capacità giuridica

La capacità giuridica Definizione e profili storici della disciplina della capacità giuridica. In particolare: la tutela del concepito e le differenze con la capacità di agire

Capacità giuridica, definizione

La capacità giuridica è l’attitudine di una persona ad essere titolare di diritti e di doveri giuridici.

Tale istituto, tanto essenziale nei suoi caratteri quanto fondamentale nell’ambito di un ordinamento giuridico, è disciplinato dall’art. 1 del codice civile, che stabilisce che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.

Profili storici della disciplina della capacità giuridica

L’importanza di una disciplina espressa riguardo all’istituto in parola si coglie più compiutamente attraverso un confronto con la disciplina prevista in altri periodi storici, quando era contemplata la possibilità di limitare o privare della capacità giuridica (c.d. morte civile) taluni soggetti per motivi politici o razziali.

È ciò che avvenne, ad esempio, in Italia durante il regime fascista, e un importante riflesso ne è l’attuale testo dell’art. 22 della Costituzione, il quale espressamente dispone che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Acquisto e perdita della capacità giuridica: l’art. 1 del codice civile

Come si è detto, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, con ciò intendendosi il momento del distacco del feto dal grembo materno.

Ciò significa che il nascituro non è considerato, nel nostro ordinamento, soggetto di diritto, sebbene sia comunque oggetto di tutela da parte della legge.

La capacità giuridica del concepito

Infatti, ad esempio, il concepito (e a dire il vero anche il non-concepito, se si intenda il figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del de cuius) può succedere per testamento e ricevere per donazione.

I diritti del nascituro, però, sono subordinati all’evento della nascita, come prevede il secondo comma dell’art. 1 del codice civile.

Perdita della capacità giuridica

Analogamente, la capacità giuridica di un soggetto termina con la sua morte naturale. Per vero, anche la dichiarazione (con sentenza) di morte presunta, ex art. 58 c.c., determina la perdita della capacità giuridica del soggetto, con contestuale apertura della relativa successione.

Capacità delle persone giuridiche

Oltre che appannaggio delle persone fisiche, la capacità giuridica è configurabile anche in capo alle persone giuridiche, sebbene ciò non postuli il possesso da parte di queste ultime di alcuni diritti propri delle persone fisiche (si pensi a quelli afferenti al diritto familiare).

Le persone giuridiche sono titolari, peraltro, di alcuni rilevanti diritti, quali quello al nome (o alla denominazione) e all’immagine.

Differenza tra capacità giuridica e capacità di agire

Sul tema in oggetto, è importante distinguere tra loro i concetti, ben differenti, di capacità giuridica e capacità di agire.

Se la capacità giuridica, come si è detto, attiene alla generica attitudine alla titolarità di diritti e obblighi giuridici, la capacità di agire indica, invece, la possibilità di porre in atto atti giuridici, e quindi di divenire volontariamente titolare di diritti o di obbligarsi verso terzi.

A differenza della capacità giuridica, la capacità d’agire non si acquista con la nascita ma, come disposto dall’art. 2 cod. civ., si consegue, come regola generale, alla maggiore età, attualmente fissata al compimento dei 18 anni.

In alcuni casi, peraltro, l’ordinamento prevede che determinati atti giuridici possano essere posti in atto anche dal minore (vedi le norme in tema di matrimonio e riconoscimento del figlio da parte del minore emancipato), e che in altri casi la capacità di agire possa essere limitata, anche a tutela del soggetto stesso (interdizione o inabilitazione).

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omicidio commissione reati sessuali

Omicidio realizzato in occasione della commissione di reati sessuali Si fa riferimento all'ipotesi aggravata del delitto di omicidio disciplinata dall'art. 576 n. 5 c.p.

Omicidio realizzato in occasione di reati sessuali: evoluzione normativa

La norma a cui si fa riferimento costituisce ipotesi aggravata del delitto di omicidio, nello specifico disciplinata dall’art.576, n. 5. Nell’attuale formulazione, la norma sanziona penalmente, con la pena dell’ergastolo, l’omicidio realizzato in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 583quinquies, 600bis, 600ter, 609bis, 609quater e 609octies. L’aggravante in esame è stata oggetto di correttivi dapprima ad opera del D.L. 23-2- 2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, e successivamente della L. 1-10-2012, n. 172.

Nella sua formulazione originaria, infatti, la norma faceva riferimento agli artt. 519, 520 e 521 c.p. Per comprendere il fondamento del primo dei segnalati correttivi, deve evidenziarsi che le figure delittuose richiamate nel testo previgente sono state integralmente abrogate dalla L. 66/1996, in occasione della «riscrittura» delle fattispecie di violenza sessuale.

Il legislatore del 2009 ha, dunque, inteso «attualizzare» i richiami della configurazione aggravata in commento, sostituendo i riferimenti alle fattispecie abrogate con quelli a previsioni neointrodotte, per tal via sanando una «dimenticanza» del legislatore del ’96.

Dottrina e giurisprudenza

Già, peraltro, prima di tale correttivo espresso, la citata abrogazione delle fattispecie in origine richiamate fece porre, in dottrina e giurisprudenza, il problema di stabilire se il rinvio potesse essere inteso alla fattispecie che aveva sostanzialmente recepito le citate previsioni abrogate, l’art. 609bis c.p.

La dottrina che si era occupata del problema ritenne che il rinvio contenuto nella norma in esame non dovesse intendersi agli articoli di legge, in quanto tali, ma alle condotte che essi descrivono, per cui se queste condotte non cessano di essere oggetto di previsione da parte della nuova norma penale che prende il luogo di quella abrogata, ma sono riproposte negli stessi termini in altre norme di legge, il rinvio implicito alle nuove norme deve essere ritenuto ammissibile, senza violazione del principio di stretta legalità dettato dall’art. 25, comma 2, della Costituzione.

Nel medesimo senso si era espressa concordemente la giurisprudenza della Cassazione, la quale, nel confermare che tale aggravante doveva trovare applicazione con riferimento a tutti i delitti di violenza sessuale di cui agli artt. 609bis e ss. c.p., aveva motivato tale asserto sostenendo che il richiamo agli articoli abrogati, contenuto nell’art. 576 rientrava nella figura del rinvio formale e non di quello recettizio, sicché quella abrogazione non aveva comportato una «abolitio criminis», ma solo un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, e il mancato adeguamento della formulazione di quest’ultima norma era ascrivibile a mero difetto di coordinamento legislativo.

Dopo tale opportuno correttivo di coordinamento, il legislatore, come segnalato, ha nuovamente inciso sulla portata precettiva di tale previsione, attraverso la L. 172/2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. In particolare, nel riscrivere la lettera del n. 5) dell’art. 576, si è provveduto ad estendere le ipotesi di omicidio aggravato a quello commesso in occasione della realizzazione delle fattispecie di cui agli artt. 572, 600bis e 600ter (trattasi dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, prostituzione e pornografia minorile, a loro volta riformulati dal legislatore del 2012), riconoscendo a tale tipologia omicidiaria analogo surplus di disvalore penale rispetto a quello che la norma già attribuiva alla condotta realizzata nell’atto di aggredire sessualmente taluno.

Correttivo nel Codice Rosso

Da ultimo, l’evoluzione normativa concernente l’aggravante in esame trova il suo epilogo nella L. 19-7-2019, n. 69, nota come «Codice rosso» (espressione mutuata dalla terminologia sanitaria, per alludere ad un percorso preferenziale e d’urgenza per la trattazione dei procedimenti in materia, funzionale alla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, percorso procedurale introdotto proprio dal citato provvedimento), pur se deve osservarsi come il correttivo si limiti ad una estensione del margine di applicabilità della previsione al caso in cui il fatto omicidiario sia posto in essere in occasione della commissione del neointrodotto delitto di cui all’art. 583quinquies (al cui esame si rinvia).

In sostanza, si inserisce nel catalogo dei reati puniti con l’ergastolo anche il delitto di lesioni permanenti al viso (previsione che il legislatore, con modalità operativa analoga a quella già precedentemente seguita in tema di cd. omicidio stradale, trasforma in autonoma fattispecie di reato, rispetto al sistema previgente, dove era prevista come delitto aggravato, modificandone nel contempo il trattamento sanzionatorio in senso maggiormente afflittivo, mirando, per tal via, a frustrare il rischio di possibili attenuazioni sanzionatorie, conseguenti al meccanismo del bilanciamento delle circostanze, in una prospettiva di contenimento della discrezionalità del giudice), qualora da esso sia derivata la morte della vittima. Trattasi di valutazione che trova il suo condivisibile fondamento nel fatto che, da aggressioni poste in essere ai sensi del neointrodotto art. 583quinquies, possono derivare conseguenze irreversibili circoscritte non solo alla sfera dell’identità personale della vittima, ma anche alla stessa vita di quest’ultima.

In tale sede va, altresì, rammentato che il novero dei potenziali autori del delitto di omicidio aggravato, di cui all’art.576 c.p., è stato implementato proprio ad opera del D.L. 23-2-2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, norma con cui si è introdotto il delitto di «atti persecutori».

Orbene, per effetto del medesimo provvedimento, si è operato un correttivo alla norma in esame, disponendo che vada punito con l’ergastolo anche l’omicidio  commesso dall’autore del delitto previsto dall’art. 612bis (dunque del delitto di «stalking»), nei confronti della stessa persona offesa.

La giurisprudenza della Cassazione a Sezioni Unite

Su tale ipotesi aggravata, si segnala una significativa pronuncia, a Sezioni unite, della Cassazione (sent. 26-10-2021, n. 38402), per effetto della quale la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell’agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma 1, n. 5.1) c.p. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1, c.p., in ragione della unitarietà del fatto, per tal via escludendo che le due fattispecie concorrano fra loro.

La norma si limita a richiedere che autore e vittima degli atti persecutori e dell’omicidio siano i medesimi, senza necessità di alcun legame cronologico o eziologico fra le due condotte criminose. Peraltro, in dottrina si tende a restringere la portata applicativa della previsione ai soli casi in cui l’omicidio rappresenti l’esito finale del delitto di «stalking», escludendola quando invece l’omicidio possa trovare motivazione in ragioni diverse dalla persecuzione.

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edilizia pubblica incostituzionale residenza

Edilizia pubblica: incostituzionale chiedere la residenza La Corte Costituzionale ha bocciato la legge del Piemonte che richiedeva per ottenere un'abitazione di edilizia pubblica il requisito della residenza nel territorio regionale

Alloggio di edilizia pubblica e residenza

E’ incostituzionale richiedere la residenza o l’attività lavorativa pregressa e protratta nel territorio regionale al fine di ottenere un’abitazione di edilizia pubblica. “Non c’è alcuna ragionevole correlazione – infatti – fra l’esigenza di accedere al bene casa, ove si versi in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza o attività lavorativa nel territorio regionale”. Lo ha ribadito la Corte costituzionale con la sentenza n. 147-2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3.

Ostacolo al diritto all’abitazione

La Corte ha sottolineato come “il requisito della pregressa e protratta residenza sul territorio regionale, così come quello della pregressa e protratta attività lavorativa, pone un ostacolo al soddisfacimento del diritto all’abitazione che deve invece fondarsi sulla situazione di bisogno o di disagio, rispetto alla quale la durata della permanenza pregressa nel territorio regionale non presenta alcun collegamento logico”.

Si tratta, infatti, di requisiti che, “proprio perché sganciati da ogni valutazione su tale stato di bisogno, sono incompatibili con il concetto stesso di servizio sociale, inteso quale servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli”. Né “valgono a indicare una prospettiva di radicamento sul territorio regionale”.

Incostituzionale sotto un triplice profilo

Il giudice delle leggi ha pertanto riscontrato che la legge piemontese viola l’art. 3 Cost. sotto un triplice profilo: “per intrinseca irragionevolezza, perché prevede requisiti del tutto non correlati con la funzione propria dell’edilizia sociale; perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità; e perché tradisce il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

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rischio caldo istruzioni inps

Rischio caldo: le istruzioni Inps per l’accesso agli ammortizzatori Pubblicate le istruzioni Inps per l'accesso agli ammortizzatori sociali per le ondate di calore, come previsto dalla legge di conversione del decreto agricoltura

Pubblicate le istruzioni Inps per l’accesso agli ammortizzatori sociali per il rischio caldo. Con due messaggi, n. 2735/2024 e 2736/2024 l’istituto ha fornito le indicazioni per l’accesso agli ammortizzatori sociali previsti per eventi meteorologici avversi, in particolare le ondate di calore, come previsto dalla legge di conversione del decreto agricoltura.

Cosa prevede la legge di conversione del decreto agricoltura

“In considerazione dell’eccezionale ondata di calore che sta interessando tutto il territorio nazionale e dell’incidenza che tali condizioni climatiche possono determinare sulle attività lavorative e sull’eventuale sospensione o riduzione delle stesse, si riassumono le indicazioni circa le modalità con le quali richiedere le prestazioni di integrazione salariale e i criteri per la corretta valutazione delle istanze” anticipa l’Inps illustrando le novità introdotte dalla legge di conversione del decreto agricoltuar n. 63/2024. Nello specifico si tratta di:
  • cassa integrazione speciale operai agricoli (CISOA), per le sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa effetuate nel periodo dal 14 luglio al 31 dicembre 2024, nei casi di intemperie stagionali per gli operai agricolo a tempo indeterminato;
  • integrazione salariale ordinaria (CIGO) in favore dei settori edile, lapideo e delle escavazioni. Si applica per le sospensioni o ridiuzioi dell’attività lavoratoiva dall’1 luglio al 31 dicembre a causa di eventi oggettivamente non evitabili (EONE);
  • trattamenti di sostegno al reddito, in favore dei lavoratori di imprese operanti in aree di crisi industriale complessa.

La domanda

Per quanto riguarda le istanze di CISOA per gli operai agricoli a tempo indeterminato, con riduzione dell’attività lavorativa pari alla metà dell’orario giornaliero contrattualmente stabilito e per periodi compresi dal 14 luglio 2024 al 31 dicembre 2024, l’Inps ricordai ai datori di lavoro di seguire le consuete modalità indicando quale causale dell’istanza “CISOA eventi atmosferici a riduzione”.

Per le domande di integrazione salariale ordinaria per eventi oggettivamente non evitabili (EONE), le istanze invece andranno presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio l’evento di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.

Per maggiori info, consultare i messaggi dell’istituto con tutte le istruzioni per la presentazione delle domande.

particolarità causa compensare spese

Non basta la particolarità della causa per compensare le spese La Cassazione chiarisce che la particolarità della controversia non è sufficiente per compensare le spese di lite

Compensazione spese di lite

Non è sufficiente la “particolarità” della causa per compensare le spese di lite. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 17966/2024 accogliendo il ricorso di un lavoratore. 

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Napoli respingeva il gravame di una Spa, confermando la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda di un lavoratore volta ad ottenere la condanna della società datrice al pagamento di una somma a titolo di “conguaglio ore”. 
La Corte territoriale, tuttavia, aveva disposto anche la compensazione delle spese del grado per la “particolarità della controversia e le oscillazioni della giurisprudenza di merito sulla questione esaminata”.

Il ricorso

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio dolendosi della compensazione “in assenza di soccombenza reciproca, essendo la società appellante totalmente soccombente” e denunciando la nullità parziale della sentenza per motivazione apparente atteso che la “particolarità” e le “oscillazioni giurisprudenziali” non si evincevano nè dal provvedimento nè dalle allegazioni processuali.  

L’art. 92 c.p.c.

Per gli Ermellini, l’uomo ha ragione.
Nel caso di specie, premettono, “di procedimento iniziato in primo grado nel 2020, trova applicazione l’art. 92 c.p.c. nella formulazione successiva alle modifiche apportate dall’art. 13, decreto-legge. n. 132/14, convertito dalla legge n. 162/14, secondo cui: ‘Se vi è’ soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero’; a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 77 del 2018, la compensazione delle spese, parzialmente o per intero, può essere disposta ‘anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’.
In base all’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche sopra citate, proseguono i giudici, “la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso di soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.”. 
La “particolarità” della controversia, dunque, peraltro “non meglio specificata nella sentenza impugnata né desumibile dalla materia del contendere, non corrisponde a nessuno dei presupposti idonei a legittimare, per dettato normativo, la compensazione delle spese”. E neppure le “oscillazioni della giurisprudenza di merito, nella specie neanche individuate attraverso puntuali citazioni di precedenti di segno diverso, sono riconducibili alle ipotesi contemplate dal citato art. 92, caratterizzate da elementi di novità idonei ad alterare o, comunque, ad interferire sulla originaria prospettazione difensiva o da altre analoghe ragioni connotate da eccezionalità e gravità”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza.
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giurista risponde

Assicurazione responsabilità civile e clausola claims made In tema di assicurazione della responsabilità civile in ambito sanitario è valida la clausola claims made che preveda l’ultrattività della polizza per un periodo inferiore a dieci anni?

Quesito con risposta a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio

 

In tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made che non preveda un periodo di ultrattività decennale della polizza conforme alla previsione di cui all’ art. 11 L. 24/2017 non può essere dichiarata per ciò solo nulla, dovendosi piuttosto procedere a verificare se nel caso concreto, anche alla luce del rapporto tra rischio e premio, risulti effettivamente svuotare di ogni ragion pratica il contratto. – Cass., sez. III, 12 marzo 2024, n. 6490.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della compagnia di assicurazioni avverso la sentenza della Corte d’Appello che, dichiarata la nullità della clausola che limitava la validità della polizza al caso di richieste formulate entro dodici mesi dalla scadenza della stessa, l’ aveva sostituita con la clausola di ultrattività decennale di cui all’art. 11 L. 24/2017 in tema di responsabilità sanitaria.

I Giudici di legittimità ricordano a proposito che il potere di sostituzione della clausola claims made tratteggiato con la sentenza Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22437 presuppone anzitutto un corretto accertamento della nullità contrattuale e poi una corretta individuazione del sostrato sostitutivo che realizzi un equo contemperamento delle posizioni dei contraenti.

Nel caso di specie, invece, il giudice a quo era intervenuto ravvisando un “buco di copertura” dovuto alla mancata previsione di una clausola di ultrattività decennale, senza ulteriormente motivare se la specifica conformazione della clausola di ultrattività annuale, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, svuotasse effettivamente di ogni ragion pratica il contratto.

In altri termini la Corte d’Appello aveva considerato la previsione contenuta nel secondo periodo dell’art. 11, della legge Gelli Bianco quale regola generale in tema di copertura assicurativa in ambito sanitario, sanzionando con la nullità la convenzione non aderente a detto paradigma.

La Suprema Corte censura il difetto di motivazione e l’omessa indagine in concreto in ordine all’idoneità della clausola a realizzare gli interessi delle parti.

Si tratta di un’omissione ancor più significativa se si considera che in altre sedi la clausola claims made con previsione di ultrattività annuale è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità.

Infine, rileva che l’ultrattività decennale è prevista per la sola ipotesi della cessazione definitiva dell’attività professionale e che pertanto non costituisce un modello inderogabile in materia di assicurazioni sulla responsabilità civile del medico.

Contributo in tema di “Assicurazione della responsabilità civile”, a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

Referendum: come si usa la piattaforma per la raccolta firme digitali Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 luglio il Dpcm 18 luglio 2024 che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale per la raccolta delle firme per il referendum. Ecco come funziona

Referendum: piattaforma digitale raccolta firme

È stato pubblicato il 25 luglio in Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm del 18 luglio 2024) che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale dedicata alla raccolta delle firme per i referendum. Ne dà notizia il ministero della Giustizia sul proprio sito Gnewsonline.

La piattaforma è concepita per agevolare la sottoscrizione digitale dei referendum abrogativi o costituzionali, e delle iniziative legislative di natura popolare.

Con questa nuova iniziativa progettuale, curata dal Dipartimento per l’Innovazione Tecnologica della giustizia tramite la Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati, il Ministero della Giustizia “ribadisce il proprio impegno nel promuovere strumenti innovativi volti a facilitare la partecipazione attiva dei cittadini e garantire processi democratici più accessibili e trasparenti”.

Come funziona il sistema

Il sistema, che ha ottenuto il parere del Garante per la protezione dei dati personali, è utilizzabile dai promotori di proposte referendarie e dagli uffici della Corte di Cassazione e delle Camere, per gestire tutte le fasi del processo di raccolta delle firme dei sostenitori in formato digitale. Il sistema effettua poi la verifica della presenza e validità delle firme, mediante interoperabilità con il sistema dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), presso le anagrafi dei comuni ove sono residenti i cittadini firmatari delle proposte.

“La piattaforma rappresenta un’innovazione cruciale per la partecipazione politica in Italia e pone il Ministero e il nostro Paese all’avanguardia nell’uso delle tecnologie digitali a supporto della democrazia”, ha dichiarato il Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Operatività piattaforma dal 25 luglio 2024

Ex art. 1 del decreto, l’operatività della piattaforma per la raccolta digitale delle sottoscrizioni in materia di referendum e di proposte di legge di iniziativa popolare è attestata a partire dalla data di entrata in vigore del Dpcm, ossia dal 25 luglio stesso.

Per cui, le firme degli elettori a sostegno delle proposte referendarie ex art. 75 e 138 Costituzione e dei progetti di legge ex art. 71, 2° comma, Cost., saranno raccolte in forma digitale.

Leggi anche Referendum, arriva la piattaforma digitale

Come si utilizza la piattaforma

Il ministero ha pubblicato un utile vademecum sull’utilizzo della piattaforma , la quale è accessibile dall’area privata con la propria identità digitale (Spid, Cie, Cns o eIDAS), effettuando la scelta preliminare tra “cittadini” e “comitati promotori” e potendo così sostenere e gestire una o più proposte referendarie.

Una volta completata l’autenticazione, con un semplice click si può sostenere un’iniziativa tra quelle disponibili. Al termine, è possibile scaricare l’attestato di sottoscrizione.

La piattaforma consente anche di promuovere un referendum abrogativo, costituzionale o una legge di iniziativa popolare. Il sistema garantisce una procedura guidata intuitiva e strumenti utili, come la sezione che permette di visualizzare il numero di firme raccolte a livello territoriale per la specifica iniziativa.

Alla scadenza della raccolta firme si potrà scaricare un attestato, emesso dal ministero della Giustizia, di messa a disposizione dei dati e delle sottoscrizioni del quesito all’Ufficio referendum della Corte di cassazione.

Nell’homepage della piattaforma, sezione “Elenco iniziative”, sono presenti le proposte referendarie attive e quelle già chiuse, con dettagli sul quesito, i firmatari e i promotori dell’iniziativa. Per tutti coloro che si sono autenticati, é disponibile sulla Hp, in calce, una form per la richiesta di assistenza.

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matrimonio breve niente mantenimento

Matrimonio breve? Niente mantenimento Per la Cassazione, la breve durata del matrimonio deve essere valutata per stabilire la spettanza del diritto e quantificare l’assegno di mantenimento

Durata matrimonio e assegno di mantenimento

Se il matrimonio è di breve durata l’assegno di mantenimento può non spettare al coniuge richiedente. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20507-2024. 

La vicenda

La vicenda nasce nell’ambito di un giudizio di separazione giudiziale relativa a un rapporto coniugale da cui non sono nati i figli. La Corte d’Appello respinge l’impugnazione del marito gravato dal dover contribuire al mantenimento della moglie corrispondendo un assegno mensile di 3000 euro. Respinta la richiesta del marito di addebito della separazione alla moglie la Corte conferma il mantenimento in favore della donna alla luce dello squilibrio economico delle parti.

L’uomo nel ricorrere in Cassazione solleva quattro motivi di doglianza, tra i quali assume particolare rilievo e interesse il terzo, con il quale invoca la nullità della sentenza per l’omesso esame di due fatti storici decisivi come la breve durata del matrimonio e la giovane età della richiedente, al fine di stabilire la spettanza e il quantum dell’assegno di mantenimento.

Esclusione diritto al mantenimento

La Cassazione dichiara inammissibile il primo, il secondo e il quarto motivo sollevati dal ricorrente, accoglie invece il terzo perché fondato.

Sull’assegno di mantenimento conseguente alla separazione la Cassazione a Sezioni Unite, nella pronuncia n. 32914/2022 ha osservato che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significativi mutamenti:

  1. a) il coniuge cui non è stata addebitata separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacita concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 del codice di procedura civile;
  1. b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno”. 

Ai fini della corresponsione dell’assegno di mantenimento rileva anche la durata del matrimonio, anche se la Cassazione fino al 2017 ha circoscritto questo profilo alla quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Con pronunce successive a questa data però la Corte ha stabilito che la breve durata del rapporto coniugale, se da una parte non esclude automaticamente il diritto all’assegno, dall’altra può non instaurare una comunione spirituale e materiale tra i coniugi. In queste ipotesi può quindi rappresentare una causa di esclusione del diritto al mantenimento.

La decisione

La decisione impugnata dal marito in effetti non ha preso in considerazione la durata estremamente breve del rapporto coniugale sotto il profilo della spettanza e della quantificazione, anche se in sede di merito era stato accertato che la donna si era allontanata dalla casa coniugale a pochi mesi dal matrimonio. La sentenza va quindi cassata affinché la Corte d’appello riesamini la decisione alla luce dei principi suddetti relativi al mantenimento conseguente alla separazione, tra i quali assume rilievo la breve durata del matrimonio.

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verbale assemblea condominiale

Verbale assemblea condominiale: può essere inviato via mail Per il tribunale di Genova, la trasmissione del verbale d'assemblea al condomino può essere eseguita anche con mail ordinaria

Invio verbale assemblea condominiale

Il verbale d’assemblea può essere inviato al condomino assente con ogni modalità, anche con mail. Lo ha affermato il tribunale di Genova, con sentenza n. 477/2024, decidendo una controversia relativa all’impugnazione di una delibera condominiale.

La vicenda

Nella vicenda, una condomina impugnava la delibera con cui l’assemblea aveva approvato opere straordinarie di manutenzione all’edificio, da pagare subito per beneficiare del bonus facciate, ritenendo la stessa illegittima e pregiudiziale in quanto non in grado di pagare la propria quota dei lavori. La quota peraltro veniva anticipata dall’amministratore a sua insaputa e le veniva chiesto successivamente il rimborso, per cui la donna lamentava anche l’illegittimità del comportamento dell’amministratore stesso.

Il condominio si costituiva sostenendo che la condomina era stata convocata via mail, al cui indirizzo era stato anche inviato il riparto straordinario deliberato al fine di consentire il pagamento nei termini e data la difficoltà della stessa a reperire i fondi necessari al pagamento della quota, erano seguiti diversi scambi di messaggi via whatsapp e via mail che avevano reso incontrovertibile la piena conoscenza da parte della signora sia della delibera assembleare sia dell’anticipo della quota a suo nome.

Peraltro, il condominio sosteneva che l’impugnazione era tardiva ex art. 1137 c.c. e che il verbale dell’assemblea era stato trasmesso all’attrice via mail, all’indirizzo da questa fornito e sempre utilizzato per le comunicazioni con l’amministrazione condominiale.

Eccezione di decadenza

Per il giudice, l’eccezione di decadenza è meritevole di accoglimento, considerato che se pure l’art. 66 disp. att. del codice civile “prevede specifiche forme, quali posta raccomandata, pec, fax o consegna a mano, per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, queste non sono riferibili all’invio del verbale al condominio assente, la cui forma resta libera; valutato che l’onere della prova spetta al condominio e può essere raggiunta con ogni mezzo anche per presunzioni; considerato pertanto legittimo ed idoneo a far decorrere i termini per l’impugnazione anche il semplice invio del verbale assembleare a mezzo email all’indirizzo da sempre utilizzato tra le parti per le comunicazioni”.

Nella fattispecie, pertanto, sussistono indizi gravi, precisi e concordanti utili a dimostrare che l’attrice era pienamente a conoscenza del contenuto della delibera dalla stessa impugnata solo tardivamente. Per cui il ricorso è rigettato.

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Tutti gli enti devono contribuire alle finanze pubbliche La Consulta dichiara non fondate le questioni di legittimità sollevate dalla regione autonoma Valle d'Aosta: anche i comuni valdostani devono contribuire alle finanze pubbliche

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Anche i comuni valdostani devono contribuire alle finanze pubbliche così come gli altri enti territoriali. Lo ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 145-2024 dichiarando la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Regione autonoma Valle D’Aosta, dell’art. 6-ter, comma 4, del decreto-legge n. 132 del 2023, che ha modificato il comma 853 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023). Il suddetto comma 853, insieme ai precedenti commi da 850 a 852, impone a tutti gli enti territoriali italiani (regioni, province, città metropolitane e comuni), compresi quindi i comuni valdostani, di versare un contributo a favore delle finanze statali in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e della necessità di rispettare gli obblighi imposti dall’Unione europea.

“Nessun ente territoriale, dunque – ha affermato la Consulta – può sottrarsi ai propri doveri finanziari nei confronti dello Stato, perché ciò significherebbe aggravare il peso del contributo per gli altri enti”.

La qlc

La Valle d’Aosta lamentava di dover pagare illegittimamente due volte il contributo, una in quanto regione e un’altra in qualità di rappresentante dei comuni valdostani, sostenendo che i comuni non dovessero pagare in quanto gli stessi sarebbero, da un punto di vista finanziario, un’unica entità insieme alla Valle D’Aosta e lamentava, altresì, l’assenza della procedura dell’accordo con lo Stato per determinare l’entità del contributo dovuto.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha però ritenuto che la Regione Valle d’Aosta è semplicemente il soggetto che per legge ha il compito di eseguire e ricevere i pagamenti nei confronti dello Stato per conto dei comuni valdostani, senza che questi ultimi possano essere considerati un tutt’uno con la Regione, “cosicché è vero che quest’ultima paga due volte, ma in entrambi i casi correttamente, perché paga quanto da lei dovuto in qualità di regione e quanto dovuto dai propri comuni, dai quali poi potrà farsi rimborsare”. Neppure è violato il principio pattizio “perché lo Stato può imporre anche alle regioni a statuto speciale, quale è la Valle d’Aosta, contributi per il risanamento della finanza pubblica, quantificandone l’importo complessivo e rimettendo agli accordi tra gli enti territoriali e lo Stato solo i criteri di ripartizione del contributo per determinare l’importo dovuto da ciascun ente”.

 

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