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Avvocato “trascurato”: è abbandono della difesa Cassazione a Sezioni Unite: abbandono della difesa, illecito disciplinare che comporta la violazione di diversi principi sanciti dalle norme deontologiche

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Abbandono della difesa: plurimi i principi violati

L’ingiustificato abbandono della difesa è una condotta a cui consegue la violazione di plurimi e fondamentali principi deontologici: il diligente adempimento del mandato (articolo 26), il dovere di probità e dignità (articolo 9), il dovere di fedeltà (articolo 10) e il dovere di coscienziosa diligenza (articolo 12). Lo hanno chiarito le sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 20877-2024.

Abbandono della difesa per l’avvocato che salta due udienze

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina competente per territorio dispone la sanzione disciplinare della censura nei confronti di un avvocato. Il legale ricorre al CNF che però respinge il ricorso.

L’avvocato è incolpato di aver violato gli articoli 1, 10, 12 e 26 comma 3 del Codice Deontologico Forense perché dapprima ha assunto l’incarico di difensore di un privato, poi però non ha adempiuto fedelmente al proprio incarico. Il professionista non avrebbe preso parte ad alcuna udienza, trascurando in questo modo gli interessi del suo assistito.

Le accuse mosse all’avvocato

L’avvocato è accusato di aver abbandonato la difesa del suo assistito, imputato in un processo penale, non prendendo parte a due udienze. Il CNF ha concluso infatti che:

  • l’avvocato ha avuto conoscenza, a mezzo notifica, della data delle due udienze penali disertate;
  • lo stesso non può invocare l’errore inevitabile per il fatto di aver assunto la difese del cliente in due processi con imputazioni diverse, ma con un tratto comune a entrambi;
  • per integrare l’illecito disciplinare è sufficiente la suitas della condotta, non essendo necessario dimostrare la consapevolezza della illegittimità delle proprie azioni;
  • la censura è una sanzione corretta perché prevista per la violazione dell’art. 26 comma 3 del Codice Deontologico;
  • non rileva la nomina successiva dell’avvocato da parte dello stesso cliente per scontare la pena in forma alternativa.

Il ricorso in Cassazione

L’avvocato nel ricorrere in Cassazione contro la decisione del CNF nel primo motivo evidenzia la possibilità di richiedere la sospensione della esecutorietà della decisione nel ricorso, non essendo necessario proporla in forma autonoma.

Con il secondo motivo invece lamenta la violazione dell’art. 26 comma 3 del Codice deontologico evidenziando che il mero errore non integrerebbe la colpa, di cui non sussiste prova alcuna. Il legale sottolinea inoltre come la trascuratezza di cui è stato accusato non avrebbe cambiato l’esito del giudizio penale del suo assistito. La responsabilità per colpa lieve che gli è stata addebitata avrebbe potuto assumere rilievo solo sotto il profilo civilistico, non deontologico.

Per il difensore la trascuratezza non integra quindi l’illecito disciplinare previsto dall’art. 26 comma 3 del Codice deontologico.

Abbandono della difesa e violazioni deontologiche

La Cassazione rigetta il ricorso precisando che il Codice Deontologico non ha carattere normativo. Esso è composto da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per dare attuazione ai valori che caratterizzano la professione e per garantire la libertà, la sicurezza e l’inviolabilità della difesa. La violazione del Codice  Deontologico rileva in sede giurisdizionale solo quando è ricollegabile all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge come previsto dall’articolo 56 comma 3 del r.d.l n. 1578/1933.

Nessuno di questi vizi però è stato riscontrato in relazione ai motivi di impugnazione del secondo motivo. La coscienza e la volontà sono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o dell’omissione. Vi è quindi una presunzione di colpa per l’atto sconveniente vietato a carico di chi lo commette. Spetta all’accusato dimostrare l’errore inevitabile, non superabile con l’uso della normale diligenza oppure il sopravvenire di una causa esterna. Non è invece configurabile l’imperizia incolpevole perché il professionista legale è tenuto a conoscere il sistema delle fonti. Anche per quanto riguarda l’entità della trascuratezza riscontrata dal giudice disciplinare la Cassazione esclude la sussistenza del vizio censurabile.

La responsabilità deontologica dell’avvocato

L’articolo 26 del Codice Deontologico forense al comma 3 dispone “Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita.” L’avvocato si è reso responsabile di mancata assistenza e difesa nel procedimento. Il giudizio sulla trascuratezza spetta all’organo disciplinare e non è sindacabile in sede di Cassazione. Non rileva, come sostenuto dall’avvocato ricorrente, che l’azione non porti a conseguenze pregiudizievoli per il cliente. Tale affermazione è del tutto estranea alla formulazione della norma e ai principi di decoro e dignità della professione forense. Privo di fondamento è anche il motivo con cui il ricorrente ha contestato la sanzione applicata. La sentenza impugnata ha spiegato che lingiustificato abbandono della difesa lede diversi e fondamentali principi deontologici:

  • il diligente adempimento del mandato (articolo 26);
  • il dovere di probità e di dignità (articolo 9);
  • il dovere di fedeltà (articolo 10);
  • il dovere di coscienziosa diligenza (articolo 12).

Insindacabile il giudizio sulla gravità della condotta espresso dal giudice disciplinare.

 

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