Esercizio abusivo della professione di avvocato
Reato per l’avvocato che deposita in commissione senza abilitazione. E’ integrato infatti l’esercizio abusivo della professione di avvocato per chi senza essere abilitato deposita ricorsi alla commissione tributaria. Così la sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 25006/2024.
La vicenda
Nella vicenda, la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Savona rideterminava
la pena, quantificata in mesi sei di reclusione ed euro 10.000 di multa, nei confronti di un soggetto in ordine al delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato ex art. 348 cod. pen., e dichiarava non doversi procedere per prescrizione in ordine al delitto di truffa aggravata.
Il ricorrente adisce il Palazzaccio denunciando, tra l’altro, la carenza degli elementi necessari ai fini dell’integrazione del delitto contestato in quanto i ricorsi depositati presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona, erano stati presentati da altro professionista regolarmente abilitato che collaborava con lo stesso, né veniva dimostrato che fosse stato il ricorrente ad averli depositati.
La decisione
Sul fronte dell’entità della pena, la S.C. osserva innanzitutto che “la pena in concreto irrogata per il delitto di esercizio abusivo della professione ex art. 348 cod. pen. è illegale là dove è stata quantificata secondo la forbice edittale non ancora vigente al momento della commissione dei fatti, invero, risalenti al 1 febbraio 2013 ed al 15 aprile 2014”.
La fondatezza del motivo in punto di trattamento sanzionatorio determina la prescrizione del reato, con la necessità di annullare senza rinvio la decisione impugnata.
Tuttavia, in ragione della presenza della parte civile costituita, la Cassazione ritiene necessario dare conto dell’infondatezza del primo motivo di ricorso con cui si contesta il personale contributo fornito dal ricorrente alla condotta qualificata ex art. 348 cod. pen.
“Sotto tale aspetto – aggiungono gli Ermellini – il ricorso si presenta generico e riproduttivo di identica censura adeguatamente vagliata dalla Corte d’appello, che ha rilevato come il coinvolgimento del ricorrente emergesse dalle dichiarazioni rese dai testimoni e dalla coimputata oltre che dall’apprezzata documentazione acquisita, rilevando come proprio il contenuto del mandato alla lite apposto a margine dei ricorso smentisse l’assunto secondo cui lo stesso si fosse limitato a fornire consigli al professionista abilitato all’attività difensiva prestata in occasione della presentazione dei ricorsi presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona”.
Le citate ragioni, “che danno conto della realizzazione della condotta generatrice del danno nei confronti della costituita parte civile, assistita legalmente da chi era privo di un titolo ad esercitare la professione forense, impongono la conferma delle statuizioni civili”.
Per cui, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili.
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