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Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene L’onere probatorio in caso di violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene può essere soddisfatto mediante elementi presuntivi?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa

 

In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore. – Cass. 27 giugno 2024, n. 17758.

L’oggetto della materia del contendere di cui al caso in esame ha riguardato il risarcimento dei danni causati dall’installazione illegittima di una canna fumaria posta ad una distanza inferiore a quella minima rispetto al balcone del fondo limitrofo.

In sede di appello, la Corte ha rigettato la domanda risarcitoria in quanto, oltre ad aver ritenuto insussistente il danno alla salute, la parte onerata non avrebbe allegato e provato il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene: per tali ragioni è stato infine proposto ricorso per Cassazione.

Spiegano i giudici di ultima istanza che il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi ex art. 890 c.c. è collegato ad una presunzione di pericolosità assoluta se prevista da norme comunali di tipo regolamentare ovvero relativa in assenza di esse.

Nondimeno, la violazione della distanza della canna fumaria dal balcone di proprietà di parte attrice è stata accertata assieme alla sua intrinseca pericolosità attesa altresì la sua composizione in amianto e le scarse condizioni manutentive; ciò che la Corte territoriale ha omesso di valutare tuttavia, ancorché in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante all’esposizione a materiali nocivi abbia limitato il godimento del bene a prescindere dalle immissioni dello stesso.

È stato dato seguito al principio di diritto elaborato dalla sez. II della Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 18 luglio 2013, n. 17635) e poi ripreso dalle Sezioni Unite del 2022 (Cass., Sez. Un., 15 luglio 2022, n. 33645) secondo cui, “in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria” nonché nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” debba essere sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale” privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze.

Nel caso di specie, rilevano i giudici della Suprema Corte, avrebbe errato la Corte d’appello ad escludere la tutela risarcitoria per l’assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, dovendo accertare se, per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell’immobile.

Tale provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con l’orientamento maggioritario (e accolto dalla sent. Cass., sez. II, 23 giugno 2023, n. 18108) secondo cui l’esistenza di un danno risarcibile ben può fondarsi su presunzioni quando vengono soppresse o limitate le facoltà di godimento e disponibilità di cui il bene ne è oggetto.

Per tali ragioni, il ricorso è stato accolto e la Corte ha disposto il rinvio ai giudici dell’appello che, in diversa composizione, dovranno conformarsi al seguente principio di diritto: “In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore”.

(*Contributo in tema di “Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene”, a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

legittimo impedimento avvocati

Legittimo impedimento avvocati, CNF: “Passo avanti sui diritti” Il Consiglio Nazionale Forense plaude all'approvazione del ddl sul legittimo impedimento degli avvocati da parte del Senato (ora alla Camera per la seconda lettura)

Un “Passo avanti per rispetto diritti degli avvocati“. Così il Consiglio Nazionale Forense, plaudendo all’approvazione del ddl sul legittimo impedimento degli avvocati da parte del Senato. Il testo, si ricorda, è stato licenziato il 18 settembre scorso da parte di palazzo Madama, nella versione modificata dalla Commissione Giustizia, e ora è alla Camera per la seconda lettura e l’approvazione definitiva.

Il CNF, si legge nella nota ufficiale, “esprime grande soddisfazione per l’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge n. 729 in tema di legittimo impedimento del difensore. Questo importante provvedimento, frutto di un costante impegno del CNF, riconosce e tutela il diritto degli avvocati a svolgere il proprio ruolo senza pregiudicare il diritto alla difesa dei cittadini”.

Con il ddl, riassume il Consiglio, si estende la possibilità di ottenere il rinvio dell’udienza penale per motivi legati alla salute dei figli o dei familiari dell’avvocato, garantendo una maggiore attenzione alle esigenze personali e familiari. Inoltre, viene introdotta la remissione in termini nel processo civile e la possibilità di rinvio delle udienze per cause di forza maggiore, malattia improvvisa, infortunio, gravidanza o per la necessità di assistenza ai figli e familiari con disabilità o affetti da gravi patologie.

“Questo risultato rappresenta un riconoscimento fondamentale per gli avvocati e, soprattutto, per i diritti dei loro assistiti. La tutela delle esigenze personali e familiari dei difensori – dichiara il Presidente del Consiglio Nazionale Forense Francesco Greco – è imprescindibile per garantire un esercizio sereno della professione forense”.

 

mediazione e negoziazione

Mediazione e negoziazione: cosa prevede il correttivo approvato Mediazione e negoziazione assistita modificate dal correttivo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri

 Mediazione e negoziazione: approvato il correttivo

Mediazione e negoziazione non hanno pace.  Il Consiglio dei Ministri nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024 ha approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo. Il provvedimento modifica il decreto legislativo n. 149/2022 in materia di mediazione e negoziazione assistita e modifica, di conseguenza, il decreto legislativo n. 28/2010 e il decreto legge n. 132/2014.

Mediazione e negoziazione in modalità telematica

Lo schema contiene in particolare la disciplina relativa alla mediazione telematica e alla negoziazione assistita, sempre in modalità telematica. Vediamo più in dettaglio le novità dello schema, che deve ricevere il parere delle commissioni permanenti in Parlamento per essere poi approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri.

Mediazione: precisazioni al decreto legislativo n. 28/2010

Per prima cosa lo schema chiarisce che nelle materie elencate all’articolo 5 per le quali la mediazione è una procedura obbligatoria, essa è condizione di procedibilità della domanda introduttiva (non più giudiziale) del giudizio.

Il provvedimento precisa poi che quando il giudice dispone la mediazione lo possa fare fino alla remissione della causa in decisione (non più “fino al momento della precisazione delle conclusioni”.)

Il comma 4 dell’art. 3 attualmente prevede che “la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo, nel rispetto dell’articolo 8-bis.” La nuova formulazione aggiunge a questo comma la seguente disposizione “e gli incontri di mediazione possono svolgersi in modalità audiovisive da remoto, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 8 ter” ossia del nuovo articolo introdotto dallo schema.

Durata della mediazione

Lo schema sostituisce l’articolo 6 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina la durata della mediazione. La nuova formula stabilisce che  la mediazione ha una durata massima di 6 mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, per periodi di volta in volta non superiori a tre mesi.

Quando il giudice rileva che la causa è improcedibile perché la mediazione rappresenta condizione di procedibilità della domanda o quando la mediazione è demandata dallo stesso, la mediazione dura 6 mesi, con possibilità di proroga per una sola volta di altri 3 mesi, dopo che è stata instaurata, ma prima della sua scadenza.

La proroga nei casi suddetti deve risultare da un accordo scritto delle parti che deve essere allegato al verbale o incluso nello stesso, da cui deve quindi risultare.

Il termine di durata della mediazione non è soggetto alla regola della sospensione feriale dei termini.

Mediazione in modalità telematica

Lo schema modifica anche l’articolo 8 bis dedicato alla mediazione telematica. Quando la mediazione si svolge telematicamente gli atti della procedura sono formati dal mediatore e sottoscritti nel rispetto delle modalità stabilite dal Codice dell’amministrazione digitale.

Conclusa la procedura il mediatore redige un documento informatico, che contiene il verbale e l’accordo eventuale per l’apposizione delle firme da parte dei soggetti.  Il mediatore verifica l’apposizione delle firme, la loro validità e integrità, firma a sua volta e poi cura il deposito del documento presso l’organismo. La segreteria di quest’ultimo lo invia alle parti e agli avvocati, se le parti li hanno nominati.

Incontri con modalità audiovisive da remoto

Il provvedimento inserisce nel decreto legislativo n. 28/2010 il nuovo art. 8 ter che al comma 1 consente sempre alle parti di chiedere al responsabile dell’organismo di poter partecipare ai vari incontri di mediazione con collegamento audiovisivo da remoto. Il sistema deve però consentire alle parti collegate la effettiva, contestuale e reciproca udibili e visibilità.

Se le parti non sono tutte assistite da avvocati l’accordo che viene allegato al verbale viene omologato, su richiesta di parte, con decreto del presidente del tribunale in cui ha sede l’organismo di mediazione nel quale le parti hanno raggiunto l’accordo.

Patrocinio gratuito avvocati nella mediazione

Un’importante precisazione dedicata agli avvocati è quella contenuta nel nuovo comma 3 bis dell’art. 15 quinques. La nuova disposizione stabilisce che quando un avvocato nominato è iscritto in un elenco di un distretto di corte d’appello diverso da quello in cui si trova l’organismo di mediazione non gli spettano le spese e le indennità di trasferta stabilite dai parametri forensi.

Negoziazione assistita: novità

La nuova regola contenuta nell’art. 2 comma 5 del dl n. 132/2014 prevede che l’accordo di negoziazione debba concludersi con l’assistenza di almeno un avvocato per parte. La negoziazione assistita che si svolge in modalità telematica con collegamento audiovisivo da remoto può essere chiesta sempre da ogni parte.

Quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, agli atti del procedimento, incluso l’accordo devono essere formati e firmati secondo le regole del Codice dell’amministrazione digitale.

Non si possono però acquisire le dichiarazioni del terzo in modalità telematica o con collegamenti audiovisivi da remoto.

 

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Allegati

responsabilità medica

Responsabilità medica: azione diretta anche per le vecchie polizze Azione diretta contro l’assicurazione: può essere esercitata dal danneggiato anche in relazione alle vecchie polizze 

Azione diretta contro le compagnie dal 16 marzo 2024

Responsabilità medica: l’azione diretta contro la Compagnia di assicurazione del medico o della struttura sanitaria  è possibile dal 16 marzo 2024, ossia dalla data di entrata in vigore del DM n. 232/2023, anche se la polizza assicurativa è stata stipulata in data anteriore.

Lo hanno affermato di recente due giudici di merito: il Tribunale di Cagliari nell’ordinanza n. 15464/ 2024 e il Tribunale di Milano in due ordinanze, una del 26 agosto 2024, in commento, e una del 10 settembre 2024.

Azione diretta operativa: occorre adeguare le polizze?

Nell’ordinanza del 26 agosto 2024 il Tribunale di Milano precisa che l’art. 12 della legge n. 24/2017 dedicato all’azione diretta del danneggiato al comma 6 recita che: “Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6 dell’articolo 10 con il quale sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie.”

Esso prevede quindi, in sostanza, che l’azione diretta del danneggiato, in caso di responsabilità sanitaria, sia possibile a partire dalla data di entrata in vigore del decreto, senza disporre altre prescrizioni. Esso in effetti si limita a stabilire i requisiti minimi delle polizze assicurative delle strutture sanitarie, socio sanitarie e degli esercenti le professioni sanitarie, ma non richiede l’adeguamento delle condizioni contrattuali delle polizze assicurative.

Letteralmente quindi la norma nulla dispone in ordine alle eccezioni opponibili in sede di merito in relazione alle polizze sanitarie che non rispettano i requisiti minimi stabiliti dal DM n. 232/2023.

Eccezioni opponibili: vanno valutate caso per caso

Il Tribunale di Milano si occupa del tema dell’opponibilità delle eccezioni solo in via incidentale. Si tratta in effetti di una materia delicata, da valutare caso per caso nell’ambito del giudizio di merito.  Questa situazione sembra dare vita a una separazione temporale dell’azione diretta, che è applicabile sempre e immediatamente rispetto alle eccezioni opponibili, da valutare singolarmente ogni volta.

In relazione ai giudizi successivi al 16 marzo 2024, si potrebbe quindi creare una situazione particolare caratterizzata dal libero avvio dell’azione diretta nei confronti di tutte le compagnie, senza che rilevi la conformità delle polizze allo schema di legge e quindi senza limiti per i contratti stipulati prima del decreto.

 

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concordato preventivo biennale

Concordato preventivo biennale: le istruzioni del fisco Online la circolare dell'Agenzia delle Entrate con le istruzioni sul concordato preventivo biennale. Deadline al 31 ottobre 2024

Concordato preventivo biennale per forfetari e Isa

Pronte le indicazioni sul Concordato preventivo biennale (Cpb), l’istituto introdotto dal Dlgs n. 13/2024 al fine di favorire l’adempimento spontaneo agli obblighi dichiarativi.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 18/E, traccia le linee generali e spiega le regole specifiche per i forfetari e per i contribuenti che applicano gli Indici sintetici di affidabilità (Isa). Partendo dalla platea dei soggetti coinvolti, passando poi per benefici, condizioni, modalità e tempi per aderire, fino alle cause di cessazione e di decadenza: il documento di prassi fissa il perimetro di applicazione del nuovo istituto del Cpb. Nell’ultimo capitolo vengono infine fornite le risposte ad alcuni quesiti: viene ad esempio chiarito che il contribuente che ha già inviato la dichiarazione 2024 senza accettare la proposta di Cpb può ancora aderire, presentando una dichiarazione correttiva nei termini entro il prossimo 31 ottobre, scadenza per l’invio del modello Redditi per il periodo d’imposta 2023.

Chi può accedere al Cpb

Possono accedere al Concordato preventivo i contribuenti di minori dimensioni titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo. In particolare, il nuovo istituto è dedicato a coloro che aderiscono al regime dei forfetari e ai contribuenti che sono tenuti all’applicazione degli Isa. Tra le condizioni per l’adesione, non avere debiti per tributi amministrati dall’Agenzia o debiti contributivi o aver estinto, prima della scadenza del termine per aderire al Concordato, quelli di importo pari o superiore a 5mila euro. Il Cpb è precluso inoltre a coloro che nei tre anni precedenti a quello di applicazione non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, pur essendo tenuti a farlo. Ulteriore condizione è non essere stati condannati per determinati reati (decreto legislativo n. 74/2000, articolo 2621 del codice civile, articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter 1 del codice penale).

I benefici fiscali

L’adesione alla proposta consente di pianificare la propria tassazione per un anno in via sperimentale (2024) per i forfetari e per due anni (2024 e 2025) per i contribuenti Isa. Inoltre, nei confronti di tutti i soggetti che aderiscono non potranno essere effettuati gli accertamenti previsti dall’articolo 39 del Dpr n. 600/73 salvo che, in esito ad attività istruttorie dell’amministrazione Finanziaria, non si verifichi una causa di decadenza dal Cpb stesso. Ulteriori benefici riguardano i contribuenti che applicano gli Isa, che avranno diritto alle premialità specifiche del regime. L’adesione, invece, non ha alcun effetto ai fini Iva.

Come aderire

I contribuenti forfetari possono compilare il quadro LM del modello direttamente tramite il servizio “RedditiOnline” oppure tramite l’applicativo della dichiarazione precompilata per definire il proprio reddito 2024 e valutare se aderire all’istituto. I contribuenti Isa, invece, hanno a disposizione sul sito dell’Agenzia il software “Il tuo ISA 2024 CPB” per calcolare il proprio indice sintetico di affidabilità (Isa) e accedere alla proposta di Concordato preventivo biennale (Cpb). In entrambi i casi, la deadline per l’adesione per questo primo anno di applicazione è fissata al 31 ottobre 2024.

Le risposte ai quesiti

Il contribuente che ha già presentato la dichiarazione per il periodo d’imposta 2023 senza accettare la proposta Cpb, è ancora in tempo per formalizzare l’adesione all’istituto, presentando una dichiarazione correttiva nei termini entro il 31 ottobre. È una delle risposte fornite dall’Agenzia nel documento di prassi. Viene inoltre specificato che nel caso in cui un contribuente esercita due attività, una di impresa e una di lavoro autonomo, entrambe soggette a Isa, l’Agenzia formulerà due distinte proposte, cui il contribuente potrà aderire sia congiuntamente sia individualmente.

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ordine carcerazione

Ordine di carcerazione: cos’è e come funziona L’ordine di carcerazione è il provvedimento con cui il PM dispone la carcerazione di un soggetto condannato, ma non detenuto 

Ordine di carcerazione: definizione

L’ordine di carcerazione è un provvedimento di competenza del Pubblico Ministero. L’articolo 656 c.p.p al comma 1 dispone infatti che quando una sentenza di condanna deve essere eseguita il PM emette un ordine di esecuzione con cui dispone la carcerazione del condannato, se non ancora detenuto. Qualora il condannato si trovi già in stato di detenzione l’ordine di esecuzione viene comunicato al Ministero della Giustizia e notificato all’interessato.

Contenuto dell’ordine di carcerazione

Il comma 3 dell’articolo 656 c.p.p stabilisce il contenuto dell’ordine di carcerazione, che deve essere notificato sia al condannato che al suo difensore. Il provvedimento deve contenere in particolare i seguenti dati:

  • le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e qualsiasi altra informazione utile a identificarla;
  • l’imputazione;
  • il dispositivo del provvedimento di condanna e le disposizioni necessarie a darvi esecuzione;
  • l’avviso al condannato che ha il diritto di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’avviso al condannato (se il processo si è svolto in sua assenza) del diritto di chiedere, entro 30 giorni dalla conoscenza della sentenza, la restituzione dei termini per poter impugnare la decisione o chiedere la rescissione del giudicato.

Ordine di carcerazione per madre di figli minori

Qualora l’ordine di esecuzione venga emanato nei confronti di una madre con figli minori il provvedimento stesso deve essere comunicato anche al Procuratore della Repubblica che opera presso il Tribunale dei Minorenni che ha la competenza nel luogo in cui deve essere eseguita la sentenza.

Modalità di esecuzione dell’ordine di carcerazione

Il comma 4 dell’articolo 656 c.p.p, per quanto riguarda  le modalità di esecuzione dell’ordine di carcerazione, rinvia all’art. 277 c.p.p. La norma, prevista per le misure cautelari, ma estensibile anche all’ordine di carcerazione, stabilisce che l’esecuzione debba avvenire nel rispetto della salvaguardia dei diritti della persona che vi è sottoposta. L’esercizio dei diritti della persona però non deve essere incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.

Liberazione anticipata

Quando il PM deve emettere l’ordine di carcerazione deve prima effettuare dei controlli.

Qualora il PM rilevi che il soggetto nei cui confronti si deve eseguire l’ordine  di carcerazione, tranne che in casi particolari, computando le detrazioni di cui all’art. 54 Legge n. 354/1975 (che vengono applicate se il detenuto partecipi all’opera di rieducazione), debba ancora scontare una pena detentiva di 4, 5 e 6 anni nei casi e per i reati indicati nel comma 5 dell’art. 656 c.p.p, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena fungibile, trasmette gli atti al Magistrato di Sorveglianza. Quest’ultimo, in presenza di presupposti di legge, provvede con ordinanza alla liberazione anticipata del soggetto. Il PM può trasmettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la decisione sulla libertà anticipata anche se il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere.

Detenzione domiciliare: in quali casi?

Il PM, prima di emettere l’ordine di esecuzione può chiedere al Magistrato di Sorveglianza di disporre in via provvisoria, fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, la detenzione domiciliare se:

  • il condannato ha un’età pari o superiore a 70 anni e la pena residua da espiare è compresa tra i due e i 4 anni,
  • il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute.

Sospensione dell’esecuzione

Il PM, tranne che in casi particolari, se rileva che la pena detentiva da applicare al condannato, anche come residuo di una pena maggiore non supera i 3, 4 e 6 anni, nei casi specificati dal comma 5 dell’art. 656 c.p.p, può sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione.  Se però il condannato si trova agli arresti domiciliari, in presenza dei presupposti specificati dal comma 10, il PM può chiedere al Tribunale di Sorveglianza di applicare una misura alternativa alla detenzione (articolo 47, 47 ter e 50 comma 1 legge n. 354/1975).

 

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Decreto Sicurezza 2024: cosa prevede Il decreto sicurezza, approvato dalla Camera, interviene sul codice penale e prevede novità per detenuti e istituti penitenziari

Decreto sicurezza: novità per detenuti, personale e vittime di usura

Il decreto sicurezza così ribattezzato perché contenente “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” è stato approvato il 19 settembre 2024 dall’assemblea di Montecitorio con 162 voti favorevoli, 91 contrari e tre astenuti.

Il provvedimento A.C 1660-A è stato presentato il 22 gennaio 2024 e dopo una prima lettura alla Camera è passato all’esame delle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia, conclusosi il 6 agosto 2024. Ora, il provvedimento passa al vaglio del Senato.

Il testo si compone di 38 articoli che spaziano dalle modifiche al codice penale, ai benefici per le vittime dell’usura, passando per le norme che tutelano le Forze armate, quelle di Polizia e i Vigili del Fuoco.

Vediamo in concreto che cosa prevede il decreto.

Come cambia il codice penale con il decreto sicurezza

Il decreto introduce nel codice penale l’articolo 270 quinquies 3 che prevede il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo.

Punito con la reclusione da due a sei anni chi si procura o detiene consapevolmente materiale con relative istruzioni per preparare o usare ordigni bellici o altre “armi”, tecniche o metodi per compiere atti di violenza o sabotare servizi pubblici con finalità terroristiche.

Il procedimento vuole introdurre nel codice penale un nuovo reato attraverso l’articolo 634 bis, che punisce l’occupazione arbitraria degli immobili e delle loro pertinenze, destinati all’altrui domicilio.  Sul punto c’è già stato l’ok della Camera.

Cambiano i reati di truffa. Il decreto sicurezza introduce nell’art. 61 una nuova aggravante comune, che consiste nella commissione del fatto all’interno o nelle immediate vicinanze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri.

Nuova aggravante per il reato di danneggiamento commesso in occasione di manifestazioni, che consiste nel danneggiamento commesso con violenza o minaccia alle persone.

Il differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena di cui all’art. 146 c.p. per le donne incinta e le madri di minori viene abrogato. Questa possibilità permane per le donne incinta o con figli minori di 1 anno.

Pene più severe per chi impiega i minori nell’accattonaggio. Si rischia da uno a 5 anni di reclusione.

Il decreto rafforza le tutele previste per le Forze dell’ordine e le Forze Armate introducendo una nuova aggravante in caso di minaccia o violenza a pubblico ufficiale (art. 336) o di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337).

Il provvedimento introduce una nuova fattispecie di reato, che punisce chi provoca lesioni a un pubblico ufficiale o a un soggetto esercente una professione sanitaria.

Pene più severe per chi deturpa o imbratta cose altrui, con la finalità di tutelare gli immobili pubblici.

Contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata

Il decreto interviene sull’articolo 17 comma 1 del dl n. 113/2018, disponendo l’obbligo per chi noleggia auto, di comunicare i dati del richiedente per il raffronto. Questa operazione viene effettuata dal Centro elaborazione dati istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. La norma, pensata in origine per contrastare i reati di terrorismo, viene estesa anche ad altri reati di particolare gravità (art. 51 comma 3 bis c.p.p criminalità di tipo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti).

Anche le associazioni, le imprese, le società, i consorzi e i raggruppamenti temporanei di imprese devono acquisire e poi fornire la documentazione antimafia.

Il Tribunale in composizione monocratica può vietare l’utilizzo degli strumenti informatici e dei cellulari ai soggetti maggiorenni se il Questore ha disposto nei loro confronti un avviso orale.

Il decreto amplia la casistica dei benefici previsti dall’art. 4 della legge n. 302/1990, che riguardano le vittime della criminalità organizzata.

Il documento di copertura per i collaboratori di giustizia è esteso anche ai familiari agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare.

Detenuti e istituti penitenziari

Il decreto mira a rafforzare la sicurezza allinterno degli istituti penitenziari, introducendo un’aggravante al reato di istigazione a disobbedire alle leggi di cui all’art. 415 c.p e introduce un nuovo reato che punisce le rivolte all’interno degli istituti penitenziari.

In relazione ai suddetti reati il provvedimento riconosce tuttavia il diritto di accedere ai benefici previsti per i detenuti come il lavoro all’estero, i permessi premio e altre misure alternative, previo accertamento dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, eversiva o terroristica.

La novella legislativa estende le agevolazioni contributive (art. 4 comma 3 bis legge n. 381/1991) anche alle aziende, pubbliche o private, che impieghino detenuti anche all’esterno degli istituti penitenziari.

L’art. 36 estende l’assunzione in apprendistato professionalizzante ai condannati e agli internati ammessi alle misure alternative e ai detenuti assegnati al lavoro esterno.

Delega al Governo per l’organizzazione del lavoro

Il Governo, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto dovrà, con regolamento, modificare l’organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti a trattamento penitenziario.

Il decreto sicurezza per le vittime dell’usura

Per sostenere le vittime dell’usura l’articolo 33 del decreto dispone, nel percorso finalizzato a reinserire gli operatori economici vittime di usura che beneficiano dei di mutui a carico del Fondo di solidarietà la presenza un consulente esperto per assistere  i beneficiari da quando il mutuo viene concesso. Il consulente deve ovviamente essere in possesso di specifiche competenze, ogni anno deve presentare una relazione sul suo operato. Al momento della presentazione della relazione annuale il consulente riceve il compenso per l’attività svolta.

Norme dedicate al personale in servizio

L’articolo 21 dispone che le Forze di polizia, compresa quella ferroviaria, possano dotarsi di dispositivi di videosorveglianza indossabili, per registrare l’attività operativa e il suo svolgimento.

Dal 2024 gli ufficiali, gli agenti di pubblica sicurezza, gli agenti di polizia giudiziaria appartenenti alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e coloro che fanno parte delle forze armate, se indagati o imputati per fatti collegati al servizio, possono ottenere una somma non superiore a euro 10.000 per ogni fase del procedimento, se vogliono avvalersi di un libero professionista di fiducia (così come i loro familiari). Prevista la rivalsa se viene accertata la responsabilità dell’ufficiale o dell’agente a titolo di dolo.

Gli agenti di pubblica sicurezza possono portare alcuni tipi di armi, anche senza licenza, quando non sono in servizio.

 

In materia di sicurezza leggi anche: “Ammonimento del Questore

diritto di ripensamento

Diritto di ripensamento Il diritto di ripensamento consente al consumatore di recedere da un contratto entro quattordici giorni senza costi aggiuntivi

Quando si può esercitare il diritto di ripensamento?

Diritto di ripensamento: quando si può esercitare? Quando si effettua un acquisto online, può capitare che ci si penta quasi subito dell’operazione, vuoi perché ci si rende conto che il prodotto non ci serve davvero, o magari perché si considera il suo prezzo un po’ troppo alto.

Per ovviare a questa spiacevole situazione, la legge ha previsto in favore del consumatore un particolare rimedio: il diritto di ripensamento.

Come annullare un contratto per ripensamento

Il diritto di ripensamento è previsto in favore di chiunque effettui un acquisto fuori dei locali commerciali (ad esempio online, o anche in occasione di una vendita a domicilio) oppure concluda un contratto a distanza (ad esempio per l’attivazione di una fornitura domestica come telefono, luce e gas, oppure per attivare un servizio come una piattaforma a pagamento per la visione di film o eventi sportivi).

Nello specifico, l’art. 52 del Codice del Consumo (d.lgs. 206 del 2005) stabilisce che “il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali”.

In sostanza, senza dover fornire alcuna motivazione, chi ha effettuato l’acquisto ha la possibilità di ripensarci entro quattordici giorni dalla conclusione del contratto oppure dalla consegna del bene.

Entro tale termine, l’acquirente deve comunicare alla controparte contrattuale la propria decisione di recedere dal contratto.

Come funziona il diritto di recesso entro 14 giorni

In caso di ripensamento relativo all’acquisto di un prodotto, il consumatore è tenuto alla restituzione a proprie spese del bene.

D’altro canto, il venditore deve provvedere al rimborso integrale di quanto pagato dal consumatore, ivi comprese le spese di spedizione (ma se l’acquirente aveva scelto una modalità di consegna più dispendiosa rispetto a quella solitamente proposta dal venditore, tali maggiori spese rimangono a suo carico).

Disciplina del diritto di ripensamento nel Codice del consumo

La disciplina del diritto di ripensamento a tutela del consumatore prevede anche altre particolari disposizioni, come quella che obbliga il fornitore di servizi ad informare il cliente della possibilità di esercitare il diritto di ripensamento.

In mancanza di tale informativa, al consumatore sono concessi ben dodici mesi in più per esercitare il ripensamento (quindi 12 mesi più quattordici giorni). Nell’arco di tale periodo, il fornitore può, comunque, provvedere a inviare la suddetta informativa: in tal caso, dall’invio “tardivo” decorrono i classici quattordici giorni per l’esercizio del diritto in oggetto.

Per legge, inoltre, è nulla qualsiasi clausola che preveda limitazioni al rimborso in favore del consumatore se questi esercita il diritto di ripensamento (cfr. art. 56 primo comma del Codice del consumo).

È importante ricordare che, in base all’art. 47 comma secondo del Codice, la disciplina sul ripensamento si applica solo per acquisti fuori dei locali commerciali il cui corrispettivo pagato dal consumatore sia pari o superiore a 50 euro.

Ripensamento e acquisti all’interno di negozi “fisici”

Va evidenziato, pertanto, come il diritto di ripensamento non operi per gli acquisti effettuati in negozio, cioè all’interno dei locali commerciali del venditore.

In tal caso, quest’ultimo rimane libero di non venire incontro al ripensamento da parte dell’acquirente e pertanto non è tenuto ad accettare la restituzione del bene né, tanto meno, a rimborsargli quanto speso. Nulla vieta, peraltro, al venditore di prevedere facoltà analoghe al ripensamento anche per gli acquisti effettuati in negozio.

Differenze tra diritto di ripensamento e di recesso

È importante notare che, per quanto affini, gli istituti del diritto di ripensamento e del recesso rimangono due cose diverse. In un certo senso, il ripensamento è una specie particolare di recesso, ed è per questo che nella terminologia del Codice del Consumo (art. 52 e segg.) si fa riferimento al “recesso” anche per individuare il diritto di ripensamento da esercitarsi entro quattordici giorni.

In generale, il diritto di recesso è sempre esercitabile nei contratti continuativi, come ad esempio quelli di fornitura di servizi domestici. Solitamente, però, la disciplina normativa prevede alcuni “paletti” da rispettare, ad esempio in relazione ai costi aggiuntivi da sostenere, o ai termini di preavviso da non oltrepassare, oppure in ordine ai motivi del recesso.

Addebito della separazione al marito bugiardo Addebito della separazione al marito che mente sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle vicende giudiziarie che lo riguardano

Addebito della separazione all’ex che mente

L’addebito della separazione è previsto anche in caso di violazione del dovere di lealtà nei confronti del coniuge. Tale dovere è violato dal marito che racconta bugie sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle sue vicende giudiziarie determinando così la crisi coniugale. Lo ha stabilito il Tribunale di Perugia nella sentenza n. n. 939/2024

Richiesta di addebito della separazione al marito

Una donna chiede la separazione dal marito. Il rapporto coniugale è stato compromesso dalle continue bugie del marito. L’uomo le ha fatto credere di essere un avvocato, un giudice e un docente universitario, ha tenuto nei suoi confronti condotte vessatorie e in più le ha sottratto denaro dal conto corrente. La ricorrente narra anche che il marito si è allontanato da casa senza dare più notizie. La donna chiede quindi la separazione con addebito al marito e il mantenimento di 400,00 euro mensili. La stessa lavora come badante, abita in un appartamento in locazione con il figlio e percepisce uno stipendio di 950,00 euro mensili.

Addebito separazione se violazione dovere di lealtà provoca la crisi

Il Tribunale precisa che la richiesta di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri coniugali, è infatti necessario che tali violazioni abbiano causato la crisi coniugale o la stessa sia intervenuta quando era già maturata tra i coniugi una situazione di intollerabilità della convivenza.

Nel caso di specie è emerso che sin dall’inizio della relazione l’uomo ha “fatto credere alla moglie circostanze non vere riguardo la propria vita, la propria attività lavorative e perfino riguardo le proprie vicende giudiziarie.” L’uomo ha inoltre mentito sulle sue condizioni di salute.

Tutte queste circostanze sono state confermate da testimoni e dalla documentazione prodotta in atti.

Bugie inaccettabili: violano il dovere di lealtà coniugale

Le condotte del marito violano il dovere di lealtà coniugale. Esse risultano inaccettabili perché frutto di una capacità di inganno tale da portare il coniuge a ignorare chi sia davvero la persona che ha sposato, a temere per la sua vita e a scoprire, solo dopo una denuncia di scomparsa, vicende giudiziarie di oggettiva gravità.

“… non è dubitabile che integri violazione di un dovere coniugale la condotta di chi tradisca la fiducia personale del coniuge, manipolando grandemente la realtà e fornendo una rappresentazione mendace delle proprie condotte, della propria identità lavorativa, della propria vita.”

Indubbia quindi la responsabilità del coniuge nella disgregazione del vincolo coniugale e nell’intollerabilità della convivenza.

Mantenimento negato: nessuna disparità reddituale

Per quanto riguarda il mantenimento il Tribunale ricorda che per l’insorgenza di questo diritto devono sussistere tutta una serie di presupposti, che nel caso di specie non sussistono. La ricorrente ha sempre fatto fronte da sola alle necessità della famiglia, e si è sempre impegnata per provvedere ai suoi bisogni e a quelli del figlio. La donna è dunque economicamente indipendente e ha redditi propri, esattamente come in costanza di matrimonio. I documenti non rivelano neppure una disparità reddituale rispetto al marito, che ha vissuto anzi, durante il matrimonio, grazie alle sostanze della moglie. La richiesta di mantenimento pertanto non può essere accolta.

 

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sostituzione citofono condominio

Da citofono a videocitofono: non è innovazione La sostituzione del citofono con un videocitofono digitale non è un'innovazione e rientra nell'ambito delle manutenzioni straordinarie

Sostituzione citofono in condominio

La sostituzione del citofono con un videocitofono rientra nell’ambito delle manutenzioni straordinarie e non costituisce innovazione. Lo ha precisato il tribunale di Torino con la sentenza n. 3247/2024.

Impugnazione delibera assembleare

Nella vicenda, alcuni condomini proponevano impugnazione avverso la delibera assunta dal condominio avente ad oggetto l’esame dei preventivi per la sostituzione dei citofoni, chiedendone la declaratoria di nullità o l’annullamento. Tra le altre doglianze, lamentavano la violazione dell’art. 1136, quinto comma, c.c. con riferimento alle opere di cui all’art. 1120 c.c., in quanto si era in presenza di innovazioni da approvare con la maggioranza qualificata costituita da un numero di voti che rappresentasse la maggioranza dei partecipanti e i due terzi del valore dell’edificio, maggioranza non raggiunta nella votazione assembleare.

Prova di resistenza

Il condominio, dal canto suo, chiedeva il rigetto delle domande allegando la sussistenza della maggioranza per l’approvazione della deliberazione impugnata in forza della c.d. “prova di resistenza” e affermando che le opere approvate non integravano delle innovazioni, bensì lavori di manutenzione straordinaria per i quali la maggioranza richiesta è quella prevista dall’art. 1136 secondo comma c.c., ovvero un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Cosa è da considerarsi innovazione

Il giudice preliminarmente rigetta l’eccezione di improcedibilità per mancata mediazione e, entrando nel merito, si esprime sulla doglianza degli attori relativa alle maggioranze richieste per le innovazioni.
“Costituisce orientamento consolidato della Corte di Cassazione – afferma il tribunale – quello secondo il quale deve
considerarsi ‘innovazione’, agli effetti dell’art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria (senza peraltro che ricorra la speciale previsione di cui all’art. 1117 ter c.c., introdotta dalla L. n. 220 del 2012) (cfr. Cass. n. 35957/21)”.

Al contrario, la legge (art. 3 comma 1 lettera b del D.P.R. n. 380/2001), ricorda ancora il giudicante, definisce come manutenzione straordinaria « b) “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico».

Videocitofono non è innovazione

Nel caso di specie, le opere deliberate hanno ad oggetto il ripristino dell’intero impianto citofonico con la sostituzione di un impianto elettronico esterno costituito da un videocitofono digitale di nuova generazione. Tale opera, secondo il giudice, non è da considerarsi innovazione, rientrando invece tra quelle di straordinaria manutenzione.

“Come affermato dalla Corte d’Appello di Genova nella pronuncia n. 755 del 30.7.2020 – precisa infatti il tribunale – la previsione del videocitofono non comporta un’innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche. Il concetto di innovazione impone una trasformazione, un’introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l’impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all’evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia”.
Neppure la circostanza che l’impianto divenga esterno e non per singole scale appare sufficiente, conclude il giudicante rigettando il ricorso, “a integrare una innovazione poiché si tratta semplicemente della diversa localizzazione della pulsantiera al di fuori dell’edificio”.

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