da segnalare l’importante novità rappresentata dall’estensione ai collaboratori. La responsabilità esclusiva per i depositi resta però del difensore.

Depositi cartacei: come funziona

Il deposito cartaceo sarà ancora consentito, ma solo per eccezionali ragioni tecniche come il malfunzionamento del sistema informatico, l’incompatibilità dei documento con il SIGA e casi particolari previsti dalla normativa. Non costituiscono eccezione però le dimensioni dei documenti per l’upload, a meno che il file non possa essere diviso o compresso.

Evoluzione del processo amministrativo telematico

Il processo amministrativo è telematico dal 2017. Con Formweb si fa un ulteriore passo in avanti nel superare il sistema PEC e upload. Il nuovo portale presenterà l’indubbio vantaggio di semplificare gli adempimenti, in base all’obiettivo espresso dal nostro legislatore.

cittadinanza italiana

Cittadinanza italiana: cosa prevede la nuova legge Cittadinanza italiana: in vigore la legge di conversione del decreto che valorizza il principio del legame affettivo e limita l’acquisto automatico per due generazioni

Cittadinanza italiana: legge in vigore

E’ in vigore dal 24 maggio 2025, la legge n. 74/2025 di conversione del decreto legge n. 36/2025 approvato definitivamente dalla Camera nei giorni scorsi, che introduce alcune e importanti modifiche in materia di cittadinanza, restringendo i criteri di acquisizione.

Scarica il testo coordinato del dl n. 36/2025 con la legge di conversione n. 74/2025

Rafforzato il principio del legame affettivo

L’obiettivo principale della nuova legge è la regolamentazione della trasmissione automatica della cittadinanza iure sanguinis, rafforzando il principio di un legame effettivo con l’Italia per i discendenti di cittadini italiani nati all’estero.

Tale misura mira ad allineare la normativa italiana con quella di altri Paesi europei. Essa inoltre vuole garantire che la libera circolazione nell’Unione Europea sia riservata a chi mantiene un effettivo rapporto con la nazione di origine.

Le nuove regole

Queste le nuove regole in materia di acquisto della cittadinanza:

I nati all’estero con doppia cittadinanza non acquisiscono automaticamente quella italiana. Questo vale anche per chi è nato all’estero prima dell’entrata in vigore della disposizione.

Tuttavia, ci sono delle eccezioni per cui si applica la normativa precedente:

  • se lo stato di cittadino italiano è stato riconosciuto o se è stata ricevuta comunicazione di appuntamento per la domanda entro il 27 marzo 2025;
  • se lo stato di cittadino è stato accertato giudizialmente tramite una domanda presentata entro il 27 marzo 2025;
  • se uno dei genitori o dei nonni possedeva solo la cittadinanza italiana;
  • se uno dei genitori o degli adottanti ha risieduto legalmente e continuativamente in Italia per almeno due anni dopo aver acquisito la cittadinanza italiana e prima della nascita o adozione del figlio.

Dichiarazione volontà

Nuove modalità di acquisizione della cittadinanza italiana “per beneficio di legge” (e non per nascita). Un minore straniero o apolide, discendente da genitori cittadini italiani per nascita, può ottenere la cittadinanza italiana se i genitori o il tutore ne dichiarano la volontà.

Questa dichiarazione richiede però:

  • la successiva residenza legale e continuativa del minore in Italia per almeno due anni;
  • in alternativa, la dichiarazione di volontà deve essere presentata entro un anno dalla nascita o dal riconoscimento/adozione da parte di un cittadino italiano.

Se il minore acquisisce la cittadinanza italiana in questo modo e possiede un’altra cittadinanza, ha la facoltà di rinunciare a quella italiana al raggiungimento della maggiore età.

Infine il figlio minore di un genitore che acquista la cittadinanza può a sua volta acquisirla, ma solo se risiede legalmente in Italia da almeno due anni continuativi alla data in cui il genitore acquisisce la cittadinanza (o dalla nascita, se il minore ha meno di due anni).

Controversie in materia di cittadinanza e apolidi

La legge introduce infine nuove disposizioni per la gestione delle controversie sulla cittadinanza e lo stato di apolidia.

  • Nelle dispute legali per l’accertamento della cittadinanza italiana, non sono ammesse prove tramite giuramento o testimonianza, a meno che la legge non preveda espressamente il contrario. L’onere di dimostrare che non ci sono motivi per il mancato acquisto o la perdita della cittadinanza ricade su chi chiede l’accertamento.

Casi particolari

Gli stranieri residenti all’estero, discendenti da cittadini italiani e provenienti da Stati con una storica emigrazione italiana possono entrare e soggiornare in Italia per motivi di lavoro subordinato senza rientrare nelle quote massime previste dal decreto flussi. Un futuro decreto interministeriale definirà quali sono questi Stati.

Ridotto da tre a due anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per la concessione della cittadinanza a uno straniero il cui genitore o nonno sia (o sia stato) cittadino italiano per nascita.

Opportunità di riacquisto della cittadinanza italiana per coloro che sono nati in Italia o vi hanno risieduto per almeno due anni continuativi, e che l’hanno persa in base a specifiche disposizioni della legge n. 555 del 1912. Per riacquisirla, dovranno presentare una dichiarazione in tal senso tra il 1° luglio 2025 e il 31 dicembre 2027.

 

Leggi anche questo articolo Cittadinanza allo straniero che non conosce l’italiano

immigrazione irregolare

Immigrazione irregolare: le nuove misure di contrasto Immigrazione irregolare: in vigore dal 24 maggio la legge n. 75/2025 che ha convertito il decreto n. 37/2025 su rimpatri e trasferimenti in Albania

Immigrazione irregolare: legge in Gazzetta

La legge n. 75/2025 che ha convertito il decreto legge n. 37/2025 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 118/2025 ed è in vigore dal 24 maggio 2025. La legge contiene “disposizioni urgenti per il contrasto dell’immigrazione irregolare”.

Il voto definitivo al provvedimento, soprannominato anche “Decreto Albania” è arrivato il 20 maggio 2025 grazie ai 99 voti a favore, 56 contrati e 1 sola astensione.

Scarica il testo coordinato del dl 37/2025 con la legge di conversione n. 75/2025

Immigrazione irregolare: rimpatri rafforzati

Uno dei punti centrali del provvedimento è l’ottimizzazione dell’uso delle strutture realizzate in Albania in virtù del Protocollo Italia-Albania del 6 novembre 2023.

Ora anche i destinatari di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati possono accedere al centro di rimpatrio situato a Gjadër.

Se la convalida di un trattenimento è negata, è possibile disporre un nuovo trattenimento entro 48 ore se si accerta che la domanda d’asilo è stata presentata solo per ritardare la procedura. Lo straniero può rimanere nel centro fino alla decisione del giudice sulla convalida del nuovo provvedimento.

La procedura accelerata per l’esame delle domande di protezione internazionale è ora applicabile anche alle richieste presentate direttamente alle frontiere o nelle zone di transito (articolo 28-bis del D.lgs. n. 25/2008).

Nel 2025, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è autorizzato a cedere gratuitamente all’Albania due motovedette classe 400 Cavallari della Guardia Costiera.

Potenziamento tecnico logistico centri permanenza

La possibilità di derogare a diverse disposizioni di legge (escluse quelle penali, antimafia e del diritto UE inderogabile) per la localizzazione, realizzazione, ampliamento o ripristino dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) è stata prorogata fino al 31 dicembre 2026, per accelerare il potenziamento infrastrutturale legato all’emergenza migratoria.

Relazione annuale Paesi Sicuri

Si ricorda che nella giornata del 28 marzo 2025 il Governo ha approvato la relazione annuale sui Paesi di origine sicuri. Il documento ha aggiornato le “schede Paese” basandosi su fonti autorevoli come l’EUAA, l’UNHCR e il Consiglio d’Europa.

Per il 2025 confermato l’elenco dei Paesi già indicati nel decreto-legge del 23 ottobre 2024, tra cui Albania, Egitto, Marocco e Tunisia.

L’elenco consente di applicare procedure accelerate per le domande di protezione internazionale dei cittadini di questi Paesi.

 

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