Quesito con risposta a cura di Silvia Mattei e Michele Pilia
In tema di violenza sessuale, il consenso al compimento dell’atto sessuale non solo deve sussistere al momento del fatto, ma anche essere liberamente espresso in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’eventuale e antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (Cass., sez. III, 21 gennaio 2025, n. 2381).
Oggetto di scrutinio da parte della Suprema Corte nella sentenza in commento è la rilevanza del comportamento della persona offesa, antecedente al fatto, ai fini della sussistenza del consenso al momento dell’atto sessuale tale da escludere il reato di cui all’art. 609bis c.p.
La Corte di Appello, in totale riforma della sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale, ha assolto l’imputato dal delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609bis c.p. con formula perché il fatto non sussiste, ritenendo sussistere ragionevoli dubbi sul fatto che l’imputato abbia imposto alla parte offesa un approccio sessuale violento, in ragione del presunto consenso da questa prestato. Avverso la pronuncia di secondo grado è stato proposto ricorso in Cassazione da parte del Procuratore Generale e della costituita parte civile. In particolare, il Procuratore Generale ha presentato due motivi di doglianza con i quali ha lamentato rispettivamente con il primo motivo la violazione di legge e vizio di motivazione per mancato ottemperamento degli standard logici e normativi concernenti la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, atteso che l’esito assolutorio a cui è giunta la sentenza d’appello è frutto di una visione parziale e atomistica del compendio istruttorio; con il secondo motivo è stata, invece, denunciata la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata in caso di overturning migliorativo. La parte civile, altresì, ha dedotto con un unico motivo violazione di legge e vizio di motivazione, nonché travisamento del fatto e della prova, considerato che secondo le prospettazioni della accusa privata la sentenza gravata ha proposto una ricostruzione dei fatti e una valutazione delle risultanze processuali in radicale contrasto con il compendio probatorio raccolto in sede dibattimentale, non valorizzando elementi di prova conducenti inequivocabilmente verso una pronuncia di condanna dell’imputato, ponendo, altresì, in dubbio il presunto libero consenso all’atto sessuale espresso dalla persona offesa ritenuto sussistente dai giudici d’appello.
La Suprema Corte, sebbene la difesa dell’imputato abbia chiesto con memoria la dichiarazione di inammissibilità o comunque il rigetto dei due ricorsi, ha ritenuto questi fondati per i motivi di seguito sintetizzati.
In primo luogo, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso in ragione della violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata in caso di overturning della sentenza di primo grado in senso favorevole all’imputato, posto che la Corte distrettuale non ha adeguatamente enucleato un percorso argomentativo dotato di maggiore persuasività.
Secondariamente, per quanto di maggiore interesse in questa sede, i giudici di legittimità hanno riconfermato il consolidato principio di diritto enucleato in massime precedenti secondo il quale il consenso al compimento dell’atto sessuale non solo deve sussistere ma deve anche essere liberamente espresso in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’eventuale antecedente condotta provocatoria da parte della persona offesa: anche quando il fatto sia preceduto da effusioni o da provocazioni, tale condotta non può mai implicare una presunzione di consenso agli atti sessuali posti in essere successivamente (Cass. 4 marzo 2022, n. 7873). Pertanto, il momento che deve essere preso in considerazione, ai fini del reato di violenza sessuale, è quello del compimento dell’atto sessuale, in relazione al quale va verificata la sussistenza del consenso dell’atto stesso, non rilevando, nemmeno sul piano causale, il comportamento provocatorio antecedente della vittima. La presenza del consenso non può essere dedotta da circostanze esterne al perimetro del fatto (quale l’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa) ovvero desunto dai costumi sessuali della stessa e deve perdurare per tutto il rapporto senza soluzione di continuità (Cass. 5 aprile 2019, n. 15010); la revoca dello stesso intervenuta in itinere può desumersi da fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà.
Nel caso di specie, non è stato possibile desumersi il consenso ad un rapporto sessuale completo dalla pregressa presenza di effusioni tra l’imputato e la persona offesa, la quale si è allontanata sotto la pioggia pur di lasciare l’abitazione dell’imputato.
In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per nuovo giudizio da svolgersi secondo i criteri indicati.