Art. 187 C.d.S.

Art. 187 C.d.S. giurisprudenza Guida in stato di alterazione psicofisica causata dall’assunzione di sostanze stupefacenti: analisi dell’articolo 187 C.d.S. e giurisprudenza

Cosa prevede l’art. 187 C.d.S.

L’articolo 187 del Codice della Strada contempla e punisce il reato di guida in stato di alterazione psico fisica causato dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Le pene base previste per questo reato sono l’ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e l’arresto che va da sei mesi fino a un anno.

A queste sanzioni penali si affianca sempre quella di natura amministrativa che prevede la sospensione della patente per un periodo che varia da uno a due anni.

Se il soggetto che commette il reato guida il veicolo di un’altra persona, che non ha nulla a che fare con il reato commesso, allora la durata di sospensione della patente viene raddoppiato, pertanto la stessa varierà da due a quattro anni.

La sentenza di condanna comporta sempre anche la confisca del veicolo con cui il responsabile ha commesso il reato, a meno che il mezzo non appartenga a una terza persona.

La patente invece viene sempre revocata quando a commettere il resto è il conducente di veicoli particolari, come gli autobus per esempio.

Le pene base sono raddoppiate se chi guida in tale stato di alterazione provoca un incidente stradale. In questo caso, salvo eccezioni, è prevista la revoca della patente.

La pena dell’ammenda viene invece aumentata da 1/3 alla 1/2 se il reato viene commesso tra le ore 22.00 e prima delle 7.00 del mattino.

Gli Organi della Polizia stradale possono sottoporre i conducenti ad accertamenti, purché non invasivi e rispettosi della riservatezza, anche avvalendosi di apparecchiature specifiche.

L’esito positivo di questi test legittima la richiesta di sottoporre i conducenti ad accertamenti ulteriori e più approfonditi di natura clinico tossicologica, che possono essere eseguiti anche presso strutture sanitarie fisse, se non è possibile eseguire diversamente il prelievo o se il conducente si oppone.

Effettuati i test le strutture sanitarie rilasciano apposita certificazione. Copia del refero viene trasmessa al prefetto del luogo in cui la violazione è stata commessa. Il conducente viene quindi sottoposto a visita medica e la patente viene sospesa in via cautelare.

La sanzione della pena detentiva irrogata può essere sostituita con il decreto penale di condanna o con il lavoro di pubblico utilità, il cui svolgimento effettivo viene verificato dall’ufficio locale di esecuzione penale. L’esito positivo del lavoro di pubblica utilità comporta l’estinzione del reato e la riduzione alla metà della durata della sospensione della patente e la revoca della confisca.

Qualora invece il lavoro di pubblica utilità non venga svolto in base agli obblighi che comporta, il giudice, su richiesta, può disporre la revoca della pena sostitutiva con quella prevista in origine, così come sospendere la patente e confiscare il veicolo, come previsto in origine.

Giurisprudenza della Cassazione sull’art. 187  C.d.S.

La norma analizzata si presenta complessa e strutturata. Tanti gli spetti giuridici che hanno richiesto chiarimenti da parte della giurisprudenza. Si riportano per questa ragione le massime di alcune recenti sentenze su alcuni degli aspetti più significativi della norma.

Cassazione 4606/2023: prova dello stato di alterazione

Affinché si configuri il reato contravvenzionale di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti   “lo stato di alterazione del conducente dell’auto non deve essere necessariamente accertato attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica”. Il giudice può desumerla infatti anche   dagli accertamenti biologici capaci di dimostrare la precedente assunzione dello stupefacente, “unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificatoNel caso di specie la Cassazione ha ritenuto che la Corte di appello abbia correttamente ritenuto sufficiente, per accertare l’assunzione di cannabinoidi “il riscontro dell’analisi compiuto sulle urine in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto sul conducente, costituiti da pupille dilatate, stato di ansia ed irrequietezza, difetto di attenzione, ripetuti conati di vomito, detenzione di involucri contenenti hashish”. 

Cassazione n. 40842/2023: consenso agli esami del sangue

In relazione al consenso all’esame ematico, la Cassazione rileva che i giudici territorialmente competenti abbiano applicato correttamente al caso di specie, principi consolidati per l’accertamento del tasso alcolemico,, ossia che il prelievo di campioni biologici (sangue ovvero urine e saliva) compiuto presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria, al solo fine di accertare il tasso alcolemico del soggetto per la ricerca della prova della sua colpevolezza, non richiede uno specifico consenso dell’interessato, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento”. 

Cassazione n. 31247/2023: violazione degli obblighi del lavoro di pubblica utilità

La Cassazione chiarisce che se il comportamento del condannato inadempiente che tuttavia non si è sottratto completamente al lavoro di pubblica utilità “ma ne abbia violato gli obblighi dopo una prima fase esecutiva caratterizzata da svolgimento regolare” comporta:

  • l’applicazione della sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell’art. 56 D.Lgs. n. 274/2000;
  • il prolungamento della durata della pena originaria che è stata sostituita per effetto della revoca. Al fine di scongiurare un inasprimento senza motivo del trattamento punitivo, in contrasto con la finalità rieducativa del reo a cui tende anche il lavoro di pubblica utilità occorre applicare il seguente principio di diritto: “l’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie”. 
equo compenso

Avvocati: l’equo compenso entra nel Codice Deontologico Il CNF ha approvato la nuova norma deontologica che sanziona il legale che concorda compensi troppo bassi o comunque ingiusti

Nuova norma deontologica equo compenso

Via libera alla nuova norma deontologica in materia di equo compenso prevista dalla legge 49/2023. Il Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 23 febbraio scorso ha approvato il testo del nuovo art. 25-bis in linea con l’obiettivo della legge di “garantire che gli avvocati ricevano un adeguato compenso per la loro attività professionale, contrastando al tempo stesso il fenomeno delle parcelle troppo basse o addirittura gratuite”.

La nuova norma è stata elaborata dalla Commissione deontologica del Consiglio Nazionale Forense, approvata in prima battuta dal CNF nell’ultima seduta amministrativa del 2023 e inviata, come previsto dalla legge professionale forense, ai Consigli dell’Ordine per la necessaria consultazione. Completati tutti i passaggi, il CNF ha approvato quindi la disposizione in via definitiva con piccole integrazioni.

Le sanzioni previste

Due le sanzioni disciplinari previste dalla nuova norma del codice deontologico forense. L’avvocato, infatti, precisa il CNF nella nota ufficiale, “non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti”. In caso di violazione, ciò comporterà “l’applicazione in sede disciplinare della censura”. Inoltre, “nei casi in cui l’avvocato stipuli una qualsiasi forma di accordo con il cliente, la norma richiede l’obbligo ad avvertire per iscritto il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare i criteri stabiliti dalla legge, pena la nullità della pattuizione”. In tal caso, la violazione di questa seconda disposizione normativa “comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento”.

L’iter

Le modifiche al codice deontologico degli avvocati entreranno in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, completando l’iter previsto dall’ordinamento forense.

Il testo del nuovo art. 25-bis

Di seguito il testo del nuovo art. 25-bis Cdf:

Art. 25-bis – Violazioni delle disposizioni in materia di equo compenso

  1. L’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti.
  2. Nei casi in cui la convenzione, il contratto, o qualsiasi diversa forma di accordo con il cliente cui si applica la normativa in materia di equo compenso siano predisposti esclusivamente dall’avvocato, questi ha l’obbligo di avvertire, per iscritto, il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia.
  3. La violazione del divieto di cui al primo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. La violazione dell’obbligo di cui al secondo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.