Civile, Civile - Primo piano

Condanna alle spese processuali: non è censurabile in Cassazione La condanna alle spese processuali da parte del giudice di merito rientra nel suo potere discrezionale e non è censurabile in Cassazione

condanna alle spese

Spese processuali

“La facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà”. Ne segue che la pronuncia di condanna alle spese processuali, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione”. E’ quanto affermato dalla prima sezione civile della Cassazione con ordinanza n. 25940/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Ancona aveva respinto la domanda di risarcimento danni all’immagine personale e professionale del ricorrente in conseguenza dell’ingiusto protesto di un assegno. In appello, anche la corte, svolta la premessa in ordine all’attuale abbandono giurisprudenziale della tesi del danno in re ipsa, così che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno stesso, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, rigettava il gravame.

La questione approdava quindi innanzi alla Cassazione.

Danno alla reputazione per illegittimità del protesto

La Cassazione coglie l’occasione per ribadire che “la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non
futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando inoltre l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (v., in senso conforme ai riferimenti dell’impugnata sentenza, Cass. Sez. 3n. 2226-12, Cass. Sez. 6-1 n. 21865-13, Cass. Sez. 1n. 23194-13)”. Si tratta invero, affermano gli Ermellini “di principio del tutto pacifico, peraltro sostenuto da rilievi comuni a distinte fattispecie, sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche; principio declinato dal rilievo che ogni pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine e alla reputazione commerciale o professionale, non costituisce
un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, ma deve essere oggetto di allegazione e prova, anche tramite presunzioni semplici (cfr. tra le più recenti Cass. Sez. 3 n. 19551-23, Cass. Sez. 3 n. 34026-22, Cass. Sez. 1 n. 11446-17; e v. pure, in altre fattispecie di danno del genere, Cass. Sez. 1 n. 479-23, Cass. Sez. 1 n. 26801-23)”.
Per cui, “l’epilogo indiscusso del percorso giurisprudenziale induce a rifiutare qualsivoglia automatismo valutativo” e l’insistere su un difforme criterio da parte del ricorrente, “senza argomenti idonei a un mutamento di indirizzo – integra la condizione di inammissibilità del mezzo ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.”.

Condanna alle spese e decisione

Infine, in ordine al governo delle spese, la Corte non ritiene vi sia stata l’asserita violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., essendo, come sopra specificato, nella facoltà del giudice disporre o meno la compensazione tra le parti e la pronuncia di condanna alle spese non è censurabile in Cassazione (v. Cass. Sez. Un. 14989-05, cui adde, ex allis, Cass. Sez. 6-3 n. 11329-19).
Da qui l’inammissibilità del ricorso.

Allegati