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Reato di corruzione: come provarlo L’accertamento dell’avvenuta dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale è sufficiente a provare il reato di corruzione o ne costituisce un mero indizio?

Quesito con risposta a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli

 

Ai fini dell’accertamento del reato di corruzione, nell’ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale, è necessario dimostrare che il compimento dell’atto sia stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell’avvenuta dazione.

La prova della dazione indebita di un’utilità in favore del pubblico ufficiale, quindi, ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento anti-doveroso del pubblico ufficiale: è pertanto necessario valutare tale elemento unitamente alle circostanze di fatto acquisite al processo, in applicazione della previsione di cui all’art. 192, comma 2, c.p.p. – Cass., sez. VI, 22 gennaio 2024, n. 2749.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in materia di corruzione in atti giudiziari ai sensi degli artt. 318, 319ter, 321 c.p. L’indagato, titolare di un’impresa e accusato di un reato fiscale in separato procedimento, aveva ricevuto, da un tenente colonnello della guardia di finanza di sua conoscenza, consigli, consulenze tecniche, nonché una sollecitazione telefonica alla Procura della Repubblica in suo favore. Il contatto tra l’imprenditore e il pubblico ufficiale verteva sulla possibilità, per il primo, di ottenere il dissequestro di alcune somme di denaro: tale provvedimento veniva poi legittimamente emesso dal Pubblico Ministero, alla luce della sussistenza del diritto alla restituzione del suddetto importo.

Successivamente veniva disposta la misura degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato, al quale si addebitava un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari, sotto forma di corruzione impropria. Si riteneva, infatti, che l’aiuto fornito dal colonnello avesse avuto come corrispettivo la disponibilità di un immobile di proprietà dell’imprenditore. Tale utilità era stata ottenuta sia prima, sia dopo la descritta condotta del pubblico ufficiale.

L’ordinanza veniva confermata dal Tribunale e, avverso la stessa, veniva proposto ricorso per Cassazione. In primo luogo, si riteneva insussistente l’asservimento della funzione, dal momento che il contegno del pubblico ufficiale sarebbe stato rispettoso del dovere della pubblica amministrazione di segnalare al contribuente anche gli elementi a suo favore – nel caso di specie, la possibilità di presentare istanza di restituzione dei soldi. In secondo luogo, si riteneva che l’ordinanza fosse viziata quanto alla motivazione circa il nesso di sinallagmaticità tra il comportamento del pubblico ufficiale e la disponibilità dell’immobile dallo stesso ottenuta. Dell’appartamento, infatti, egli aveva goduto in momenti del tutto lontani rispetto ai fatti oggetto del procedimento e, inoltre, si sarebbe trattato di un vantaggio sproporzionato per difetto rispetto alla ritenuta controprestazione.

La Corte di Cassazione ha giudicato il ricorso fondato, alla luce delle motivazioni che seguono. In via preliminare è stato ribadito che il reato di corruzione in atti giudiziari è in rapporto di specialità rispetto alle fattispecie di corruzione propria e impropria, dal momento che essa si caratterizza per il compimento del fatto corruttivo con la finalità di favorire o danneggiare una parte in un processo (Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2010, n. 15208).

I Supremi Giudici hanno poi ricostruito le modifiche introdotte dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, in particolare quelle dell’art. 318 c.p. Il riferimento al compimento di uno o più atti amministrativi aveva, infatti, creato difficoltà in passato per tutti i casi diversi dal mercimonio di specifici atti e caratterizzati, piuttosto, dall’asservimento sistemico della parte pubblica a favore del soggetto privato. Di conseguenza, con l’intervento legislativo è stato eleminato il requisito dell’adozione di un atto amministrativo legittimo — che, in concreto, può anche del tutto mancare — a favore della specificazione per cui, nel caso di corruzione cosiddetta impropria, il patto criminoso ha ad oggetto la funzione pubblica nel suo complesso. Ad essere punito, cioè, è l’accordo con cui il pubblico ufficiale vende il ruolo da lui rivestito, attraverso la presa in carico degli interessi della parte privata che, a sua volta, crea un inquinamento diffusivo, con conseguenze non preventivabili.

Per quanto concerne i confini rispetto alla corruzione propria, invece, la Cassazione sottolinea come, prima della citata riforma, fosse possibile constatare una riduzione del campo di applicazione dell’art. 318 c.p., a favore dell’art. 319 c.p., per i casi di attività discrezionale. La giurisprudenza maggioritaria, infatti, riteneva che il fatto oggettivo di aver ricevuto denaro o altra utilità valesse a contaminare il processo decisionale del pubblico ufficiale: ne derivavano un’implicita violazione del principio di imparzialità, l’illegittimità dell’atto adottato e, conseguentemente, l’integrazione dell’art. 319 c.p. e non dell’art. 318 c.p. La sentenza in esame non si sofferma espressamente sugli effetti prodotti dalla riforma del 2012 su questo punto, ma è possibile constatare la presenza di due diverse interpretazioni: ad un orientamento in linea con la lettura prevalente in passato se ne contrappone un altro, secondo il quale occorre verificare se la presa in carico dell’interesse del privato da parte del pubblico ufficiale abbia davvero contaminato la cura dell’interesse pubblico. In caso di risposta negativa, il fatto deve essere ricondotto all’art. 318 c.p., con ciò evitando ragionamenti presuntivi (così Cass., sez. VI, 30 aprile 2021, n. 35927).

I Supremi Giudici hanno poi proseguito sottolineando che la corruzione, reato a concorso necessario, si caratterizza per la presenza di due condotte in reciproca saldatura e condizionamento. Da ciò viene fatta derivare la necessità che la realizzazione del contegno del pubblico ufficiale sia la giustificazione causale della dazione di denaro o di altra utilità, sebbene non ci sia, tra l’una e l’altra, un ordine cronologico inderogabile. La prova della dazione indebita, quindi, può costituire soltanto un indizio della realizzazione di un fatto di corruzione ed esso va valutato, come impone l’art. 192 c.p.p., unitamente ad altre circostanze di fatto che vadano nella stessa direzione ricostruttiva.

Nel caso di specie, i Giudici hanno ritenuto che il Tribunale non avesse sufficientemente motivato in ordine alla sussistenza di tale nesso causale: non era emerso in modo chiaro, infatti, il collegamento tra la condotta del pubblico ufficiale e il fatto che lo stesso avesse avuto, in alcune occasioni, la disponibilità dell’appartamento dell’indagato. A rendere poco evidente tale legame erano, in particolar modo, la non chiara corrispondenza temporale tra i due dati e, altresì, l’assenza di proporzionalità tra gli stessi.

Per questi motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso, con annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio per un nuovo giudizio al Tribunale.

*Contributo in tema di “ Reato di corruzione ”, a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 72 / Marzo 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

usi civici

Usi civici: cambio di destinazione per impianti rinnovabili La Consulta ha dichiarato non incostituzionale la legge regionale che prevede il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili

Mutamento destinazione zone usi civici

Non è incostituzionale la legge regionale che prevede il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili. Lo ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 103-2024, decidendo alcune questioni di legittimità costituzionale promosse dal Governo nei confronti di varie disposizioni della legge della Regione Sardegna n. 9 del 2023.

In primo luogo, è stata esaminata la disciplina secondo la quale il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici, in caso di installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili, richiede il parere obbligatorio del comune in cui insistono le aree individuate.

Per il Governo ricorrente, tale disciplina violerebbe i limiti posti alle competenze legislative regionali dallo statuto speciale: in particolare, consentirebbe l’installazione degli impianti nonostante l’inidoneità delle predette zone a tali fini, desumibile dal d.lgs. n. 199 del 2021.

Non fondata la qlc

La Corte ha ritenuto tale questione non fondata, poiché lo stesso d.lgs. n. 199 del 2021 non comporta di per sé l’assoluta inidoneità delle zone gravate da usi civici all’installazione degli impianti, né comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici.

Tavolo tecnico riforma usi civici

Con la stessa sentenza, la Corte ha dichiarato non fondate anche le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali che prevedono l’istituzione e la composizione di un «tavolo tecnico interassessoriale» per la riforma dell’intera materia degli usi civici in Sardegna, poiché tale riforma dovrebbe limitarsi alla disciplina delle funzioni regionali in materia. Infine, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali in tema di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti idrici rientranti nella competenza della Regione Sardegna, poiché tali disposizioni non consentono di regolarizzare abusi paesaggistici.

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avvocato offende collega

L’avvocato non può dare dell’incapace al collega Il CNF ha affermato che qualora la discussione tra avvocati sconfini sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti

Apprezzamenti denigratori sull’attività del collega

Nel caso in esame un avvocato era stato sottoposto a procedimento disciplinare dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Ancona per rispondere della violazione dell’art. 42 comma 1 del cdf, per avere espresso apprezzamenti denigratori sull’attività professionale di un collega tramite l’invio di un’e-mail, e per aver reiterato tali valutazioni anche nei propri scritti difensivi.

L’avvocato aveva, in particolare, utilizzato frasi del seguente tenore “P.S. Un consiglio: domani dia un’occhiata alle mie memorie 183 e se le riesce si vergogni”, ovvero aveva espresso la seguente affermazione, contenuta nella memoria difensiva dell’avvocato, secondo cui il collega “nei suoi scritti aveva riportato “tesi assurde” che dimostravano “palmari carenze sul piano tecnico giuridico”. Ascrivendo alla stessa “una condotta pregiudizievole ai propri clienti”.

All’esito del dibattimento, il Consiglio Distrettuale Disciplinare (CDD) di Ancona, aveva ritenuto integrata la responsabilità disciplinare dell’avvocato nei confronti del quale era stato avviato il procedimento, per gli addebiti allo stesso contestato, con irrogazione della sanzione dell’avvertimento nei suoi confronti.

Avverso tale decisione l’avvocato incolpato aveva proposto ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (CNF), chiedendo di dichiarare il suo proscioglimento e, per l’effetto, disporsi il non luogo a provvedimento disciplinare.

Il CNF conferma la decisione del CDD di Ancona

Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 73-2024, ha rigettato il ricorso proposto.

In particolare, per quanto rileva nella presente sede, il CNF ha affermato che “gli apprezzamenti formulati dall’Avv. [RICORRENTE] sulla attività professionale della collega assumono, senz’altro, rilievo di natura denigratoria eccedendo il limite di compatibilità con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale né può essere invocato dal ricorrente il principio della riservatezza della corrispondenza atteso che il thema decidendum non riguarda in alcun modo ipotesi di trattative in corso fra le parti”.

Il CNF ha proseguito il proprio esame rilevando che “nel momento in cui la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte può, al limite, ammettersi l’asperità dei toni ma allorché la discussione sconfini sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti”.

Violazione art. 42, comma 1, Codice deontologico forense

Sulla scorta di quanto sopra riferito, Consiglio ha ritenuto pertanto integrata, nel caso di specie, la violazione dell’art. 42, comma 1, cdf, che vieta all’avvocato di esprimere apprezzamenti denigratori sull’attività professionale di un collega e, per l’effetto, ha confermato la sanzione dell’avvertimento a carico del ricorrente, condividendo le motivazioni espresse dal CDD di Ancona.

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donazione vantaggi

Donazione: i vantaggi Meglio la donazione o la successione? La donazione, rispetto al testamento o alla successione legale, presenta diversi vantaggi, vediamo quali

Donazione o testamento

Quando i genitori iniziano ad essere anziani capita che si chiedano se sia meglio fare un testamento per disporre dei loro beni per il momento in cui non ci saranno più o se sia meglio fare delle donazioni in favore dei loro successori. Cerchiamo di capire quale, tra i due istituti, presenta i maggiori vantaggi legali e fiscali.

Donazione e testamento: quale presenta i maggiori vantaggi fiscali

E’ bene sapere che sia la donazione che il testamento sono esenti dal pagamento dell’imposta di successione o di donazione nelle seguenti ipotesi:

  • il valore del bene non supera 1 milione di euro se l’avvicendamento nella titolarità del bene avviene tra coniugi, tra ascendenti e discendenti in linea retta, quindi tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, ecc.;
  • il valore del bene non supera 1,5 milioni di euro e il beneficiario è un soggetto affetto da disabilità;
  • il valore del bene non supera i 100.000 euro e lo scambio si verifica tra fratelli e sorelle.

L’imposta viene invece applicata nei seguenti casi:

  • il valore del bene supera 1 milione di euro: l’aliquota del 4% viene applicata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa a un beneficiario portatore di handicap supera 1,5 milione di euro: l’aliquota del 4% viene calcolata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa tra fratelli e sorelle supera i 100.000 euro: l’aliquota del 6% viene applicata sull’importo eccedente.

L’imposta viene invece applicata senza franchigia nei seguenti casi:

  • se la successione o la donazione avvengono in favore dei parenti fino al quarto grado o agli affini fino al terzo grado l’aliquota d’imposta è le 6%;
  • se invece successione o donazione vengono effettuate in favore di altri soggetti l’aliquota sale all’8%.

Successione o donazione di un bene immobile

I beni che più di frequente sono oggetto di successione inter vivo o mortis causa sono i beni immobili. In questo caso la legge prevede il pagamento.

  • dell’imposta di registro;
  • dell’imposta ipotecaria;
  • dell’imposta catastale.

Chi riceve un bene immobile in virtù di una donazione o di una successione può beneficare del bonus prima casa. In questo caso però il soggetto che riceve l’immobile se non ha la proprietà o altro diritto reale di altri beni immobili nello stesso comune e se non beneficia già del bonus in un altro Comune, deve assumersi l’impegno di trasferire la sua residenza nello stesso Comune in cui è sito l’immobile entro il termine di 18 mesi.

Alcuni problemi possono insorgere quando l’immobile viene trasferito per causa morte a più coeredi. In questo caso essi potranno optare per una delle seguenti opzioni:

  • procedere alla divisione materiale del bene, se possibile;
  • assegnare l’intero bene a uno degli eredi, con successiva liquidazione delle quote agli altri coeredi;
  • vendere il bene e dividere il ricavato tra tutti gli eredi nel rispetto delle quote di ciascuno.

I vantaggi della donazione

Non è infrequente che quando c’è un immobile da dividere tra i coeredi si rimetta la decisione della divisione a un Tribunale. Questo però comporta una notevole perdita di tempo e di denaro. Per cui, se il testatore non abbia disposto l’assegnazione dell’immobile tramite l’istituto del legato, senza ledere le quote della legittima, la donazione rappresenta la scelta migliore.

Chi riceve un immobile per donazione infatti acquisisce la proprietà intera dell’immobile senza doversi preoccupare della comunione ereditaria e della successiva procedura di divisione.

Un vantaggio ulteriore della donazione è rappresentato dal diritto agli alimenti che viene garantito  al donante. Nel caso in cui il donante si dovesse trovare in una situazione di disagio economico il donatario ha diritto a percepire gli alimenti dal donatario.Lo stabilisce l’articolo 437 c.c, che così dispone: “Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti  di  donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria”.  

C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, e che rappresenta un vantaggio notevole per chi riceve uno o più beni tramite l’istituto della donazione, ossia la possibilità di poter disporre subito del bene o dei beni senza dover attendere la morte del donante.

amministratore ad acta

Amministratore ad acta: può essere nominato lo stesso amministratore In caso di pericolo incombente può essere conferito l'incarico di amministratore ad acta all'amministratore in carica

Amministratore ad acta

Nel caso di pericolo incombente può essere  conferito all’amministratore ad acta l’incarico:

  • di eseguire anche tramite l’ausilio di un tecnico di fiducia l’analisi generale delle strutture comuni al fine di individuare con certezza le cause dei fenomeni infiltrativi;
  • elaborare un intervento strutturale immediato a soluzione dei diffusi fenomeni di degrado;
  • redigere un piano programmatico un progetto esecutivo un computo metrico di tutti gli interventi necessari per la risoluzione delle problematiche;
  • procedere all’individuazione della ditta appaltatrice e commissionare i lavori di cui al computo metrico;
  • provvedere a riscuotere il pagamento per i suddetti lavori pro quota a carico dei singoli condomini come da successivo piano di riparto.

Questo è quanto statuito dal Tribunale di Napoli nell’ambito del procedimento V.G. 4604/2023, conclusosi con il decreto di accoglimento n. 169/2023.

Incarico all’amministratore condominiale in carica

La circostanza che assume interesse primario nella vicenda che ci occupa è che il Tribunale ha deciso di affidare l’incarico per la gestione della problematica indifferibile di cui sopra proprio all’amministratore già in carica per la gestione ordinaria ritenendo che lo stesso fosse già a conoscenza della annosa questione.

Ed invero, era proprio su ricorso dell’amministratore p.t. che veniva adito il Tribunale deducendo che vi era una situazione di pericolo incombente a beni comuni quali l’area cortilizia del fabbricato (a cui era sottoposta una ampia area-garage) ed alle fondamenta dell’edificio che cagionava, a cascata, problematiche infiltrative anche alle unità immobiliari private. Entrambe le problematiche di sicurezza e stabilità erano già state sollevate dall’amministratore che opportunamente convocava più assemblee sul punto ma, nonostante il parere di due differenti tecnici strutturisti incaricati dal Condominio, l’assemblea non deliberava l’appalto delle predette opere straordinarie, probabilmente perché particolarmente costose (circa 900.000 euro di lavorazioni). Né appariva più possibile per l’amministratore procedere con interventi – tampone, atteso che proprio i tecnici incaricati relazionavano circa la necessità ed urgenza di interventi di più ampia portata.

Incarico all’amministratore pro-tempore

Il Tribunale partenopeo, contrariamente alle fattispecie in cui si richiede la nomina dell’amministratore per la gestione ordinaria, onerava comunque il ricorrente della notifica del ricorso e del decreto a tutti i condomini (quali potenziali controinteressati) ma nessuno si costituiva e veniva dunque affidato l’incarico di commissario ad acta proprio all’amministratore pro-tempore.

incidente cane randagio

Incidente con cane randagio: Asl sempre responsabile La Cassazione rammenta che l’obbligo di prevenzione del randagismo grava per legge sull’ASL e non è assolto delegando, in base ad una convenzione, i propri compiti ad altro soggetto

Responsabilità sinistro con cane randagio

Il caso in esame prendeva avvio dalla causa avviata da un automobilista nei confronti dell’ASL, nell’ambito della quale lo stesso aveva rappresentato che, per evitare l’investimento di un cane randagio che improvvisamente aveva attraversato la strada, era andato finire contro un muro di sostegno provocando danni alla vettura e riportando ferite gravi che gli avevano causato un’invalidità del 15%.

Il giudizio di merito si era concluso con la decisione della Corte d’appello di Napoli con cui la ASL ed il Comune di Vitulano, chiamato in causa dalla ASL, venivano condannati in solido al risarcimento dei danni subiti dai danneggiati.

Avverso tale provvedimento, il Comune di Vitulano aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’obbligo grava per legge sulla ASL

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15244-2024, ha rigettato il ricorso proposto dal Comune di Vitulano.

Nella specie, il Comune aveva sostenuto che “l’unica responsabile della prevenzione del randagismo e dunque della cattura degli animali randagi, deve ritenersi l’azienda sanitaria locale, con esclusione dunque di ogni responsabilità in capo ai comuni”.

Con ricorso incidentale, invece, l’ASL aveva rilevato che, poiché aveva delegato (con la sottoscrizione di una convenzione) l’attività di prevenzione del randagismo al Comune, difettasse una responsabilità a proprio carico.

In relazione alle suddette posizioni, la Corte ha affermato che “L’obbligo grava per legge regionale sulla ASL, e non si può dire che venga assolto semplicemente delegando, in base ad una convenzione, i propri compiti ad altri: la convenzione vale tra le parti che la stipulano, e non verso i terzi, nei confronti dei quali la legge istituisce come obbligata la ASL. E dunque la ASL resta il soggetto obbligato, salvi i suoi diritti contrattuali verso il soggetto che si era impegnato nei suoi confronti”.

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compensi avvocato

Compensi avvocato: vale il domicilio del cliente comunitario Per le Sezioni Unite della Cassazione, se il cliente consumatore eccepisce la carenza di giurisdizione del giudice adito, invocando il domicilio in altro Stato membro, il giudice deve esaminare la propria competenza internazionale in base agli elementi di prova

Foro per la richiesta di pagamento del compenso avvocati

Nel caso in esame, gli avvocati avevano convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano la loro cliente, una cittadina tedesca, per la richiesta di pagamento nei suoi confronti del compenso professionale agli stessi spettante in ragione dell’attività difensiva svolta in suo favore in sede civile e penale a seguito di un sinistro verificatosi su una pista da sci.

Il giudizio di merito si era concluso con l’individuazione della giurisdizione in capo al giudice italiano per la decisione della suddetta controversia.

Avverso tale decisione la cittadina tedesca aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione.

La qualità di consumatore del cliente

La Corte di cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 15364-2024, ha accolto, per quanto qui rileva, il ricorso proposto dalla cliente e ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata.

In particolare, la Corte ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, affermando che “ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 206 del 2005, nei rapporti tra avvocato e cliente quest’ultimo rivesta la qualità di consumatore”; rispetto a tale previsione normativa, la Corte ha tuttavia precisato che la stessa non comporta, ai fini dell’individuazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulle relative controversie, l’automatica applicabilità della regola secondo cui il giudice cui rivolgersi è quello della Stato in cui è domiciliato il consumatore. Da qui deriva, pertanto, l’esigenza d’individuare, sulla base della disciplina di riferimento, il giudice dotato della giurisdizione in relazione al caso specifico.

La Suprema Corte, dopo aver ripercorso il quadro normativo di riferimento, nonché la giurisprudenza europea formatasi sull’argomento, ha affermato il seguente principio di diritto “Qualora un consumatore, convenuto in giudizio da un professionista, si sia costituito in giudizio ed abbia eccepito tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito invocando la sua qualità di consumatore ed il suo domicilio in altro Stato membro, non è necessario che egli deduca espressamente ed immediatamente nelle sue difese l’eccezione relativa al fatto “che le attività del professionista siano dirette, con qualsiasi mezzo, presso lo Stato del suo domicilio” di cui all’art. 17 comma 1 lett. c) Reg. UE 1215/2012, dovendo il giudice esaminare la propria competenza internazionale in base agli elementi di prova risultanti oggettivamente dal fascicolo, ivi incluse le prove costituende, che devono essere ammesse, onde assicurare una verifica circa la ricorrenza degli elementi che fondano la competenza in favore della giurisdizione del luogo di domicilio del consumatore”.

Ciò posto ed in relazione al caso di specie, la Corte ha proseguito il proprio esame, rilevando che dalla missiva indirizzata alla ricorrente dai professionisti, “si ricava che il loro numero di telefono risulta sempre preceduto dal prefisso internazionale, e che la sigla ‘I’ precede il codice di avviamento postale”. Quanto al contenuto della missiva, poi, “nella stessa si riferisce che i mittenti rappresentano “…. alcune migliaia di clienti in Italia, quasi tutti provenienti dalla Germania.”. Tali elementi non erano stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata la quale si era limitata a ritenere insussistente la contestazione formulata dalla cliente sulla base di un’erronea lettura dell’art. 345 c.p.c.

Giurisdizione del cliente comunitario

Infine, la Corte ha evidenziato che “il solo contenuto della citata missiva del 7/2/2011, con il riferimento all’elevato numero di clienti provenienti dalla Germania, offre la prova tranquillamente dell’indirizzamento all’estero dell’attività dei professionisti, e consente, unitamente agli altri elementi indiziari, di affermare la giurisdizione del giudice tedesco”.

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irregolarità contributiva

Pensioni: si può sempre agire per recuperare contributi non versati Per la Cassazione, il lavoratore vanta un diritto soggettivo alla integrità contributiva e al regolare versamento dei contributi versati

Irregolarità contributiva

La Cassazione, con l’ordinanza n. 11730-2024, ha stabilito che ogni lavoratore ha sempre un interesse attuale e concreto a il conseguente diritto di agire in giudizio contro il proprio datore di lavoro per ottenere l’accertamento e la successiva regolarizzazione dei contributi non versati. Non occorre dimostrare un danno previdenziale concreto in grado di ripercuotersi sul futuro trattamento pensionistico. La decisione  rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori perché con l’affermazione di questo principio viene rafforzata la protezione giuridica dei lavoratori contro le irregolarità contributive dei datori di lavoro.

Richiesta di adeguamento della posizione contributiva

La decisione della Cassazione è stata presa perché un lavoratore, socio e dipendente di una cooperativa, aveva chiesto al Tribunale il riconoscimento delle differenze retributive maturate per aver svolto ore di lavoro aggiuntive rispetto al contratto. Nel caso di specie il lavoratore, regolarizzato con un contratto part- time, aveva affermato di svolgere di fatto un’attività lavorativa a tempo pieno. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, sostenendo che il lavoratore non avesse legittimazione ad agire. Non c’era infatti un pregiudizio concreto e attuale alla sua posizione previdenziale. Il lavoratore aveva quindi presentato ricorso in Cassazione.

Irregolarità contributiva: il lavoratore può agire a prescindere dal danno

La Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore e ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello. Secondo i giudici, il lavoratore ha il diritto di agire contro il proprio datore di lavoro per ottenere la regolarizzazione della sua posizione contributiva, anche in assenza di un danno concreto alla sua prestazione previdenziale.

Il diritto del lavoratore a tutelare la propria posizione contributiva è basato su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Questo diritto esiste indipendentemente dal raggiungimento dell’età pensionabile e dal verificarsi di un danno concreto. La tutela della posizione contributiva è infatti un diritto costituzionale sancito dallart. 38 della Costituzione Italiana, che prevede che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

La Suprema Corte ha quindi individuato due strumenti principali di tutela per il lavoratore:

  • l’azione di condanna al risarcimento del danno di cui all’art. 2116 del Codice Civile, ai sensi del quale, le prestazioni previdenziali obbligatorie sono dovute al lavoratore anche se il datore di lavoro ha omesso di versare i contributi. Se gli istituti di previdenza non possono corrispondere le prestazioni previste a causa delle irregolarità contributive, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno causato dalla sua condotta omissiva;
  • l’azione di accertamento dell’omissione contributiva volta a riconoscere il comportamento irregolare e potenzialmente dannoso del datore di lavoro. Questo strumento può prevenire danni futuri e garantire la regolarizzazione dei contributi non versati.

La Cassazione, nel disporre la cassazione della decisione impugnata e il conseguente rinvio alla Corte di Appello per un nuovo esame, pronuncia il seguente principio di diritto: “Il lavoratore, a tutela del proprio diritto allintegrità della posizione contributiva, ha sempre linteresse ad agire, sul piano contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, per laccertamento della debenza dei contributi omessi in conseguenza delleffettivo lavoro svolto, prima ancora della produzione di qualsivoglia danno sul piano della prestazione previdenziale e senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti dellINPS”.

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bonus sar sostegno reddito

Bonus SaR: cos’è il bonus di sostegno al reddito Bonus SaR (Sostegno al reddito): requisiti, importo, come fare domanda e scadenze dell'aiuto concreto per lavoratori disoccupati in Italia

Bonus SaR 2024

Il Bonus SaR, o Sostegno al Reddito, è un’indennità mensile erogata a favore di lavoratori disoccupati che hanno avuto in passato un contratto di lavoro regolare in somministrazione a tempo determinato o indeterminato, anche nella forma dell’apprendistato. Il Bonus SaR 2024 rappresenta un sostegno economico importante per lavoratori disoccupati in Italia. Rispettando i requisiti e seguendo correttamente le procedure per la domanda, è possibile ricevere un aiuto concreto durante il periodo di transizione tra un’occupazione e l’altra.

Normativa di riferimento

La norma di riferimento del bonus SaR è l’articolo 12 del decreto legislativo n. 276/2003. Il comma 1 di questa norma prevede che i soggetti autorizzati alla somministrazione del lavoro sono tenuti a versare a fondi specifici un contributo calcolato in percentuale sulla retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato in somministrazione per finanziare, tra le altre cose, misure previdenziali di sostegno al reddito 

A chi spetta il bonus SaR 2024

Per poter richiedere il Bonus SaR 2024 è necessario rispettare alcuni requisiti fondamentali:

  • essere disoccupati da almeno 45 giorni e avere maturato contestualmente 110 giorni di lavoro (o 440 ore di lavoro se il contratto era part-time verticale o misto o se il lavoratore era stato assunto contratti MOG, monte ore garantito) negli ultimi 12 mesi a partire dall’ultimo giorno di lavoro effettivo;
  • essere disoccupati da almeno 45 giorni e aver maturato 90 giorni di giornate lavorative o aver lavorato 360 ore (se il contratto era part time verticale, misto o prevedeva un Monte Ore garantito) negli ultimi 12 mesi, sempre decorrenti dalla data dell’ultimo giorno di lavoro in somministrazione;
  • essere disoccupati almeno da 45 giorni e aver portato a termine la procedura MOL (mancanza occasioni di lavoro).

Gli importi per il 2024

L’importo del Bonus SaR 2024 varia in base a due casistiche:

  • 000 euro spettano ai lavoratori che hanno maturato almeno 110 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi, oppure 360 ore se lavoratori part-time con contratto MOG;
  • 780 euro spetta invece a chi ha maturato almeno 90 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi, oppure 270 ore se lavoratori part-time con contratto MOG.

Come chiedere il bonus di sostegno al reddito

La domanda per il Bonus SaR 2024 può essere presentata esclusivamente online dal portale https://www.formatemp.it/ tramite i sistema FTWEB, in una delle seguenti modalità:

  • rivolgendosi agli sportelli sindacali del territorio competenti: Felsa Cisl, UilTemp, Nidil Cgil;
  • previa registrazione alla piattaforma, compilando tutti i campi necessari, allegando quanto richiesto e compilando il modulo specifico, che andrà prima sottoscritto digitalmente e poi trasmesso.

Documenti per la domanda

Per presentare la domanda per il Bonus SaR 2024 è necessario avere a portata di mano i seguenti documenti:

  • documento di identità;
  • codice fiscale;
  • IBAN del conto corrente su cui ricevere il bonifico;
  • eventuale documentazione relativa a periodi di malattia, maternità, congedi, aspettative e documenti INPS in caso di dimissioni;
  • estratto contributivo dell’INPS;
  • copia delle buste paga dell’Agenzia per il lavoro al fine di attestare le giornate lavorative svolte con contratto di somministrazione negli ultimi 12 mesi.
elezioni europee 2024

Elezioni europee 2024:  come si vota Breve guida alle elezioni europee 2024: quando si vota, come, dove, chi può votare e le regole per i fuori sede e i residenti all’estero

Elezioni europee 2024

Tra il 6 e il 9 giugno 2024, milioni di cittadini europei sono chiamati a partecipare alle elezioni europee per eleggere 720 eurodeputati, un numero aumentato di 15 unità rispetto alla precedente legislatura. In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 e domenica 9 giugno, e i cittadini avranno la possibilità di eleggere 76 rappresentanti per il Parlamento Europeo. Vediamo nel dettaglio come e quando si vota, chi può votare e tutte le informazioni utili per partecipare a questo importante appuntamento elettorale.

Partecipare alle elezioni europee è un diritto e un dovere civico fondamentale. Informarsi sulle modalità di voto e sui candidati è essenziale per esercitare questo diritto in modo consapevole e contribuire alla costruzione del futuro dell’Unione Europea.

Come si vota

Secondo la legge elettorale europea, tutti i Paesi membri devono utilizzare un sistema elettorale proporzionale. Questo sistema garantisce che i seggi siano assegnati alle liste in proporzione ai voti ottenuti. In Italia, si utilizza il voto di preferenza, che permette agli elettori di esprimere fino a tre preferenze per i candidati della stessa lista, a condizione che siano di sesso diverso.

Per esprimere il voto è sufficiente indicare sulla scheda solo il cognome oppure il nome e il cognome del candidato prescelto. Si può votare anche tracciando un simbolo che corrisponde alla lista favorita, il voto in questo caso andrà al capolista che è stato indicato dal partito.

Orari e procedure

In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 giugno dalle 14:00 alle 22:00 e domenica 9 giugno dalle 7:00 alle 23:00. Contemporaneamente, si terranno anche le elezioni regionali in Piemonte e le elezioni amministrative in 3.700 comuni italiani. Lo spoglio dei voti inizierà subito dopo la chiusura delle urne, alle 23:00 di domenica.

Per votare, è necessario presentarsi al seggio elettorale di appartenenza con la tessera elettorale e un documento d’identità valido. 

Le circoscrizioni elettorali

L’Italia è suddivisa in cinque circoscrizioni elettorali europee:

  • Nord Occidentale
  • Nord Orientale
  • Centrale
  • Meridionale
  • Insulare

Ogni circoscrizione riceve un numero di seggi proporzionale alla popolazione residente.

I candidati

I candidati alle elezioni europee sono cittadini italiani che abbiano compiuto 25 anni entro la data delle elezioni, oppure cittadini di altri Paesi membri residenti in Italia e iscritti nelle apposite liste aggiunte. Per poter essere eletti, i candidati devono possedere i requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo secondo l’ordinamento italiano e non devono essere decaduti dal diritto di eleggibilità nel loro Paese di origine.

Le liste dei candidati devono essere presentate dai partiti o gruppi politici, che devono aver depositato il proprio simbolo al Ministero dell’Interno e aver presentato le liste agli uffici elettorali delle Corti d’Appello. Le liste devono superare la soglia del 4% dei voti validi espressi a livello nazionale per ottenere seggi.

Chi può votare

Hanno diritto di voto alle elezioni europee:

  • i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni;
  • i cittadini dell’Unione Europea residenti in Italia;
  • I cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

I cittadini dell’UE votanti in Italia devono essere registrati come elettori entro la scadenza stabilita.

Dove si vota

Ogni elettore deve votare nel seggio elettorale indicato sulla propria tessera elettorale. Chi non possiede la tessera deve richiederla presso il proprio Comune di residenza.

Voto fuori sede

Grazie alla legge 38/2024, gli studenti fuori sede possono votare in un comune diverso da quello di residenza se hanno presentato la domanda entro il 5 maggio al proprio Comune di residenza. A questo ente è stato affidato infatti il compito di trasferire le informazioni necessarie al Comune di domicilio o al capoluogo di Regione. Gli studenti ammessi devono rivivere un’attestazione con l’indicazione del seggio in cui votare.

Residenti all’estero: come votano

I cittadini italiani residenti in un altro Stato membro dell’Unione Europea, iscritti all’AIRE, possono votare presso i seggi allestiti dalle sedi diplomatico-consolari italiane nel Paese di residenza.