esenzione imu

Esenzione Imu se uno dei due coniugi è residente La Cassazione chiarisce che l'esenzione IMU spetta anche se soltanto uno dei due coniugi è in posso della residenza anagrafica nel comune

Esenzione IMU

L’esenzione Imu spetta anche se solo uno dei due coniugi è in possesso della residenza anagrafica nel Comune. Lo ha chiarito la sezione tributaria della Cassazione con sentenza n. 17278-2024 decidendo una vertenza tra una coppia di coniugi e il comune di Praiano.

La vicenda

Nella vicenda, la Commissione tributaria regionale della Campania – sez. staccata di Salerno, rigettava l’appello del Comune di Praiano avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da una coppia contro l’avviso di accertamento per IMU 2012 (benefici prima casa nell’ipotesi di doppia residenza familiare in Comuni diversi).
L’amministrazione ricorreva per Cassazione lamentando violazione di legge in considerazione dell’insussistenza del diritto del contribuente all’esenzione IMU per la prima casa, in quanto i coniugi non avevano entrambi la residenza nell’immobile preso in considerazione per l’esenzione (la moglie, infatti, era dimorante in altro Comune).

L’intervento della Corte Costituzionale in materia

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso risulta infondato e deve respingersi.
Il Comune ricorrente, scrivono i giudici, “non valuta (in quanto successiva) la decisione n. 209 del 2022, in materia, della Corte Costituzionale: «È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 31 e 53 Cost., l’art. 13, comma 2, quarto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, come modificato dall’art. 1, comma 707, lett. b ), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui stabilisce per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»”.

Contrasto col principio di eguaglianza

La norma, censurata dalla Corte Costituzionale con ordinanza di autorimessione, contrasta in pratica con il principio di eguaglianza nella parte in cui – nel definire l’abitazione principale ai fini dell’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) – introduce il riferimento al nucleo familiare, “determinando così una irragionevole discriminazione tra le persone unite in matrimonio o unione civile e i singoli o conviventi: sino a che non avviene la costituzione del detto nucleo, infatti, ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente può fruire della detta esenzione – anche se unito in una convivenza di fatto, e avendo i partner il diritto a una doppia esenzione – mentre il matrimonio o l’unione civile determinano l’effetto di precludere tale ultima possibilità, nonché, secondo il diritto vivente, ogni esenzione per i coniugi che abbiano stabilito la residenza anagrafica in abitazioni site in Comuni diversi. Né può rilevare una giustificazione in termini antielusivi della norma, in ragione del rischio che le «seconde case» vengano iscritte come abitazioni principali, disponendo i comuni di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni sull’esistenza della dimora abituale. Il previsto collegamento tra abitazione principale e nucleo familiare – che ha condotto il diritto vivente a riconoscere il diritto all’esenzione in esame soltanto nel caso di disgregazione di tale nucleo, ossia di frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi – contrasta anche con l’art. 31 Cost.”.

Nucleo familiare

Risulta violato, infine, rilevano ancora dal Palazzaccio richiamando la decisione della Consulta, “anche l’art. 53 Cost., dal momento che la rilevanza, nell’articolazione normativa dell’IMU, di elementi come le relazioni del soggetto con il nucleo familiare e, dunque, dello status personale del contribuente, non appare coerente con la sua natura di imposta reale salva, in via di eccezione, una ragionevole giustificazione che nel caso non sussiste».

La decisione

Conseguentemente, stabiliscono dal Palazzaccio rigettando il ricorso, il contribuente, come correttamente stabilito dalla sentenza impugnata, aveva diritto all’esenzione prima casa: «In tema di esenzione IMU per la casa principale, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 209 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del d.I. n. 201 del 2011, conv. con modif. dalla .I n. 214 del 2011, va escluso che la nozione di abitazione principale presupponga la dimora abituale e la residenza anagrafica del nucleo familiare del possessore, per cui li beneficio spetta al possessore dell’immobile ove dimora abitualmente e risiede anagraficamente, anche se il coniuge abbia la residenza anagrafica in diverso comune» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32339 del 03/11/2022, Rv. 666357 – 01)”.

Allegati

pratiche di mutilazione

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili Nozione e oggetto giuridico del reato di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili ex art. 583bis c.p.

Il reato ex art. 583-bis c.p.

Il reato di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili è previsto e punito ai sensi dell’art. 583bis, il quale dispone che risponde penalmente: “a) chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (comma 1); b) chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al comma 1, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente (comma 2)”.

Legge n. 7/2006

Trattasi di fattispecie introdotta dalla L. 9-1-2006, n. 7, nel novero di un complesso di misure finalizzate a «prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine» (art. 1, L. 7/2006 cit). Configurando una ipotesi speciale del delitto di lesione personale, con essa condivide l’oggetto giuridico, essendo posta a tutela dell’incolumità della persona (cui va aggiunto l’interesse statuale all’integrità fisica e psichica dei cittadini). Con tale norma il legislatore mira, infatti, alla repressione di condotte lesive degli apparati connessi alla funzione sessuale, dunque gravemente pregiudizievoli dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo, della sua dignità personale, nonché della stessa vita di relazione.

Il reato negli altri Paesi europei

L’opportunità di tale intervento legislativo è, altresì, evidenziata dal fatto che già altri Paesi europei hanno provveduto ad introdurre fattispecie ad hoc (ad esempio, in Svezia, sin dal 1983, è sanzionata penalmente qualsiasi forma di mutilazione dei genitali femminili, pur se solo con un massimo di due anni di reclusione, ma con una pena maggiore se dalla mutilazione deriva pericolo di morte; in Gran Bretagna, sin dal 1985, costituisce reato, fra l’altro, «tagliare, infibulare o in qualsiasi modo mutilare le grandi e piccole labbra in tutto o in parte e la clitoride»). Il ripudio di tali inammissibili aggressioni dell’integrità fisica è, peraltro, ricavabile, in modo più o meno chiaro e cogente, dalle previsioni normative di numerose dichiarazioni, patti e convenzioni internazionali, ratificati in Italia, fra le quali la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1969), la Convenzione contro la tortura (1984), la Convenzione contro ogni forma di discriminazione contro le donne (1979, nota con l’acronimo «Cedaw»), cui vanno aggiunti la Dichiarazione ed il Programma di azione adottati a Pechino il 15-9-1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, nonché, a livello di legislazione «interna», gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, alla cui attuazione è «consacrata» la L. 7/2006. Tale provvedimento è, altresì, in linea con quanto affermato dal Parlamento europeo nel settembre 2001, considerando le mutilazioni genitali come «gravissima lesione della salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne e delle bambine», ed invitando gli Stati membri a considerarle come «reato all’integrità della persona».

Struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie ex comma 1

Il comma 1 della previsione in commento sanziona penalmente il cagionare una mutilazione di organi genitali femminili, specificando (per vero pleonasticamente) che la condotta rileva penalmente solo ove non trovi giustificazione in esigenze terapeutico-curative della vittima.

È lo stesso comma 1 a precisare che, nel concetto di «pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili» rientrano «la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo».

Secondo le definizioni mutuate dalla scienza medica tradizionale, la clitoridectomia (o escissione), chiamata anche in arabo Tahara (purificazione) o Khefad (riduzione), consiste nella rimozione dell’intero clitoride e delle adiacenti labbra. L’infibulazione (dal latino fibula, spilla), è, invece, una mutilazione genitale femminile praticata in molte società di stampo patriarcale dell’Africa, del sud della penisola araba e del sud-est asiatico. Con tale pratica (nota anche come escissione faraonica) il clitoride viene rimosso insieme alle piccole labbra e parte delle grandi (circa i 2/3), ed al termine dell’operazione, l’apertura viene ricucita con una sutura o con spine, lasciando solo un piccolo spazio per il passaggio delle urine e del sangue mestruale. Trattasi, come evidente, di una pratica che, se pur saldamente ancorata in talune tradizioni culturali, è totalmente inammissibile in ordinamenti i cui precetti pongono al centro di ogni previsione la salvaguardia dell’integrità e della dignità dell’individuo, specie se si considera che i rapporti sessuali, attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (che in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio), che dopo ogni parto viene effettuata una nuova infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale, e che la pratica dell’infibulazione faraonica ha lo scopo di conservare e di indicare la verginità al futuro sposo e di rendere la donna una specie di oggetto sessuale incapace di provare piacere nel sesso.

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui vengono realizzate le orride mutilazioni di cui alla norma. Quanto all’elemento soggettivo, la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, richiedendosi esclusivamente la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte produttive delle mutilazioni, a prescindere dalle finalità perseguite concretamente dal reo.

Struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie ex comma 2

La norma completa la tutela della sfera genitale femminile sanzionando penalmente chiunque cagioni lesioni ad organi genitali femminili diverse da quelle prima descritte, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, al fine di menomare le funzioni sessuali, anche in tale ipotesi (come detto, ovviamente) al di fuori del caso in cui sussistano esigenze terapeutico-curative.

Nel tentativo, peraltro, di configurare in tale fattispecie una ipotesi «speciale» di lesione personale, il legislatore ne ha riprodotto la equivoca struttura oggettiva, sanzionando le lesioni (agli organi genitali femminili, elemento specializzante) da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente. Anche in tale occasione, dunque, è possibile elevare le critiche mosse dalla migliore dottrina (Antolisei, Mantovani) e dalla prevalente giurisprudenza, in relazione all’analogo disposto dell’art. 582 c.p. Dalla lettura di tale ultimo articolo, infatti, sembra ipotizzarsi la necessità di un duplice evento naturalistico: la lesione organica conseguente alla condotta umana, e la malattia fisica o mentale in conseguenza dell’evento-lesione. In realtà, si obiettò che l’evento è unico, e consiste nella malattia corporea o mentale conseguente alla condotta criminosa.

È possibile, dunque, concludere che tale comma sia diretto a sanzionare chiunque cagioni una qualunque alterazione anatomico-funzionale a carico degli organi genitali femminili, che comporti la necessità di un processo di reintegrazione curativa, sia pur di breve durata. L’adesione alla tesi dell’unicità dell’evento, consistente, appunto, nella malattia, consente, altresì, di dedurre che la condotta criminosa (a differenza della fattispecie di cui al comma 1) non debba necessariamente consistere in una azione violenta, e debba (come la fattispecie-madre di lesioni) considerarsi configurabile anche in forma omissiva impropria.

Quanto al momento consumativo, si identifica con il prodursi dell’evento naturalistico della fattispecie, consistente nella malattia.

Quanto al tipo di malattia cagionabile, si è osservato che, se il riferimento alla patologia mentale ha un senso rispetto alle lesioni personali comuni, difficilmente è configurabile in relazione ad una fattispecie nella quale si richiede il prodursi di una malattia ad organi genitali, se non quale conseguenza ulteriore rispetto alla patologia «corporea».

Quanto all’elemento soggettivo, il delitto, a differenza della configurazione di cui al comma 1, è punibile a titolo di dolo specifico, richiedendosi la coscienza e volontà di cagionare la lesione, al fine di menomare le funzioni sessuali (finalità il cui mancato conseguimento non incide sulla consumazione del reato, rispetto al quale, come detto, rileva esclusivamente il prodursi della malattia). Poco opportuna, sotto il profilo interpretativo, appare, inoltre, la previsione di una circostanza attenuante ad effetto speciale, sancita dall’ultimo periodo del comma in esame, per il caso in cui la lesione sia di lieve entità, in quanto rimette al giudice una non agevole (dunque potenzialmente disuniforme) valutazione, contrapposta alla «chiarezza» delle nozioni «comuni» di lesione lieve o lievissima, connesse alla durata della patologia prodotta, evincibili dall’art. 582 c.p.

Circostanze aggravanti

Il comma 3 della norma in commento prevede due configurazioni aggravate delle fattispecie appena descritte, consistenti nel caso in cui il fatto sia commesso a danno di un minore o per fini di lucro.

Totalmente condivisibile risulta tale opzione normativa, se si ha riguardo del fatto che, eccettuati rari casi posti in essere su donne in età «da marito» ed, addirittura, su neonate, l’età tipica per praticare le mutilazioni di cui alla norma oscilla dai 6 ai 10 anni, e che la sussistenza nell’agente di un becero animus lucrandi, in luogo degli, sia pur inammissibili, intenti derivanti da convincimenti ideologico-religiosi, rende ancor più socialmente intollerabile la realizzazione di tali pratiche, fondando l’aggravio sanzionatorio.

Inoltre, a seguito dei correttivi effettuati sull’art. 585 c.p. dal cd. «Pacchetto sicurezza» (L. 15-7-2009, n. 94), il delitto in commento è aggravato se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’art. 576 c.p. (pena aumentata da un terzo alla metà) e dall’art. 577 c.p. (pena aumentata fino a un terzo), come anche nel caso in cui il fatto sia commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite.

Pene e istituti processuali

La pena, per l’ipotesi di cui al comma 1, è la reclusione da 4 a 12 anni; per la fattispecie di cui al comma 2 è la reclusione da 3 a 7 anni (ridotta fino a due terzi in caso di lesione di lieve entità, ed incrementata di un terzo nell’ipotesi aggravata.

La pena accessoria di cui al comma 4

Dispone il comma 4 dell’articolo in esame (neointrodotto dalla L. 172/2012) che la condanna, anche se patteggiata, per il reato in commento comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. Tale disposto non costituisce previsione inedita (salvo che per il riferimento alla pena patteggiata), ma trova corrispondenza nell’art. 602bis (conseguentemente soppresso).

L’art. 583-ter c.p.

Ai sensi dell’art. 583ter, la condanna contro l’esercente una professione sanitaria per taluno dei delitti previsti dall’art. 583bis importa la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da tre a dieci anni (per tal via energicamente stigmatizzando, quasi con un «marchio di infamia», quanti si rendano responsabili delle lesioni in oggetto, ad un tempo suggellando plasticamente la gravità del reato e neutralizzando il reo). Della sentenza di condanna è data comunicazione all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri (evidentemente in vista dell’applicazione di sanzioni disciplinari; si tenga, infatti, conto del fatto che l’art. 50 del Codice di deontologia medica, nel precludere al medico ogni forma di collaborazione, partecipazione o semplicemente presenza al compimento di atti di tortura o di trattamenti crudeli, disumani o degradanti, vieta, altresì, espressamente al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile).

Aspetti procedurali

La fattispecie di cui al comma 1 è di competenza del Tribunale collegiale, mentre quella di cui al comma 2 del Tribunale monocratico. Si procede d’ufficio, l’arresto in flagranza è facoltativo ed il fermo consentito (salvo che per la seconda ipotesi attenuata).

Infine, l’ultimo comma dell’art. 583bis estende l’applicabilità delle relative disposizioni al caso in cui il fatto sia commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.

 

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pignoramento pensioni

Pignoramento pensioni Pignoramento pensioni 2024: la procedura, i limiti di pignorabilità a tutela del minimo vitale e l’opposizione all’esecuzione per difendersi

Pignoramento pensioni 2024: come funziona

In relazione al pignoramento pensioni 2024 vediamo in che cosa consiste e come funziona il metodo forzoso che i creditori possono utilizzare per recuperare gli importi loro spettanti.

L’art. 543 c.p.c.

Poiché la pensione viene erogata dall’INPS o da altre casse previdenziali la procedura prende il nome di pignoramento presso terzi. Il terzo in questo caso è rappresentato dall’Istituto pensionistico o dalla Cassa che eroga il trattamento.

La norma a cui fare riferimento per il pignoramento presso terzi è l’articolo 543 c.p.c.

Questa norma riconosce infatti al creditore il diritto di pignorare i crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi soggetti o le cose del debitore che si trovano nel possesso di terzi.

Questi soggetti terzi sono definiti dalla legge terzi pignorati.  

Pignoramento pensioni 2024: limiti

Il pignoramento della pensione però è soggetto a dei limiti.

Limiti di importo

Il primo limite ha a che fare con l’importo pignorabile. Il creditore infatti non può pignorare l’intero importo della pensione del debitore, ma solo una parte. Il nostro ordinamento impone di salvaguardare il minimo vitale. C’è un importo in sostanza, necessario alla sopravvivenza del debitore, che non può essere aggredito dai creditori.  Con questo termine si intende infatti l’importo necessario a garantire al pensionato una vita dignitosa.

Limite della natura del trattamento

Il secondo limite che l’ordinamento pone al pignoramento della pensione riguarda la natura della prestazione. Non è possibile infatti pignorare gli importi che hanno natura di trattamento assistenziale. Ne sono un esempio la pensione di invalidità civile, l’indennità di accompagnamento e l’assegno sociale.

Pignoramento pensioni 2024: importo pignorabile

Il limite dell’importo pignorabile serve, come anticipato, a garantire al debitore un minimo vitale per garantirgli una vita dignitosa.

Detto questo, qual’è l’importo pignorabile a un pensionato?

Il decreto Aiuti bis n.115/2022, modificando la disciplina contenuta nell’articolo 545 c.p.c comma 7, ha stabilito che non sono pignorabili fino all’importo pari al doppio della misura massima dell’assegno sociale, con il tetto dei 1000 euro, le somme che vengono corrisposte a titolo di pensione, di indennità sostitutive della pensione o di assegni di quiescenza.

La parte che eccede detto importo può essere pignorabile nei limiti indicati dai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 545 c.p.c e da speciali disposizioni di legge.

Calcolo dell’importo non pignorabile 2024

Quest’anno, come indicato nella Tabella allegata alla circolare INPS n. 1 del 02.01.2024, l’importo dell’assegno sociale è di Euro 534,41. L’importo che non può essere pignorato, come visto sopra, è pari al doppio del valore della pensione sociale, per cui non è possibile procedere al pignoramento dell’importo della pensione fino a 1.068,82.

Importo pensione pignorabile 2024

Precisato che fino all’importo di Euro 1.068,82 la pensione non può essere pignorata, la parte eccedente può essere oggetto di pignoramento nel limite di 1/5 se il creditore che agisce è solo uno. Qualora infatti i creditori siano due o più la parte della pensione che eccede l’importo non pignorabile potrà essere aggredita nella misura dei 2/5.

Limiti in caso di accredito della pensione su c/c

I limiti visti finora relativi al pignoramento della pensione cambiano quando l’emolumento viene accreditato sul conto corrente del debitore. In questo caso, in base alle regole previste per il 2024, la parte pignorabile della pensione, sempre nella misura di 1/5 è quella che eccede l’importo pari a 3 volte l’assegno sociale ossia Euro 1.603,23.

Pignoramento pensioni: Agenzia delle Entrate

Tra i soggetti pubblici che possono aggredire la pensione c’è anche l’Agenzia delle Entrate. In questo caso l’importo che può essere aggredito con il pignoramento varia in base all’importo della pensione.

L’Agenzia infatti può pignorare:

  • 1/10 dell’importo per pensioni fino a 2.500,00 euro;
  • 1/7 dell’importo per pensioni che vanno da un minimo di 2.500,00 euro fino a 5.000,00 euro;
  • 1/5 dell’importo per pensioni al di sopra dei 5.000,00 euro.

Pignoramento della pensione: come difendersi

Per difendersi dal pignoramento delle pensioni è consigliabile rivolgersi a un avvocato esperto in questioni previdenziali.

In genere, in presenza dei presupposti necessari, ovvero di pignoramenti ingiustificati, è possibile avviare un’opposizione all’esecuzione, per contestare

  • il diritto vantato dal creditore nel procedere all’esecuzione;
  • la modificazione o l’inesistenza del credito contenuto nel titolo esecutivo;
  • l’ammissibilità della pretesa sotto il profilo giuridico.

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pedone distratto

Pedone distratto: va risarcito se cade in un tombino Il pedone distratto va comunque risarcito se la sua condotta non è abnorme, tanto più se il Comune non segnala che il tombino è scoperto

Risarcimento danni pedone

Il pedone distratto, se cade in un tombino posto su una via pubblica, deve essere risarcito. Solo se la disattenzione del pedone è abnorme e sia quindi la causa esclusiva della caduta e del danno che ne consegue il diritto al risarcimento è escluso. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19078-2024.

Pedone distratto cade in un tombino

La vicenda ha inizio con la caduta di una donna in un tombino presente ai margini di una strada comunale, sulla banchina, coperto di rami e foglie.

Il tribunale riconosce alla donna un risarcimento del danno di Euro 39.153,00.

Il Comune soccombente appella la decisione, ma il giudice dell’impugnazione la rigetta. La questione viene portata quindi all’attenzione della Corte di Cassazione.

Distrazione non rileva se non è causa esclusiva della caduta

La Cassazione rigetta ancora una volta il ricorso del Comune. Il pedone distratto infatti ha diritto al risarcimento se la sua condotta non è abnorme. Come affermato da precedente Cassazione sulla responsabilità dell’ente per le cose in custodia “può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c.” 

Natura pubblica della strada: obbligo di custodia del Comune

La Cassazione rileva inoltre che nei precedenti gradi di giudizio i giudici di merito hanno accertato che la strada aveva carattere comunale o comunque ad uso pubblico e che la strada interponderale era aperta all’uso pubblico. L’ente quindi doveva provvedere alla custodia del bene. Lo stesso sarebbe dovuto intervenire affinché il tombino presente sulla banchina non restasse scoperto o segnalare quantomeno l’assenza di copertura dello stesso. Corretta quindi la condanna dell’Ente a rispondere dei danni per cose in custodia in base all’articolo 2051 c.c.

Allegati

riforma penale nordio legge

Legge Nordio: in vigore dal 25 agosto In vigore dal 25 agosto la legge Nordio sulla giustizia che interviene sulle intercettazioni, elimina l’abuso d’ufficio e modifica l’informazione di garanzia

Legge Nordio in vigore dal 25 agosto 2024

La legge Nordio, il disegno di legge per la riforma della giustizia  presentato dal Ministro della giustizia Carlo Nordio é in vigore. La Camera ha approvato in via definitiva il testo nella mattinata di mercoledì 10 luglio 2024. Il testo (legge n. 114/2024) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 agosto per entrare in vigore il 25 agosto.

Dall’abuso d’ufficio alle intercettazioni: le novità

Il testo, che interviene sul codice penale, sul codice di procedura penale, sull’ordinamento giudiziario e su quello militare, abolisce il reato di abuso d’ufficio, modifica la disciplina sulle intercettazioni, limitando i poteri di pubblicazione e introduce importanti novità per quanto riguarda il reato di traffico di influenze illecite. Analizziamo le novità più significative della riforma Nordio.

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Eliminato il reato di abuso d’ufficio

L’eliminazione del reato di abuso d’ufficio contenuto nell’articolo 323 del Codice penale e commesso dai pubblici ufficiali o dai soggetti incaricati dello svolgimento di un pubblico servizio  rappresenta una delle modifiche più significative del disegno di legge, approvata dalla Camera diversi giorni prima dell’approvazione definitiva.

Modificato il reato di traffico di influenze illecite

Il reato contemplato dall’art. 346 bis c.p subisce delle restrizioni applicative, lo stesso viene limitato infatti alle condotte particolarmente gravi. La pena minima viene innalzata a un anno e sei mesi e le relazioni tra mediatore e pubblico ufficiale devono essere “utilizzate, non vantate. L’utilità data o promessa al posto del denaro infine deve essere solo economica.

Intercettazioni: limiti alla pubblicazione

Il testo prevede una maggiore tutela per le comunicazioni che intercorrono tra il difensore e l’imputato. L’autorità giudiziaria non potrà acquisire le comunicazioni tra i soggetti suddetti, fatta eccezione per la corrispondenza, a meno che non ritenga che si tratti di corpo del reato.

Introdotto il divieto di pubblicazione, anche solo di una parte del contenuto delle intercettazioni, qualora non venga riprodotto dal giudice all’interno della motivazione di un provvedimento giudiziale o impiegato nel dibattimento.

Impossibile infine il rilascio di copie delle intercettazioni quando non possono essere pubblicate, se la domanda proviene da un soggetto terzo rispetto al difensore e alle parti a meno che i risultati delle intercettazioni debbano essere utilizzati in un altro procedimento.

Informazione di garanzia

Nell’informazione di garanzia si dovrà descrivere il fatto in modo sommario, indicando data e luogo del reato. La pubblicazione sarà vietata fino a quando non saranno concluse le indagini preliminari e la notifica dovrà essere effettuata in modo da tutelare l’indagato da conseguenze improprie.

Interrogatorio preventivo rispetto alla misura cautelare

La persona sottoposta alle indagini verrà sottoposta all’interrogatorio preventivo nei casi in cui on sia necessario  adottare un provvedimento cautelare a sorpresa, al fine di garantire il principio del contraddittorio preventivo. Qualora si renda necessaria l’applicazione della misura cautelare in carcere durante lo svolgimento delle indagini preliminari la decisione dovrà essere adottata collegialmente.

Limiti all’appello del PM

La riforma prevede che il pubblico Ministero non possa appellare le sentenze di proscioglimento emesse in relazione a reati di “contenuta gravità”, come quelli individuati dall’art. 550 c.p.p per i quali è prevista la citazione diretta.

Ordinamento giudiziario e magistrati

In virtù della novità rappresentata dalla composizione collegiale del giudice per le indagini preliminari vengono modificate le tabelle infradistrettuali e i criteri per l’assegnazione degli affari penali.

Aumenta il numero dei magistrati destinati alle funzioni giudicanti di primo grado.

Per scongiurare il rischio di nullità per i processi i mafia e di terrorismo si recisa che il limite di età di 65 anni stabilito per i giudici popolari delle Corti di Assise si riferisce al momento in cui il giudice viene chiamato per prestare servizio all’interno del collegio.

Ordinamento militare

Con la riforma l’avanzamento di carriera dei militari non sarà ostacolato in caso di rinvio a giudizio ma solo se raggiunto da una sentenza di condanna di primo grado in quanto primo atto di condanna, purché non definitivo.

sanzioni lavoro pagano pagopa

Sanzioni lavoro: si pagano tramite pagoPA L'INL comunica che il pagamento delle sanzioni relative alle violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale verrà effettuato tramite il circuito pagoPA

Sanzioni Ispettorato del lavoro

Le sanzioni di lavoro si pagano con pagoPA. L’INL, comunica in una nota che, nell’ottica del processo di digitalizzazione e semplificazione della pubblica amministrazione, anche in ragione di quanto previsto dall’articolo 5 del CAD di cui al D. Lgs 82/2005, il pagamento delle sanzioni relative alle violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale contestate dal personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro verrà progressivamente effettuato tramite il circuito pagoPA.

Provvedimento di sospensione solo con pagoPA

In particolare, a partire dallo scorso 24/07/2024, nei casi di emissione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 14, d.lgs. n. 81/2008 s.m.i. e di contestazione di violazioni soggette a prescrizione di cui agli articoli 20 e 21 del d.lgs. n. 758/94 e all’art. 15 del d.lgs. 124/2004 s.m.i., il pagamento delle relative violazioni potrà essere effettuato solo tramite il circuito in parola.

Come pagare con pagoPA

Si rappresenta che, qualora il contravventore intenda effettuare il pagamento solo di alcune violazioni, lo stesso dovrà accedere al “Portale dei Servizi” dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro all’indirizzo https://servizi.ispettorato.gov.it (o tramite tasto Accedi al Portale dei Servizi, situato in alto a destra nella home del sito dell’ispettorato) ed utilizzare l’applicazione “Gestione Pagamento Sanzioni” selezionando le violazioni per le quali intende effettuare il pagamento.

Il sistema provvederà a generare un nuovo bollettino recante un importo totale corrispondente alle violazioni selezionate e annullando quello sopra indicato.

Progressiva estensione circuito pagoPA

Il progetto prevede la progressiva estensione dell’utilizzo circuito di pagamento PagoPa anche per il pagamento delle sanzioni amministrative contestate con verbale unico di accertamento e notificazione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 124/04 e di quelle contestate con Ordinanza-Ingiunzione di cui all’art. 18 della Legge n. 689/81 che al momento continuano ad essere gestite tramite F23.

 

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revenge porn

Revenge porn: come fare una segnalazione Revenge porn: come funziona il servizio di segnalazione online del Garante Privacy per prevenire il fenomeno del Revenge porn

Segnalazione Revenge Porn

Revenge porn: il Garante Privacy ha reso disponibile il servizio online per effettuare una segnalazione, oltre ad un’utile scheda informativa per prevenire e difendersi da questo tipo di fenomeni proteggendo e gestendo correttamente i propri dati personali.

Cos’è il revenge porn

Il revenge porn, si ricorda, consiste nell’invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione, da parte di chi li ha realizzati o sottratti e senza il consenso della persona cui si riferiscono, di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati. Tale diffusione avviene di solito a scopo vendicativo (ad esempio per “punire” l’ex partner che ha deciso di porre fine ad un rapporto amoroso), per denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare. Si tratta quindi di una pratica che può avere effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono vittime.

Protezione dati personali

La prima e più importante forma di difesa, ricorda il Garante, sono sempre la consapevolezza e la prudenza. Spesso accade che i dati personali vengano immessi dagli stessi interessati nel circuito di messaggistica e social network, sfuggendo così ogni controllo e rendendone impossibile la cancellazione una volta diffusi.

Per proteggere i dati personali eventualmente presenti nei tuoi dispositivi (smartphone, pc o tablet), occorre utilizzare sempre adeguate misure di sicurezza: ad esempio, password che proteggono i dispositivi e/o le cartelle in cui conservi i file, sistemi di crittografia per rendere illeggibili i file agli altri, sistemi anti-virus e anti-intrusione per i dispositivi.

Se si ricevono foto o immagini a contenuto sessualmente esplicito che riguardano altre persone, il Garante consiglia di evitare “di essere complice di comportamenti illeciti nei confronti delle stesse” di non diffonderle, cancellarle e se si ritiene di fare una segnalazione alla Polizia postale.

A maggior ragione quando tali fenomeni riguardano i minori, come vittime o destinatari di contenuti.

“Se sei un genitore – consiglia il Garante – evita di far utilizzare dispositivi digitali ai tuoi figli piccoli se sono da soli, monitora il loro comportamento online e spiega con chiarezza perché è bene evitare di interagire con sconosciuti e diffondere informazioni personali, soprattutto foto e filmati, tramite messaggi e social network (vedi anche la pagina informativa www.gpdp.it/minori).

Come prevenire il Revenge porn

Nel caso in cui si abbia un fondato timore che immagini a contenuto sessualmente esplicito possano essere diffuse senza il proprio consenso è possibile presentare una segnalazione al Garante ai sensi degli art. 144-bis del Codice in materia di protezione dei dati personali e 33-bis del regolamento n. 1/2019 del Garante.

Per farlo è possibile utilizzare l’apposito form reso disponibile nel sito istituzionale dell’Autorità, in cui dovranno essere indicate le piattaforme di condivisione di contenuti (social network, messaggistica, ecc.) attraverso le quali si teme la diffusione, nonché le ragioni che fondano il timore che la condotta pregiudizievole possa essere posta in essere.

Dovranno poi essere trasmesse all’Autorità – tramite un link che sarà comunicato dopo la presentazione della segnalazione – le immagini o i contenuti sessualmente espliciti dalla cui divulgazione ci si intenda tutelare.

Il Garante, in presenza dei presupposti indicati dalle norme di riferimento, adotterà un provvedimento, che sarà notificato alle piattaforme coinvolte nel tentativo di contrastare la temuta diffusione.

Questo strumento può essere utilizzato non solo dagli adulti, ma anche dai minori.

Si ricorda che alla tutela che accorda il Garante può sempre aggiungersi quella prestata dalla Polizia Postale, alla quale è possibile rivolgersi per denunciare situazioni in cui siano ravvisabili gli estremi di una condotta penalmente rilevante (come nel caso in cui si subiscano minacce o richieste estorsive).

Infine, rammenta l’autorità, il più importante accorgimento “è tenere alto il livello di prudenza nel condividere materiale a contenuto sessualmente esplicito, in quanto l’intervento del Garante non è in grado di assicurare, in termini assoluti, che l’evento temuto non si verificherà: la persona malintenzionata, ad esempio, potrebbe detenere immagini anche solo parzialmente diverse da quelle comunicate alla piattaforma vanificando così la misura adottata”.

giurista risponde

Scriminante legittima difesa per chi ha provocato la situazione di pericolo È possibile riconoscere la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, quando il soggetto che la invoca abbia lui stesso provocato la situazione di pericolo o si sia alla stessa volontariamente esposto pur avendo la possibilità di sottrarsi?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

Non è possibile riconoscere la scriminante della legittima difesa, nemmeno putativa, quando il soggetto che la invoca ha provocato lui stesso la situazione di pericolo, ovvero ha “accettato la sfida” innescando una sorta di duello con l’avversario, e nemmeno è invocabile quando il soggetto si è volontariamente esposto al pericolo, pur avendo la possibilità di sottrarsi ad esso in presenza di un commodus discessus. La legittima difesa è, infatti, configurabile, solo quando l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione. – Cass., sez. I, 5 marzo 2024, n. 9435.

L’imputato propone ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari e confermata dal Tribunale del Riesame, lamentando l’errata applicazione delle norme sul riconoscimento della scriminante della legittima difesa, anche putativa.

Il fatto storico ha ad oggetto una lite condominiale tra due famiglie iniziata con ingiurie ed offese reciproche scambiate dai balconi delle rispettive abitazioni. A seguito delle aggressioni verbali, l’imputato era sceso nell’androne del palazzo armato di coltello e, una volta raggiunto dalla vittima, si scagliava contro la stessa colpendola più volte all’addome, provocandone la morte.

La difesa evidenzia il vizio di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale del Riesame che – erroneamente – non ha riconosciuto la scriminante della legittima difesa, almeno putativa, in considerazione del fatto che l’indagato aveva temuto che la vittima avesse con sé una pistola che già in precedenti occasioni aveva minacciato di voler usare. Non solo. Sostiene la difesa che i giudici non avrebbero considerato che, secondo la giurisprudenza costante, la scriminante può essere riconosciuta anche se il pericolo è stato volontariamente causato dall’aggressore che non poteva evitarlo con la fuga, circostanze, queste, ritenute sussistenti nella fattispecie de qua.

Il Tribunale del Riesame, invece, ha escluso l’applicazione della scriminante perché l’aggressione nell’androne era iniziata per volontà dell’imputato contro la vittima, perché non era stata provata la circostanza che quest’ultima potesse avere con sé una pistola, ma soprattutto perché l’imputato si era volontariamente esposto al pericolo e, quindi, ad una possibile reazione della vittima quando, invece, ben avrebbe potuto rifugiarsi nella propria abitazione o andare in strada dove c’erano molte persone.

La Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla difesa ritenendo che la decisione impugnata sia perfettamente conforme ai consolidati principi giurisprudenziali.

Smentendo, infatti, l’affermazione del difensore dell’imputato, la Corte evidenzia che è pacifico e consolidato in giurisprudenza che la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, non può essere riconosciuta quando il soggetto che la invoca abbia causato, o abbia concorso a causare, la situazione di pericolo; nemmeno può essere riconosciuta quando il soggetto si sia volontariamente esposto al pericolo pur avendo la possibilità di sottrarsi ad esso senza pregiudizio o quando il soggetto abbia “accettato la sfida” con il proprio avversario perché in tal caso manca la convinzione di dover agire per lo scopo difensivo.

Contributo in tema di “Scriminante della legittima difesa invocata da chi ha provocato la situazione di pericolo”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

vaccino anti papilloma

Vaccinazione anti Papilloma: il no del Garante Il Garante avverte formalmente la regione Puglia sulla vaccinazione anti Papilloma agli studenti e sulla richiesta vaccinazione anti Covid

Vaccinazione anti Papilloma a studenti: l’intervento del Garante Privacy

Violano la normativa privacy i trattamenti di dati personali previsti dalla legge regionale pugliese che introduce l’obbligo per gli studenti di scuole medie, superiori ed università, di presentare una certificazione in materia di vaccinazione al Papilloma virus (HPV) per potersi iscrivere ai relativi corsi di istruzione. È questo l’avvertimento formale inviato dal Garante per la protezione dei dati personali alla Regione Puglia, reso noto con un comunicato sul sito istituzionale.

Parola alla Consulta

L’Autorità evidenzia che – qualora la Corte Costituzionale dichiarasse la illegittimità della legge regionale pugliese, impugnata dal Governo – i trattamenti posti in essere dalla Regione non sarebbero conformi alla disciplina in materia di protezione dei dati personali, perché privi di una idonea base giuridica.  Ad analoga conclusione si giungerebbe, anche a prescindere da una eventuale pronuncia di illegittimità, poiché i trattamenti di dati non sarebbero comunque conformi ai principi di necessità e proporzionalità previsti dal Regolamento Ue (Gdpr).

Il Garante ricorda inoltre che il trattamento dei dati relativi alla salute è lecito solo in presenza di una legge dello Stato. Solo una norma uniforme a livello nazionale – peraltro per un vaccino non obbligatorio ai fini dell’iscrizione a scuola – può infatti prevedere l’acquisizione di documentazione sanitaria da parte delle autorità scolastiche così come l’onere da parte di studenti e famiglie di produrre tale documentazione.

L’avvertimento adottato nei confronti della Regione Puglia è stato comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri e alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e inviato alla Gazzetta ufficiale per la pubblicazione.

Violazioni anche sul vaccino Covid

L’Autorità ha registrato inoltre violazioni sul fronte della vaccinazione anti Covid, notificando all’Asl di Lecce le violazioni rilevate nell’ambito dell’istruttoria avviata lo scorso giugno, a seguito della notizia del mancato accesso in ospedale di alcuni tirocinanti, perché sprovvisti della quarta dose del vaccino anti-Covid.

incontri padre figlia

Incontri padre-figlia sospesi se pesano alla minore Incontri padre-figlia: vanno sospesi se si rivelano contrari all’interesse del minore a causa dell’immaturità del padre

Incontri padre-figlia: sospesi se la minore li patisce

Gli incontri padre – figlia devono essere sospesi se creano sofferenza alla minore adolescente. I giudici di merito hanno accertato che il padre è immaturo, autocentrato, ossessivo e persecutore. La minore invece, grazie all’affido agli zii materni, al supporto dei servizi sociali e di quelli psicologici, è risultata matura ed equilibrata. Lo ha sancito la Cassazione nell’ordinanza n. 21969-2024.

Minore affidata agli zii paterni

Nell’ambito di un procedimento di separazione coniugale con problematiche legate all’affidamento della minore, la Corte d’Appello dispone l’interruzione degli incontri della minore con entrambi i genitori. La minore deve essere seguita dai servizi sociali e dal servizio di psicologia dell’età evolutiva e deve essere lasciata libera di riprendere gli incontri, previa valutazione degli operatori dei servizi.

Incontri padre-figlia: per il padre sono un diritto del minore

Il padre impugna la decisione di fronte alla Corte di Cassazione. L’uomo afferma che il suo rapporto con la figlia è stato compromesso a causa della malattia della madre e delle denunce che questa ha sporto nei suoi confronti. Questo situazione ha sicuramente impedito la creazione di un rapporto con la figlia.

Il ricorrente ritiene inoltre che la decisione sia del tutto nulla perché l’art. 8 della Cedu ha sancito il principio di non ingerenza dello Stato nella vita familiare. L’articolo 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE riconosce al minore il diritto di aver rapporti diretti e regolari con i genitori. L’uomo denuncia inoltre il mancato ascolto dei nonni paterni e l’affido della minore agli zii paterni.

Padre inidoneo ad avere rapporti sereni con la figlia

La Cassazione dichiara inammissibili i motivi sollevati dal padre. Gli Ermellini rilevano come la Corte d’appello sia giunta alla decisione oggetto di impugnazione per diverse ragioni. La stessa ha rilevato la non idoneità del padre ad avere rapporti sereni con la figlia minore. L’uomo risulta immaturo e affetto da ossessioni patologiche.

Da sospendere gli incontri padre-figlia se la minore mostra avversione

La Corte ricorda inoltre che in base ai principi sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo il giudice possa sospendere gli incontri padre-figlio se il minoredivenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa – a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante li supporto di strutture sociali e psicopedagogiche”. 

Non rilevano ai fini della sospensione degli incontri le responsabilità dei genitori o la fondatezza delle ragioni che il minore adduce per dare una giustificazione ai suoi sentimenti. Il Giudice deve solo valutare la profondità e l’intensità del sentire del minore per decidere se gli incontri possono portare al superamento della animosità o una sua dannosa radicalizzazione.

Sospensione degli incontri nell’interesse primario del minore

La Corte di Appello ha rispettato i principi indicati dalla Cassazione e ha attuato l’interesse primario della minore. La ragazzina è dotata intellettivamente ed è più matura della sua età. Ella è autonoma nel giudizio ed è risultata lucida nel fornire la lettura degli eventi e delle condotte dei genitori e degli altri adulti. Durante il giudizio si è dimostrata calma ed equilibrata.

Il padre, all’opposto, è immaturo, autocentrante, presenta dei disturbi ossessivi e persecutori, non ha un ruolo tutelante e negli anni non ha compiuto alcun progresso. La figlia soffre per questa situazione, ma ha anche mostrato sollievo per la sospensione degli incontri con il padre.

Da quando gli zii paterni l’hanno presa in affidamento la ragazzina ha compiuto miglioramenti progressivi. La Cassazione ritiene quindi di non poter accogliere le doglianze del padre perché finalizzate a contestare il riesame delle prove e del merito dei fatti.

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