sottrazione minori

Sottrazione di minori: disciplina e sanzioni Una breve guida sulla sottrazione di minori, un reato che il nostro Codice Penale disciplina in tre varianti negli articoli 573, 574 e 574 bis c.p.

Il reato di sottrazione di minore

La sottrazione di minore è un reato disciplinato dal Codice Penale italiano, che mira a proteggere i minori da azioni illecite che possono compromettere il loro benessere e la loro crescita. Questo reato è regolato principalmente dagli articoli 573, 574 e 574 bis del Codice Penale. Vediamo in dettaglio cosa prevedono questi articoli e quali sono le implicazioni legali.

Sottrazione consensuale di minorenni

L’articolo 573 del Codice Penale punisce chiunque sottrae un minore ultra quattordicenne, con il consenso di quest’ultimo, al genitore che ne esercita la responsabilità genitoriale o al tutore o lo ritiene contro la volontà di questi soggetti. La pena prevista è la reclusione fino a due anni. Il minore, anche se esprime il consenso alla sottrazione non può essere considerato come compartecipe al reato, bensì oggetto materiale dell’illecito penale. Il suo consenso quindi non conduce all’applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 62  n. 5 del Codice penale. Trattasi di un reato punibile a querela della persona responsabile del minore.

Sottrazione di persone incapaci

L’articolo 574 del Codice Penale si occupa della sottrazione di persone incapaci, includendo sia i minori di anni 14 che gli adulti incapaci di intendere e di volere. La pena prevista è la reclusione da uno a tre anni. Il reato si configura in presenza della sottrazione o della ritenzione di questi soggetti deboli al tutore, al curatore e a coloro che ne hanno la vigilanza, la custodia, la responsabilità genitoriale. Anche in questo caso il reato è perseguibile a querela della persona che esercita la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore. La stessa pena è prevista nei confronti di chi sottrae o ritiene un minore ultra quattordicenne, senza il suo consenso, per finalità diverse da quelle della libidine o del matrimonio.

Sottrazione e trattenimento di minore all’estero

L’articolo 574 bis punisce chi sottrae un minore portandolo all’estero o trattenendolo all’estero contro la volontà del genitore o del tutore legale. La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso nei confronti di un minore ultra quattordicenne e con il suo consenso, la pena va da sei mesi a tre anni.  Se il fatto viene commesso da un genitore, la condanna conduce anche alla sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Implicazioni legali e consigli pratici

La sottrazione di minore è un reato grave che può comportare pesanti conseguenze legali. È fondamentale che i genitori e i tutori legali comprendano i propri diritti e le implicazioni di queste norme. In caso di sottrazione, è consigliabile rivolgersi immediatamente alle autorità competenti e cercare assistenza legale, ma non solo.

Per prevenire questo tipo di reato è necessario educare i minori sui rischi associati alla sottrazione e vigilare, ossia svolgere un’attività di monitoraggio delle relazioni e delle attività dei minori.

Nel caso in cui il reato si sia già perfezionato è necessario compiere due step fondamentali: il primo richiede la segnalazione immediata del caso alle autorità, il secondo  invece consiste nella richiesta di un supporto legale. 

 

 

fondo garanzia mutuo prima casa

Mutui casa: per giovani e famiglie garanzia fino al 90% Istruzioni e chiarimenti sul Fondo di garanzia per i mutui prima casa nella nuova guida realizzata dall'Abi e dalle associazioni dei consumatori per il 2024

La guida sul fondo di garanzia acquisto prima casa

Agevolazioni e corsie preferenziali per giovani e famiglie numerose che acquistano una prima casa. Grazie al fondo di garanzia per i mutui prima casa infatti questi soggetti possono arrivare ad ottenere una garanzia addirittura fino al 90% del capitale di finanziamento richiesto. Questi ed altri chiarimenti sono illustrati nella guida 2024 preparata dall’Abi (Associazione bancaria italiana) e dalle principali associazioni dei consumatori con l’obiettivo di spiegare ai cittadini il funzionamento dello strumento pubblico del Fondo di garanzia, a quali mutui si applica e chi può farne richiesta.

La guida è in formato digitale, realizzata con un linguaggio semplice e accessibile e disponibile anche sulla pagina dedicata sul sito Abi.

Fondo di garanzia per i mutui prima casa: cos’è

Il Fondo di garanzia per i mutui prima casa, si ricorda, è destinato a favorire l’accesso ai mutui per l’acquisto – o per acquisto e ristrutturazione per efficientamento energetico – della prima casa a beneficio dei cittadini che non siano proprietari di altri immobili a uso abitativo, rilasciando garanzie pari al 50% della quota capitale su mutui ipotecari erogati per un importo non superiore a 250 mila euro.

Le condizioni e le agevolazioni

In generale, per l’accesso alla garanzia del Fondo non sono previsti limiti di reddito dei mutuatari.

Specifiche agevolazioni sono tuttavia previste per categorie di clienti individuati come “prioritari” quali in particolare: giovani e giovani coppie, con mutuatario di età inferiore ai 36 anni; e nuclei familiari monogenitoriali con figli minori. Per questi soggetti fino al 31 dicembre 2024 è previsto che, se l’importo del mutuo è superiore all’80% del prezzo dell’immobile da acquistare, la garanzia del Fondo può arrivare fino all’80% della quota capitale del finanziamento. Per le famiglie numerose la garanzia può invece arrivare fino al 90%.

Come accedere al fondo

Per richiedere di usufruire della misura, occorre compilare il modulo pubblicato sul sito di Consap, che si occupa della gestione del Fondo (www.consap.it/fondo-prima-casa/) e presentarlo ad una delle banche e degli intermediari finanziari aderenti all’iniziativa, il cui elenco è disponibile sul sito del gestore del Fondo.

stipendio contanti

Stipendio in contanti: quando è possibile? Lo stipendio in Italia non può essere corrisposto in contanti, ci sono però delle eccezioni a questa regola, vediamo in quali casi

Stipendio in contante

E’possibile di ricevere lo stipendio in contanti anziché tramite i tradizionali mezzi di pagamento tracciabili?  Questa soluzione può risultare particolarmente vantaggiosa per chi non possiede un conto corrente bancario e non intende aprirne uno per evitare le spese di gestione.

E’ opportuno tuttavia ricordare che il pagamento dello stipendio in contanti è generalmente vietato in Italia. Esistono però diverse soluzioni per i lavoratori che non possiedono un conto corrente. Vediamo quindi in dettaglio come un lavoratore senza conto corrente possa ricevere il proprio stipendio e quali sono le condizioni previste dalla legge.

Divieto di pagamento in contanti

Per prima cosa occorre chiarire che il nostro ordinamento giuridico vieta al datore di lavoro di corrispondere lo stipendio in contanti direttamente al lavoratore. È importante conoscere e rispettare le normative per evitare sanzioni e garantire la tracciabilità dei pagamenti. Il datore di lavoro infatti non può pagare il dipendente in contanti, ma deve utilizzare metodi tracciabili. Vediamo quali sono:

  • Carta Prepagata

Una prima soluzione per chi non possiede un conto corrente è l’uso di una carta prepagata. Queste carte, attivabili presso le banche o gli uffici postali, non richiedono l’associazione a un conto corrente. I pagamenti tramite carta prepagata sono tracciabili, poiché il datore di lavoro deve conservare le ricevute dei versamenti effettuati.

  • Versamento su conto corrente di terzi

Un’altra opzione è la richiesta di versamento dello stipendio su un conto corrente intestato a una terza persona, come un familiare o un amico. La legge italiana permette questo tipo di operazione, a condizione che ci sia una delega scritta e datata in cui il lavoratore autorizzi il pagamento su un conto diverso dal proprio. La delega è molto importante perchè:

  • esime il datore di lavoro da responsabilità future relative all’inadempimento del pagamento dello stipendio;
  • protegge il datore di lavoro da possibili sospetti di lavoro “in nero” durante i controlli fiscali;
  • fornisce una giustificazione legale al terzo che riceve le somme di denaro sul proprio conto corrente.
  • E-Wallet

Un’alternativa moderna per ricevere il pagamento dello stipendio è anche l’uso di e-wallet, come PayPal, che permette il trasferimento rapido di somme di denaro con elevata tracciabilità.

Soci di cooperative

Ci sono poi situazioni particolari, come quelle che riguardano i soci di cooperative che svolgono attività lavorativa e che possono ricevere il pagamento della retribuzione tramite versamenti sul “libretto del prestito” aperto presso la cooperativa, purché richiesto formalmente dal socio lavoratore e debitamente registrato.

Eccezioni alla regola

È possibile in ogni caso ricevere il pagamento dello stipendio in contanti, rispettando alcune condizioni. Il pagamento deve avvenire presso la banca o l’ufficio postale dove il datore di lavoro ha il conto corrente, consentendo una registrazione immediata dell’operazione e garantendo la tracciabilità del trasferimento di denaro. Tuttavia, questa modalità è discrezionale per il datore di lavoro, che non è obbligato a utilizzarla.

Categorie di lavoratori escluse dal divieto

L’eccezione al divieto di effettuare il pagamento dello stipendio in contanti riguarda comunque anche certe categorie di lavoratori:

  • lavoratori domestici;
  • beneficiari di borse di studio;
  • tirocinanti;
  • titolari di rapporti autonomi di natura occasionale.

Sanzioni in caso di violazione

Il datore di lavoro che effettua il pagamento dello stipendio in contanti in casi non consentiti è soggetto a sanzioni amministrative che variano da 1.000 a 5.000 €. L’entità della sanzione dipende dal numero di mensilità pagate in contanti, non dal numero di lavoratori coinvolti.

L’alcoltest non vale come prova La Cassazione ha ricordato che, poiché l’esame strumentale tecnico non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di cui all’art. 186 cod. strada

Guida in stato di ebbrezza

Nel caso di specie, l’automobilista ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione avverso la sentenza di merito con cui era stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 186 cod. strada, recante “Guida sotto l’influenza dell’alcool”.

In particolare, il ricorrente ha rilevato come, nel corso del giudizio di merito, non fosse stata comprovata la sussistenza dello stato di ebrezza, poiché il suo tasso alcolemico, all’epoca dei fatti, era stato rilevato in ragione delle sole dichiarazioni rese dagli agenti intervenuti. Invero il ricorrente ha contestato la carenza di dati tecnici obiettivi, la cui assenza non avrebbe consentito di stabilire in termini certi il livello di alcol effettivamente presente nel suo sangue al momento dei fatti.

Lo stato di ebrezza, secondo le doglianze formulate dall’imputato, non avrebbe potuto essere infatti dimostrato dagli elementi sintomatici riscontrati all’epoca dei fatti, quali, il suo stato confusionale, gli urti della sua autovettura al marciapiedi e la mancata risposta alle sollecitazioni degli agenti.

Etilometro non costituisce prova legale

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20763-2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nella specie, il Giudice di legittimità ha anzitutto contestato la fondatezza del ricorso proposto per motivi processuali, ritenendolo pertanto inammissibile.

Ciò posto, la Corte ha ad ogni modo affrontato brevemente la doglianza eccepita, ricordando la precedente giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, secondo la quale “poiché l’esame strumentale non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall’art. 186 cod. strada e, qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrue motivazioni”.

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Suprema Corte ha pertanto concluso il proprio esame rilevando che “in assenza di espletamento di un valido esame alcolimetrico, il giudice di merito può trarre il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebrezza dalla presenza di adeguati elementi obiettivi e sintomatici, che, nel caso in esame, i giudici di merito hanno congruamente individuato in aspetti quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato dal (ricorrente) alla vista degli operatori, certamente riconducibile ad uso assai elevato di bevande alcoliche (..) per come evincibile dalla riscontrata presenza di un forte odore acre di alcol, nonché dall’assoluta sua incapacità di controllare l’autoveicolo in marcia e di rispondere alle domande rivoltegli dagli agenti”.

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nuovo processo cognizione

Nuovo processo di cognizione: va rispettato il contraddittorio La Corte Costituzionale si è pronunciata sul nuovo processo ordinario di cognizione introdotto dalla riforma Cartabia

Nuovo processo di cognizione e contraddittorio

Nel nuovo processo ordinario di cognizione, la previsione secondo cui il giudice decide con decreto in ordine alle verifiche preliminari, prima dell’udienza di comparizione, va inteprretata in modo che sia rispettato il principio del contraddittorio. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 96-2024, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 171-bis cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022 (riforma Cartabia), che prevede, nell’ambito della nuova disciplina del processo ordinario di cognizione, l’emanazione di un decreto di fissazione dell’udienza da parte del giudice, prima del deposito delle memorie illustrative delle parti e della comparizione delle stesse; decreto con cui il giudice, prima dell’udienza stessa e senza sentire le parti, decide in ordine alle “verifiche preliminari”.

Non fondata la qlc

La Corte ha ritenuto, innanzi tutto, non fondata la denunciata violazione della legge di delega (art. 76 Cost.), considerando che le “verifiche preliminari” compiute dal giudice nella fase iniziale della controversia sono riconducibili alla finalità di realizzare la concentrazione processuale nell’ottica della ragionevole durata del processo.

La Consulta ha altresì escluso che vi sia una ingiustificata disciplina differenziata (art. 3 Cost.), nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio con il decreto di fissazione dell’udienza, tra quelle che il giudice può decidere, già in tale decreto, e quelle che lo stesso giudice si limita a segnalare alle parti stesse affinché possano trattarle già nelle memorie di cui all’art. 171-ter cod. proc. civ.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 24 Cost. – prospettata sotto il profilo dell’attribuzione al giudice del potere di emanare provvedimenti fuori udienza e senza alcun contraddittorio preventivo con le parti – la Corte ha ritenuto non fondata la prospettata questione a condizione che si dia un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

L’importanza del contraddittorio

Ribadita la fondamentale importanza del contraddittorio «quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo» che «chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice», il giudice delle leggi ha svolto una serie di considerazioni in chiave di interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

Innanzitutto, il giudice, nell’esercizio del potere direttivo del processo demandato allo stesso in generale dall’art. 175 cod. proc. civ., può fissare un’udienza ad hoc qualora avverta l’esigenza di interloquire con le parti sui provvedimenti da assumere all’esito delle “verifiche preliminari”.

Parimenti, scrive la Corte, “ove il giudice ritenga di adottare direttamente il decreto, la parte che non condivide il provvedimento emesso può richiedere la fissazione di un’udienza per discuterne in contraddittorio, onde evitare una successiva regressione del procedimento. Una tale udienza, se fissata dal giudice, realizza il contraddittorio delle parti prima di quella di comparizione e trattazione della causa. In ogni caso – ha sottolineato la Corte – il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., senza la fissazione di un’udienza ad hoc, può essere oggetto di discussione all’udienza di comparizione alla presenza delle parti”.

All’esito di tale udienza, i provvedimenti assunti con decreto, una volta vagliate le ragioni delle parti, possono essere confermati, modificati o revocati con ordinanza del giudice.

La Corte ha ulteriormente puntualizzato che, se la parte aveva chiesto, senza esito, la fissazione di un’udienza per interloquire con il giudice sui provvedimenti emanati con il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., alcuna conseguenza processuale pregiudizievole (quale, in ipotesi, l’estinzione del processo) può essere posta a carico della stessa, ove essa non si sia conformata a tale provvedimento confidando nella possibilità di argomentare le proprie ragioni nel contraddittorio delle parti.

Può esserci, in tal caso, ha concluso la Consulta, un allungamento dei tempi del processo, ma l’esigenza di rapidità non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il contraddittorio tra le parti, atteso che «un processo non giusto, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata».

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assistenza precompilata 2024

Precompilata 2024: assistenza extra del fisco Call center attivo anche nelle mattine di sabato 1 e 15 giugno, l'Agenzia delle Entrate illustra l'assistenza extra per i contribuenti

Precompilata 2024, assistenza telefonica extra

Un supporto in più dedicato ai cittadini che desiderano avere maggiori informazioni o assistenza per consultare e inviare la propria dichiarazione dei redditi precompilata. Lo comunica l’Agenzia delle Entrate, rendendo noto che il proprio call center sarà attivo, oltre ai consueti orari (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 17), anche sabato 1° e sabato 15 giugno dalle 9 alle 13.

Un’iniziativa che ha il fine di “potenziare il servizio di assistenza telefonica dell’Agenzia in questa prima fase della stagione dichiarativa”.

I numeri

Per entrare in contatto con un esperto del Fisco, illustrano le Entrate, basterà comporre il numero verde 800.90.96.96 da rete fissa, lo 06.97.61.76.89 da cellulare o lo 0039.06.45.47.04.68 dall’estero.

Il servizio è curato dai consulenti telefonici delle Entrate che hanno aderito all’iniziativa ed è rivolto esclusivamente ai cittadini. Al termine della chiamata sarà anche possibile esprimere, in forma anonima, un giudizio sull’assistenza ricevuta.

Informazioni anche online

Rimane sempre il supporto web, grazie al sito dedicato “Info e assistenza” dove sono raccolti tutti i contenuti sulla stagione dichiarativa 2024 e le risposte alle domande più frequenti.

Disponibili inoltre sul sito delle Entrate una guida dedicata con i passi da seguire per inviare, con o senza modifiche, la dichiarazione 2024 e le guide a tema sulle agevolazioni della dichiarazione 2024.

Infine, a supporto anche il video pubblicato sul canale istituzionale YouTube che mostra in pillole le modalità per accedere e le principali date da ricordare.

mediazione faq avvocatura

Mediazione: “la quiete dopo la tempesta” Il ministero della Giustizia annuncia l'incontro con l'avvocatura dopo la bufera sulle faq relative alla mediazione e pubblica le nuove

Mediazione, riunione ministero- avvocatura

“Al contrario di quanto rappresentato mediaticamente, in materia di mediazione già lo scorso giovedì è avvenuta in via Arenula una riunione tra i vertici del Gabinetto del Ministero della Giustizia, gli uffici tecnici competenti, il presidente dell’Ocf e delegati Cnf specializzati sul tema”. Così in una nota via Arenula, annunciando la pubblicazione di nuove faq relative alla mediazione.

Le faq incriminate

Tutto ciò dopo la “bufera” scatenata dopo la pubblicazione sul sito del ministero della giustizia di alcune faq sugli organismi di mediazione. Nella sostanza, alcune risposte relative al decreto 150/2023, dipingevano un quadro a tinte fosche, regole che, secondo gli avvocati, potevano anche portare ad una “sospensione delle attività” degli organismi di mediazione e paralizzare l’intero procedimento “in danno dei cittadini”.

A lanciare l’allarme è stato l’OCF, che in una nota parlava di “sconcerto” per la previsione che l’avvocato “il quale intenda divenire responsabile di un organismo debba dimostrare di possedere la qualifica di mediatore, nonostante il chiaro disposto dell’art 16, comma 4-bis, del D. Lgs. 28/2010 secondo il quale gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”. Ma non solo. Si lamentava “il rischio di una complessiva privatizzazione della mediazione”, derivante da un’altra Faq, per la quale non potrebbe essere nominato responsabile dell’organismo il presidente del Consiglio dell’Ordine o un consigliere, “in danno della parità di trattamento tra Organismi pubblici e privati e della libera scelta per i cittadini di rivolgersi agli uni o agli altri”.

Da qui la richiesta al ministero di una “immediata revoca delle faq” quanto meno relativamente alle parti “censurate” e l’apertura di un confronto con le rappresentanze dell’avvocatura.

Tutto è bene …

E via Arenula, “in spirito di collaborazione” si è dimostrata disponibile a chiarire i punti delle faq sulla mediazione “considerati problematici dall’Avvocatura”. Come “unanimemente concordato nella riunione – ha affermato dunque il ministero – saranno pubblicate nuove Faq, per specificare ulteriormente i punti controversi e venire incontro alle esigenze rappresentate”.

Le nuove faq

Nella stessa giornata del 3 giugno sono state modificate, quindi, le risposte, andando incontro alle richieste dei legali. Nello specifico, tra l’altro: cade l’incompatibilità tra l’incarico di responsabile dell’organismo e quella di consigliere dell’Ordine degli avvocati e viene eliminato il passaggio che stabiliva che laddove l’organismo di mediazione fosse costituito da una fondazione creata dal COA non potesse avere sede nei locali dati dal tribunale all’ordine stesso; è stato precisato inoltre che l’ente istituente e l’organismo di mediazione possono avere unico bilancio.

Rimane il nodo della scadenza per l’iscrizione nel registro fissata al 15 agosto prossimo. L’avvocatura ha chiesto la proroga ma pesano sul rinvio i vincoli del PNRR.

Le nuove faq sul sito del ministero

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede la nuova legge In vigore dal 14 giugno 2024 la legge su bullismo e cyberbullismo che istituisce anche la giornata del rispetto e prevede misure concrete per la tutela delle vittime

Bullismo e cyberbullismo: la nuova legge

Nella seduta di mercoledì 15 maggio 2024 la proposta di legge bipartisan per contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo ha ricevuto il voto unanime della Camera. Il testo unificato è stato approvato dopo le modifiche apportate al Senato ed è legge dello Stato.

La legge 70 2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio per entrare in vigore il 14 giugno 2024.

Tra gli elementi di novità da segnalare c’è una definizione più completa e specifica di bullismo, l’adozione di un codice di prevenzione e di un servizio di  sostegno psicologico nelle scuole e l’istituzione della “Giornata del rispetto”  che sarà celebrata il 20 gennaio, giorno di nascita di Willy Monteiro, il ragazzo ucciso mentre tentava di difendere un amico da un pestaggio.

Al Governo il compito di adottare disposizioni più specifiche entro un anno dall’entrata in vigore del testo di legge.

Definizione di bullismo

Il testo amplia e dettaglia la definizione di bullismo ossia “l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni.”

Codice interno per le scuole

Ogni istituto scolastico dovrà adottare un codice interno per prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo e dovrà istituire un tavolo permanente di monitoraggio, di cui faranno parte i rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti di settore.

Sostegno psicologico per studenti

Le scuole potranno anche creare servizi di sostegno psicologico per gli studenti al fine di prevenire  fattori di rischio o disagio. All’interno delle scuole di ogni ordine e grado potranno essere istituiti anche servizi di coordinamento pedagogico per promuovere il pieno sviluppo delle potenzialità dei bambini e dei ragazzi agendo principalmente sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo.

Emergenza infanzia 114

Al governo il compito di potenziare il servizio di assistenza per le vittime di atti di bullismo e cyberbullismo tramite il numero pubblico “Emergenza infanzia 114” a cui potranno cedere gratuitamente 24 ore su 24 le vittime, ma anche i congiunti e in generale tutti coloro che con la vittima hanno una relazione affettiva. Grazie a questo numero sarà possibile usufruire di un servizio di prima assistenza di natura psicologica e giuridica e nei casi più gravi si potrà informare l’organo di polizia competente.

Giornata del rispetto

Istituita la giornata del rispetto per il  20 gennaio, in memoria di Willy. L’evento nelle scuole potrà essere preceduto nella settimana precedente da iniziative finalizzate alla sensibilizzazione sul fenomeno.

Progetto di intervento educativo

Al minore che tiene condotte aggressive (anche in modalità telematica) nei confronti di persone e animali e che viene processato dal Tribunale dei minorenni, potrà essere dedicato un percorso di mediazione o un progetto di intervento educativo con l’obiettivo di rieducare il minore e riparare il danno arrecato, il tutto sotto il controllo dei servizi sociali. Concluso il percorso il Tribunale potrà confermare l’esito, disporre che lo stesso prosegua o collocare il minore presso una comunità.

pensione anticipata e di vecchiaia

Pensione anticipata e di vecchiaia: come ottenere l’assegno Regole e importi per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata 2024: le novità della legge di bilancio e i chiarimenti INPS

Pensione di vecchiaia 2024

La circolare INPS n. 46/2024 spiega quali sono le novità previste dalla legge di bilancio 2024 e di bilancio pluriennale per gli anni 2024-2026 in materia di pensioni di vecchiaia e di pensione anticipata nel sistema contributivo.

Con riferimento alla pensione di vecchiaia, dal 1° gennaio 2024 per i lavoratori il cui primo accredito contributivo decorre dalla data del 1° gennaio 1996 cambia il requisito dell’importo soglia, che è pari all’assegno sociale, il cui valore provvisorio per il 2024 è di Euro 534,41.

In relazione al trattamento pensionistico maturato in base alle nuove regole in vigore dal 1° gennaio 2024, esso decorre:

  • dal 2 gennaio 2024 se liquidato d carico della AGO (Assicurazione generale obbligatoria);
  • dal 2 febbraio 2024 invece se gestito a carico dell’AGO, di forme sostitutive della stessa, della gestione separata (art. 2, co. 26, legge n. 335/1995) in regime di cumulo (legge n. 228/2012; dlgs n. 184/1997).

Pensione anticipata 2024

Dal 1° gennaio 2024 cambiano gli importi soglia per accedere alla pensione anticipata prevista dall’art. 24 co. 2 del D.L n. 201/2011, calcolati sulla base del valore provvisorio dell’assegno sociale, che nel 2024 è pari a Euro 534,41:

  • l’importo soglia è pari a 3 volte l’assegno mensile dell’assegno sociale (Euro 1.603,23);
  • detto importo è ridotto a 2,8 per le donne con un figlio (Euro 1.496,35);
  • e scende a 2,6 per le donne che hanno due o più figli (Euro 1.389,46).

La pensione anticipata non può superare il valore lordo mensile pari a 5 volte del trattamento minimo previsto dalle leggi vigenti, per le mensilità di anticipo rispetto a quando questo diritto maturerebbe per il raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico. Fino a quando non maturano i requisiti necessari al conseguimento della pensione di vecchiaia, la pensione anticipata non può essere superiore a 5 volte del trattamento minimo previsto per ogni anno, importo che per il 2024 è fissato in via provvisoria a Euro 2.993,05.

Raggiunto il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia il pagamento  avviene per l’importo intero della pensione perequata nel tempo. Il requisito anagrafico da prendere come riferimento per il calcolo della pensione nella misura intera è quello richiesto per accedere alla pensione di vecchiaia. Per i bienni 2023/2024 e 2025/2026 il requisito anagrafico richiesto è di 67 anni.

L’importo massimo da porre in pagamento riguarda le pensioni che decorrono dal 2 gennaio 2024 (se liquidate dalla gestione esclusiva AGO) o dal 1° febbraio 2024 (se liquidate dall’AGO, da forme sostitutive della stessa, dalla gestione separata o in regime di cumulo).

Il diritto alla prima decorrenza utili della pensione anticipata, in base alle nuove regole, si consegue una volta che siano decorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti previsti (finestra).

Il trattamento pensionistico che matura in base ai requisiti stabiliti dalla legge di bilancio 2024 non può decorrere prima del 2 aprile 2024 (liquidazione a carico della AGO, delle forme sostitutive, della gestione separata e in regime di cumulo) o dal 1° maggio se liquidato dall’AGO, da forme sostitutive, dalla Gestione separata o in regime di cumulo. Per il comparto scuola e AFAM valgono invece le regole di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.

Adeguamenti alla speranza di vita

La legge di bilancio 2024 introduce un ulteriore e importante elemento di novità, sempre in relazione alla pensione anticipata. Dal 1° gennaio 2024 il requisito dei 20 anni di contribuzione effettiva deve essere adeguato alla speranza di vita del soggetto come previsto dall’art. 12 del DL n. 78/2010.

Il comma 12 ter di detto articolo prevede infatti che ogni anno l’ISTAT debba rendere disponibile entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento “il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita”. Detti requisiti, come risulta dal decreto direttoriale del 18 luglio 2023 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero del Lavoro, non sono incrementati con riferimento al biennio 2025/2026.

amministrazione sostegno

Amministrazione di sostegno: il punto della Cassazione La Cassazione ripercorre disciplina e giurisprudenza sull'amministrazione di sostegno e indica i presupposti per la sua applicazione 

Amministrazione di sostegno: la vicenda

Un soggetto propone reclamo nei confronti del decreto del tribunale che, accogliendo le richieste dei fratelli, ha nominato in suo favore un amministratore di sostegno.

La Corte d’Appello accoglie il reclamo perché ritiene non convincente la consulenza psicologica espletata sul soggetto amministrato. Per l’autorità giudiziaria di secondo grado il reclamante ha la capacità di agire. I procedimenti giudiziari di natura civile e penale intrapresi dal reclamante per poter ottenere la liquidazione della sua quota ereditaria, non rappresentano un presupposto sufficiente per la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli, poco convinti della decisione, ricorrono in Cassazione.

Amministratore di sostegno per chi è incapace di gestire i propri interessi

Nel ricorso i fratelli espongono che da tempo sono in contrasto con l’amministrato perché le richieste sull’eredità paterna avanzate in sede civile e penale sono sproporzionate e controproducenti per lo stesso. Il fratello risulta avere infatti esposizioni debitorie con il fisco e con diversi professionisti tanto che lo stesso è esposto a diverse azioni esecutive che intaccano ancora di più le sue disponibilità economiche. Queste le ragioni per le quali hanno ritenuto necessario chiedere la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli contestano la decisione con la quale la Corte di Appello ha disposto la revoca della nomina dell’amministratore di sostegno perché è stata accertata un’infermità e una ridotta capacità di gestire i propri interessi. Denunciano l’inoltre l’omesso esame di fatti decisivi e controversi, che dimostrerebbero l’incapacità del fratello di tutelare la propria persona e i propri averi. I molteplici incarichi professionali conferiti, le successive revoche, le iniziative penali risultate infondate, le aspettative sproporzionate e irragionevoli sull’eredità e i debiti maturati nei confronti degli investigatori privati confermano la diagnosi del C.T.U relativa al deficit cognitivo del fratello.

Amministrazione di sostegno: analisi dell’istituto

Prima di giungere alla decisione finale la Cassazione (n. 14681-2024) ripercorre la legislazione e la giurisprudenza sull’istituto dell’amministrazione di sostegno, esponendo quanto segue.

L’amministrazione di sostegno è un istituto che è stato introdotto dalla legge numero 6/2004 per tutelare i soggetti deboli e per offrire a chi si trova in una condizione di impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (a causa di una infermità o menomazione fisica non necessariamente di natura mentale), uno strumento di assistenza.

A differenza degli istituti della inabilitazione e della interdizione l’amministrazione di sostegno sacrifica in misura minima la capacità di agire del soggetto, conservandone la libertà decisionale e aiutandolo nel compimento delle attività quotidiane senza sostituire però la loro volontà.

L’amministrazione di sostegno infatti è un istituto che tutela e protegge il beneficiario, ma il suo contenuto è meno afflittivo rispetto all’interdizione. Il beneficiario, per quanto possibile, conserva la sua autonomia e la sua autodeterminazione.

L’istituto non è previsto per coloro che si trovano in una condizione di incapacità di intendere di volere, esso presuppone una condizione “attuale” di capacità menomata, che ponga il soggetto in una condizione di impossibilità di provvedere in modo autonomo, in tutto o in parte, ai propri interessi. L’amministrazione di sostegno non è applicabile ai soggetti che sono pienamente capaci di autodeterminarsi, anche se affetti da una menomazione fisica. L’applicazione dell’istituto comporterebbe infatti una limitazione ingiustificata della capacità di agire soprattutto per i soggetti   pienamente lucidi.

Il giudice di merito, nel valutare la nomina dell’amministratore di sostegno, deve tenere conto, in base ai criteri di proporzionalità e funzionalità, dei seguenti aspetti:

  • attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato;
  • gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno dell’interessato;
  • circostanze caratterizzanti la fattispecie per assicurare un supporto adeguato alle esigenze del beneficiario senza penalizzarlo.

I punti di forza dell’istituto sono rappresentati dal dinamismo e dalla flessibilità, tanto è vero che l’amministratore di sostegno ha il dovere di riferire periodicamente al giudice tutelare le attività di gestione del patrimonio svolte, ma anche il cambiamento eventuale delle condizioni di salute e di vita personale e sociale dell’amministrato. Il provvedimento che dispone la nomina dell’amministratore di sostegno pertanto è sempre suscettibile di modifiche e adeguamenti.

Come sancito dall’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite le caratteristiche dell’amministrazione di sostegno impongono che l’accertamento dei presupposti di legge venga compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata rispetto alle condizioni del beneficiario, accertabili anche mediante c.t.u, ma anche rispetto all’incidenza delle stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere autonomamente ai propri interessi personali e patrimoniali. I poteri di gestione ordinaria dell’amministrazione di sostegno devono essere delineati e direttamente proporzionati ai suddetti elementi, di modo che risultino funzionali agli obiettivi specifici della tutela, comportando diversamente una limitazione ingiustificata della capacità di agire della persona. Ne consegue che, se il beneficiario affetto da disabilità fisica si opponga all’amministrazione, il giudice deve ne dovrà tenere conto e valutare altresì le soluzioni alternative proposte dallo stesso, se illustrate con specificità e concretezza.

Il decreto di nomina del giudice tutelare deve essere quindi specifico e individualizzato, deve indicare l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario e indicare quali sono gli atti che il beneficiario è in grado di compiere da solo.

Tra gli atti per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, vi sono quelli di natura giudiziaria previsti dall’articolo 374 c.p.c (fatte salve alcune eccezioni) applicabile anche in caso di interdizione. Occorre chiarire però che l’amministrazione di sostegno si differenzia dall’interdizione perché non produce la perdita della capacità di agire del soggetto, che conserva la capacità di autodeterminarsi. Ai sensi dell’articolo 404 c.p.c infatti la persona sottoposta all’amministrazione di sostegno può essere assistita, ma l’amministratore di sostegno non ha un potere – dovere di sostituire il beneficiario.

Il giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno deve dare delle indicazioni “sartoriali” che possono riguardare sia la salute del soggetto che l’amministrazione del patrimonio del beneficiario, nel rispetto della capacità di auto determinazione del destinatario.

Sul tema delle azioni giudiziarie intraprese da un soggetto ritenuto incapace di provvedere ai propri interessi e quindi bisognoso di un’amministrazione di sostegno, è stato precisato che l’istituto non impedisce al destinatario di promuovere personalmente un giudizio, a meno che tale potere non sia escluso espressamente dal decreto di nomina. Il decreto di nomina non può però contenere un’autorizzazione generale alla promozione di giudizi, l’amministratore di sostegno deve infatti richiedere l’autorizzazione specifica al giudice tutelare.

La decisione della Cassazione

Passando all’esame del caso di specie la Cassazione ritiene che la decisione della Corte d’Appello debba essere cassata. Le azioni intraprese dal beneficiario sono tali da porlo in effetti a rischio di indigenza. Le ravvisate carenze cliniche poste a fondamento della misura avrebbero dovuto condurre a un ulteriore o rinnovato approfondimento di natura tecnico scientifica. La Corte di appello inoltre non ha valutato adeguatamente le condotte del beneficiario. La affermata responsabilità dei professionisti a cui il soggetto si è rivolto spostano il focus del problema. Se la Corte d’Appello avesse considerato l’adeguatezza degli strumenti giudiziari utilizzati per perseguire l’obiettivo desiderato dal beneficiario il quadro di debolezza e di fragilità del beneficiario sarebbe stato ricostruito correttamente. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, dovrà valutare l’opportunità di un’amministrazione di sostegno nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e della situazione specifica del soggetto.

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