spese per i figli

Spese per i figli: quali vanno concordate La Cassazione chiarisce che le spese per i figli da concordare preventivamente con l'ex coniuge sono quelle che non rientrano nel regime di spesa ordinario

Spese per i figli: vanno concordate solo quelle eccezionali

I genitori non devono concordare tutte le spese per i figli. Il genitore collocatario non deve chiedere il consenso dell’ex prima di sostenerle, se hanno natura ordinaria. L’accordo preventivo è richiesto solo per quelle spese che “per rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità” non rientrano nel regime di spesa ordinario per i figli. In ogni caso, se il genitore collocatario non informa sempre e preventivamente l’ex, anche in relazione a queste spese, non significa che non possa richiedere il rimborso della quota a carico dell’altra parte, dopo averle sostenute. Questa la decisione della Cassazione nella sentenza n. 21785-2024.

Non dovute le spese per i figli straordinarie se non concordate

Un padre si oppone a un decreto ingiuntivo con cui l’ex coniuge gli ingiunge di pagare la somma di 1687,25 euro, oltre accessori. La donna chiede la somma a titolo di rimborso, nella misura del 50%, delle spese straordinarie sostenute per figlie minori.

Le spese si riferiscono alle rette della scuola privata, alla quota della palestra, ai corsi in un centro sportivo e alle gite scolastiche. Il Giudice di pace revoca il decreto e condanna l’opponente a pagare la minore somma di Euro 1.626,25.

Il padre appella la decisione e in questa sede l’autorità giudiziaria precisa che le rette per la scuola sono spese straordinarie da concordare. Le spese relative all’attività sportiva invece hanno natura di spese straordinarie routinarie, che il padre non ha mai contestato. Per quanto riguarda infine le spese per le gite scolastiche il tribunale rileva come il giudice di Pace abbia già decurtato dall’importo del decreto ingiuntivo modificato il 50% delle stesse.

Solo alcune spese straordinarie vanno concordate

Il padre però, ancora insoddisfatto dell’esito del giudizio, impugna la decisione in Cassazione.

Con il secondo motivo contesta al Tribunale di aver inserito nel protocollo delle spese straordinarie assunto in sede di divorzio anche le rette per la scuola privata e le spese sportive.

Con il terzo invece critica la decisione del Tribunale relativa alle spese sportive che hanno comportato l’acquisto della necessaria attrezzatura e di averle fatte rientrare tra quelle che non richiedono un accordo preventivo tra i coniugi.

La Cassazione rigetta il ricorso e si esprime poi sulla natura straordinaria delle spese e sulla necessità del preventivo accordo tra genitori.

Gli Ermellini rilevano come il tribunale abbia ritenuto che l’utilizzo del termine “tasse” per la scuola privata, come indicato nel protocollo, fosse improprio. Tale termine non può non comprendere le rette, da intendersi come spese straordinarie. Per quanto riguarda invece le spese per l’attività sportiva il tribunale ha ritenuto che il mancato riferimento nel protocollo di queste voci di spesa non attribuiva alle stesse la natura di spese ordinarie. Era necessaria una valutazione più in linea con gli orientamenti della giurisprudenza.

Spese da concordare: giurisprudenza recente

La Cassazione ricorda comunque che la decisione del tribunale sul preventivo accordo sulle spese straordinarie è conforme alla recente giurisprudenza.

Quest’ultima afferma infatti che: riguardando il preventivo accordo solo quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole, fermo restando che, anche per queste ultime, la mancanza della preventiva informazione ed assenso non determina automaticamente il venir meno del diritto del genitore che le ha sostenute, alla ripetizione della quota di spettanza dell’altro, dovendo il giudice valutarne la rispondenza all’interesse preminente del minore e al tenore di vita familiare.”

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accettazione beneficio inventario

Accettazione con beneficio di inventario L'accettazione con beneficio di inventario è l'accettazione dell’eredità che tutela il chiamato e che va esercitata con precise modalità

Accettazione con beneficio d’inventario: cos’è

L’accettazione con beneficio di inventario è uno dei modi che la legge mette a disposizione del chiamato per accettare l’eredità. L’articolo 470 del codice civile prevede infatti che l’eredità possa essere accettata puramente e semplicemente o con beneficio di inventario. Il chiamato può accettare l’eredità in questo modo anche se il testatore lo ha vietato nel suo testamento.

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“Con beneficio di inventario”: significato

L’accettazione dell’eredità con “beneficio di inventario” è una forma di accettazione che tutela il chiamato all’eredità. Il soggetto che sceglie questo tipo di accettazione deve infatti procedere alla redazione dell’inventario dei beni, dei debiti e dei crediti del de cuius prima o dopo aver accettato l’eredità. Il chiamato evita così di subire le conseguenze negative che potrebbero derivare dall’accettazione di un’eredità in cui i debiti superino i crediti.

Gli effetti

L’accettazione con beneficio di inventario infatti produce determinati effetti.

  • L’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e gli obblighi che aveva nei confronti del defunto fatta accezione per quelli che si sono estinti con la morte.
  • L’erede non deve pagare i debiti e i legati oltre il valore di quanto pervenuto.
  • I creditori dell’eredità e i legatari sono preferiti rispetto ai creditori dell’erede sul patrimonio del de cuius. 

Come si accetta l’eredità con beneficio di inventario

L’art. 484 del codice civile, che disciplina l’accettazione con beneficio di inventario, prevede che il chiamato all’eredità debba rendere una dichiarazione. Questa dichiarazione può essere resa davanti a un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La dichiarazione è poi inserita nel registro delle successioni, che viene conservato presso il Tribunale.

Decorso un mese dall’inserzione della dichiarazione nel registro, il cancelliere del Tribunale deve trascriverla presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui è stata aperta la successione. Se la dichiarazione segue la redazione dell’inventario nel registro è necessario indicare la data in cui lo stesso è stato compiuto. In caso contrario, l’ufficiale pubblico che lo ha redatto, entro un mese, deve far inserire nel registro la data di compimento dell’inventario.

Tempi di redazione dell’inventario

I tempi per accettare l’eredità con beneficio di inventario sono diversi a seconda che il chiamato all’eredità sia o non sia nel possesso di beni ereditari.

Possesso di beni ereditari

Il chiamato all’eredità in possesso dei beni ereditari deve procedere all’inventario dei beni entro 3 mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità. Il decorso di questo termine senza la redazione dell’inventario comporta che il chiamato sia considerato erede puro e semplice. L’erede può comunque chiedere una proroga dei termini che non può superare i 3 mesi, a meno che vi siano circostanze gravi che giustifichino un termine più lungo.

Se invece il chiamato ha provveduto alla redazione dell’inventario, ma non ha reso la dichiarazione, ha 40 giorni di tempo dal suo compimento per accettare. Decorso questo termine se il chiamato non dichiara di accettare con beneficio, è considerato erede puro e semplice.

Non possesso di beni ereditari

Il chiamato all’eredità che non è nel possesso dei beni ereditari può invece dichiarare di accettare con beneficio di inventario fino alla scadenza del termine decennale per esercitare il diritto di accettazione dell’eredità.

Il soggetto che procede alla dichiarazione deve redigere l’inventario entro 3 mesi. L’autorità giudiziaria però può disporre la  proroga dei termini. Il chiamato che non rende la dichiarazione in questi termini deve considerarsi erede puro e semplice.

Quando invece il soggetto procede all’inventario prima della dichiarazione di accettazione, questa deve essere fatta entro il termine di 40 giorni dal compimento dell’inventario. Il mancato rispetto degli stessi comporta la perdita del diritto di accettare l’eredità.

Regole particolari per minori, interdetti e inabilitati

L’articolo 489 c.c dispone un’eccezione in favore degli interdetti, degli inabilitati e dei minori. Questi soggetti hanno infatti un anno di tempo, da quando cessa la condizione di inabilitato o interdetto o da quando il minore compia 18 anni, per accettare l’eredità con benefico di inventario nel rispetto delle regole e dei termini visti sopra.

avvocate guadagnano la metà

Avvocate: guadagnano la metà dei colleghi Per l'OCF è "preoccupante il netto divario reddituale tra avvocate e avvocati. Occorre investire di più nell'inclusione"

Avvocate in fuga dalla professione

Avvocate guadagnano la metà e scappano dalla professione. Questi i dati sul lato femminile della professione forense che per la responsabile dipartimento pari opportunità dell’OCF, Laura Massaro, non sorprendono “data la realtà emersa dalle puntuali presentazioni del Rapporto Censis e dal costante monitoraggio dell’Organismo Congressuale Forense con i territori e i Comitati Pari Opportunità (CPO)”. Questi rapporti – per la Massaro – “confermano un quadro chiaro: la professione forense, pur vedendo un incremento di avvocate nelle nuove iscrizioni, mostra una netta disparità di reddito e una crescente percentuale di abbandono tra le professioniste”.

Forte presenza femminile ma divario reddituale preoccupante

Negli ultimi anni la professione forense si caratterizza per una forte presenza femminile, con una media di circa il 47%. Tuttavia, il divario reddituale tra avvocati e avvocate, si legge nella nota dell’OCF è preoccupante: “le donne avvocato guadagnano in media il 53% in meno rispetto ai colleghi uomini, con una differenza assoluta di quasi 30.000 euro. Questa disparità contribuisce alla precarietà della carriera per le professioniste, poiché a parità di età e localizzazione geografica, una donna avvocato percepisce un reddito significativamente inferiore”.

Il dialogo continuo con i territori e i CPO rivela le problematiche che affrontano le avvocate: il rinvio della maternità per timore di compromettere la carriera professionale è spesso causato dalla carenza di politiche di welfare adeguate. La rinuncia alla professione, anche con competenze e meriti, può derivare dalla precarietà e dalle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia. Così facendo molte avvocate sono costrette a scegliere tra carriera e vita privata. Inoltre, l’accesso limitato a corsi di specializzazione e aggiornamento professionale rappresenta un ulteriore ostacolo.

Occorre rimuovere gli ostacoli

L’OCF, “come organismo politico dell’Avvocatura, è impegnato nella sensibilizzazione delle istituzioni per rimuovere gli ostacoli all’accesso e all’esercizio della professione e per promuovere lo sviluppo di nuove competenze” ha commentato la Massaro. “L’inclusione è fondamentale e deve essere valorizzata, non solo per ragioni di equità, ma anche per migliorare l’efficienza del sistema professionale e contribuire positivamente al paese. Investire nell’inclusione e nella valorizzazione delle differenze – ha concluso – è essenziale per garantire pari opportunità e per far sì che la professione forense possa beneficiare della ricchezza di competenze e talenti disponibili”.

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rottamazione quater

Rottamazione quater: c’è tempo fino al 23 settembre L'Agenzia Entrate-Riscossione chiarisce che aggiungendo i giorni di tolleranza e i festivi la nuova scadenza del 15 settembre guadagna ulteriori giorni

Rottamazione quater: quinta rata guadagna giorni

Rottamazione quater, la quinta rata guadagna più giorni. Il d.Lgs. n. 108/2024 pubblicato in GU il 5 agosto infatti differisce il termine di scadenza originariamente del 31 luglio al 15 settembre, ma grazie ai cinque giorni di tolleranza e ai festivi la scadenza si allunga fino al 23 settembre 2024. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate-Riscossione con un comunicato sul proprio sito.

Tolleranza e festivi

Aggiornando il calendario delle scadenze, l’Ader informa infatti che al rinvio operato dal decreto al 15 settembre per pagare la quinta rata del piano di Definizione agevolata delle cartelle, vanno aggiunti i cinque giorni di tolleranza e i differimenti previsti nel caso di termini coincidenti con giorni festivi (ossia il 15, il 21 e il 22 settembre).

Perciò, il termine finale slitta al 23 settembre 2024. Tutti i pagamenti effettuati entro tale data, conferma l’Agenzia, saranno considerati validi, senza oneri aggiuntivi e senza perdere i benefici della “Rottamazione-quater”.

Come pagare

Per i pagamenti devono essere utilizzati i moduli allegati alla Comunicazione delle somme dovute, disponibili anche sul sito in area riservata, ricorda l’Ader. Inoltre, rammenta l’Agenzia che “nel caso in cui il pagamento non venga eseguito, sia effettuato oltre il termine ultimo o sia di ammontare inferiore rispetto all’importo previsto, verranno meno i benefici della Definizione agevolata e quanto già corrisposto sarà considerato a titolo di acconto sul debito residuo”.

Per conoscere tutte le modalità di pagamento basta consultare la pagina dedicata.

 

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autovelox laguna

Anche l’autovelox della Laguna va tarato La Cassazione conferma che anche gli apparecchi per misurare la velocità dei mezzi in Laguna veneta devono essere tarati

Autovelox Laguna

Anche l’autovelox della Laguna va tarato, come tutti gli apparecchi per misurare la velocità dei mezzi. Così la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 20492-2024.

La vicenda

Nella vicenda, il titolare di una ditta individuale aveva proposto opposizione innanzi al Giudice di Pace di Venezia avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dalla polizia municipale con cui gli era stato ingiunto il pagamento di oltre 300 euro per aver superato il limite massimo di velocità con il proprio motoscafo appartenente alla propria ditta.

Il Gdp rigettava l’opposizione confermando l’ordinanza ingiunzione, ritenendo non necessario sottoporre il sistema alle operazioni di omologazione e taratura previste dal codice della strada, non sussistendo i requisiti per applicare in via analogica li codice della strada all’ambito della navigazione.
La sentenza veniva impugnata da innanzi al Tribunale di Venezia, li quale accoglieva l’opposizione e annullava in toto l’ordinanza-ingiunzione sostenendo che l’amministrazione comunale avesse totalmente omesso di produrre in giudizio la documentazione attestante l’avvenuta omologazione, tantomeno le periodiche verifiche di funzionalità e taratura della strumentazione nel sistema (tutor) installato dal Comune di Venezia.

Il tribunale richiamava inoltre la sentenza n. 113/2015 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”.
Il comune impugnava la sentenza innanzi alla Cassazione.

La decisione

Per gli Ermellini, tuttavia, le doglianze del comune sono infondate.

Giova, innanzitutto, precisare che “la circolazione nelle acque del Comune di Venezia, ed in genere della laguna veneta, è disciplinata dal Regolamento per li Coordinamento della navigazione locale nella Laguna Veneta (adottato ai sensi dell’art. 11, comma 3, D. Lgs. n. 422 del 1997) che, all’art. 67 («Dispositivi di monitoraggio»: norma inserita all’interno del Titolo V dedicato al Sistema di rilevazione), con riferimento (anche) ai dispositivi di monitoraggio del traffico installati dalle autorità competenti (comma 2) prescrive l’obbligo che gli apparati di rilevamento impiegati siano «debitamente omologati» (comma 3)”.

Per cui, “tale esplicito riferimento normativo all’obbligatorietà dell’omologazione è in linea con il più generale principio di garanzia in materia di accertamenti rimessi a mezzi tecnici di rilevamento automatico: l’omologazione, infatti, consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa – ha anche natura necessariamente tecnica; tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato: requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione
per la legittimità dell’accertamento stesso (Cass. Sez. 2, n. 10505 del 18.04.2024)”.

Spetta, infine, “all’amministrazione la prova positiva dell’iniziale omologazione (e dell’eventuale periodica taratura dello strumento: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6579 del 2023; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32369 del 13/12/2018), non essendo necessario che di detto adempimento ne dia conto il verbale di contestazione”.
In definitiva, il ricorso è rigettato.

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medico di base

Medico di base: in caso di urgenza non è competente Il dovere di recarsi a casa del paziente non sussiste in caso di urgenza. In tal caso la competenza è del 118 e l'obbligo sussiste per la guardia medica

Doveri del medico di base

Il medico di base non è tenuto a recarsi a casa del paziente in caso di urgenza: in tale evenienza infatti la competenza passa al 118 o alla guardia medica. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24722-2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Palermo assolveva un medico dal reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, del codice penale) per il quale era stato condannato ni primo grado perché, in qualità di medico di assistenza primaria, aveva omesso di effettuare, nonostante le continue richieste di intervento dei familiari, una visita domiciliare a scopo diagnostico e terapeutico ad un assistito che lamentava forti dolori a seguito caduta accidentale, anziano e affetto da patologie (Parkinson avanzato, cardiopatia ischemica cronica), condizioni che gli impedivano di recarsi presso l’ambulatorio.
Avverso la sentenza il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo adiva il Palazzaccio, ritenendo che il medico di base avesse uno specifico obbligo per i medici di base di effettuare la visita domiciliare al paziente nel caso di non trasferibilità dell’ammalato.

Medico di base non preposto alle urgenze

Per la S.C., il ricorso è infondato.

All’esito assolutorio della sentenza in appello il Procuratore Generale ricorrente oppone “l’omessa considerazione di quanto disposto dall’art. 47, comma 1, del’Accordo Collettivo Nazionale vigente all’epoca dei fatti (del 23/03/2005), a mente del quale «l’attività medica viene prestata nello studio del medico o a domicilio, avuto riguardo alla non trasferibilità dell’ammalato»: disposizione invece menzionata nella sentenza di primo grado, dalla quale deriverebbe – deve inferirsi – la fonte dell’obbligo di agire, tale da giustificare l’integrazione del reato omissivo, oltre al dedotto vizio motivazionale”.
In realtà, sostengono i giudici, “la disposizione in oggetto non è affatto sfuggita alla Corte d’appello la quale, seppur senza citarla espressamente, in un punto della pronuncia, vi ha fatto un chiaro riferimento, precisando di non fare «questione di adempimento o meno del dovere giuridico del medico di base di procedere a visita a domicilio del paziente non trasportabile, quanto solo dell’esistenza o meno nel caso concreto di un dovere di procedere senza ritardo ad un tale incombente […], dovere di urgenza né ordinariamente pretensibile dal medico di medicina generale né specificamente dall’imputato in considerazione delle circostanze del caso concreto»”.
In un altro passaggio, in modo ancora più inequivoco, i Giudici di secondo grado hanno inoltre ritenuto che «il medico di base, contrariamente al medico di guardia, non è istituzionalmente preposto a soddisfare le urgenze, le quali rimangono affidate al servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica già denominato 118», aggiungendo che «da ciò deriva che per fondare uno specifico obbligo giuridico di prestazioni sanitarie urgente, anche nelle more del servizio di emergenza, da parte di un pubblico ufficiale sanitario a ciò non preposto, sarebbe stata necessaria una peculiare situazione di prossimità spaziale di necessità non indifferibile […], ben distante dall’ordinarietà degli accadimenti».

La decisione

Per cui, nessuna lacuna motivazionale è ravvisabile nella sentenza impugnata la quale distingue in modo netto il profilo della trasferibilità del paziente (toccato dal citato Accordo Nazionale) da quello dell’urgenza della prestazione richiesta: urgenza in presenza della quale – come nel caso di specie -, trasferibile o meno che fosse li paziente, i Giudici hanno ritenuto scattasse la competenza di altra articolazione sanitaria, e cioè, nella specie, dei medici del 118.
Si tratta di una “distinzione di ruoli – sottolineano da piazza Cavour che – trova la sua ratio nell’esigenza di assicurare li miglior assolvimento delle funzioni all’interno di un’organizzazione complessa qual è li sistema sanitario, consentendo a ciascun operatore del settore di concentrarsi sui propri compiti specifici. Distinzione che, inoltre, nei casi come quello di specie, risponde inoltre all’esigenza di evitare sovrapposizioni non soltanto inutili (il medico di base non essendo attrezzato per far fronte alle urgenze), ma anche potenzialmente dannose, ove – come ben possibile – foriere di ritardi e confusioni”.
Per le ragioni esposte, la S.C. ha rigettato il ricorso.

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musica nei reels

Musica nei reels: META vince contro SIAE Per la musica nei reels e nelle stories la SIAE non dipende da META: lo ha stabilito il Consiglio di Stato dando ragione alla società di Facebook

Non c’è dipendenza tra SIAE e META

Musica nei reels e nelle stories, la SIAE non dipende da META. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5827-2024 pubblicata il 2 luglio. Il provvedimento ha riformato la sentenza n. 16069/2023 del TAR Lazio e ha stabilito che tra SIAE e META non sussiste una dipendenza economica.

AGCM: abuso di dipendenza economica

La controversia tra SIAE e Meta era iniziata durante le negoziazioni per il rinnovo del Music Rights Agreement (MRA). Questo accordo di licenza permetteva in sostanza agli utenti delle piattaforme META di pubblicare contenuti con opere musicali tutelate dalla SIAE.

Nell’aprile del 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avviava un procedimento contro Meta per possibile abuso di dipendenza economica (art. 9 Legge n. 192/1998).

Il 20 aprile 2023, l’AGCM emanava un provvedimento per ripristinare le trattative e i contenuti musicali protetti da SIAE su Meta. META  contestava questo provvedimento davanti al TAR Lazio, che lo confermava con la sentenza n. 16069/2023.

Dipendenza economica: piattaforma determinante

L’AGCM ha fondato la propria decisione sull’art. 9 della L. 192/1998. La norma presume infatti l’esistenza di una dipendenza economica quando un’impresa utilizza i servizi di una piattaforma digitale che è determinante per raggiungere gli utenti finali o i fornitori.

Per l’Autorità l’assenza di contenuti musicali SIAE sulle piattaforme META era penalizzante per gli autori e metteva la SIAE in una posizione di debolezza, senza alternative di mercato.

L’AGCM inoltre aveva rilevato l’abuso di META perché in sostanza ostacolava il ricorso ad altri fornitori.

META ricorreva quindi contro la decisione di AGCM e la vicenda giungeva davanti al Consiglio di Stato.

Consiglio di Stato: SIAE non dipende economicamente da META

Il Consiglio di Stato ha esaminato vari aspetti del ricorso di META contro la sentenza del TAR Lazio.

Per prima cosa ha rilevato che l’AGCM ha fondato la sua decisione su un presupposto errato. La negoziazione infatti riguardava solo la raccolta di contenuti protetti dalla SIAE nell’Audio Library di META e non la concessione della licenza per la diffusione ai consumatori finali.

La non disponibilità di questi contenuti all’interno della Audio Library non impediva quindi la condivisione sui social network di quei contenuti che avevano un sottofondo musicale premontato. Per il Consiglio di Stato META inoltre non aveva un ruolo di intermediario, per cui l’assenza di un accordo con la SIAE non era di ostacolo alla fruibilità dei contenuti musicali sui social.

Il CdS inoltre ha ribaltato completamente l’affermazione dell’AGCM sulla presenza di alternative di mercato. Non è stato dimostrato infatti che gli utenti finali possano essere raggiunti solo tramite le piattaforme META. Meta non si è mai rifiutata di condividere le informazioni necessarie per valutare l’offerta. La stessa, a tale fine, aveva fornito una quantità significativa di dati.

Rinegoziazione: coerente con la Direttiva Copyright 790/2019

Il Consiglio di Stato in sentenza si è occupato inoltre dell’applicazione degli artt. 18 e 19 della Direttiva Copyright n. 790/2019, sottolineando come la rinegoziazione fosse coerente con la normativa europea, che richiede buona fede nello scambio di informazioni, senza ulteriori specificazioni.

Il CdS infine ha chiarito di non aver accertato in modo definitivo la posizione dominante di META nel mercato di riferimento e la condizione di dipendenza economica di SIAE. Questi aspetti dovranno essere valutati nel provvedimento finale dell’AGCM, quando si concluderà il procedimento principale.

 

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giurista risponde

Accesso al fascicolo digitale e terzo non costituito È possibile l’accesso al fascicolo digitale da parte del terzo non costituito?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, l’accesso al fascicolo digitale da parte del terzo non costituito è possibile e non si pone in contrasto con la disciplina primaria dell’istituto dell’intervento. – Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 12 aprile 2024, n. 5.

Preliminarmente è opportuno ricordare che, in materia di accesso al fascicolo digitale, l’art. 17, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 28 luglio 2021, consente l’accesso, previa autorizzazione del giudice, a coloro che intendano intervenire volontariamente nel processo. Tale previsione non si pone in contrasto con la disciplina primaria, non alterando i presupposti e le condizioni dell’istituto processuale dell’intervento, che restano disciplinati dagli artt. 28, 50, 51, 97, 102, comma 2, 109, comma 2, c.p.a. La facoltà di accesso al fascicolo è, infatti, funzionale al diritto di difesa, perché in caso contrario il terzo interverrebbe al buio e ciò comporterebbe ingiustificata ed eccessiva restrizione del diritto di difesa di chi aspira a conoscere gli atti di un processo in cui non è stato evocato.

Ad ogni modo, la norma non viola la disciplina in materia di protezione dei dati personali, atteso che, in base al diritto dell’Unione europea, il divieto di trattamento non opera se è necessario accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali.

Contributo in tema di “Accesso al fascicolo digitale e terzo non costituito”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

sottrarre rifiuti reato

Sottrarre rifiuti è reato Per la Cassazione, la sottrazione di rifiuti integra un reato vero e proprio in quanto non si tratta di res nullius

Sottrazione rifiuti

Sottrarre rifiuti integra un reato vero e proprio in quanto non si tratta di res nullius. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 25645-2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Palermo riformava parzialmente la decisione di primo grado che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato per il reato di cui agli art. 56, 10, 624, 625, primo comma, n. 2 e 7 cod. pen., per avere tentato di sottrarre materiale ferroso stoccato all’interno di una stazione concedendo la circostanza attenuante di cui all’art. 62, .n 4, cod. pen, e rideterminando, di conseguenza, la pena.

Il ricorso

Avverso la sentenza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione dolendosi della ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. “Pur avendo qualificato il materiale sottratto nei termini di ‘rifiuti in attesa di smaltimento’ – la corte territoriale a suo dire avrebbe poi – illogicamente ravvisato, nella condotta dell’imputato, il delitto di furto, laddove è evidente che appropriarsi di un rifiuto esclude in radice la configurabilità del delitto in parola”.

Dal momento che “l’imputato si è impossessato di un oggetto qualificabile, a tutto voler concedere, come res nullius, egli avrebbe dovuto – perciò – essere assolto, quantomeno ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.”.

Res nullius

Per gli Ermellini, tuttavia, il primo motivo è manifestamente infondato, “in quanto le res nullius sono le cose che non appartengono ad alcuno e non quelle per le quali sia, come nel caso di specie, certamente individuabile il titolare e anche il detentore, sul quale si concentra il fascio di poteri e (come, ad es., nel caso di rifiuti) di doveri che il legislatore delinea in relazione allo specifico regime giuridico di godimento e di disposizione degli stessi”.

La nozione di res derelicta – proseguono i giudici – “presuppone una situazione di abbandono del bene, quale sicuramente è da escludere nel caso di specie, proprio alla luce dell’evidenza che i lastroni avrebbero dovuto essere regolarmente smaltiti, secondo le procedure di legge”.

La giurisprudenza

In questi termini, peraltro, si è espressa la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, “in tema di reati contro il patrimonio, affinché una cosa possa considerarsi abbandonata dal proprietario, è necessario che, per le condizioni o per il luogo in cui essa si trovi, risulti chiaramente la volontà dell’avente diritto di disfarsene definitivamente” (cfr. Cass. n. 3910/2020).

Del pari, si è ritenuto che “integra il delitto di furto tentato la condotta di colui che cerchi di impossessarsi di materiali raccolti su un terreno privato e destinati allo smaltimento (nella specie, residui ferrosi derivanti dalla demolizione di pilastri), non potendosi per ciò solo escludere il requisito dell’altruità” (cfr. Cass. n. 7301/2014).

La decisione

Per cui la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio e dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

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rottamazione quater ufficiale rinvio

Rottamazione quater: ufficiale il rinvio al 15 settembre Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 108/2024 correttivo della riforma fiscale che rinvia ufficialmente la scadenza del 31 luglio al 15 settembre 2024

Rottamazione quater ufficiale il rinvio

E’ ufficiale l’atteso rinvio della quinta rata della rottamazione quater in scadenza al 31 luglio 2024.
Ieri erano scaduti anche i cinque giorni di tolleranza e ancora stamattina ci si domandava se e quando sarebbe arrivata l’ufficialità della proroga. La proroga è arrivata oggi con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto n. 108/2024, correttivo della riforma fiscale.

Non si tratta quindi di una riapertura dei termini ma di un differimento.

Art. 6 decreto 108/2024

Nell’art. 6 del decreto, recante “Disposizioni integrative e correttive in materia di regime di adempimento collaborativo, razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti tributari e concordato preventivo biennale” e in vigore da oggi 6 agosto viene stabilito infatti il “differimento al 15 settembre 2024 del termine di pagamento della rata della Rottamazione-quater scadente il 31 luglio 2024”.

“Il mancato, insufficiente o tardivo versamento della rata di cui all’articolo 1, comma 232, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, in scadenza il 31 luglio 2024, non determina l’inefficacia della definizione prevista dall’articolo 1, comma 231, della citata legge n. 197 del 2022 se il debitore effettua l’integrale pagamento di tale rata entro il 15 settembre 2024. Si applicano le disposizioni dell’articolo 1, comma 244, della predetta legge n.  197 del 2022”.

 

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