nuda proprietà

Nuda proprietà Nuda proprietà: cos’è, il legame con l’usufrutto, riferimenti normativi, vantaggi, svantaggi, aspetti fiscali e consolidazione

Cos’è la nuda proprietà

La nuda proprietà si distingue dalla piena proprietà, perché si realizza quando su un bene immobile gravano diritti di godimento a favore di altri soggetti. Chi possiede la nuda proprietà detiene la “scatola” dell’immobile, ma non può utilizzarlo o percepirne i frutti finché un altro soggetto, l’usufruttuario, ne ha il diritto.

Nuda proprietà e usufrutto

Per cogliere appieno la nuda proprietà, è quindi essenziale capire l’usufrutto. L’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui. L’usufruttuario può godere del bene, usarlo e trarne i frutti (naturali e civili), con il vincolo di rispettarne la destinazione economica, senza possibilità di cambiarla.

L’usufrutto può essere costituito per legge (usufrutto legale), per volontà delle parti (contratto o testamento) o per usucapione. La sua durata è limitata: esso si estingue con la morte dell’usufruttuario (se persona fisica) o decorso il periodo massimo di trent’anni (se a favore di persona giuridica). Questo significa che l’usufrutto non può essere trasmesso agli eredi dell’usufruttuario e, se ceduto a terzi, si estingue comunque con la morte del cedente originario.

L’usufruttuario, pur non essendo proprietario, può agire come tale agli occhi di terzi, possedendo il bene e potendolo affittare. Tuttavia, non può vendere l’immobile, ma solo il suo diritto di usufrutto.

Riferimenti normativi

La disciplina della nuda proprietà, poiché legata al diritto di usufrutto, è contenuta nell’articolo 978 e seguenti del Codice Civile, che regolamentano questo diritto reale.

Le norme di natura fiscale invece sono contenute nelle leggi fiscali e nei regolamenti degli enti locali competenti.

Acquisto della nuda proprietà

La nuda proprietà di un immobile si acquista comprando, ereditando o ricevendo in donazione un bene la cui piena titolarità è priva del diritto di utilizzo e di godimento fino alla morte dell’usufruttuario. Questa forma di acquisizione può essere vantaggiosa per diverse ragioni. Il suo valore economico, ad esempio, è inferiore a quello della piena proprietà, ma si ricompone una volta cessato l’usufrutto. In particolare, il valore della nuda proprietà vitalizia dipende dall’età dell’usufruttuario: più è anziano, maggiore è il valore della nuda proprietà al momento dell’acquisto, poiché la durata prevista dell’usufrutto è minore. Questo rende la nuda proprietà un investimento interessante, perché il suo valore può aumentare nel tempo, mano a mano che l’usufruttuario invecchia.

Vantaggi  

Acquistare la nuda proprietà offre quindi diversi vantaggi:

  • l’immobile viene acquisito a un prezzo inferiore rispetto alla piena proprietà;
  • il valore dell’immobile tende a crescere nel tempo con l’invecchiamento dell’usufruttuario e l’aumento del valore di mercato:
  • il nudo proprietario non deve sostenere le spese di manutenzione ordinaria, quelle di amministrazione e custodia, né il carico fiscale ordinario, che sono a carico dell’usufruttuario;
  • per chi vende, è un modo per ottenere liquidità mantenendo il diritto di abitare l’immobile;
  • per chi compra, può essere un investimento a lungo termine per i figli.

Svantaggi  

Nonostante i vantaggi, l’istituto presenta anche degli svantaggi:

  • il nudo proprietario deve attendere la cessazione dell’usufrutto per poter godere pienamente dell’immobile;
  • le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del nudo proprietario;
  • chi vende la nuda proprietà conservando l’usufrutto non può vendere il bene e deve conservarlo in buono stato.

Nuda proprietà e imposte

Il nudo proprietario non è gravato dai carichi fiscali sull’immobile, poiché questi sono a carico dell’usufruttuario. L’usufruttuario è tenuto infatti a pagare imposte come IMU, TASI e IRPEF. Al nudo proprietario spettano solo le imposte indirette, su una base imponibile ridotta del valore dell’usufrutto. All’inizio e alla fine dell’usufrutto, i carichi fiscali si ripartiscono proporzionalmente.

Estinzione usufrutto e acquisizione proprietà

Il nudo proprietario ottiene la piena titolarità dell’immobile alla cessazione dell’usufrutto grazie all’istituto della “consolidazione”, che si realizza quando i poteri di godimento e utilizzo si riuniscono.

L’usufrutto può estinguersi per diverse ragioni:

  • morte dell’usufruttuario (sia per usufrutto vitalizio che temporaneo);
  • scadenza del termine (per usufrutto temporaneo);
  • cessione del diritto dall’usufruttuario al nudo proprietario:
  • prescrizione, che si verifica e l’usufruttuario non esercita i suoi poteri per almeno vent’anni.
  • distruzione totale del bene causata dall’usufruttuario;
  • rinuncia dell’usufruttuario;
  • abusi o inadempimenti gravi dell’usufruttuario che causano un danno rilevante all’immobile, portando all’estinzione giudiziale dell’usufrutto e a un possibile risarcimento.

Leggi anche: Usufrutto: guida breve

vittimizzazione secondaria

Vittimizzazione secondaria Vittimizzazione secondaria: quando la vittima diventa nuovamente vittima, cosa dice la legge e la giurisprudenza

Cos’è la vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria è un fenomeno complesso che si verifica quando la vittima di un reato subisce ulteriori danni a causa del modo in cui viene trattata dalle istituzioni, dai media o dalla società. Si tratta di una forma di violenza che si aggiunge al trauma originale, aggravando le conseguenze psicologiche e sociali per la vittima.

Fasi del processo di vittimizzazione secondaria

Il processo di vittimizzazione secondaria può essere suddiviso in diverse fasi.

  1. Negazione o minimizzazione del trauma: la vittima può sentirsi non creduta o sminuita nelle sue sofferenze.
  2. Colpevolizzazione della vittima (victim blaming): la vittima viene ritenuta responsabile dell’accaduto, insinuando che avrebbe potuto evitarlo.
  3. Giudizio morale: la vittima viene giudicata per le sue scelte o comportamenti, spesso basati su stereotipi e pregiudizi.
  4. Mancanza di supporto: la vittima si sente isolata e abbandonata, senza ricevere il sostegno necessario per superare il trauma.
  5. Rivittimizzazione istituzionale: la vittima subisce ulteriori traumi a causa di procedure legali, mediche o sociali inadeguate.

Cosa dice la legge

La legge italiana, in particolare il “Codice Rosso” (Legge n. 69/2019), mira a contrastare la vittimizzazione secondaria, prevedendo misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere. La piena attuazione di queste misure richiede tuttavia un cambiamento culturale e una maggiore consapevolezza da parte di tutti gli operatori coinvolti.

Victim blaming: colpevolizzazione della vittima

Il victim blaming è una forma di vittimizzazione secondaria che consiste nell’attribuire la responsabilità del reato alla vittima stessa. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei casi di violenza sessuale, dove la vittima viene spesso giudicata per il suo abbigliamento, il suo comportamento o il suo stile di vita.

Conseguenze della vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria può avere gravi conseguenze sulla salute mentale e sul benessere della vittima, tra cui:

  • disturbo da stress post-traumatico (PTSD);
  • depressione;
  • ansia;
  • isolamento sociale;
  • difficoltà a fidarsi degli altri;
  • riluttanza a denunciare altri reati.

Come contrastare la vittimizzazione secondaria

Per contrastare la vittimizzazione secondaria, è necessario:

  • promuovere una cultura del rispetto e della non colpevolizzazione delle vittime di determinati reati;
  • formare gli operatori delle istituzioni per garantire un trattamento adeguato alle vittime;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi del victim blaming;
  • offrire sostegno psicologico e legale alle vittime.

Giurisprudenza  di rilievo

Cassazione n. 11631/2024: nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, se si sospettano violenze domestiche, il giudice deve valutare attentamente. Anche per fatti precedenti alla nuova legge, se non esclude la violenza e decide di adottare provvedimenti, deve considerare un aspetto cruciale. Deve verificare che le misure prese non creino ulteriori sofferenze o danni alla vittima. Questo significa evitare la “vittimizzazione secondaria”.

Cassazione n. 12066/2023: la Cassazione ha esaminato il caso di una donna condannata per calunnia. La Corte d’Appello di Bari riteneva che avesse falsamente accusato l’ex marito di violenza sessuale sul figlio. La Corte motivava la condanna ipotizzando un movente legato al rifiuto dell’uomo di sposarla. La Cassazione ha annullato la sentenza. Ha riconosciuto che la decisione della Corte d’Appello ignorava il concetto di vittimizzazione secondaria. Questo fenomeno si verifica quando la vittima subisce ulteriori danni dal sistema giudiziario durante il processo. La Cassazione ha sottolineato l’importanza di considerare questo aspetto nei casi di presunta violenza.

Cedu caso J.L. c. Italia 27.05.2021: gli Stati devono “organizzare la procedura penale in modo da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, e in particolare quella delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare (…)” Ciò significa che deve essere assicurata “una presa in carico adeguata della vittima durante la procedura penale, e questo al fine di proteggerla dalla vittimizzazione secondaria (…).”

 

Leggi anche gli articoli dedicati al Codice Rosso

spese processuali

Spese processuali anche se il reato è prescritto La sentenza della Cassazione chiarisce che la prescrizione non evita la condanna dell’imputato alle spese della parte civile

Spese processuali e prescrizione

Con la sentenza n. 18619/2025, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in materia di spese processuali in caso di estinzione del reato per prescrizione, affermando che l’imputato può essere comunque condannato al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, anche se non vi è stata pronuncia di colpevolezza.

Il fatto

Nel caso esaminato, il tribunale di merito aveva dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Nonostante ciò, il giudice aveva condannato l’imputato al pagamento delle spese legali sostenute dalla parte civile costituitasi nel processo. L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, sostenendo che, venendo meno l’accertamento della responsabilità penale, non vi fosse legittimazione a imporre il pagamento delle spese a suo carico.

La motivazione della Corte

La Cassazione ha rigettato il ricorso e ha riaffermato che:

“Nell’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, l’imputato può comunque essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte civile, non essendo la prescrizione indice di soccombenza”.

Secondo la Corte, la prescrizione non implica una pronuncia di assoluzione né tantomeno una valutazione favorevole in ordine alla fondatezza delle difese dell’imputato. Anzi, nel processo penale, la decisione di non proseguire per intervenuta estinzione del reato non impedisce al giudice di decidere sulle spese processuali, tenendo conto del comportamento complessivo delle parti.

Il principio di diritto affermato

Il principio sancito dalla sentenza è il seguente:

Anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, l’imputato può essere condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, soprattutto quando quest’ultima si sia costituita tempestivamente e la sua pretesa risarcitoria non sia risultata temeraria o strumentale.

Ciò si fonda sull’interpretazione sistematica dell’art. 541 c.p.p., secondo cui il giudice, nel disporre la condanna alle spese, può tener conto dell’andamento processuale e delle risultanze probatorie, pur senza emettere un giudizio di responsabilità.

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giurista risponde

Infedele patrocinio: il nocumento come elemento costitutivo della fattispecie Può ritenersi integrato il delitto di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p. al cospetto della violazione di doveri professionali dai quali non consegua alcun nocumento?

Quesito con risposta a cura di Giulia Boursier Niutta e Tiziana Cassano

 

In tema di reati contro l’attività giudiziaria, il reato di patrocinio infedele non è integrato dalla sola violazione dei doveri professionali, occorrendo anche la verificazione di un nocumento agli interessi della parte, che può essere costituito dal mancato conseguimento di risultati favorevoli, ovvero da situazioni processuali pregiudizievoli, ancorché verificatesi in una fase intermedia del procedimento, che ne ritardino o impediscano la prosecuzione. – Cass., sez. VI, 28 gennaio 2025, n. 3431.

Con sent. 3431/2025, la Suprema Corte – chiamata a pronunciarsi in tema di patrocinio infedele previsto e punito dall’art. 380 c.p. – conformandosi all’orientamento giurisprudenziale in seno alla stessa consolidatosi, è tornata a sancire la necessità, ai fini dell’integrazione del delitto di cui trattasi, della sussistenza di un concreto nocumento cagionato all’assistito al cospetto della condotta che si assume infedele del patrocinatore.

La pronuncia originava dal ricorso promosso dall’imputato avverso la sentenza emessa in grado d’appello confermativa della condanna di primo grado, con la quale veniva riconosciuta la responsabilità penale del prefato accusato di aver abbandonato la difesa del proprio assistito (omettendo di comparire e costituirsi in giudizio). Ebbene, la difesa ricorreva per Cassazione eccependo violazione di legge ed erronea affermazione della responsabilità penale in ordine al delitto di cui all’art. 380 c.p. per insussistenza degli elementi strutturali del reato (sub species dell’elemento soggettivo e oggettivo), atteso che:

  • nell’ambito dei tre procedimenti penali oggetto d’imputazione, l’assistito veniva prosciolto e che all’odierno ricorrente alcun emolumento veniva corrisposto;
  • con riferimento al procedimento di natura civile, al ricorrente non veniva conferito mandato alle liti, difettando così il presupposto di legittimazione del difensore a costituirsi in giudizio.

Alcun pregiudizio subiva la persona offesa, ravvisandosi l’assenza nocumento da intendersi non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale (Cass., sez. V, 3 febbraio 2017, n. 22978; Cass., sez. II, 14 febbraio 2019, n. 12361). Pertanto, nell’accogliere il ricorso, la Corte di legittimità ha sancito l’impossibilità di sussumere il concreto nell’alveo della fattispecie incriminatrice in esame partendo proprio dalla definizione del nocumento quale elemento costitutivo indefettibile della sussistenza dell’illecito penale. In plurimi arresti, infatti, il Supremo Consesso ha sancito il principio secondo il quale la sola violazione dei doveri professionali gravanti in capo al patrocinatore non sarebbe sufficiente ad integrare gli estremi del delitto de quo, essendo necessario che dalla stessa derivi la verificazione dell’evento ovverossia di un nocumento agli interessi della parte ravvisabile anche al cospetto del mancato conseguimento di risultati favorevoli, ovvero di situazioni processuali pregiudizievoli, ancorché verificatesi in una fase intermedia del procedimento, che ne ritardino o impediscano la prosecuzione (Cass., sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 8617; Cass. pen. 7 novembre 2019, n. 5764; Cass., sez. VI, 16 giugno 2015, n. 26542).

 

(*Contributo in tema di “Il delitto di infedele patrocinio: il nocumento come elemento costitutivo della fattispecie ”, a cura di Giulia Boursier Niutta e Tiziana Cassano, estratto da Obiettivo Magistrato n. 84 / Aprile 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

detrazione per figli a carico

Figlio maggiorenne: il genitore affidatario mantiene la detrazione La Cassazione conferma: la detrazione per figli a carico resta invariata al raggiungimento della maggiore età, senza bisogno di un nuovo accordo tra genitori separati

Detrazione per figli a carico maggiorenni

Detrazione per figli a carico: con l’ordinanza n. 15224/2025, la sezione tributaria della Cassazione ha stabilito un principio rilevante per le famiglie separate: il genitore affidatario può continuare a beneficiare della detrazione fiscale per i figli a carico anche dopo il compimento del diciottesimo anno di età del figlio, nella stessa misura prevista durante la minore età, senza necessità di stipulare un nuovo accordo con l’altro genitore.

Cartella esattoriale per detrazione “non condivisa”

Una madre, affidataria esclusiva dei figli, aveva fruito per intero della detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi, anche dopo che i figli avevano raggiunto la maggiore età. L’Agenzia delle Entrate le aveva contestato la mancata ripartizione del beneficio con l’ex coniuge, notificandole una cartella esattoriale da oltre mille euro.

La Commissione Tributaria Provinciale le aveva dato ragione, ma in appello la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva ribaltato il verdetto, affermando che – con la maggiore età dei figli – era necessario un nuovo accordo tra gli ex coniugi per regolare le detrazioni. La madre ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Nessuna norma impone un nuovo accordo

La Corte ha accolto il ricorso, censurando la tesi dell’Agenzia delle Entrate e della CTR. I giudici hanno chiarito che non esiste alcuna disposizione di legge che richieda un accordo tra genitori separati per continuare a fruire della detrazione al compimento della maggiore età del figlio.

Anzi, la Cassazione ha richiamato la prassi amministrativa della stessa Agenzia delle Entrate, la quale – con la circolare n. 15/E del 2007 e la successiva n. 34/E del 2008 – aveva già affermato che, in assenza di un diverso accordo, le detrazioni restano ripartite come in precedenza.

Detrazione per figli a carico: il principio della Cassazione

La Suprema Corte ha enunciato con chiarezza il seguente principio di diritto: “La detrazione fiscale per i figli a carico, prevista dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, è riconosciuta ai genitori, legalmente separati o divorziati, nella medesima misura in cui era ripartita nel periodo della minore età del figlio, quando quest’ultimo raggiunge la maggiore età, senza che sia necessario un accordo in tal senso tra i genitori”.

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Rimborso spese legali

Rimborso spese legali negato al dipendente che si sceglie l’avvocato La Cassazione chiarisce: nessun rimborso delle spese legali per il dipendente comunale che sceglie da solo l'avvocato

Rimborso spese legali dipendenti pubblici

Con l’ordinanza n. 15279 depositata il 9 giugno 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di pubblico impiego contrattualizzato, affrontando il tema del rimborso delle spese legali sostenute da un dirigente di un ente locale assolto in sede penale per fatti connessi all’attività istituzionale.

La decisione

Secondo la Suprema Corte, l’amministrazione non è obbligata a sostenere o rimborsare i costi della difesa tecnica se il dipendente ha provveduto autonomamente a nominare un legale di fiducia, senza averne prima informato l’ente di appartenenza o limitandosi a comunicare successivamente la nomina.

La decisione afferma il principio per cui, nei rapporti di pubblico impiego, la copertura delle spese legali da parte dell’amministrazione richiede una preventiva condivisione della scelta del difensore, oppure la possibilità, per l’ente, di valutarne la congruità. In mancanza di tale condizione, ogni spesa resta a carico personale del dipendente, anche se poi assolto nel merito.

Questo orientamento risponde all’esigenza di garantire un corretto bilanciamento tra la tutela del dipendente pubblico e l’interesse dell’amministrazione a un controllo preventivo sulla spesa.

Il principio

La Suprema Corte in definitiva ha affermato che: «In tema di pubblico impiego contrattualizzato e di oneri di assistenza legale in conseguenza di fatti commessi dal dipendente di un ente locale nell’espletamento del servizio e in adempimento di obblighi di ufficio, l’amministrazione pubblica non è tenuta a rimborsarlo delle spese necessarie per assicurare la difesa legale, ove egli abbia unilateralmente provveduto alla scelta e alla nomina del legale di fiducia, senza la previa comunicazione all’amministrazione stessa, o qualora, dopo avere effettuato la nomina, si limiti a comunicarla al detto ente».

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esenzione ticket sanitario

Esenzione ticket sanitario Esenzione ticket sanitario 2025: cos’è, tipologie, procedure per la domanda, perdita dell'esenzione, sanzioni e verifica

Cos’è il ticket sanitario

Prima di addentrarci nell’argomento dell’esenzione da ticket sanitario, occorre chiarire che il  ticket è una compartecipazione alla spesa sanitaria richiesta al cittadino per alcune prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), come visite specialistiche, diagnostica strumentale, esami di laboratorio e farmaci. In determinati casi, lo Stato riconosce l’esenzione totale o parziale da tale obbligo.

Cos’è l’esenzione dal ticket sanitario

L’esenzione dal ticket sanitario rappresenta un’importante misura di tutela per i cittadini che si trovano in condizioni economiche o sanitarie particolari. Consente di usufruire gratuitamente di visite specialistiche, esami diagnostici, prestazioni ambulatoriali e farmaci, nei limiti previsti dalla normativa vigente.

Nel 2025, le regole per ottenere l’esenzione sono state confermate con aggiornamenti agli importi dei limiti reddituali. Di seguito una guida completa per capire chi ha diritto all’esenzione, quali documenti servono e come fare domanda.

Tipologie di esenzione ticket sanitario

Le esenzioni si distinguono in due macro-categorie:

1. Esenzione per condizione economica (reddito e status sociale)

Queste esenzioni si basano sul reddito annuo del nucleo familiare fiscale e/o su particolari condizioni personali.

Nel 2025, le principali categorie sono:

Codice

Tipologia

Requisiti reddituali 2025

E01

Minori di 6 anni e over 65

Reddito familiare annuo ≤ € 36.151,98

E02

Disoccupati e familiari a carico

Reddito familiare annuo ≤ € 8.263,31 (aumentato a € 11.362,05 con coniuge, + € 516,46 per ogni figlio a carico)

E03

Titolari di assegno sociale

Nessun limite aggiuntivo oltre al trattamento

E04

Titolari di pensione minima over 60 e familiari a carico

Reddito complessivo ≤ soglia E02

NB: I limiti reddituali sono aggiornati ogni anno sulla base degli indici ISTAT.

2. Esenzione per motivi sanitari

Sono previste anche esenzioni legate allo stato di salute:

  • Per patologie croniche (es. diabete, ipertensione) – codice esenzione da 001 a 056.
  • Per malattie rare – codici specifici stabiliti dal Ministero della Salute;
  • Per invalidità civile, di guerra o per servizio – in base alla percentuale riconosciuta esenzione farmaci + prestazioni).
  • Gravidanza – prestazioni gratuite secondo i protocolli previsti.
  • Prevenzione (es. screening oncologici) – esami gratuiti secondo i piani regionali.

Come richiedere l’esenzione ticket nel 2025

La procedura da seguire per la richiesta di esenzione è diversa a seconda che l’agevolazione venga richiesta per reddito o per patologia.

Esenzione per reddito (E01, E02, E03, E04)

La procedura è automatizzata tramite l’Agenzia delle Entrate e il Sistema Tessera Sanitaria (STS). I soggetti aventi diritto risultano già inseriti negli elenchi regionali.

Come verificare o autocertificare:

  1. Accedere al sito del Sistema Tessera Sanitaria: sistemats1.sanita.finanze.it
  2. Inserire il codice fiscale e i dati richiesti.
  3. In caso di assenza nei dati pre-caricati, è possibile presentare un’autocertificazione presso:
    • l’ASL di competenza;
    • gli sportelli CUP (Centro Unico di Prenotazione);
    • i medici di medicina generale, abilitati ad aggiornare l’anagrafica esenzioni.

La dichiarazione ha validità annuale e deve essere rinnovata ogni anno entro il 31 marzo.

Esenzione per patologia o invalidità

In questo caso è necessaria la certificazione medica attestante la condizione:

  1. richiesta del certificato di esenzione presso la propria ASL;
  2. presentazione di documentazione sanitaria e verbale di invalidità (se applicabile);
  3. rilascio del codice di esenzione con registrazione sulla Tessera Sanitaria.

Chi può perdere l’esenzione

Secondo le disposizioni vigenti, l’esenzione decade automaticamente qualora vengano meno i requisiti reddituali, sanitari o anagrafici. Il cittadino ha l’obbligo di comunicare tempestivamente all’ASL eventuali variazioni. In caso contrario, può incorrere in sanzioni amministrative e nel recupero delle somme indebitamente non versate.

Cosa succede se si presenta una falsa autocertificazione?

La presentazione di una dichiarazione mendace costituisce reato ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. 445/2000. Oltre alla revoca dell’esenzione e alla richiesta di rimborso delle prestazioni, è possibile l’apertura di un procedimento penale.

Come verificare l’esenzione sul proprio profilo sanitario

Ogni cittadino può controllare lo stato dell’esenzione registrato sulla Tessera Sanitaria:

  • tramite il proprio Fascicolo Sanitario Elettronico regionale;
  • chiedendo al proprio medico di famiglia o specialista;
  • presso gli sportelli ASL o CUP.

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PNRR scuola

PNRR Scuola: legge in vigore PNRR scuola: in vigore dal 7 giugno la legge che prevede, tra le varie misure, un bonus per favorire l’assunzione dei ricercatori

PNRR Scuola: in vigore la legge

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2025 la legge n. 79/2025 PNRR Scuola di conversione del decreto n. 45/2025.

La legge in vigore dal 7 giugno 2025 si occupa di argomenti piuttosto eterogenei.

Le misure per la scuola

Per quanto riguarda l’edilizia scolastica il provvedimento stanzia nuovi fondi per la costruzioni di nuovi edifici,  e la messa in sicurezza di quelli esistenti. Si assisterà a una vera e propria riforma degli istituti tecnici. La legge introduce nuovi indirizzi e orari. Aumentano gli stanziamenti per i libri di testo. La carta del docente dal prossimo anno scolastico 2025-2026 avrà un importo massimo annuale di 500 euro. Gli esercenti avranno 90 giorni di tempo dalla validazione del buono per inviare le fatture. Scaduto il termine perderanno il diritto al rimborso.

Da menzionare anche le novità che riguardano la professione di guida turistica, il sistema di reclutamento del personale scolastico, la riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, la rimodulazione delle risorse assegnate al Ministero dell’istruzione e la mobilitazione straordinaria dei dirigenti scolastici

Bonus assunzione ricercatori 2025

Una delle misure più interessanti da segnalare però, è senza dubbio la misura finalizzata a favorire l’assunzione di giovani ricercatori da parte delle imprese italiane.

L’articolo 3 septies, contenente disposizioni urgenti per l’assunzione di giovani ricercatori da parte delle imprese, prevede un credito di imposta di 10.000 euro per ogni ricercatore assunto a tempo indeterminato dal 1° luglio al 31 dicembre 2025.

Questa norma va a modificare l’articolo 26 del DL n. 13/2023, che contiene disposizioni urgenti per attuare il PNRR e il PNC, al fine di perseguire gli obiettivi dell’investimento 3.3, Missione 4, componente 2 PNRR.

La disposizione va a modificare in particolare i commi 1, 2, 3 prevedendo alcune e importanti novità. La prima novità è rappresentata appunto dal bonus di 10.000 euro. Novità questa contenuta nel comma 1, che comporta l’abrogazione del comma 2 che prevedeva invece l’esonero dal versamento dei contributi.

La modifiche del comma 3 invece comportano la soppressione del concerto tra il Ministro dell’università e della ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il decreto attuativo delle predette disposizioni e il periodo di riferimento del limite di spesa di 150 milioni di euro, che ora va dal 1° luglio 2025 fino al 31 dicembre 2026.

 

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diffamazione

Diffamazione: l’uso del condizionale non basta per evitarla Cassazione: non basta il condizionale per evitare la diffamazione se la notizia è falsa e non verificata

Diffamazione online

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 14196 del 2025, ha stabilito un principio rilevante in materia di diffamazione a mezzo stampa e diritto di cronaca: l’impiego di forme verbali al condizionale non è sufficiente a escludere la lesione della reputazione altrui, qualora le informazioni diffuse siano false, offensive e prive di verifica.

Secondo i giudici di legittimità, non si può invocare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca – neppure nella sua forma putativa – quando l’articolo diffonde insinuazioni suggestive e ambigue, presentando fatti non veri come se fossero plausibili, soprattutto se associati ad accadimenti reali.

Il caso concreto

Nel caso esaminato, un giornalista era stato condannato per aver pubblicato un articolo in cui un appartenente alla Guardia di Finanza veniva indicato come “in combutta coi narcos” in relazione a un’operazione antidroga. La notizia, veicolata attraverso un blog, utilizzava il condizionale per insinuare il coinvolgimento dell’agente, ma non era fondata su riscontri oggettivi né su fonti attendibili.

La difesa aveva sostenuto che l’uso del condizionale escludesse l’intento diffamatorio, ma la Cassazione ha chiarito che tale forma linguistica non esclude la responsabilità, quando le espressioni sono idonee a indurre il lettore a ritenere veritiera una notizia falsa.

Cronaca e verità: i limiti dell’art. 21 Cost.

Il diritto di cronaca, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, incontra limiti precisi, fissati dalla giurisprudenza consolidata:

  1. Verità oggettiva della notizia, o quantomeno verità putativa, purché frutto di adeguate verifiche;

  2. Interesse pubblico alla diffusione del fatto;

  3. Continenza espositiva, ovvero modalità sobrie e rispettose nella narrazione.

L’assenza di uno di questi presupposti rende il contenuto potenzialmente diffamatorio e non giustificabile. L’utilizzo di un linguaggio allusivo o insinuante – anche se formalmente prudente – non è idoneo a scriminare la condotta lesiva.

La posizione della Cassazione

Nel testo della pronuncia, la Corte sottolinea che la carica offensiva di un’esposizione redazionale che mescoli fatti veri e non veri, con l’uso di espressioni ambigue e condizionali, è persino superiore rispetto a forme dubitative o interrogative. L’ambiguità narrativa può infatti generare nel lettore medio la convinzione di trovarsi di fronte a una verità oggettiva.

In assenza di verifica delle fonti e di riscontri concreti, il condizionale non solo non attenua, ma rafforza la responsabilità del cronista, specialmente quando si attribuiscono fatti penalmente rilevanti a soggetti determinati.

patrocinio infedele

Patrocinio infedele Patrocinio infedele: quando l’avvocato risponde penalmente – guida completa all’art. 380 c.p.

Cos’è il patrocinio infedele

Il reato di patrocinio infedele si configura quando l’avvocato, agendo con dolo, viola consapevolmente i doveri di fedeltà e lealtà nei confronti del proprio assistito, arrecandogli un danno giuridicamente rilevante. Si tratta di una fattispecie che tutela l’integrità del rapporto fiduciario tra difensore e cliente, ponendosi al crocevia tra diritto penale, deontologia forense e responsabilità professionale.

Normativa di riferimento: art. 380 codice penale

Il testo dell’art. 380 c.p. recita: “Il patrocinatore (…) che,  rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516.”

Il legislatore con questa norma intende colpire penalmente le condotte scorrette e sleali del difensore, che tradiscono gli interessi del proprio cliente con comportamenti fraudolenti.

Quando si configura il reato di patrocinio infedele

Il reato si perfeziona quando sussistono due elementi fondamentali:

  • un comportamento sleale o doloso dell’avvocato nell’esercizio dell’attività difensiva o di assistenza;
  • la lesione dei diritti della parte assistita, cagionata da tale comportamento.

Non si tratta di una semplice negligenza o imperizia, ma di una vera e propria infedeltà dolosa, come ad esempio:

  • la mancata presentazione intenzionale a un’udienza rilevante;
  • l’acquiescenza consapevole a provvedimenti sfavorevoli;
  • l’omissione di atti fondamentali per interesse proprio (es. favorire la controparte);
  • la comunicazione fraudolenta di informazioni al cliente, al solo fine di indurlo a rinunciare a un diritto.

Elemento oggettivo del reato

Sul piano oggettivo, il reato di patrocinio infedele richiede:

  • un atto o comportamento attivo od omissivo del difensore;
  • che tale condotta abbia precluso o danneggiato i diritti della parte;
  • che la condotta sia fraudolenta, ossia accompagnata da un elemento di inganno o dissimulazione.

Elemento soggettivo: il dolo specifico

Affinché si configuri il reato è sufficiente la presenza del dolo generico, ovvero  la rappresentazione e la volontà, anche eventuale, delle conseguenze dell’evento.

L’avvocato non risponde penalmente se:

  • agisce in buona fede;
  • commette un errore tecnico con colpa;
  • svolge l’attività con imperizia o superficialità, ma senza volontà fraudolenta.

Il momento consumativo del reato

Il reato si consuma nel momento in cui si materializza la lesione degli interessi del cliente. Non è sufficiente che si realizzi la mera lesione dell’interesse al regolare funzionamento della giustizia.

Procedibilità, competenza e pena

  • Procedibilità: il reato è procedibile d’ufficio.
  • Competenza: spetta al Tribunale in composizione monocratica.
  • Pena prevista: reclusione da uno a tre anni e multa don inferiore a 516,00 euro.

Violazione grave del rapporto fiduciario

Il patrocinio infedele costituisce una delle violazioni più gravi che un avvocato possa commettere nei confronti del proprio cliente. La norma mira a tutelare la fiducia nella funzione difensiva, cardine del giusto processo. La responsabilità penale si affianca a quella disciplinare e civile, e può comportare radiazione dall’albo, sanzioni economiche e pregiudizi irreparabili per la parte lesa.

Giurisprudenza rilevante sul patrocinio infedele

La Cassazione penale è intervenuta più e più volte per chiarire alcuni aspetti importanti del reato.

Cassazione n. 13084/2025: Nell’accertare il reato di infedele patrocinio, il giudice non può limitarsi a esaminare singoli atti isolati. È invece essenziale contestualizzare l’intera attività professionale svolta dall’avvocato, inserendola nella linea difensiva complessiva e nella strategia processuale adottata per raggiungere gli obiettivi del cliente. Questo approccio permette di valutare se il patrocinatore abbia intenzionalmente tradito il suo obbligo di curare gli interessi della parte, in conformità con il mandato ricevuto, le regole professionali e le incombenze processuali.

Cassazione n. 341/2025: il reato di patrocinio infedele ai sensi dell’articolo 380 del Codice Penale non si configura con la sola violazione dei doveri professionali. È infatti necessario che si verifichi un nocumento agli interessi della parte, il quale può manifestarsi come il mancato ottenimento di risultati favorevoli o la creazione di situazioni processuali pregiudizievoli, anche se queste si presentano in una fase intermedia del procedimento, ritardandone o impedendone il prosieguo. Questo nocumento, inteso come conseguenza della violazione dei doveri professionali, costituisce l’evento del reato. Tale evento non è necessariamente un danno patrimoniale in senso civilistico, ma può consistere anche nel mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, inclusi quelli di natura morale, che sarebbero derivati da un esercizio corretto e leale del patrocinio legale.

Cassazione n. 25766/2023: Il delitto di patrocinio infedele, delineato dall’articolo 380 del Codice Penale, si perfeziona nel momento in cui il professionista compie un’azione o un’omissione che, oltre a rappresentare un’infedeltà ai suoi doveri professionali, risulta capace di arrecare un nocumento agli interessi della parte che sta rappresentando, assistendo o difendendo.

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