elezione diretta presidente consiglio

Elezione diretta del Presidente del Consiglio Cosa prevede il ddl n. 935 di riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio che, dopo il passaggio in Commissione, è all’esame dell’assemblea del Senato

Elezione diretta del premier: il ddl n. 935

Il disegno di legge n. 935 per l’elezione del Presidente del Consiglio, presentato dall’attuale  presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 15 novembre 2023, dal 15 maggio è all’esame dell’assemblea del Senato dopo essere stato assegnato in sede referente alla prima Commissione Permanente Affari Costituzionali, che ha apportato alcune modifiche al testo base.

L’elezione diretta del PdC comporta la modifica degli articoli 59, 88, 92 e 94 del testo costituzionale. Questa proposta di legge costituzionale mira a rafforzare la stabilità governativa e a rendere più trasparente e diretta l’elezione del Presidente del Consiglio, mantenendo tuttavia intatti molti dei meccanismi di controllo e di bilanciamento presenti nella Costituzione italiana.

Analizziamo le principali novità in attesa della versione definitiva del testo.

Presidente del Consiglio eletto dal corpo elettorale

La modifica principale prevede che il Presidente del Consiglio sia eletto direttamente dai cittadini per un mandato di cinque anni, con la possibilità di essere rieletto per un massimo di due legislature consecutive, estendibili a tre in particolari condizioni.

Questo cambia l’articolo 92 della Costituzione. Una volta eletto, il Presidente del Consiglio riceve l’incarico di formare il Governo dal Presidente della Repubblica.

La procedura di nomina dei Ministri rimane invariata: proposta del Presidente del Consiglio eletto e nomina da parte del Presidente della Repubblica.

Da segnalare la clausola antiribaltone che prevede la sostituzione del Presidente del Consiglio solo da parte di un parlamentare della maggioranza al fine di portare avanti il programma di Governo.

Premio elettorale

La proposta introduce un sistema elettorale in cui le elezioni del Presidente del Consiglio e delle due Camere avvengono simultaneamente. Il Presidente del Consiglio eletto deve essere anche un parlamentare e deve essere eletto nella Camera in cui ha presentato la sua candidatura.

Per garantire una maggioranza parlamentare al Presidente del Consiglio, viene introdotto un premio elettorale nazionale, la cui esatta configurazione sarà definita dalla futura legge elettorale. Questa dovrà assicurare che l’elezione del Presidente del Consiglio porti anche all’elezione dei deputati collegati alla sua lista.

Rapporto fiduciario

Nonostante l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il Governo necessita ancora della fiducia delle Camere, come stabilito dall’articolo 94 della Costituzione. Se il Governo non ottiene la fiducia, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente del Consiglio eletto. In caso di mancato ottenimento della fiducia al secondo tentativo o in caso di revoca della fiducia, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere.

Ruolo del Presidente della Repubblica

Modifiche indirette anche al ruolo del Presidente della Repubblica. L’articolo 83 viene modificato per richiedere una maggioranza assoluta dal sesto scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica. Viene eliminata inoltre la necessità della controfirma ministeriale per alcuni atti presidenziali, come la nomina dei giudici della Corte costituzionale e del Presidente del Consiglio. Lo scioglimento anticipato delle Camere e la convocazione di sessioni straordinarie non sono tuttavia inclusi tra questi atti.

Senatori a vita

La proposta prevede la soppressione dell’istituto dei senatori a vita, con una disposizione transitoria che mantiene in carica quelli attuali. Non viene toccato l’istituto dei senatori di diritto a vita, come gli ex-Presidenti della Repubblica.

Scioglimento delle Camere

Il disegno di legge prevede poi che lo scioglimento delle Camere avvenga solo congiuntamente, eliminando la possibilità di scioglimento separato, come consentito dalla revisione costituzionale del 1963. La modifica mira a garantire la stabilità delle maggioranze governative.

Norme transitorie

Le norme transitorie prevedono che la legge costituzionale entri in vigore dopo il primo scioglimento o la cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore delle nuove regole.

Gli attuali senatori a vita inoltre restano in carica fino alla fine del loro mandato.

giurista risponde

Applicabilità art. 578bis c.p.p. La disposizione dell’art. 578bis c.p.p. è applicabile, in ipotesi di confisca per equivalente, ai reati ricompresi nell’originaria formulazione dell’art. 578bis c.p. e commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. 21/2018, che ha introdotto nel codice di rito la suddetta disposizione?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

La disposizione dell’art. 578bis c.p.p. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. 21/2018, che ha introdotto la suddetta disposizione. – Cass Sez. Un. 31 gennaio 2023, n. 4145.

La vicenda in esame trae origine da un ricorso con cui è stata eccepita la nullità delle disposizioni relative alla confisca per equivalente disposta ai sensi dell’art. 12bis, D.Lgs. 74/2000, sul presupposto che tale misura sarebbe illegittima per effetto della pronuncia della sentenza di estinzione dei reati per prescrizione.

Rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia di applicabilità della disposizione di cui all’art. 578bis c.p.p. anche alle confische disposte per fatti consumati prima dell’entrata in vigore della stessa, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Secondo un primo orientamento, l’art. 578bis c.p.p. consente la confisca per equivalente anche in caso di sentenza dichiarativa di prescrizione di un reato commesso anteriormente alla sua entrata in vigore. La disposizione in esame è infatti considerata norma di natura processuale, come tale soggetta al principio tempus regit actum.

In particolare, si ritiene che l’art. 578bis c.p.p. non introduca nuovi casi di confisca, ma si limiti a definire la cornice procedimentale entro cui la stessa può essere applicata, agendo su un profilo processuale e temporale e lasciando inalterati i presupposti sostanziali di applicazione del vincolo.

La norma si limita infatti a prevedere la possibilità per il giudice di appello o la corte di cassazione di applicare la confisca per equivalente anche in caso di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, purché sia accertata la responsabilità dell’imputato.

Altro orientamento, valorizzando la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, nega l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 578bis c.p.p. per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione. Si ritiene infatti che la stessa, producendo effetti sostanziali, non possa operare retroattivamente.

Si richiama in proposito l’insegnamento delle Sezioni Unite che, all’esito di un percorso giurisprudenziale, hanno affermato il principio di diritto – oggi superato, in ragione dell’introduzione dell’art. 578bis c.p.p. – secondo cui il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Cass. Sez. Un. 21 luglio 2015, n. 31617).

Le Sezioni Unite condividono tale ultimo indirizzo interpretativo, riconoscendo alla confisca per equivalente una natura prevalentemente afflittiva e sanzionatoria, così come in più occasioni chiarito anche dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In particolare, le Sezioni Unite, ricordando che la confisca per equivalente costituisce “una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”, potendo la stessa essere sempre disposta a prescindere dalla sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra i beni aggredibili e il fatto criminoso- ne hanno riconosciuto la natura punitiva.

Alla luce delle esposte considerazioni, le Sezioni Unite hanno conclusivamente rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dal primo degli orientamenti esaminati, l’art. 578bis c.p.p. non si presenta come una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell’ordinamento, in quanto la nuova disposizione attribuisce il potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena.

Pertanto, rilevata la natura anche di diritto sostanziale della disposizione in esame, si esclude che la confisca per equivalente possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi anteriormente alla sua introduzione.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. III, 22 aprile 2022, n. 15655; Cass., sez. III, 4 aprile 2022, n. 7882;
Cass., sez. III, 29 ottobre 2021, n. 39157; Cass., sez. III, 26 maggio 2021, n. 20793
Difformi:      Cass., sez. II, 10 maggio 2021, n. 19645; Cass., sez. VI, 7 maggio 2020, n. 14041; Cass., sez. III, 4 aprile 2020, n. 8785
mail prova

L’e-mail è prova scritta La Cassazione ha precisato che il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico che forma prova piena dei fatti e delle cose rappresentate

La prova per iscritto del contratto di assicurazione

Il caso che ci occupa, per quanto qui rileva, prende le mosse dalla decisione adottata dalla Corte territoriale in ordine all’inidoneità di un’e-mail di dimostrare, sul piano probatorio, l’esistenza e il contenuto di un contratto di assicurazione.

Nella specie, il Giudice di merito aveva ritenuto che il contratto di assicurazione, ai sensi dell’art. 1888 c.c., dovesse essere provato per iscritto e che tale prova non poteva ritenersi raggiunta nel caso sottoposto al suo esame, ove si era assistito ad uno scambio “di semplici, ordinarie e-mail e non già di scambio a mezzo di posta elettronica certificata”. Invero, aveva riferito la Corte territoriale “in caso di contratto da provarsi per iscritto lo scambio di mail non potrebbe (..) ricoprire lo stesso valore di una scrittura privata”.

Avverso tale decisione l’assicurato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La mail soddisfa il requisito della prova scritta

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14046/2024, ha accolto il motivo di ricorso con cui il ricorrente ha contestato il provvedimento impugnato in ordine al mancato riconoscimento dell’efficacia della prova scritta costituita dalla mail di cui si è dato sopra conto.

In particolare, il Giudice di legittimità, facendo riferimento al quadro normativo esistente all’epoca dei fatti di causa, ha ricordato che “Le condizioni richieste dalla legge affinché un documento informatico potesse ritenersi uno “scritto”, idoneo a soddisfare il requisito della forma ad probationem del contratto assicurativo, erano stabilite (…) dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. 82/2005”; tali norme, ha proseguito la Corte “distinguevano i documenti informatici sottoscritti con firma elettronica “semplice”, da quelli sottoscritti con firma elettronica “qualificata” o “digitale”. Posta tale distinzione, non vi è dubbio, afferma la Corte, che il caso in esame attiene ad un documento cui era stata apposta una firma elettronica semplice, rispetto alla quale le suddette norme attribuivano al giudice la valutazione in ordine all’idoneità del documento di rispettare il requisito di forma prescritto di volta in volta dalla legge.

In relazione a tale contesto normativo, ha precisato il Giudice di legittimità, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare le caratteristiche oggettive del documento, quali, in particolare, la sua qualità, sicurezza, integrità, immodificabilità, desumibili da elementi come: il formato file in cui il massaggio di posta elettronica è stato salvato, le proprietà dello stesso e altri elementi analoghi.

La suddetta valutazione doveva in questo senso essere compiuta alla luce del consolidato principio secondo cui “la prova scritta del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza (…), purché provenienti dalle parti e da questi sottoscritti, dai quali sia possibile desumere l’esistenza ed il contenuto del patto”.

I principi di diritto della Cassazione

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Corte ha concluso il proprio esame elaborando i seguenti principi desumibili dalla normativa di riferimento:

  • il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma semplice è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.;
  • se non ne sono contestati la provenienza o il contenuto, la mail prova piena prova dei fatti e delle cose rappresentate;
  • se ne sono, invece, contestati la provenienza o il contenuto, il giudice deve valutare il documento con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Ne consegue che, nel caso di specie, la Corte d’appello non avrebbe dovuto scartare l’e-mail in questione dal materiale probatorio sulla base dei soli rilievi della carenza di firma elettronica qualificata e della mancata adozione di modelli usualmente impiegati per quel tipo di contratti, ma avrebbe dovuto compiere le valutazioni prescritte dalla legge.

responsabilità 2051 c.c.

Responsabilità ex art. 2051 c.c. La responsabilità da custodia è di tipo oggettivo e può essere esclusa solo dall’assenza del nesso causale, come chiarito anche dalle Sezioni Unite

La responsabilità da custodia: natura e caratteri

La responsabilità da custodia è disciplinata dall’art. 2051 c.c. ed è costantemente oggetto di dibattito giurisprudenziale riguardo alla sua natura e, conseguentemente, agli oneri probatori a carico delle parti in causa.

Come vedremo tra breve, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sembrano aver sciolto definitivamente ogni dubbio in merito, definendo quella del custode come una responsabilità oggettiva, e non semplicemente presunta.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.: il caso fortuito

Cominciamo col ricordare il dato normativo, che dispone, in maniera molto essenziale, che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Ciò significa che il proprietario di una cosa, il suo detentore o in ogni caso chi ne abbia a carico compiti di vigilanza, manutenzione o controllo, viene ritenuto dall’ordinamento, per ciò stesso, responsabile dell’eventuale danno causato a terzi.

L’unico modo che il custode ha per andare esente da responsabilità – e quindi dai conseguenti obblighi risarcitori – è quello di dimostrare che il danno è derivato da caso fortuito, in tale espressione ricomprendendosi anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato.

Natura oggettiva della responsabilità da custodia

In termini strettamente giuridici, la questione relativa alla natura della responsabilità del custode e, conseguentemente, alle circostanze che possono escluderla, si risolve nell’analisi della rilevanza, o meno, della condotta del custode antecedente all’evento che ha causato il danno.

Ebbene, anticipiamo subito che, come hanno chiarito le SS.UU., tale condotta non ha alcuna rilevanza. In altre parole, una volta verificatosi il danno causato dalla cosa (si pensi ad un immobile in cattivo stato di conservazione, ad un’automobile parcheggiata, ad un marciapiede malandato in custodia al Comune, ad una pedana di legno all’interno di un negozio: gli esempi potrebbero essere infiniti) al custode non servirà a nulla dimostrare di aver provveduto alla regolare manutenzione dell’oggetto o alla sua vigilanza.

L’unico aspetto che rileva, infatti, è il nesso causale tra l’oggetto e il danno. È solo riguardo a ciò che il custode ha la possibilità di offrire una prova che escluda la sua responsabilità; e tale prova si sostanzia nel dimostrare che l’evento sia stato del tutto fortuito (si può fare il classico esempio di eventi naturali catastrofici), o che sia dovuto al fatto del terzo o dello stesso danneggiato.

Per inciso, va quindi rilevato che, nel caso in cui sia dimostrato il caso fortuito, l’eventuale assenza di regolare manutenzione o di effettiva vigilanza da parte del custode non comporta la sussistenza della responsabilità ex art. 2051 c.c. (ma solo, eventualmente, ex art. 2043 c.c.).

La pronuncia delle Sezioni Unite sulla responsabilità ex art. 2051 c.c.

In conclusione, la responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. è una responsabilità oggettiva e non una semplice responsabilità presunta.

In altre parole, al custode non è sufficiente dimostrare che la causa del danno non sia a lui imputabile, ma deve dimostrare l’assenza del nesso causale tra la cosa in sua custodia e il danno.

È questo il senso della pronuncia delle Sezioni Unite cui sopra si accennava, secondo cui “la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode” (Cass. civ., SS.UU., ord. n. 20943 /2022, che in narrativa richiama le sentenze Cass. civ., III sez., nn. 2480 e 2481 del 2018).

Come rateizzare le cartelle: la guida del fisco Pubblicato il vademecum, realizzato dall’Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate-Riscossione, per sapere come e quando è possibile rateizzare i debiti

Quali sono le cartelle che possono essere rateizzate

La guida sulla rateizzazione cartelle di pagamento realizzata dall’Agenzia delle Entrate e da AdeR delinea l’ambito applicativo della rateizzazione, riguardante le somme iscritte a ruolo (ovvero che risultano dovute dal contribuente a seguito dei controlli effettuati dall’Agenzia delle entrate, dall’INPS, dalle Regioni e dai Comuni) da:

  • Amministrazioni statali, Agenzie istituite dallo Stato, Autorità amministrative indipendenti e altri Enti pubblici previdenziali;
  • altri Enti creditori (Comuni, Regioni, ecc).

Sono invece escluse dall’ambito di applicazione della rateizzazione, le somme:

  • già oggetto di una precedente rateizzazione decaduta per mancato pagamento del numero di rate, tempo per tempo previsto;
  • riferite ai cosiddetti “debiti non dilazionabili”;
  • affidate da quegli Enti che hanno deciso di non delegare ad AdeR il potere di rateizzare i loro crediti;
  • oggetto della c.d. “Rottamazione ter” o della misura agevolativa del “Saldo e stralcio”.

Quali sono i presupposti per accedere alla rateizzazione

Per accedere al beneficio della rateizzazione, il contribuente deve dichiarare o anche comprovare, in sede di presentazione della richiesta:

  • la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economica che gli impedisce di far fronte in un’unica soluzione al pagamento del debito;
  • la comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica indipendentemente dalla propria responsabilità nel caso in cui, pur sussistendo i requisiti di “temporaneità”, il contribuente può sostenere l’onere finanziario del pagamento rateizzato solo se le rate sono superiori a 72;
  • il comprovato peggioramento del suo stato di temporanea difficoltà economica, nel caso in cui per sopraggiunti eventi, risultino peggiorate le sue condizioni patrimoniali e reddituali in misura tale da rendere possibile la rimodulazione del piano di rateizzazione precedentemente concesso.

Rateizzazione ordinaria

Se il contribuente vuole richiedere una rateizzazione (ordinaria) per debiti di importo fino 120 mila euro, deve dichiarare di trovarsi nelle condizioni di temporanea e obiettiva difficoltà economica, senza necessità di presentare la relativa documentazione a supporto.

Se invece il contribuente intende chiedere una dilazione (sempre ordinaria) per importi superiori a 120mila euro, lo stesso deve documentare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà, allegando alla domanda la certificazione relativa l’ISEE del nucleo familiare. In tali casi il numero di rate concedibili non può essere superiore a 72.

Rateizzazione straordinaria

Se il contribuente, oltre ad avere una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, ha anche “una comprovata e grave situazione legata alla congiuntura economica, per ragioni estranee alla propria responsabilità”, che non gli consente di sostenere il pagamento del debito secondo un piano ordinario in 72 rate mensili, può richiedere una rateizzazione straordinaria fino a 120 rate in 10 anni.

Rateizzazione in proroga

Se il contribuente dimostra il peggioramento della propria situazione, rappresentando un’obiettiva difficoltà economica intervenuta dopo la concessione della prima rateizzazione, l’Agenzia delle entrate-Riscossione può concedere al contribuente, per una sola volta, la rateizzazione in proroga.

Tale proroga può essere:

  • ordinaria fino a un massimo di ulteriori 72 rate;
  • straordinaria fino a un massimo di 120 rate, nel caso in cui oltre al peggioramento della situazione di difficoltà economica, sussiste anche la condizione di comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica

Effetti della rateizzazione

Con la presentazione della domanda di rateizzazione si producono una serie di effetti sul debito oggetto della richiesta, quali, nel dettaglio:

  • l’agenzia delle entrate-Riscossione non potrà avviare nuove procedure cautelari o esecutive (per esempio, pignoramenti), con alcune eccezioni individuate dalla guida stessa;
  • le azioni cautelari già iscritte/trascritte vengono mantenute e le azioni esecutive in corso proseguono;
  • le azioni di tipo conservativo proseguono o possono essere avviate, per permettere ad Agenzia delle entrate-Riscossione la conservazione delle garanzie sul patrimonio del debitore;
  • tutti gli interventi in procedure immobiliari promosse da terzi restano efficaci.

Come si richiede la rateizzazione?

L’art. 6 del vademecum indica le modalità per richiedere la rateizzazione del debito, stabilendo, in particolare, che:

  • per le rateizzazioni di importo fino a 120 mila, il contribuente si potrà avvalere del servizio “Rateizza adesso” disponibile sul sito internet di AdeR nell’area riservata, senza necessità di allegare il documento di riconoscimento e nessuna ulteriore documentazione a corredo;
  • per tutte le tipologie di rateizzazioni, indipendentemente dall’importo oggetto della richiesta, compilando l’apposito modello di istanza fornita dall’ AdeR, laddove prevista, la documentazione volta ad attestare le condizioni per ottenere la dilazione.
addebito separazione

Addebito della separazione: basta una sola violenza La Cassazione afferma che ai fini dell’addebito della separazione personale è principio generale quello secondo cui il giudice deve verificare se siano stati compiuti comportamenti in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio

Violazione dei doveri coniugali e crisi dei coniugi

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12662-2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal marito e condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali.

Per quanto qui rileva, il ricorrente ha contestato la decisione del Giudice di merito nella parte in cui la separazione personale era stata addebitata al marito in ragione della lesione personale contestata dalla moglie e consistente in un piccolo ematoma sul labbro inferiore.

Sul punto, la Corte ha rilevato che è principio generale quello secondo cui il giudice deve verificare, alla stregua delle risultanze acquisite con l’istruttoria, se siano stati compiuti comportamenti in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ex art 143 c.c., nonché accertare la sussistenza del nesso causale tra questi ultimi ed il verificarsi della situazione d’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Ne consegue, ha riferito il Giudice di legittimità che “la pronunzia di addebito della separazione non solo presuppone la violazione dei doveri coniugali, ma anche il nesso causale in ordine alla determinazione della crisi coniugale”.

La rilevanza dell’unico episodio violento

Ciò posto, la Corte ha precisato che i comportamenti del coniuge che sfociano in azioni violente e lesive dell’incolumità fisica dell’altro coniuge rappresentano, anche quando venga provato un unico episodio violento, “causa determinante dell’intollerabilità della convivenza”.

Invero, il comportamento sopra descritto, spiega la Corte è idoneo “a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona”.

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Corte non ha pertanto accolto il ricorso dell’ex marito e ha confermato, per quanto rileva nella presente trattazione, le argomentazioni e gli esiti cui era giunto il Giudice di merito.

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durata affitto turistico

Affitti brevi: legittimo il limite di 6 mesi per le prime case La Consulta legittima la previsione regionale della Val d'Aosta di un periodo massimo di durata della locazione turistica delle prime case

Durata massima affitti brevi

“L’art. 4, comma 1, lettera f), ultimo periodo, della legge della Regione Valle d’Aosta 18 luglio 2023, n. 11 (Disciplina degli adempimenti amministrativi in materia di locazioni brevi per finalità turistiche), nella parte in cui fissa in centottanta giorni la durata massima dell’attività di locazione degli alloggi a uso turistico costituiti da ‘camere arredate ubicate in unità abitative rientranti nella categoria di destinazione d’uso ad abitazione permanente o principale’ (prima casa), non concerne la disciplina della durata dei contratti di locazione turistica breve e, quindi, non incide sulla materia dell’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., al legislatore statale”. E’ quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94-2024, depositata oggi.

La questione di legittimità costituzionale

La Corte ha rigettato la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, affermando che “con la disposizione impugnata il legislatore regionale – nell’esercizio della competenza primaria in materia di urbanistica a esso affidata dall’art. 2, primo comma, lettera g), dello statuto speciale – ha inteso concretizzare quanto già stabilito nella legge urbanistica regionale”.

Infatti, la Regione ha configurato come mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, da abitazione principale (prima casa) ad abitazione temporanea (seconda casa), l’impiego di parti dello stesso (le “camere arredate”) a fini di locazione turistica breve per un tempo superiore a centottanta giorni annui, ritenendolo corrispondente a un uso “ non puramente occasionale e momentaneo”, in linea con gli artt. 73 e 74 della legge urbanistica regionale.

Nessun pregiudizio per i contratti tra privati

Il superamento di tale durata non comporta, invece, alcun “pregiudizio per la validità e l’efficacia dei contratti stipulati tra i privati” che rimangono “disciplinati dalle previsioni del codice civile a norma dell’art. 53 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito”.

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redditometro sospeso

Redditometro sospeso Il Mef ha emanato atto di indirizzo formalizzando la sospensione del decreto recante “Determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche” sul cd redditometro

Il decreto del MEF sul redditometro

Come spiegato nel nostro articolo Torna il redditometro era stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio, il decreto 7 maggio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, recante “Determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche”, applicabile ai redditi per gli anni d’imposta a decorrere dal 2016.

Decreto sospeso: atto di indirizzo del Mef

La Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, ha dichiarato tuttavia che “Nessun Grande Fratello fiscale sarà mai introdotto da questo governo”. Lo strumento del redditometro è, invero, da sempre molto contestato in quanto ritenuto, tra l’altro, potenzialmente lesivo della privacy dei cittadini.

La decisione del Governo giunge dopo che erano stati sentiti l’ISTAT e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica di ricostruzione, nonché dopo che era stato acquisito il parere del Garante della protezione dei dati personali.

È stato in particolare riferito che il testo normativo sarà sospeso fino alla sua revisione.

La decisione è stata formalizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con atto di indirizzo, ove è stato disposto che l’avvio delle attività applicative, conseguenti all’emanazione del decreto ministeriale 7 maggio 2024, è differito, considerata l’opportunità di preventivamente modificare il contenuto normativo dell’art. 38 DPR 600/1973 “al fine di rendere più esplicita la sottointesa volontà di concentrare il ricorso all’applicazione dell’istituto della determinazione sintetica del reddito fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva ai casi nei quali il contribuente ometta di dichiarare i propri redditi, a fronte del superamento di soglie di spesa da determinare”.

Che cos’è il redditometro

Il decreto in esame avrebbe introdotto nuove regole per “riattivare” lo strumento, già in passato utilizzato dall’Agenzia delle Entrate, volto alla comparazione delle spese di un contribuente con il suo reddito dichiarato, al fine di individuare (e successivamente accertare) eventuali evasioni fiscali da parte dello stesso nel caso di incoerenza tra i due valori.

In particolare, come spiegato nel precedente contributo, lo strumento del redditometro rappresenta una misura che, sulla base di indici e coefficienti, è in grado di misurare la capacità di spesa di una persona fisica, consentendo al fisco di quantificare, in modo induttivo, i redditi del contribuente.

Cosa prevedeva il “decreto sospeso”

Per completezza, di seguito si riportano alcuni aspetti che erano stati introdotti nel sopracitato decreto.

In particolare, l’art. 2 precisava che le spese “si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni presenti in Anagrafe tributaria. Si considerano, inoltre, sostenute dal contribuente, le spese effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico”. Al contrario, non si considerano sostenute dalla persona fisica “le spese per i beni e servizi se gli stessi sono relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività di impresa o all’esercizio di arti e professioni”.

L’art. 3 del decreto stabiliva invece quali erano gli elementi sulla base dei quali l’Agenzia delle entrate avrebbe determinato il reddito complessivo accertabile del contribuente, quali, a titolo esemplificativo: le spese sostenute dal contribuente come risultanti dal Sistema informativo dell’anagrafe tributaria; l’ammontare della spesa per i beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile per una famiglia corrispondente alla tipologia di nucleo familiare di appartenenza; gli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo d’imposta di riferimento.

Infine, l’art. 4 del decreto ammetteva la possibilità per il contribuente di dimostrare “a) che il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta, ovvero con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, ovvero da parte di soggetti diversi dal contribuente; b) che le spese attribuite hanno un diverso ammontare; c) che la quota del risparmio utilizzata per consumi ed investimenti si è formata nel corso di anni precedenti”.

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deposito telematico audio video

Processo telematico: non è pronto per audio e video Il CNF chiarisce che al momento il deposito di files audio e video è ammesso solo su supporto CD/DVD in Cancelleria

No al deposito telematico di audio e video

Con il parere n. 17 del 19 aprile 2024, pubblicato il 9 maggio sul sito del Codice deontologico, il CNF precisa che, in attesa delle nuove specifiche tecniche del processo telematico, non è possibile effettuare il deposito diretto dei files in formato audio e video.

Diversi Tribunali risolvono il problema ammettendo il deposito in cancelleria di questi file su supporti CD/DVD.

Deposito file audio e video nel processo telematico: il quesito

Il C.O.A di Biella si rivolge al C.N.F per chiedere un parere sul deposito di files audio e video nel processo telematico.

La domanda è volta ad accertare se esita un sistema per produrre files audio e video nel processo telematico, che possano essere fruiti dal Giudice e, in caso di risposta negativa, se sia corretta la richiesta da parte degli Uffici Giudiziari di produrre i file audio e video su unità esterne come le USB solo in “copia forense” o se sia altrettanto valida la produzione su supporto USB di questi files, riservando la produzione della copia forense alle sole ipotesi in cui possa sorgere una contestazione.

Poiché la modalità di produzione dei files su supporto esterno è una diretta conseguenza dell’impossibilità di provvedere al deposito telematico, il COA chiede se è condivisibile applicare a questa fattispecie l’esenzione dal pagamento dei diritti di copia, in base a quanto previsto dall’articolo 40 commi 1 quater e quinques del DPR 115/2002.

Consentito il deposito in cancelleria di file audio e video

Il CNF ricorda che la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia di recente ha posto in consultazione la nuova versione delle specifiche tecniche che si riferiscono ai documenti informatici e che sono richiamate nell’articolo 34 del decreto del Ministro della Giustizia n. 44/2011.

Il comma 3 di questa norma dispone infatti che “Fino all’emanazione delle nuove specifiche tecniche, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le specifiche tecniche vigenti, già adottate dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.” 

Al momento pertanto, nel rispetto delle regole vigenti, non è possibile depositare telematicamente files audio e video. 

Parte della giurisprudenza ammette il deposito in cancelleria di files audio e video solo se contenuti in un supporto informatico esterno come i CDROM, corredato da una nota di deposito in cui è necessario specificare la tipologia di files contenuti in detto supporto e il motivo per il quale si procede al deposito nelle forme “tradizionali”.

L’utilizzo delle chiavette USB è sconsigliato per i costi maggiori, per i problemi legati all’integrità dei files e perché la data di retention degli USB è di 10 anni mentre quella dei CDROM /DVD è di 30 anni.

In alcuni Tribunali, per prassi, è previsto il deposito telematico di files audio e video in formato ZIP o RAR, accompagnato dall’obbligo di dare atto del contestuale deposito dei file in formato CD/DVD in cancelleria.

In questo modo si evita che il giudice e le parti non abbiano il programma specifico per l’apertura di del file pdf, utilizzato come contenitore di contenuti audio e video.

La soluzione adottata scongiura in questo modo anche il problema legato al pagamento dei costi di copia.

telefonata figli carcere

Telefonate ai figli: niente stretta per i reati ostativi La Corte Costituzionale ha ritenuto irragionevole la stretta sulle telefonate ai figli minori a carico dei condannati per reati di criminalità organizzata che abbiano accesso ai benefici

Telefonate figli e regime restrittivo

“Se un detenuto è stato condannato per un reato compreso nell’elenco dell’art. 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, ma ha in concreto accesso a tutti i benefici penitenziari, è irragionevole sottoporlo a un regime più restrittivo rispetto a quello ordinario solo per quanto riguarda le telefonate con i propri figli minori”. E’ quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 85-2024, con la quale ha ritenuto fondata una questione sottopostale da un magistrato di sorveglianza di Padova.

Condanna per reati ostativi

La Corte ha ricordato che chi è condannato per uno dei reati elencati nel primo comma dell’art. 4-bis (i cosiddetti “reati ostativi”) è ordinariamente escluso dai benefici penitenziari, in forza della generale presunzione per cui i collegamenti con l’organizzazione criminale non vengono meno con l’ingresso in carcere del condannato, con conseguente persistere della sua pericolosità sociale.

Questi detenuti hanno accesso ai benefici, di regola, soltanto quando collaborino con la giustizia, perché proprio la loro collaborazione costituisce “una sorta di prova legale della rottura del vincolo associativo rispetto al singolo detenuto, che a sua volta segnala l’inizio del suo percorso rieducativo”.

Ammissione benefici penitenziari

Tuttavia, come chiarito da sentenze recenti della stessa Consulta, “la presunzione di persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata deve sempre poter essere vinta da una prova contraria, valutabile caso per caso dal tribunale di sorveglianza”. E in effetti la legge prevede oggi varie ipotesi in cui i condannati per reati “ostativi” possono in concreto essere ammessi ai benefici penitenziari, pur in mancanza di una loro collaborazione con la giustizia.

Tra queste ipotesi c’è quella di chi – come il detenuto oggetto del procedimento principale, che sta scontando una condanna a trent’anni di reclusione – abbia accesso ai benefici perché la sua collaborazione è stata ritenuta impossibile, e non risultino elementi che attestino un suo collegamento attuale con la criminalità organizzata. Nel caso concreto, il detenuto aveva in effetti già goduto di permessi premio, concessi sulla base dei suoi progressi nel trattamento rieducativo attestati dall’amministrazione penitenziaria. Inoltre, in forza della normativa speciale adottata durante il periodo della pandemia, aveva fruito di una telefonata al giorno con i propri familiari, come tutti gli altri detenuti.

La decisione della Consulta

A questo punto la Corte ha ritenuto irragionevole sottoporre in queste situazioni il condannato – ammesso ai benefici in quanto ritenuto non più socialmente pericoloso – a una disciplina più sfavorevole rispetto a quella applicabile alla generalità dei detenuti. In proposito, la Corte ha osservato che ogni disciplina – come l’art. 4-bis – che, a parità di pena inflitta, deroga in senso peggiorativo al regime penitenziario ordinario “può trovare legittimazione sul piano costituzionale – al cospetto della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. – soltanto in quanto sia necessaria e proporzionata rispetto al contenimento di una speciale pericolosità sociale del condannato”; e non invece “in chiave di ulteriore punizione in ragione della speciale gravità del reato commesso. È, infatti, la misura della pena che nel nostro ordinamento deve riflettere la gravità del reato, non già la severità del regime sanzionatorio”.

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