violazione di domicilio

La violazione di domicilio Il reato di violazione di domicilio: definizione, elementi costitutivi, sanzioni penali e giurisprudenza della Corte di Cassazione

Cos’è la violazione di domicilio

Il reato di violazione di domicilio, disciplinato dall’art. 614 del Codice Penale, tutela il diritto inviolabile all’intimità domestica, sancito anche dall’art. 14 della Costituzione. Si configura quando un soggetto si introduce o si trattiene indebitamente nel domicilio altrui, senza il consenso del titolare o contro la sua volontà.

L’art. 614 c.p.

L’articolo 614 c.p. punisce chiunque si introduce o si trattiene nellabitazione altrui o nei luoghi privati destinati ad attività domestiche, senza autorizzazione. È considerata reato anche l’introduzione mediante inganno, minaccia o violenza.

Come è punito il reato di violazione di domicilio

Le sanzioni penali variano in base alle modalità di commissione del reato:

  • reclusione da 1 a 4 anni, se l’introduzione nell’abitazione o nel luogo di privata dimora avviene contro la volontà espressa o tacita del soggetto che ha il diritto di escluderne l’ingresso o se il soggetto agente si introduce in luoghi suddetti e poi vi si intrattiene con inganno o in clandestinamente e contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo;
  • Reclusione da 2 a 6 anni, se il fatto è commesso con violenza sulle cose o sulle persone, se il soggetto agente è palesemente armato.

Quando si configura il reato: elementi costitutivi

Elemento oggettivo

  • Condotta: introduzione o permanenza abusiva nel domicilio altrui;
  • Domicilio: qualsiasi luogo destinato alla vita privata, inclusi giardini, garage e uffici privati.

Elemento soggettivo

  • Dolo generico: consapevolezza e volontà di violare il diritto altrui, indipendentemente dallo scopo.

Bene giuridico tutelato

Il reato di violazione di domicilio protegge la sfera privata e il diritto alla riservatezza di chi abita o possiede un immobile.

Procedibilità e denuncia

È un reato perseguibile a querela, salvo casi aggravati (es. violenza, minaccia, o violazione commessa da un soggetto palesemente armato), in cui si procede dufficio.

Giurisprudenza sulla violazione di domicilio

La Cassazione nelle sue sentenze ha delineato diversi e importanti aspetti di questo reato:   

Cassazione, sentenza n. 31276/2020

In un domicilio condiviso, tutti i coabitanti hanno diritto all’inviolabilità dello stesso. Il dissenso, anche tacito, di un solo coabitante è sufficiente a impedire l’ingresso di terzi, configurando il reato di violazione di domicilio. Il consenso di un coabitante permette l’accesso solo agli spazi comuni e ai propri spazi esclusivi, mentre per gli spazi di esclusiva pertinenza di altri coabitanti è necessario il consenso di questi ultimi. La presunzione di consenso non si applica agli spazi individuali ed esclusivi.

Cassazione n. 33860/2021

Commette il reato di violazione di domicilio chiunque entri in un appartamento altrui, anche se usato come deposito e visitato solo occasionalmente, senza il consenso di chi ne ha il diritto. L’uso effettivo dell’appartamento non deve essere necessariamente continuo e non viene meno se il proprietario è assente. La “privata dimora” è un concetto ampio che include qualsiasi luogo utilizzato per atti di vita privata, anche temporaneamente.

Cassazione, sentenza n.  29742/2024

Chi è accolto per convivenza familiare in un’abitazione rischia il reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) se, invitato a lasciare la casa, vi rimane senza consenso. Il diritto di escludere qualcuno dall’abitazione spetta a chi ha titolo per occuparla. In caso di permanenza illegittima, può essere emesso un ordine di allontanamento, poiché l’alloggio è assimilato a casa familiare.

 

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clausole claims made

Le clausole Claims Made Clausole Claims Made: definizione, tipologie, ambito applicativo, rischi e giurisprudenza rilevante in materia

Cosa sono le clausole claims made

Le clausole claims made rappresentano una tipologia specifica di accordo all’interno delle polizze di assicurazione per la responsabilità civile. Queste clausole stabiliscono che la copertura assicurativa si attiva nel momento in cui l’assicurato riceve una richiesta di risarcimento durante il periodo di validità della polizza, indipendentemente da quando si sia verificato l’evento dannoso. Questo approccio si differenzia dal regime “loss occurrence”, in cui la copertura è legata al momento in cui si verifica il sinistro, a prescindere da quando viene avanzata la richiesta di risarcimento.

Tipologie di clausole Claims Made

Esistono principalmente due varianti di clausole “claims made”:

  1. Claims Made Pura: la copertura si attiva per tutte le richieste di risarcimento ricevute dall’assicurato durante la validità della polizza, indipendentemente da quando si sia verificato l’evento dannoso.
  2. Claims Made Mista: la copertura è limitata alle richieste di risarcimento relative a eventi accaduti entro un determinato periodo precedente o coincidente con la validità della polizza.

Rischi associati a queste clausole

L’adozione di clausole “claims made” può comportare alcuni rischi per l’assicurato, tra cui:

  • Limitazione temporale: se la richiesta di risarcimento viene presentata dopo la scadenza della polizza, l’assicurato potrebbe non essere coperto, anche se l’evento dannoso è avvenuto durante la validità della polizza.
  • Retroattività: alcune polizze potrebbero non coprire eventi accaduti prima dell’inizio della polizza, escludendo così sinistri “pregressi”.

Assicurazioni responsabilità civile in regime Claims Made

Nel contesto delle assicurazioni di responsabilità civile, le clausole “claims made” sono spesso utilizzate per coprire professionisti come medici, avvocati o ingegneri. Questo perché in tali professioni possono emergere richieste di risarcimento anche a distanza di anni dall’evento che ha causato il danno. Le polizze “claims made” offrono quindi una copertura basata sul momento della richiesta, piuttosto che sull’evento stesso.

Giurisprudenza rilevante

La validità e l’applicazione delle clausole “claims made” sono state oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali.

La Corte di Cassazione italiana, con la sentenza a SU n. 9140 del 6 maggio 2016, ha affermato la legittimità di tali clausole, purché rispettino determinati criteri di equilibrio contrattuale e non risultino vessatorie per l’assicurato.

Successivamente, con la nuova sentenza a SU 22437 del 13 settembre 2018, la stessa Corte ha concluso nel senso che la clausola claims made, in astratto, non possa essere considerata vessatoria né immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. Tuttavia, è essenziale il ruolo dell’intermediario assicurativo nel fornire un’informazione chiara e completa all’assicurato circa gli effetti di tale clausola. In particolare, l’intermediario deve informare adeguatamente il cliente sulle implicazioni della clausola claims made, ossia sulla limitazione della copertura ai sinistri denunciati durante il periodo di validità della polizza.

Con la pronuncia n. 20873/2024 la Cassazione ha accolto la censura del ricorrente e ha stabilito che nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made non configura una decadenza convenzionale nulla ai sensi dell’art. 2965 c.c., in quanto la perdita del diritto non dipende esclusivamente dalla scelta di un terzo. La richiesta del danneggiato, infatti, rappresenta un elemento determinante per la definizione del rischio assicurato. Di conseguenza, questo tipo di contratto rientra pienamente nel modello dell’assicurazione della responsabilità civile, collocandosi all’interno del più ampio genere dell’assicurazione contro i danni disciplinato dall’art. 1904 c.c., di cui la clausola claims made costituisce un’espressione coerente con la funzione indennitaria.

 

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arbitrato

Arbitrato: guida e modello Cos'è l’arbitrato, quali sono le materie arbitrabili e non arbitrabili, tipologie di arbitrato e giurisprudenza

Cos’è l’arbitrato

L’arbitrato è uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie regolato dagli articoli 806-840 del Codice di Procedura Civile (c.p.c). Esso consente alle parti di affidare la decisione di una controversia a uno o più arbitri, evitando così il ricorso al giudice ordinario. Si tratta di un procedimento più rapido e flessibile rispetto al processo civile, ma con specifiche caratteristiche che lo rendono adatto solo a determinate situazioni.

Il procedimento arbitrale

L’arbitrato è un procedimento in cui le parti coinvolte in una controversia nominano un collegio arbitrale per dirimere la questione. Gli arbitri emettono un provvedimento, denominato lodo arbitrale, che ha efficacia vincolante per le parti. Può essere utilizzato sia per controversie nazionali sia per dispute internazionali.

Il procedimento arbitrale è caratterizzato da:

  • autonomia delle parti: le parti possono stabilire le regole procedurali applicabili, nei limiti previsti dalla legge;
  • riservatezza: le decisioni e le attività svolte nell’arbitrato sono confidenziali;
  • efficienza: rispetto al processo ordinario, l’arbitrato è generalmente più efficiente.

Materie arbitrabili

Non tutte le controversie possono essere risolte tramite questo procedimento stragiudiziale. Secondo l’articolo 806c.p.c possono essere devolute in arbitrato le controversie su diritti disponibili, ossia quei diritti che possono essere liberamente trasferiti, modificati o rinunciati dalle parti.

Materie non arbitrali

Sono escluse invece dall’arbitrato:

  • le materie che riguardano lo stato e la capacità delle persone come le procedure di separazione e divorzio o quelle finalizzate alla dichiarazione di inabilitazione o di interdizione dei soggetti parzialmente o totalmente incapaci;
  • le questioni che coinvolgono interessi pubblici, come le controversie in materia tributaria o amministrativa;
  • i diritti indisponibili, come il diritto alla salute o alla dignità personale.

Arbitrato rituale e irrituale

La normativa distingue tra arbitrato rituale e irrituale, che si differenziano per la natura e gli effetti del lodo.

Arbitrato rituale

L’arbitrato rituale è disciplinato dagli articoli 806-832 c.p.c. Il lodo emesso dagli arbitri ha la stessa efficacia di una sentenza giudiziaria e può essere eseguito tramite un provvedimento del giudice. Questa tipologia segue un procedimento formalizzato, simile a quello giudiziario.

Arbitrato irrituale

L’arbitrato irrituale, regolato dalla volontà delle parti e dalla normativa contrattuale, non prevede l’emissione di un lodo esecutivo. La decisione degli arbitri si traduce in un contratto tra le parti e, per essere eseguita, richiede l’intervento del giudice in caso di inadempimento.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha chiarito molti aspetti dell’arbitrato, tra cui:

Cassazione n. 39437/2021: stabilire quale sia la volontà delle parti riguardo a una clausola arbitrale è un compito che spetta esclusivamente al giudice di primo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice di primo grado è talmente carente da non permettere di capire come è arrivato alla sua conclusione, oppure se ha applicato in modo errato le regole sull’interpretazione dei contratti.

Cassazione civile n. 19993/2020: l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale non apre un giudizio di merito, ma un giudizio d’impugnazione su un provvedimento giurisdizionale. La competenza spetta al giudice del luogo in cui opera l’arbitro che ha emesso il lodo, indipendentemente dalla materia controversa.

Cassazione civile n. 21059/2019: per capire se un arbitrato sia rituale o irrituale bisogna analizzare attentamente la clausola compromissoria, considerando le parole usate, l’intenzione delle parti e il loro comportamento complessivo. Il fatto che la clausola non menzioni le formalità dell’arbitrato rituale non significa automaticamente che si tratti di un arbitrato irrituale.

Modello di clausola arbitrale

Ecco un esempio pratico di clausola compromissoria da inserire in un contratto:

Clausola compromissoria
“Le parti convengono che ogni controversia derivante dal presente contratto o in connessione con esso sarà risolta mediante arbitrato secondo il regolamento arbitrale [specificare il regolamento, ad esempio, della Camera Arbitrale di Milano]. Gli arbitri saranno in numero di [specificare, ad esempio, uno o tre] e saranno nominati in conformità al regolamento applicabile. Il lodo arbitrale sarà vincolante per le parti e avrà efficacia esecutiva ai sensi degli articoli 806 e seguenti del Codice di Procedura Civile.”

 

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assegno di vedovanza

Assegno di vedovanza Assegno di vedovanza: cos'è, a chi spetta, come richiederlo e che cosa ha chiarito la Cassazione quando lo ha riconosciuto

Cos’è l’assegno di vedovanza?

L’assegno di vedovanza è un’integrazione economica riconosciuta ai titolari di pensione di reversibilità che si trovano in condizioni di invalidità totale o che hanno diritto all’accompagnamento. Questa misura di sostegno è rivolta a vedovi e vedove con gravi difficoltà economiche e viene erogata dall’INPS.

Introdotto per tutelare economicamente i superstiti invalidi, l’assegno di vedovanza può essere cumulato con la pensione di reversibilità.

A chi spetta l’assegno

L’assegno di vedovanza è destinato a:

  • vedovi o vedove titolari di pensione di reversibilità;
  • con un’invalidità riconosciuta del 100% o essere titolari dell’indennità di accompagnamento;
  • in difficoltà economiche, con redditi entro i limiti stabiliti dall’INPS.

Sono esclusi da questo beneficio i veloci e le vedovi di lavoratori autonomi iscritti alla gestione Inps come artigiani, mezzadri, coloni e commercianti.

Come fare domanda

Per ottenere l’assegno di vedovanza, il richiedente deve seguire questi passaggi:

Verifica dei requisiti: controllare il grado di invalidità e la titolarità della pensione di reversibilità.

Raccolta della documentazione:

  • certificato medico che attesti l’invalidità;
  • ultima dichiarazione dei redditi per dimostrare la situazione economica;
  • modulo INPS specifico per la richiesta;
  • certificato di morte del coniuge, per calcolare la decorrenza dello stato di vedovanza;
  • documento di identità e codice fiscale.

Presentazione della domanda

  • Online tramite il portale INPS con SPID, CIE o CNS.
  • Presso un CAF o Patronato, che offre assistenza gratuita.
  • Chiamando il Contact Center INPS (803 164 da rete fissa o 06 164 164 da cellulare).

Attesa dell’esito: l’INPS risponde entro 90 giorni dalla presentazione della domanda.

Importo dell’assegno di vedovanza

L’assegno di vedovanza viene calcolato in base alla pensione di reversibilità e all’invalidità del richiedente.

L’importo può variare ogni anno in base alla rivalutazione INPS e si attesta attualmente intorno a 53 euro  euro mensili. Tale cifra viene erogata in aggiunta alla pensione di reversibilità e può essere richiesta anche per gli arretrati degli ultimi 5 anni, se in passato non è mai stata avanzata questa richiesta.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione è stata la prima a riconoscere l’assegno di vedovanza e a fornire importanti chiarimenti sulla sua spettanza.

Cassazione n. 7668/1996: ha aperto la strada al riconoscimento dell’assegno di vedovanza. In coniuge inabile al lavoro rientra infatti tra i possibili destinatari dell’assegno nucleo familiare anche in assenza di contitolari della reversibilità. La Cassazione con questa pronuncia ha infatti sancito che l’assegno per il nucleo familiare, regolato dall’art. 2 del D.L. 69/1988 (convertito in L. 153/1988), è un sostegno economico destinato alle famiglie in condizioni di bisogno. L’importo varia in base al numero di componenti, al reddito e alla presenza di soggetti con disabilità o difficoltà permanenti che impediscano lo svolgimento di un lavoro produttivo. Secondo il comma 8 dello stesso articolo, l’assegno spetta anche al coniuge superstite titolare di pensione per i superstiti, se affetto da un’infermità che ne comprometta in modo assoluto e permanente la capacità lavorativa.

 

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contributi figurativi

Contributi figurativi Contributi figurativi: cosa sono, quando si possono riscattare, normativa di riferimento, come chiederli e giurisprudenza  

Cosa sono i contributi figurativi

I contributi figurativi sono periodi di contribuzione accreditati dall’INPS senza un effettivo versamento da parte del lavoratore o del datore di lavoro. Sono riconosciuti in determinate situazioni che impediscono la normale attività lavorativa, in modo da garantire la continuità dei diritti previdenziali e pensionistici. Questi contributi possono essere determinanti per il raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione di vecchiaia, anticipata o per altre prestazioni previdenziali.

Quando si possono ottenere i contributi figurativi

I contributi figurativi possono essere riconosciuti automaticamente dall’INPS o su richiesta del lavoratore. Le principali situazioni in cui vengono concessi includono:

  • disoccupazione indennizzata NASpI;
  • cassa integrazione e integrazioni salariali;
  • maternità e congedo parentale (sia per lavoratrici dipendenti che autonome);
  • malattia e infortunio sul lavoro;
  • servizio militare o civile;
  • aspettativa per cariche elettive o sindacali;
  • congedo per donne vittime di violenza:
  • periodi di assistenza a familiari con disabilità grave;
  • permessi per donazione di midollo osseo e sangue
  • periodo di studio universitario riscattato.

Normativa di riferimento

La disciplina dei contributi figurativi è regolata da diverse norme, tra cui:

  • Legge n. 155/1981: ha introdotto il riconoscimento dei contributi figurativi per la disoccupazione indennizzata;
  • Lgs. n. 564/1996: disciplina il riscatto dei periodi di studio universitario;
  • Legge n. 388/2000: ha esteso il riconoscimento automatico di alcuni contributi figurativi;
  • Legge n. 335/1995 (Riforma Dini): ha riformato il sistema previdenziale, introducendo il calcolo contributivo anche per i contributi figurativi;
  • Legge n. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017): ha ampliato i diritti ai contributi figurativi per lavoratori in determinate condizioni.

Come fare domanda per il riscatto

Alcuni contributi figurativi vengono accreditati automaticamente, mentre altri devono essere richiesti all’INPS. Ecco come procedere:

  1. Verifica della posizione contributiva: consultando l’estratto conto previdenziale tramite il portale INPS.
  2. Presentazione della domanda: attraverso:
    • Il portale INPS con accesso tramite SPID, CIE o CNS;
    • Patronati o CAF che forniscono assistenza gratuita;
    • Contact Center INPS (numero 803 164 da rete fissa o 06 164 164 da cellulare).
  3. Attesa dellistruttoria: l’INPS verifica la documentazione e comunica l’esito della richiesta.

Per il riscatto dei periodi di studio universitario, è prevista la possibilità di accedere al riscatto agevolato, introdotto dal Decreto-Legge n. 4/2019, che consente il versamento di contributi a condizioni vantaggiose.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze in materia di contributi figurativi:

Cassazione n. 20828/2022: Non è ammissibile richiedere in giudizio solo l’accertamento del grado di invalidità per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, poiché non si possono proporre azioni autonome su singoli elementi di un diritto senza richiederne il riconoscimento complessivo. Nel caso specifico, il contribuente, non avendo presentato domanda amministrativa per la pensione, non poteva chiedere in giudizio l’accredito dei contributi figurativi.

Cassazione n. 4254/2023: La contribuzione figurativa è una copertura assicurativa garantita dallo Stato per proteggere i lavoratori nei periodi in cui, senza loro colpa, l’attività lavorativa è sospesa. Si tratta di un accreditamento fittizio dei contributi per situazioni eccezionali rispetto alla contribuzione obbligatoria, come malattia, infortunio, servizio militare, maternità, disoccupazione e incarichi pubblici. Pur essendo regolata dalla legge, mantiene la sua natura anche se concessa d’ufficio o su richiesta.

Cassazione n. 24916/2024:  Nel sistema previsto dall’art. 24, comma 10, della legge n. 214/2011, che consente la pensione anticipata con un’anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, è possibile includere la contribuzione figurativa. Diversamente, nel sistema di cui al comma 11, che prevede il pensionamento anticipato anche in base all’età anagrafica, la contribuzione richiesta deve essere effettiva.

 

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raccomandata a mano

La raccomandata a mano La raccomandata a mano cos’è, che valore ha, differenze rispetto alla raccomandata a/r e formula per attestare il ricevimento

Raccomandata a mano: cos’è

La raccomandata a mano rappresenta una modalità diretta e personale di consegna al destinatario di determinati atti. Questa procedura si pone l’obiettivo di garantire che l’interessato abbia conoscenza effettiva della comunicazione e di assicurarne in questo modo la trasparenza e l’efficacia.

Valore legale

La raccomandata a mano prevede la consegna personale di una comunicazione da parte del mittente al destinatario, ottenendo una firma per ricevuta. Il suo valore legale però, se effettuato da un privato, è inferiore rispetto a una raccomandata con avviso di ricevimento inviata tramite servizio postale. Questo perché, in assenza di un intermediario ufficiale come il servizio postale, la prova della consegna si basa esclusivamente sulla firma del destinatario, che potrebbe sempre contestarla.

Differenze tra raccomandata a mano e a/r

Per comprendere meglio la differenza tra raccomandata a mano e raccomandata a/r per mezzo del servizio postale, occorre dire che quando il legislatore richiede l’invio di una comunicazione a mezzo raccomandata lo fa perché desidera che il destinatario la riceva o che comunque si trovi nella condizione di riceverla, anche se ha il diritto di rifiutare la comunicazione.

Fatta questa premessa occorre ricordare che la raccomandata a/r, che si realizza per mezzo del servizio postale garantisce il ricevimento della comunicazione. Il postino al momento della consegna al destinatario, ne accerta l’identità, attesta l’autenticità della sottoscrizione e indica la data in cui la firma viene apposta. Il postino infatti, nella sua qualità di pubblico ufficiale, conferisce valore legale alle sue attestazioni.

Il discorso cambia quando si parla di raccomandata a mano. Il mittente, per provare il ricevimento della comunicazione, deve far controfirmare la comunicazione al destinatario e deve acquisire la firma anche su una copia della comunicazione affinché la possa conservare come prova. Se il destinatario rifiuta di firmare la copia la lettera perde valore perché il mittente non può provare il ricevimento.

La raccomandata a mano ha quindi un valore inferiore rispetto a quella a/r effettuata dal postino, proprio perché il postino, come già detto, è un pubblico ufficiale e come tale conferisce valore legale alla attestazione contenuta nella ricevuta.

Per questo, se si devono fare delle comunicazioni importanti, è sempre meglio rivolgersi al servizio postale e inviare una raccomandata a/r con avviso di ricevimento.

Quando si utilizza?

I casi in cui la raccomandata a mano trova maggiore utilizzo sono i seguenti:

  • diffida ad adempiere un contratto;
  • messa in mora del conduttore in caso di tardivo pagamento dei canoni di locazione;
  • disdetta di un servizio a causa di continue disfunzioni;
  • convocazione all’assemblea condominiale;
  • reclamo per la cattiva esecuzione di un opera.

Formula ricevimento raccomandata a mano

Formula da apporre in fondo alla copia del documento, da far sottoscrivere al destinatario affinché  il mittente abbia la prova del ricevimento:

Io sottoscritto ___________________(nome e cognome del destinatario) dichiaro di ricevere in data ________ dal Sig. _______________(nome e cognome del mittente)  la raccomandata a mano contenente la comunicazione ______________________________

Data e Luogo _____________

Firma

_________________________

 

 

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reato di falso materiale

Reato di falso materiale coprire la targa per sfuggire all’autovelox La Cassazione conferma il reato di falso materiale nei confronti dell'automobilista che ha coperto la targa per sfuggire all'autovelox

Targa manomessa è reato

Con la sentenza n. 5255/2025, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito un principio importante in materia di violazioni stradali e responsabilità penale: coprire la targa dell’auto con del nastro adesivo per eludere i controlli dell’autovelox costituisce reato di falso materiale. Questo pronunciamento rappresenta un punto fermo nell’interpretazione delle condotte fraudolente tese a sottrarsi alle sanzioni amministrative, chiarendo i confini tra illecito amministrativo e reato penale.

Il caso: l’automobilista e la targa camuffata

Il caso riguarda un automobilista cui veniva rigettata la richiesta di riesame avverso il provvedimento di convalida del sequestro probatorio di una targa contraffatta (con apposizione di nastro adesivo).

Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del proprio difensore, lamentando che il Tribunale aveva ricondotto la condotta alla violazione del precetto penale, anziché all’illecito amministrativo previsto dal comma 12 dell’art. 100 cod. strada, alla luce del quale “chiunque circola con un veicolo munito di targa non propria o contraffatta è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 2.046 a Euro 8.186”. Si deduce altresì vizio di motivazione apparente, per non avere il collegio del riesame adeguatamente valorizzato la circostanza che l’indagato non si era accorto dell’esistenza di nastro adesivo sulla targa, come dimostrato dal fatto che aveva superato – lampeggiando – l’auto dei carabinieri e si era poi fermato spontaneamente.

Insiste il ricorrente nel sostenere l’innocuità del falso, alla luce del fatto che il falso realizzato era macroscopicamente percepibile da chiunque e, a tutto voler concedere, sarebbe ravvisabile, a suo avviso, la violazione dell’art. 102, comma 7, cod. strada che sanziona chi circola con targa non chiaramente ed integralmente leggibile.

La decisione della Cassazione: il falso materiale si configura

La Cassazione ha confermato la condanna, ribadendo che “integra il reato di falsità materiale, commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 c.p.), la condotta di colui che modifica i dati identificativi della targa della propria autovettura mediante applicazione di nastro adesivo, mentre non è configurabile l’illecito amministrativo previsto dall’art. 100, comma 12, cod. strada., che sanziona chi circola con veicolo munito di targa non propria o contraffatta nel caso in cui questi non sia l’autore della contraffazione. (Sez. 5, n. 20799 del 22/02/2018, Cognetta, Rv. 273035 – 01)”.

Le ulteriori considerazioni dedicate alla innocuità del falso, per gli Ermellini, non colgono nel segno, proprio alla luce della finalità emergente dalle dichiarazioni rese dallo stesso indagato di voler rendere la targa non identificabile ai rilevatori automatici di velocità.

Va ribadito proseguono i giudici che, in tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto “falso innocuo” nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Rv. 280453 – 01).

In tale contesto, “la disinvolta condotta di guida e il fatto che il ricorrente si fosse fermato sono dati che non assumono alcun rilievo rispetto alle conclusioni univocamente ritraibili dagli elementi sopra ricordati”.

Il ricorso è dunque rigettato.

accessione invertita

Accessione invertita L’accessione invertita ex art. 938 del codice civile: presupposti, procedura, e giurisprudenza della Cassazione

Cos’è l’accessione invertita

L’accessione invertita, disciplinata dall’articolo 938 del Codice Civile italiano, rappresenta un’eccezione al principio generale dell’accessione, secondo cui tutto ciò che è costruito su un terreno appartiene al proprietario del suolo. In questo caso particolare, il costruttore che, in buona fede, occupa una porzione del fondo attiguo durante la costruzione di un edificio può, in determinate circostanze, acquisire la proprietà del suolo occupato.

Normativa di riferimento

L’articolo 938 del Codice Civile, intitolato “Occupazione di porzione di fondo attiguo”, prevede che se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo confinante e il proprietario di quest’ultimo non fa opposizione entro tre mesi dall’inizio dei lavori, l’autorità giudiziaria può, valutate le circostanze, attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del terreno occupato. In tal caso, il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento dei danni.

Presupposti dell’accessione invertita

Affinché si configuri l’istituto dell’accessione invertita sono necessari i seguenti presupposti:

  1. Buona fede del costruttore: il costruttore deve ignorare di occupare una porzione di fondo altrui nel momento in cui inizia la costruzione;
  2. Occupazione parziale: l’occupazione deve riguardare solo una parte del fondo confinante. Se l’intera costruzione insiste sul terreno altrui, l’articolo 938 non è applicabile.
  3. Mancata opposizione tempestiva: il proprietario del fondo occupato non deve presentare opposizione entro tre mesi dall’inizio della costruzione. Trascorso questo termine senza opposizione, il costruttore può richiedere infatti l’attribuzione della proprietà del suolo occupato.

Procedura e conseguenze

In assenza di opposizione entro il termine previsto, il costruttore può rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere la proprietà dell’edificio e della porzione di terreno occupata. Il giudice, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso, può decidere di attribuire la proprietà al costruttore. In tal caso, il costruttore è obbligato a corrispondere al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata e a risarcire eventuali ulteriori danni causati.

Giurisprudenza rilevante

Si riportano alcune pronunce della Cassazione che hanno chiarito aspetti fondamentali dell’istituto:   

Accessione invertita: solo se c’è sconfinamento parziale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16331 del 30 luglio 2020, ha chiarito che l’articolo 938 del Codice Civile si applica esclusivamente ai casi di sconfinamento parziale, ossia quando la costruzione insiste in parte sul terreno del costruttore e in parte su quello altrui. Non trova invece applicazione quando l’intera costruzione è realizzata sul fondo altrui, situazione regolata dall’articolo 936 del Codice Civile.

Caratteristiche della costruzione per l’accessione invertita

L’ordinanza della Cassazione n. 992 /2022 ha chiarito che per orientamento consolidato della Corte di legittimità l’art. 938 c.c., che disciplina l’ipotesi di occupazione di una porzione del fondo confinante mediante una costruzione, stabilisce l’attribuzione della proprietà dell’opera e del suolo al costruttore (c.d. accessione invertita). Tale norma si applica in via esclusiva alla realizzazione di un edificio, inteso come una struttura muraria complessa atta a garantire la permanenza di persone e cose al suo interno. Di conseguenza, essa non può essere invocata per opere di diversa natura, quali muri di contenimento o di divisione (Cass. n. 22997 del 2019, tra le altre).

Buona fede necessaria per l’accessione invertita

Con l’ordinanza n. 9694/2024 la Cassazione, nel richiamare precedenti giurisprudenziali ricorda che la buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita, come previsto dall’articolo 938 del Codice Civile, si identifica nel ragionevole convincimento di chi costruisce di operare sul proprio terreno, senza compiere alcuna usurpazione. In mancanza di una norma simile a quella prevista per il possesso dall’articolo 1147 del Codice Civile, essa non si presume automaticamente, ma deve essere dimostrata dal costruttore. Per quanto riguarda l’onere della prova, è indispensabile valutare la ragionevolezza della persona comune e il convincimento che questa poteva legittimamente formarsi riguardo all’esecuzione dei lavori sul proprio terreno, in base alle conoscenze realmente possedute o che avrebbe potuto acquisire con un comportamento attento e scrupoloso. Pertanto, la buona fede deve essere esclusa qualora, considerando le particolari circostanze del caso specifico, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio nutrire anche solo un dubbio sulla legittimità dell’occupazione del terreno altrui (Cass. Sez. 6 – 2 Ordinanza n. 11845 del 06/05/2021; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 345 del 10/01/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11836 del 29/11/1993).

 

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art. 415-bis c.p.p.

Art. 415-bis c.p.p. (Avviso di conclusione delle indagini) Art. 415-bis c.p.p: l’avviso della conclusione delle indagini preliminari, novità dell'ultimo correttivo Cartabia e giurisprudenza

Art. 415-bis c.p.p. cosa prevede

L’Art. 415-bis c.p.p italiano disciplina l’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari. Introdotto con la legge n. 479/1999, questo istituto ha l’obiettivo di garantire il diritto di difesa dell’indagato, informandolo della chiusura delle indagini e permettendogli di esercitare specifiche facoltà prima dell’eventuale esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Contenuto avviso di conclusione delle indagini preliminari

Secondo quanto previsto dall’Art. 415-bis c.p.p, l’avviso deve contenere determinate informazioni.

  • Una sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, indicando le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto.
  • L’informazione che la documentazione relativa alle indagini è depositata presso la segreteria del pubblico ministero, con la facoltà per l’indagato e il suo difensore di prenderne visione ed estrarne copia.
  • L’avvertimento che, entro il termine di venti giorni dalla notifica dell’avviso, l’indagato può esercitare i diritti previsti dall’Art. 415-bis c.p.p comma 3, tra cui presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa a investigazioni difensive, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto a interrogatorio.
  • Quando il PM, dopo le richieste dell’indagato procede con nuove indagini queste devono essere completate entro 30 giorni dalla richiesta. Questo termine può essere propagato dal GIP per una volta sola e per non più di 60 giorni.

Modifiche della riforma Cartabia all’art. 415-bis c.p.p,

La riforma Cartabia, in seguito all’ultimo correttivo contenuto nel dlgs n. 31/2024 ha apportato significative modifiche all’Art. 415-bis c.p.p, attraverso l’abrogazione dei commi 5 bis, ter, quater, quinquies e sexies.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha più volte affrontato questioni relative all’art. 415-bis c.p.p.:

Cassazione penale, Sez. 5, sentenza n. 20082/2024: “la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per omessa notifica all’imputato dell’avviso di cui all’Art. 415-bis c.p.p implica la lesione del diritto di difesa, ed è inquadrabile nelle nullità di ordine generale, che possono essere eccepite fino alla deliberazione della sentenza di primo grado.”

Cassazione penale,. Sez. V, sentenza n. 7585/2019:  Il pubblico ministero può legittimamente svolgere indagini di propria iniziativa nel periodo tra la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’esercizio dell’azione penale, purché rispetti i termini previsti dagli artt. 405-407 c.p.p. Inoltre, deve depositare immediatamente la documentazione delle attività svolte e informare la difesa, garantendole così le prerogative dell’Art. 415-bis c.p.p commi 2 e 3. Se ciò non avviene, il materiale investigativo non potrà essere utilizzato, ma l’atto di imputazione resterà comunque valido.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42037/2008: È stato stabilito che, nel caso in cui gli atti siano trasmessi al pubblico ministero per l’ulteriore corso a seguito dell’annullamento della sentenza di primo grado, non è necessaria la rinnovazione dell’avviso di cui all’Art. 415-bis c.p.p.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 29931/2006: La Corte ha chiarito che la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari è una nullità a regime intermedio e deve essere eccepita o rilevata d’ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 9205/2003: È stato affermato che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari non è dovuto nel caso di “imputazione coatta” formulata dal pubblico ministero a seguito del mancato accoglimento, da parte del giudice, della richiesta di archiviazione.

 

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giurista risponde

Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice Il giudice accertata l’intrinseca irrazionalità/illogicità del giudizio di anomalia può disporre immediatamente l’annullamento dell’aggiudicazione e dichiarare l’inefficacia del contratto?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il giudice, accertata l’irrazionalità del giudizio di anomalia, non può disporre immediatamente l’annullamento dell’aggiudicazione in luogo del rinvio degli atti all’Amministrazione, per la rinnovazione globale del subprocedimento di verifica dell’anomalia, da estendersi ad ogni aspetto riguardante l’attendibilità dell’offerta economica (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2024, n. 8437 (Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice).

I Giudici di Palazzo Spada evidenziano che il Giudice di prime cure, rilevando profili di criticità, non ha esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni. Nel far ciò, dunque, non si è in alcun modo sostituito alle valutazioni dell’Amministrazione, formulando un proprio giudizio di anomalia diverso da quello svolto in sede di gara – la qual cosa determinerebbe senz’altro uno straripamento del potere giurisdizionale in ambiti riservati alla discrezionalità amministrativa – bensì, si è limitato ad accertare i suddetti elementi di criticità riguardante la stima dei ricavi.

Il Giudice di prime cure si è dunque attenuto al principio giurisprudenziale secondo il quale: “Il procedimento di verifica dell’anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo” (Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2019, n. 2879).

Senonché, nella fattispecie in esame, il Giudice di prime cure dopo aver correttamente accertato l’intrinseca irrazionalità/illogicità del giudizio di anomalia, ha esorbitato le proprie attribuzioni, disponendo l’immediato annullamento dell’aggiudicazione e dichiarando altresì l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato, in luogo di disporre rinvio degli atti all’Amministrazione, per la rinnovazione globale del sub-procedimento di verifica dell’anomalia, da estendersi ad ogni aspetto riguardante l’attendibilità dell’offerta economica.

La Sezione ha, dunque, aderito ad un precedente orientamento: “L’accertamento di una carenza di istruttoria da parte della stazione appaltante nella verifica di anomalia dell’offerta aggiudicataria comporta sempre la riapertura del relativo sub-procedimento e la valutazione anche delle giustificazioni degli altri concorrenti. Tale sindacato giurisdizionale non può incontrare pertanto un limite nell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., in quanto, per il solo fatto di determinare un prosieguo procedimentale, non integra una pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati, limitandosi piuttosto ad un effetto conformativo sulla riedizione del potere”.

Pertanto, l’accertamento di carenze istruttorie nel corso del sub-procedimento di verifica di anomalia non ridonda nel sindacato su poteri non ancora esercitati, poichè l’esito di tale accertamento è la riedizione del potere da parte dell’Amministrazione.

Dunque, solo a seguito di questa ulteriore e completa verifica sarà possibile considerare effettivamente consumata la discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con conseguente possibilità, da parte del giudice amministrativo, di un sindacato diretto sul modo di esercizio di detta discrezionalità da parte dell’Amministrazione.

(*Contributo in tema di “Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)