consenso informato

Consenso informato: la guida Consenso informato: cos’è, la legge di riferimento, come e quando viene acquisito, problemi di privacy e mancata acquisizione

Cos’è il consenso informato?

Il consenso informato è il diritto di ogni paziente di ricevere informazioni chiare, esaustive e comprensibili sulle proprie condizioni di salute e sui trattamenti proposti. Il tutto per poter decidere in modo consapevole se accettarli o meno. Dal punto di vista giuridico si tratta di un atto essenziale che tutela la dignità e l’autonomia della persona. Esso sancisce infatti il diritto all’autodeterminazione in ambito sanitario. Nessun trattamento infatti può essere iniziato o proseguito, salvo eccezioni, se prima non si ottiene il consenso libero e informato del soggetto interessato.

Qual è la normativa di riferimento

La legge n. 219/2017, conosciuta anche come “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, rappresenta la base normativa principale in Italia. Questo provvedimento integra i principi costituzionali, le disposizioni del codice civile e penale, e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Essa riconosce il diritto del paziente a essere adeguatamente informato e a esprimere il proprio consenso o dissenso a qualsiasi trattamento sanitario, incluso quello salvavita.

Quando è obbligatorio?

Il consenso informato è obbligatorio in tutte le situazioni che comportano un trattamento sanitario, come interventi chirurgici, terapie farmacologiche o esami diagnostici invasivi. Esso deve essere richiesto prima di ogni intervento, a meno che non ci siano situazioni di emergenza che rendano impossibile raccoglierlo e che richiedano interventi immediati per salvaguardare la vita del paziente.

Nei casi in cui il paziente non sia in grado di esprimere la propria volontà, perché minore di età, interdetto, inabilitato o assistito da un amministratore di sostegno, il consenso deve essere richiesto al rappresentante legale o al fiduciario designato, secondo le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Come viene acquisito il consenso informato

Il consenso informato viene acquisito, in genere, nei modi e con gli strumenti che risultano più adatti alle condizioni del paziente. Dal punto di vista prettamente pratico è documentato in forma scritta o mediante una video registrazione o attraverso strumenti che consentano al disabile di poter comunicare la propria volontà. Una volta acquisito, il consenso viene inserito nella cartella clinica del paziente e all’interno del fascio unitario elettronico.

Consenso informato e privacy: cosa dice la legge?

La raccolta del consenso è strettamente legata alla tutela della privacy. Il trattamento dei dati personali del paziente deve avvenire nel rispetto del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e del Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). Le informazioni sanitarie raccolte devono essere quindi gestite con la massima riservatezza e utilizzate esclusivamente per le finalità indicate, con il consenso esplicito del paziente.

Cosa succede se non viene rispettato?

La mancata acquisizione del consenso informato comporta gravi conseguenze sia sotto il profilo civile che penale. Da un punto di vista civile, il medico o la struttura sanitaria possono essere chiamati a risarcire i danni subiti dal paziente, anche se il trattamento ha avuto esito positivo. Penalmente invece, l’assenza del consenso può configurare i reati di lesioni personali o violenza privata.

 

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cessione sepolcro gentilizio

Cessione sepolcro gentilizio: indebito arricchimento per il terzo Cessione sepolcro gentilizio non consentita, l’accordo inter-vivos è nullo, azione di indebito arricchimento per il terzo

Cessione sepolcro gentilizio

In relazione ai diritti su un sepolcro gentilizio la recente sentenza n. 190/2025 della Corte Suprema di Cassazione, cassando una decisione della Corte d’Appello di Roma, sancisce l’intrasmissibilità sia a titolo oneroso che gratuito degli stessi da parte degli eredi. Ne consegue che, se il terzo, come nel caso di specie, effettua lavori di ristrutturazioni del sepolcro stesso, l’unica azione esperibile, stante la nullità del contratto di vendita, è l’azione di indebito arricchimento.

Contesa sul sepolcro familiare

La vicenda giudiziaria ha inizio quando una vedova conviene in giudizio i cognati presso il Tribunale di Cassino. Essi, dopo la morte del marito, le avevano apparentemente ceduto i diritti di proprietà e uso su un’edicola cimiteriale di famiglia, situata in un piccolo comune laziale. La cessione era stata formalizzata con una scrittura privata. Convinta della validità dell’atto, la donna aveva sostenuto spese per 25.000 euro per la ristrutturazione del sepolcro familiare. Completati i lavori però i fratelli avevano negato la validità della cessione e rivendicato la proprietà del sepolcro come eredi diretti dei genitori. Tale situazione aveva costretto la vedova a seppellire altrove il marito e ad avviare un’azione legale per ottenere il rimborso delle somme spese.

Scrittura privata nulla: indebito arricchimento terzo

Il Tribunale di Cassino, riconosciuta la nullità della scrittura privata per la cessione del sepolcro gentilizio, accoglieva la domanda dell’attrice e condannava i convenuti al pagamento pro-quota della somma richiesta, basandosi sull’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del Codice Civile. Per il Tribunale infatti, considerata la nullità della scrittura privata, l’azione di indebito arricchimento era l’unica praticabile.

Corte d’appello: esperibile l’azione art. 2043 c.c.

La Corte d’Appello di Roma però accoglieva il primo motivo del gravame dei soccombenti di primo grado e condannava la vedova al pagamento delle spese legali dei due gradi di giudizio. La vedova a questo punto ricorreva in Cassazione contestando la decisione del giudice dell’impugnazione.

Diritti sepolcro gentilizio: intrasmissibilità

La Suprema Corte nell’accogliere il ricorso, sottolinea due principi fondamentali:

  • nel caso di un sepolcro gentilizio o familiare, i diritti sullo stesso non possono essere trasmessi tramite atti inter vivos. Essi derivano iure sanguinis, cioè dal legame di sangue con il fondatore, e non iure successionis;
  • la nullità della scrittura privata determinata dalla intrasmissibilità inter vivos del sepolcro familiare elimina il titolo contrattuale, rendendo inapplicabili azioni basate su rapporti contrattuali o di comunione. L’azione di indebito arricchimento rappresenta l’unica strada percorribile.

La Corte cassa quindi la sentenza della Corte d’Appello di Roma, rinviando il caso per un nuovo esame in base ai principi stabiliti.

Dalla vicenda emerge l’importanza di rispettare i vincoli giuridici legati ai diritti sul sepolcro gentilizio. La sentenza della Cassazione rafforza il principio di intrasmissibilità di tali diritti, assicurando che essi rimangano legati alla sfera familiare come originariamente concepiti dal fondatore.

 

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giurista risponde

Amministrazione di sostegno: le valutazioni del giudice Quali parametri e presupposti devono orientare il giudice nel disporre l’apertura di un’amministrazione di sostegno?

Quesito con risposta a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo

 

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità fisica o psichica tale da renderla inadeguata a provvedere ai suoi interessi. La misura deve essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Il giudice deve valutare non solo l’an della misura, ma anche il quid ed il quomodo dovendosi privilegiare il rispetto del diritto fondamentale della persona di autodeterminarsi nelle scelte di vita e personali, anche quando non approvate dal contesto familiare e sociale, purché da queste scelte non ne derivi un concreto pregiudizio per la persona stessa (Cass., sez. I, ord. 10 settembre 2024, n. 24251).

L’ordinanza in esame discende da un reclamo avverso il decreto con il quale il giudice tutelare aveva aperto un’amministrazione di sostegno in favore di un soggetto su istanza presentata dai servizi sociali territoriali.

Il ricorrente aveva espresso forte opposizione alle limitazioni conseguenti alla misura di protezione, sostenendo di essere in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi sanitari e patrimoniali, contestando i fatti allegati a sostegno del ricorso.

Il Tribunale confermava il decreto impugnato, tranne che per quanto concerne il consenso ai trattamenti sanitari, che configurava in termini di mera assistenza, sul rilievo che l’amministrato ha una menomazione fisica e psichica e percepisce un’indennità di accompagnamento; pur se è in grado di ben esprimere i suoi desideri e la sua volontà, necessita di una misura di protezione con particolare riguardo agli aspetti di “straordinaria amministrazione”, in quanto dai suoi estratti conto è emerso un frequente ricorso al credito e spese rilevanti in locali di giochi e scommesse.

Avverso il menzionato provvedimento è stato proposto ricorso per Cassazione con cui l’istante lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la erronea e falsa applicazione dell’art. 404 c.c. e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La decisione del Tribunale si porrebbe in violazione del principio di autodeterminazione dell’individuo, per avere confermato l’amministrazione di sostegno nonostante il convinto, fermo e deciso parere contrario del ricorrente e, per avere di fatto illegittimamente trasformato la misura di mera assistenza e sussidiarietà, prevista dal legislatore, in una misura altamente afflittiva, che prevede la quasi totale sostituzione del beneficiario.

Deduce che le limitazioni previste alla sua libertà di autodeterminazione mal si conciliano con il riconoscimento della sua piena capacità, tra le quali la gestione ordinaria del patrimonio mobiliare e immobiliare, il ricevere notifiche di atti, ritirare ogni genere di corrispondenza, la partecipazione alle assemblee di condominio, la rappresentanza in eventuali procedimenti giudiziari, la gestione ordinaria dei rapporti pensionistici, la chiusura di conti correnti, libretti e depositi postali e l’effettuare i pagamenti necessari alle esigenze del beneficiario, salvo che per le piccolissime spese della quotidianità etc.

Il giudice di merito, nonostante avesse riconosciuto la necessità dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno per i soli aspetti di straordinaria amministrazione, ha di fatto, secondo il ricorrente, illegittimamente confermato le ingerenze e limitazioni nella gestione patrimoniale ordinaria.

La Suprema corte, in accoglimento del ricorso, ribadisce che l’istituto della amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità fisica o psichica tale da renderla inadeguata a provvedere ai suoi interessi; la misura è caratterizzata da un alto grado di flessibilità e la legge chiama il giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione. (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2021, n. 21985; Corte cost. 10 maggio 2019, n. 114; Cass. 4 marzo 2020, n. 6079).

L’accertamento della ricorrenza dei presupposti per l’apertura di tale misura, in linea con le indicazioni contenute nell’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario, la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice, sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare. (Cass. 11 luglio 2022, n. 21887).

Da ciò discende che il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si limita la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura in cui la si limita e le decisioni che non rispettano i desiderata del beneficiario devono fondarsi non solo sulla rigorosa valutazione che egli non sia capace di adeguatamente gestire i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla preventiva valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità, e solo ove questo non sia possibile, può farsi luogo alle compressione della capacità.

In questi termini si apprezza la compatibilità della misura con il sistema costituzionale.

Deciso l’an della misura non possono conseguire automatismi e non possono adottarsi provvedimenti stereotipati ovvero usare moduli standardizzati, poiché dalla apertura dell’amministrazione non discende, quale effetto legale, che la persona debba essere assistita o sostituita in tutte le attività giuridicamente rilevanti, ma solo in quegli ambiti in cui il giudice ha rilevato specifiche criticità e deficit di competenze decisorie e gestorie che possono causare un serio pregiudizio alla persona.

Le caratteristiche dell’istituto impongono, pertanto, che siano perimetrati i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati alle esigenze rilevate, alle condizioni di menomazione del beneficiario ed all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

Si deve, inoltre, osservare che l’art. 410 c.c. impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, il giudice tutelare, dimostra come, in ogni caso, l’opinione del beneficiario debba essere tenuta in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità.

Limitare la capacità nella minor misura possibile significa, dunque, non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano.

Nel provvedimento di apertura della amministrazione deve esistere una ragionata corrispondenza tra i deficit rilevati, le risorse della persona interessata e della sua famiglia, e i poteri attribuiti all’amministratore devono essere conferiti nell’ottica di perseguire il miglior interesse della persona, senza comprimerne inutilmente la libertà.

Dei principi esposti i giudici di merito non hanno fatto buon governo, mancando nell’ordinanza impugnata la valutazione e motivazione della proporzionalità delle limitazioni imposte al beneficiario che sono particolarmente incisive e penetranti.

Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione del provvedimento impugnato ed il rinvio al Tribunale territoriale, in diversa composizione, per nuovo esame.

 

(*Contributo in tema di “Amministrazione di sostegno”, a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

pagamento contributo unificato

Pagamento contributo unificato: la Cassazione chiede lumi Con una nota la presidente Margherita Cassano chiede al ministero della Giustizia chiarimenti sul mancato o parziale pagamento del contributo unificato

La nota della Cassazione

Mancato pagamento contributo unificato: a chiedere lumi al ministero della Giustizia sulla novità introdotta dalla legge di bilancio 2025 è la stessa Cassazione, con una nota dell’8 gennaio 2025, a firma della prima presidente, Margherita Cassano.

Le modifiche della legge di bilancio 2025

Si ricorda che la legge di bilancio ha apportato importanti novità al processo civile.

In particolare, all’art. 14 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia (DPR n. 115/2002), è stato aggiunto il comma 3.1, che stabilisce: “Fermi i casi di esenzione previsti dalla legge, nei procedimenti civili la causa non può essere iscritta a ruolo se non è versato l’importo determinato ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera a), o il minor contributo dovuto per legge”.

La circolare di via Arenula

Nella circolare del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (DAG) di via Arenula del 30 dicembre 2024, viene stabilito che il personale di cancelleria non potrà procedere all’iscrizione a ruolo di una causa civile nei seguenti casi: a) nelle ipotesi in cui il contributo unificato dovuto sia pari o inferiore a 43 euro, non venga versato integralmente l’importo effettivamente dovuto a titolo di contributo unificato; b) nelle ipotesi in cui l’importo dovuto del contributo unificato sia superiore a 43 euro, la parte che chiede l’iscrizione della causa non versi almeno l’importo di euro 43.

Leggi in merito Contributo unificato: cosa cambia dal 2025

I dubbi della Cassazione

Alla luce della novella normativa, la Cassazione evidenzia, dunque, la necessità di ricevere chiarimenti sulle modalità applicative per quel che attiene ai servizi di cancelleria, ferma restando la competenza giurisdizionale in ordine all’interpretazione della norma in esame.

Rifiuto immediato o sospensione temporanea

In particolare, nella nota vengono formulati i seguenti quesiti: se l’enunciato ‘la causa non può essere iscritta a ruolo’ laddove non venga corrisposto il contributo unificato anche nel minor importo, stia a significare “che il riscontro del mancato pagamento consenta di mantenere sospesa l’iscrizione stessa” sino all’avvenuto pagamento “oppure comporti il rifiuto, da parte della cancelleria, dell’iscrizione della causa (nel giudizio di legittimità del ricorso)”.

Nella prima ipotesi (sospensione dell’iscrizione), se sia possibile “configurare un termine entro il quale l’avvocato debba comunque provvedere a dare riscontro del pagamento del contributo unificato, tenendo conto, per un verso, che il deposito dell’atto si ha solo in caso di accettazione dell’atto/ricorso, e, per altro verso, dei termini di legge per la produzione, in sede di legittimità, di atti e documenti di cui agli artt. 369 e 372 c.p.c.”.

Problemi tecnici nella gestione dei pagamenti

Un ulteriore chiarimento richiesto riguarda le difficoltà operative legate alla mancanza di un applicativo adeguato per verificare in tempo reale il pagamento del contributo unificato.

In particolare, chiede la Cassano, “come debba procedere la cancelleria in attuale assenza di idonea applicazione informatica che consenta di intercettare direttamente, al momento dell’accettazione del ricorso, il deposito della distinta di avvenuto pagamento del contributo unificato anche là dove non prodotta dall’avvocato sotto corretta nomenclatura identificativa”.

Nell’attesa, conclude la nota, “si confida nel consueto spirito di collaborazione nell’interesse del servizio giustizia”. 

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naspi

NASpI: la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego NASpI la nuova assicurazione Sociale per l’impiego è una misura che interviene in favore di determinati disoccupati involontari

NaSpI: cos’è

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) è l’indennità di disoccupazione che viene riconosciuta su base mensile. La misura è stata istituita dal Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 e riguarda i lavoratori subordinati che perdono involontariamente il lavoro.

Questo strumento rappresenta una misura fondamentale per garantire un aiuto economico ai cittadini nei momenti di maggiore difficoltà lavorativa. Vediamo quindi nel dettaglio cos’è, come funziona, a chi è rivolta e come presentare domanda.

La NASpI è un’indennità mensile introdotta per sostituire altre forme di sussidio, come la disoccupazione ordinaria e quella con requisiti ridotti. Si tratta di un contributo economico erogato dall’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) per sostenere i lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione involontaria. La sua finalità è garantire una protezione temporanea a chi perde il proprio impiego, agevolando il reinserimento nel mondo del lavoro.

Come funziona la NASpI

La NASpI prevede il calcolo di un’indennità proporzionata alla retribuzione media mensile del lavoratore nei quattro anni precedenti alla perdita del lavoro.

L’importo è determinato secondo una formula specifica, con un tetto massimo stabilito annualmente. L’indennità viene erogata per un periodo pari alla metà delle settimane di contribuzione versate nei quattro anni precedenti, fino a un massimo di 24 mesi.

Il beneficio si riduce progressivamente del 3% ogni mese, a partire dal primo giorno del sesto mese. Questo meccanismo è stato pensato per incentivare il beneficiario a cercare attivamente una nuova occupazione.

La decorrenza della misura varia a seconda del motivo per il quale il lavoratore subisce una sospensione o una interruzione del rapporto di lavoro (cessazione; licenziamento per giusta causa, maternità, malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale o preavviso)-

A chi è rivolta la NASpI

La NASpI è destinata ai lavoratori subordinati che perdono il lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà, come il licenziamento individuale o quello collettivo. Possono accedere all’indennità:

  • i lavoratori a tempo indeterminato e determinato;
  • gli apprendisti;
  • i soci di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
  • il personale artistico con contratto subordinato.

Sono esclusi invece i dipendenti pubblici con contratto a tempo indeterminato, i lavoratori agricoli, per i quali sono previste altre forme di tutela, i lavoratori in pensione (vecchiaia o anticipata) i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lo svolgimento del lavoro stagionale, e i titolari dell’assegno di invalidità che non hanno scelto la NASpI.

NASpI: requisiti di accesso

Per accedere alla NASpI è necessario soddisfare i requisiti principali:

  • essere disoccupati involontariamente;
  • aver accumulato almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti;
  • aver svolto almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Come fare domanda per la NASpI

La domanda per la NASpI deve essere presentata esclusivamente in via telematica all’INPS. È possibile inoltrarla attraverso:

  • il portale web dell’INPS, accedendo con SPID, CIE o CNS;
  • I patronati, che offrono assistenza gratuita;
  • il Contact Center INPS al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) o 06 164 164 (da rete mobile).

Durante la procedura, è necessario allegare la documentazione relativa al rapporto di lavoro cessato e dimostrare la propria disponibilità a rientrare nel mondo del lavoro, anche se sull’obbligatorietà di effettuare la DID si rilevano opinioni discordi.

 

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pensioni 2025

Pensioni 2025: le novità della manovra Pensioni 2025: la manovra di bilancio prevede una serie di misure che tuttavia non portano benefici di rilievo per i pensionati italiani

Pensioni 2025: nuove regole, più flessibilità

La legge di bilancio 2025 introduce significative novità sul fronte delle pensioni, con l’obiettivo di migliorare la flessibilità in uscita. Tra le principali modifiche spicca la possibilità di anticipare la pensione a 64 anni, grazie al cumulo dei fondi di previdenza complementare. Tuttavia, non mancano criticità.

Contributivo: anticipo per chi ha la complementare

Dal 2025, i lavoratori che hanno aderito al sistema contributivo puro potranno richiedere la pensione anticipata a 64 anni. Per farlo, dovranno accumulare almeno 20 anni di contributi e raggiungere un importo minimo di trattamento pari a tre volte l’assegno sociale (534,41 euro mensili nel 2024).

La grande novità è la possibilità di includere nel calcolo anche la rendita dei fondi di previdenza complementare. Questa modifica permette di colmare eventuali lacune nel raggiungimento della soglia minima richiesta. Tuttavia, il requisito contributivo aumenterà progressivamente: 25 anni nel 2025 e 30 anni dal 2030.

Chi non ha aderito alla previdenza complementare continuerà a seguire le regole attuali. Potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni solo se il trattamento previsto soddisfa i requisiti minimi senza l’apporto di rendite integrative.

Le agevolazioni per le donne: opzione donna ampliata

Opzione donna richiede 61 anni come requisito anagrafico e 35 anni invece come requisito contributivo in un’unica gestione previdenziale. Di questa opzione potranno beneficiare anche le lavoratrice che hanno maturato i predetti requisiti entro il 31 dicembre 2024.

A opzione donna possono accedere anche le donne con 60 anni di età se madri di un figlio e con 59 anni di età se madri di almeno 2 figli nel caso in cui le stesse d+siano state licenziate p siano alle dipendenze di un datore di lavoro in crisi.

Il nuovo comma 179 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2025 amplia l’applicazione di opzione donna consentendo alle madri di quattro figli di accedere alla pensione con un anticipo di 16 mesi rispetto all’età ordinaria.

Quota 103

Per la pensione anticipata con quota 103 è necessario avere 62 anni di età e aver versato 41 anni di contributi.  Finestra mobile di 7 mesi per i privati, che sale a 9 mesi per i dipendenti pubblici.

Ape sociale rifinanziata

Nuove risorse per l’ape social che permette di andare in pensione anticipata a 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi, che salgono a 32 anni per i lavoratori edili e a 35 per coloro che svolgono attività gravose.

Pensioni minime

Per quanto riguarda le pensioni minime, la manovra prevede un incremento simbolico a partire dal 2025. La rivalutazione del 2,2% porta il trattamento minimo da 598,61 euro a 616,67 euro. Nel corso del 2025 per 13 mesi, i titolari dell’assegno sociale, se hanno compiuto alleno 70 anni, beneficeranno di un aumento di 8 euro al mese a condizione che siano ciechi titolari di trattamento pensionistico, sordomuti, invalidi civili totali, ciechi civili totali, maggiorenni.

Perequazione pensioni residenti all’estero

Per i residenti all’estero, nel 2025, in via del tutto eccezionale, non viene riconosciuto l’incremento derivante dalla perequazione automatica per i trattamenti pensionistici individuali complessivi superiori all’importo minimo stabilito dal regime generale INPS. Questa esclusione eccezionale avrà effetti anche sui ratei futuri. Resta comunque garantito l’incremento fino a raggiungere l’importo minimo, adeguato secondo la perequazione automatica.

Critiche e prospettive future

La manovra ha ricevuto elogi e critiche. La stessa ha introdotto misure interessanti, ma non ha risolto i nodi strutturali del sistema pensionistico. Se da un lato si incentiva l’uso dei fondi integrativi, dall’altro si alza l’asticella per il pensionamento anticipato, creando nuove disuguaglianze. Resta da vedere se queste riforme sapranno garantire un equilibrio tra sostenibilità finanziaria e tutela dei diritti dei lavoratori. Per ora, il dibattito resta aperto.

 

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rateizza adesso

Rateizza adesso: il servizio dell’Agenzia delle Entrate Rateizza adesso: il servizio online dell’Agenzia delle Entrate che consente dal 1° gennaio di rateizzare i debiti fiscali fino a 120.000 euro

Rateizza adesso: nuove dilazioni fino a 7 o 10 anni

Dal 1° gennaio 2025 il servizio “Rateizza Adesso” dell’Agenzia delle Entrate permette di rateizzare i debiti iscritti a ruolo in base alle nuove regole previste dal decreto legislativo n. 110/2024, che ammette anche piani di pagamento fino a 84 rate con una semplice richiesta online. Vediamo i dettagli.

Rate fino a 84 mesi con richiesta semplificata

I contribuenti con debiti iscritti a ruolo fino a 120.000 euro possono dilazionare i pagamenti con un piano fino a 84 rate mensili. È sufficiente dichiarare di trovarsi in una temporanea difficoltà economica. La richiesta può essere inviata tramite il servizio online “Rateizza adesso” sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdeR).

Il servizio permette di:

  • visualizzare i debiti rateizzabili;
  • selezionare il numero di rate, fino a un massimo di 84;
  • ricevere in tempo reale l’esito e il piano di pagamento.

In alternativa, si può utilizzare la modulistica disponibile sul sito AdeR, inviandola tramite PEC o presentandola agli sportelli.

Rate fino a 10 anni con richiesta documentata

Per importi superiori a 120.000 euro o per dilazioni superiori a 84 rate, il contribuente deve dimostrare la propria difficoltà economico-finanziaria. Questo avviene allegando documenti come l’ISEE o altri indicatori previsti dalla normativa.

Gli indicatori economici considerati includono:

  • ISEE per persone fisiche e ditte individuali;
  • indici di liquidità e solidità per imprese e altri soggetti;
  • indicatori specifici per condomini e soggetti colpiti da eventi eccezionali.

Per queste richieste di rateizzo documentate il contribuente può utilizzare il servizio “Simula il numero delle rate” disponibile sul sito AdeR per verificare se sussiste la difficoltà temporanea, il numero delle rate possibili e in singolo importo delle stesse.

Aumenti progressivi del numero di rate

Il decreto prevede un aumento graduale del numero massimo di rate:

  • fino a 96 rate per le domande dal 2027 al 2028;
  • fino a 108 rate dal 2029.

Le nuove regole offrono maggiore flessibilità e semplicità per i contribuenti in difficoltà economica. Con il servizio “Rateizza adesso” e la modulistica aggiornata, si facilita la gestione dei debiti. Tuttavia, per importi elevati o piani più lunghi, restano necessarie documentazioni specifiche. Questi strumenti rappresentano un importante passo avanti nella semplificazione del sistema di riscossione.

 

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dimissioni di fatto

Dimissioni di fatto Dimissioni di fatto: l'assenza ingiustificata del lavoratore oltre i termini del contratto causa la risoluzione dello stesso per sua volontà

Dimissioni di fatto: le novità del collegato lavoro

IlCollegato Lavoro“, entrato in vigore il 12 gennaio 2025, introduce importanti novità sulle dimissioni dei lavoratori in caso di assenze ingiustificate. La riforma, tra le altre cose, mira a semplificare le procedure e a contrastare comportamenti opportunistici volti a ottenere il trattamento di disoccupazione NASpI.

Norma di riferimento

La norma che qui interessa analizzare ha modificato l’articolo 26 del dlgs n. 81/2015, a cui ha aggiunto il comma 7 bis, che così dispone:In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dellIspettorato nazionale del  lavoro, che può  verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto  per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo.  Le  disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per  causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.” Vediamo di chiarirne il contenuto.

Dimissioni e assenza ingiustificata: la nuova disciplina

La norma cardine è l’articolo 19 del decreto, che stabilisce che lassenza ingiustificata prolungata oltre i termini contrattuali comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore. Se il contratto collettivo non prevede indicazioni specifiche, il termine è fissato in 15 giorni consecutivi.
In questi casi, il datore di lavoro ha l’obbligo di:

  • comunicare l’assenza all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL), che può effettuare accertamenti;
  • considerare risolto il rapporto di lavoro, senza necessità di dimissioni telematiche, a meno che il lavoratore non giustifichi validamente la propria assenza.

Effetti delle dimissioni di fatto o “per fatti concludenti”

Le dimissioni di fatto, dette anche “per fatti concludenti”, hanno conseguenze rilevanti per il lavoratore, ovvero:

  • esclusione dal diritto alla NASpI: il lavoratore, considerato dimissionario, non può accedere all’indennità di disoccupazione;
  • esenzione per il datore dal ticket di licenziamento: il datore di lavoro non è quindi tenuto a versare il contributo NASpI;
  • facoltà di trattenere lindennità di preavviso: se previsto dal contratto, il datore può trattenere dalle competenze finali l’indennità relativa al mancato preavviso.

Obblighi di comunicazione e verifiche dell’ITL

Il datore di lavoro deve notificare l’assenza ingiustificata all’ITL. Gli ispettori hanno il compito di verificare l’effettività della comunicazione e prevenire eventuali abusi, sia da parte del lavoratore sia del datore. LIspettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la nota n. 9740 del 30 dicembre 2024, ha preannunciato linee guida operative per garantire uniformità applicativa.

Quando non si applica la risoluzione

La normativa prevede un’importante eccezione. Il rapporto non si considera risolto se il lavoratore dimostra:

  • la presenza di cause di forza maggiore, che impediscono la comunicazione;
  • la sussistenza di fatti imputabili al datore di lavoro, come errori amministrativi o violazioni contrattuali. Capaci di impedire la comunicazione dei motivi che giustificano l’assenza del dipendente.

In questi casi, il lavoratore mantiene il diritto alla NASpI, e il datore non può trattenere il preavviso.

Dimissioni di fatto e NASpI: il nodo centrale

L’obiettivo del legislatore è chiaro: evitare che l’assenza ingiustificata venga usata per ottenere un licenziamento disciplinare e, quindi, il diritto alla NASpI. Ricordiamo che l’indennità spetta solo a chi perde il lavoro involontariamente, escludendo i casi di dimissioni volontarie o di risoluzione per fatti concludenti.

Le dimissioni di fatto segnano un cambio di paradigma, equiparando l’assenza ingiustificata prolungata a una chiara volontà di dimissioni. La misura introduce vantaggi operativi per i datori di lavoro, anche se solleva diversi interrogativi sul piano delle tutele per i lavoratori. Le prossime indicazioni operative dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro saranno fondamentali per chiarire i dettagli applicativi e garantire equità nell’applicazione della norma.

 

Leggi anche: Collegato Lavoro: cosa prevede e Collegato lavoro: le indicazioni dell’INL

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colloqui intimi in carcere

Colloqui intimi in carcere: diritto non mera aspettativa Colloqui intimi in carcere: non aspettativa, ma diritto previsto da Costituzione e CEDU come sancito dalla Consulta nella sentenza n. 10/2024

Colloqui intimi in carcere: l’intervento della Cassazione

La possibilità per i detenuti di svolgere colloqui intimi con il proprio coniuge o convivente non è una semplice aspettativa. Si tratta di un diritto, come ribadito dalla Corte di Cassazione, che ne ha sottolineato il valore costituzionale. La decisione segue la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che ha dichiarato illegittima la normativa penitenziaria nella parte in cui negava tali colloqui senza giustificazioni specifiche.

Con la sentenza n. 8/2025, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha annullato un provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino. Quest’ultimo aveva giudicato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego opposto dall’istituto penitenziario di Asti. La motivazione del rifiuto si basava sull’assenza di spazi adeguati nella struttura. Secondo il tribunale, la richiesta del detenuto non configurava un diritto tutelabile, ma una semplice aspettativa. La Cassazione ha smentito questa interpretazione, evidenziando che la libertà di vivere relazioni affettive rientra tra i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

Intimità in carcere: la sentenza della Consulta

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, aveva già chiarito che il diritto all’affettività dei detenuti non può essere cancellato, ma solo regolamentato. La libertà di esprimere normali relazioni affettive non può essere soppressa da norme generali e astratte. Eventuali limitazioni devono essere giustificate da esigenze specifiche, come la sicurezza, l’ordine interno o il comportamento del detenuto. Negare indiscriminatamente tale diritto viola la dignità della persona e i principi costituzionali sanciti dagli articoli 27 e 117 della Costituzione, oltre che dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il problema dell’applicazione pratica

Nonostante il riconoscimento del diritto, la sua effettiva applicazione rimane un nodo irrisolto. La mancanza di spazi adeguati nelle carceri italiane rappresenta il principale ostacolo. Nel marzo 2024, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per affrontare il problema, ma al momento non si registrano progressi concreti. Dal coordinamento dei magistrati di sorveglianza di fine ottobre emerge che nessun istituto penitenziario ha ancora provveduto a risolvere in concreto il problema.

Colloqui intimi in carcere: un diritto da tutelare

La Cassazione ha ricordato che il diritto dei detenuti a coltivare relazioni affettive merita tutela giurisdizionale. I magistrati di sorveglianza, pertanto, devono intervenire per garantire il rispetto di questo diritto. Se le strutture penitenziarie non sono adeguate, spetta all’amministrazione penitenziaria predisporre soluzioni idonee. L’inerzia dell’amministrazione, infatti, si traduce in una lesione grave e attuale di un diritto fondamentale.

Il riconoscimento dei colloqui intimi come diritto rappresenta un passo importante verso il rispetto della dignità e dell’umanità dei detenuti. Tuttavia, senza interventi concreti e tempestivi per adeguare le strutture, tale diritto rischia di rimanere solo sulla carta. È necessario che le istituzioni, a partire dal Ministero della Giustizia, garantiscano le condizioni per l’effettiva fruizione di questo diritto, in linea con i principi costituzionali e gli obblighi internazionali.

 

Leggi anche: Censura corrispondenza al 41-bis: quali limiti

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Bonifico istantaneo: le nuove regole Il Regolamento UE 2024/886, in vigore dal 9 gennaio 2025, ha modificato la normativa sui bonifici istantanei per favorirne l’utilizzo e velocizzare le transazioni

Bonifico istantaneo: in vigore il regolamento UE

Bonifico istantaneo: da aprile 2024, l’Unione Europea ha introdotto nuove normative sui pagamenti bancari attraverso il Regolamento UE 2024/886. La normativa mira a promuovere l’uso dei bonifici istantanei e ad eliminare le barriere che ne hanno ostacolato la diffusione, anche al fine di favorire la concorrenza e adeguare il mercato dei pagamenti alle innovazioni tecnologiche.

Il bonifico istantaneo, come si evince facilmente, è la possibilità di trasferire denaro da un conto corrente all’altro in meno di dieci secondi, con disponibilità immediata da parte del beneficiario.

Il regolamento è in vigore dal 9 gennaio 2025 ed obbliga le banche italiane a trattare i bonifici istantanei come quelli ordinari, per cui non si dovranno pagare costi e tariffe aggiuntive. Oltre ai costi la nuova normativa introduce anche misure di sicurezza più rigide per evitare errori o truffe nei bonifici e proteggere le transazioni.

Scopriamo quindi quali sono le principali novità sui bonifici istantanei e cosa cambia per i consumatori e le aziende.

Costi ridotti o azzerati per i bonifici istantanei

Una delle principali novità del regolamento, come anticipato, è l’obbligo per gli istituti finanziari di equiparare i costi dei bonifici istantanei a quelli dei bonifici tradizionali. Prima dell’introduzione di questa norma, molte banche applicavano commissioni elevate per i bonifici istantanei, scoraggiandone l’uso.

Con la nuova regolamentazione, i clienti potranno beneficiare della velocità dei bonifici istantanei senza costi aggiuntivi.

Accessibilità e disponibilità 24/7

Il regolamento stabilisce che tutti i fornitori di servizi di pagamento nell’area SEPA (Single Euro Payments Area) debbano rendere disponibili i bonifici istantanei 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Questo significa che i clienti potranno effettuare pagamenti immediati in qualsiasi momento, migliorando notevolmente la gestione delle proprie finanze e il flusso di cassa per le aziende.

Bonifici istantanei: opzione di default

Gli istituti di pagamento devono offrire i bonifici istantanei come opzione standard, mettendoli sullo stesso piano dei bonifici tradizionali.

Questo cambiamento renderà i bonifici istantanei una scelta naturale per i consumatori, promuovendone ulteriormente l’adozione.

Immediata disponibilità di fondi

Un bonifico istantaneo permette di trasferire fondi in pochi secondi, a differenza dei bonifici tradizionali che possono richiedere fino a tre giorni lavorativi. Questo aspetto è particolarmente utile in situazioni di emergenza o per chi necessita di rapidità nelle transazioni finanziarie.

Limiti e sicurezza

Il regolamento prevede un limite massimo di 100.000 euro per i bonifici istantanei, sebbene ogni banca possa impostare limiti inferiori per singola operazione o per il totale giornaliero. Le banche sono inoltre tenute a garantire alti standard di sicurezza, inclusa la verifica dell’identità del beneficiario e controlli antiriciclaggio, per prevenire frodi e altri rischi.

Transizione e implementazione

L’attuazione completa del regolamento richiederà fino a 18 mesi. Durante questo periodo, gli istituti finanziari dovranno adeguare i loro sistemi e processi per conformarsi alle nuove regole, assicurando che i bonifici istantanei diventino una parte integrante dei servizi bancari offerti ai clienti.

Vantaggi per consumatori e aziende

La maggiore accessibilità e i costi ridotti dei bonifici istantanei offriranno numerosi vantaggi:

  • i consumatori potranno effettuare pagamenti rapidi e sicuri in qualsiasi momento, migliorando la gestione delle finanze personali.
  • le aziende beneficeranno di un miglior flusso di cassa, una riduzione dei tempi di attesa per i pagamenti e un miglioramento generale dell’efficienza operativa.

Scelta del miglior conto corrente

Con l’introduzione del Regolamento UE, diventa ancora più importante scegliere il conto corrente giusto. Utilizzare strumenti di comparazione online permette di valutare i costi fissi, le commissioni per bonifici e prelievi e altri servizi bancari per trovare la soluzione più conveniente e adatta alle proprie esigenze.

Meccanismo di verifica “VOP”

A partire dal 9 ottobre 2025, tutte le banche oltre ad offrire il servizio di bonifico istantaneo a tutti i clienti, dovranno introdurre misure di sicurezza più rigorose per evitare errori e frodi.
infatti, da quella data viene introdotto quale servizio obbligatorio un meccanismo di verifica del beneficiario, il VOP (Verification of Payee) che garantisce che IBAN e nome del beneficiario corrispondano ai dati forniti dal pagatore, evitando così i rischi di invii di fondi a destinatari o conti errati.

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