avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: c’è incompatibilità? Il parere del Consiglio Nazionale Forense sulla compatibilità tra la professione di avvocato e l'attività di grafologo

Compatibilità avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con il parere n. 41/2024, ha fornito una chiara risposta al quesito posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Perugia in merito alla compatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’attività libero-professionale di grafologo. La questione si inserisce nel quadro normativo delineato dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le ipotesi di incompatibilità con l’iscrizione all’albo forense.

La normativa di riferimento

La professione di grafologo è regolamentata dalla legge n. 4/2013, che disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi. Secondo l’articolo 1, comma 2, di tale legge, queste professioni consistono in “attività economiche, anche organizzate, volte alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del codice civile”.

La stessa legge prevede, all’articolo 3, che i professionisti esercenti tali attività possano costituire associazioni professionali di natura privatistica su base volontaria. Tuttavia, l’iscrizione a tali associazioni non configura un’iscrizione ad un albo professionale, come previsto dall’articolo 18, lettera a), della legge n. 247/2012.

Il parere del CNF

Richiamandosi al proprio precedente parere n. 36/2017, il CNF ha ribadito che l’attività di grafologo non comporta incompatibilità con la professione forense. Questo perché:

  1. Non si tratta di un’attività riservata a soggetti iscritti in albi o collegi: la professione di grafologo rientra tra quelle disciplinate dalla legge n. 4/2013, che regolamenta le professioni non organizzate in ordini o collegi.
  2. L’iscrizione a un’associazione professionale è facoltativa: il professionista può scegliere liberamente se aderire a un’associazione professionale, senza che tale scelta condizioni la legittimità dell’attività svolta.
  3. Non si integra una causa di incompatibilità ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 247/2012: l’iscrizione ad un’associazione professionale, non essendo equivalente a quella ad un albo professionale, non rientra tra le ipotesi di incompatibilità previste dalla normativa forense.

Avvocato e grafologo, nessuna incompatibilità

Il CNF ha dunque fornito una risposta positiva al quesito del COA di Perugia, chiarendo che un avvocato può esercitare anche l’attività di grafologo senza incorrere in incompatibilità. Tuttavia, rimangono ferme le altre cause di incompatibilità previste dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che devono essere rispettate.

tirocini alla corte europea

Tirocini alla Corte Europea Come funzionano e a chi sono rivolti i tirocini alla Corte Europea e come fare domanda per partecipare

Tirocini alla Corte Europea: come funzionano

I neolaureati o i magistrati nazionali hanno l’opportunità di svolgere un programma di tirocinio (stage) presso la Corte di giustizia dell’Unione europea, l’istituzione giudiziaria dell’UE che garantisce il rispetto del diritto dell’Unione per 450 milioni di cittadini. Si tratta di un programma che consente di arricchire la propria formazione, contribuendo altresì alle attività della Corte, in un contesto stimolante, europeo e multilingue. Inoltre, si legge sul sito della Curia, “sarà possibile conoscere altri neolaureati tirocinanti o magistrati, condividendo i valori comuni dell’Unione fondati sulla democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali”.

Tirocini per neolaureati

L’obiettivo dei tirocini per neolaureati è la formazione del tirocinante alle attività dell’istituzione e lo svolgimento da parte del tirocinante di compiti a beneficio di quest’ultima.

È offerto un numero limitato di tirocini, circa 200 all’anno. Essi possono essere svolti nei gabinetti dei Membri (giudici e avvocati generali) e hanno una durata dai 3 ai 5 mesi, oppure nei servizi dell’istituzione, avendo una durata di 5 mesi.

Il tirocinante è soggetto a un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito ai fatti e ai documenti interni dell’istituzione di cui ha avuto conoscenza.

Tirocini nei gabinetti dei giudici e avvocati generali

I tirocini nei gabinetti si rivolgono in particolare ai neolaureati in giurisprudenza che dispongono idealmente di una formazione in diritto dell’Unione. Nell’ambito delle sue funzioni, il tirocinante sarà chiamato a partecipare all’attività del gabinetto, svolgendo compiti diversi in relazione alle cause seguite dal Membro presso il cui gabinetto il tirocinante è stato assegnato e che non sono ancora in fase di deliberazione.

Tirocini nei servizi

Presso i servizi dell’Istituzione che accolgono tirocinanti, come la direzione delle risorse umane, del bilancio (ecc.), questi ultimi hanno la possibilità di scoprire le particolari funzioni svolte in essi e di applicare le conoscenze acquisite nel corso dei loro studi. Essi partecipano attivamente allo svolgimento dei compiti che sono loro assegnati in tale contesto, sotto la supervisione di funzionari esperti.

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione, della durata da dieci a dodici settimane, si rivolgono in particolare ai neolaureati in interpretazione di conferenza. L’obiettivo è quello di consentire ai giovani interpreti di essere seguiti nel loro perfezionamento nell’interpretazione, segnatamente di contenuti giuridici, che implica, nel contempo, la preparazione dei fascicoli, un lavoro di ricerca terminologica ed esercitazioni pratiche in «cabina muta». I candidati devono possedere almeno la conoscenza di due lingue passive o di una seconda lingua attiva. Si richiede la conoscenza del francese letto. La selezione dei candidati viene effettuata una volta all’anno per l’intero anno giudiziario (deposito delle candidature dal 1º luglio al 15 settembre di ogni anno).

Requisiti di ammissione

Tra i requisiti di ammissione è indispensabile:

– Essere cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, fatte salve deroghe debitamente giustificate.

– Essere in possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza, in scienze politiche o in economia o in un settore affine (o, in ipotesi eccezionali, di una formazione equivalente).

– Avere una conoscenza approfondita di una lingua ufficiale dell’Unione europea e una buona conoscenza di un’altra lingua ufficiale dell’Unione europea. Per ragioni di servizio, è auspicabile una buona conoscenza del francese.

– Non aver già beneficiato di un tirocinio (retribuito oppure no) presso un’istituzione o un organo dell’Unione.

Retribuzione

L’importo netto della borsa riconosciuta ammonta ad euro 1554,00 al mese. Esso non è sottoposto al regime fiscale applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione europea. Ai tirocinanti il cui luogo di residenza è situato a una distanza geografica di 200 km o più dalla sede della Corte di giustizia dell’Unione europea viene corrisposto un contributo alle spese di viaggio pari ad EUR 150,00.

Come candidarsi

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 1º marzo e il 31 luglio, le candidature devono essere depositate dal 1º luglio al 15 settembre dell’anno precedente.

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 16 settembre e il 15 febbraio (per i tirocini nei gabinetti) o dal 1º ottobre a fine febbraio (per i tirocini nei servizi), le candidature devono essere depositate dal 1º febbraio al 15 aprile dello stesso anno.

Le candidature devono essere presentate tramite l’applicazione EU CV Online ed essere corredate di un curriculum vitae dettagliato.

Tirocini per i magistrati nazionali

La Corte accoglie, in qualità di tirocinanti, magistrati nazionali nell’ambito del programma di scambi organizzato dalla Rete europea di formazione giudiziaria (European Judicial Training Network; EJTN), entro un massimo di 15 magistrati all’anno.

I tirocini dei magistrati nazionali si svolgono nei gabinetti dei Membri della Corte di giustizia e del Tribunale o presso la Direzione della Ricerca e della documentazione (DRD). Essi hanno una durata di 6 o 12 mesi. I magistrati nazionali sono chiamati a svolgere le stesse funzioni esercitate, a seconda del contesto del tirocinio, dai referendari o dagli amministratori della DRD.

Il magistrato nazionale è soggetto ad un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito a tutti i fatti e documenti interni di cui ha avuto conoscenza. Egli si impegna a non pubblicare né a far pubblicare alcun documento in relazione al suo tirocinio.

Requisiti di ammissione

I requisiti di ammissione necessari sono i seguenti:

– Aver svolto le funzioni di magistrato (giudice o pubblico ministero) in uno Stato membro dell’Unione europea per almeno un anno.

– Avere una certa conoscenza del diritto dell’Unione.

– Avere una perfetta conoscenza di una lingua ufficiale dell’Unione europea e un livello adeguato di conoscenza della lingua francese al fine di essere in grado di collaborare con i Membri della Corte di giustizia e del Tribunale nel trattamento dei fascicoli e nella redazione delle decisioni.

Retribuzione

Il magistrato nazionale scelto per un tirocinio non è retribuito né indennizzato da parte della Corte. Egli percepisce un’indennità giornaliera finanziata dall’EJTN.

Come presentare la propria candidatura

Le candidature devono essere presentate presso l’EJTN – tirocini di lunga durata

piattaforma send

Piattaforma Send per le notifiche digitali L'Inps ha reso nota l'adesione alla Piattaforma Send per le notifiche digitali degli atti della Pubblica amministrazione

Piattaforma Send per le notifiche

L’Inps con il messaggio n. 4121 del 5 dicembre 2024 ha reso nota l’adesione alla Piattaforma Send per la notificazione degli atti della pubblicazione amministrazione.

La piattaforma, prevista dall’art. 1 comma 402 della legge finanziaria 2020, è stata prevista dal decreto Semplificazioni (dl n., 76/2020) ed è accessibile dai destinatari direttamente (tramite Spid) o App IO,
Attraverso Send si garantisce, spiega l’Inps, la “certezza degli effetti giuridici della notifica anche se è stato depositato in piattaforma il relativo avviso di mancato recapito o in caso di irreperibilità assoluta del destinatario”.

Le prime notifiche tramite SEND sono effettuate a partire da dicembre 2024 relative ai provvedimenti di Riscatti, Ricongiunzioni e Rendite della gestione privata; a seguire, di rinuncia, rigetto, decadenza, revoca ADI/SFL 2024 e recuperi di somme non dovute quali bonus indennità una tantum Area Pensioni.

danno da shock

Danno da shock: riconosciuto dalla Cassazione Danno da shock: per la S.C. va risarcito il cliente del supermercato che mangia la zuppa con dentro gli insetti

Danno da shock per il cliente del supermercato

Il risarcimento del danno da shock, spesso complesso da quantificare, è stato oggetto di attenzione da parte della Cassazione in un caso singolare quanto significativo. Nell’ordinanza n. 31730/2024 la Cassazione sottolinea come il giudice che intende discostarsi dalle conclusioni della CTU che riconosce il danno deve fornire una motivazione specifica per questa decisione, non una meramente apparente.

Danno da shock richiesta danni rigettata

La vicenda ha inizio nel 2011, quando un consumatore, mangiando una zuppa rustica acquistata presso un supermercato, ingerisce involontariamente alcuni insetti presenti nel prodotto. Questo evento gli causa dolori gastrici, documentati dal pronto soccorso con la diagnosi di “sindrome dispeptica”. Nel 2016, l’acquirente cita in giudizio il supermercato e il produttore, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il Tribunale nel 2020 riconosce la responsabilità del supermercato per la vendita del prodotto contaminato e stabilisce un risarcimento di 3.000 euro. Contestualmente impone al supermercato di rifondere le spese processuali. Successivamente, il produttore e la sua compagnia assicuratrice vengono coinvolti nel procedimento. La causa prosegue infatti in appello. In questa sede il supermercato cerca di ribaltare la sentenza. La Corte d’appello però conferma la responsabilità del supermercato e accoglie l’appello incidentale, condannando il produttore a manlevare il supermercato e la compagnia assicurativa a coprire il produttore. La Corte tuttavia rigetta la richiesta dell’attore per i danni da shock psichico.

Motivi specifici se il giudice si discosta dalla CTU

Il caso arriva in Cassazione, dove gli Ermellini accolgono il ricorso dell’attore. La Suprema Corte rileva come la Corte d’appello abbia fornito una motivazione apparente nel rigettare il danno da shock. La stessa infatti non ha considerato adeguatamente le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (CTU). La consulenza, infatti, ha accertato l’esistenza di un danno biologico del 9% riconducibile all’evento. Essa si fonda su una valutazione psicodiagnostica, che include test strutturati e analisi del comportamento. Nonostante ciò, il giudice d’appello si è discostato dalle conclusioni, senza fornire però motivazioni sufficienti e dettagliate.

A questo proposito la Cassazione ricorda che il giudice che intende discostarsi dalle conclusioni di una CTU deve motivare in modo specifico la propria decisione. Una semplice adesione generica o un rigetto apodittico non sono sufficienti. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha basato il proprio rigetto su rilievi frammentari, come una nota anamnestica del pronto soccorso, senza verificare l’attendibilità delle fonti o delle preesistenti condizioni psichiche del ricorrente.  

Nuova valutazione del danno da shock

La Cassazione evidenzia come la motivazione offerta dal giudice d’appello sia carente, perché non analizza in modo concreto le censure sollevate. La stessa inoltre non considera per nulla le indagini svolte dal CTU, svuotandone il significato. Questa carenza porta alla cassazione della sentenza d’appello e al rinvio del caso alla Corte d’appello in diversa composizione.

Questo caso sottolinea la complessità nell’accertare e risarcire il danno da shock. Per questo la Suprema Corte ha riaffermato l’importanza di una motivazione solida e analitica, soprattutto quando si discosta da una CTU. Il danno psichico, spesso difficile da provare, richiede infatti un esame accurato delle evidenze mediche e psicologiche.

Allegati

notifica al difensore

Notifica al difensore e non al detenuto: nullità sanabile La notifica al difensore è possibile ex art. 161 comma 4 c.p.p. se la notifica al domicilio dichiarato è impossibile

Notifica al difensore e non al detenuto

La notifica effettuata al difensore non al detenuto integra una nullità sanabile (cfr. art. 161 comma 4 c.p.p.). Questo si ricava dalla sentenza n. 35786/2024 della sesta sezione penale della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Potenza confermava la condanna emessa a carico del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., commesso mediante l’omesso versamento dell’assegno mensile di mantenimento disposto in favore del figlio minore.
Avverso tale sentenza, il ricorrente adiva il Palazzaccio lamentando tra le altre cose, oltre allo stato di disoccupazione, l’omesso riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in relazione alla quale era positivamente valutabile il suo stato di indigenza, nonchè l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, posto che la notifica presso il domicilio eletto non si perfezionava, né andava a buon fine la notifica agli ulteriori indizi presso i quali si riteneva che l’imputato potesse essere rintracciato.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è manifestamente infondato. Rigettate tutte le doglianze correttamente valutate dalla Corte di merito, sul fronte della corretta vocatio in iudicium per il giudizio di appello, i giudici della S.C. evidenziano che la doglianza, tuttavia, risulta del tutto generica e non si confronta con la puntuale specificazione contenuta nella sentenza d’appello, dove si dà atto che il tentativo di notifica del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato è risultato impossibile. A fronte dell’inidoneità del domicilio dichiarato, pertanto, la notifica è stata correttamente eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod, proc. pen.

Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile e il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Allegati

spese sanità

Spese sanità: prima vanno sacrificate le altre spese Prima di sacrificare le spese per la sanità, afferma la Consulta vanno prioritariamente ridotte le altre spese indistinte

Spese sanità: l’intervento della Consulta

Spese sanità: prima di sacrificarle devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte. In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket». È quanto si legge nella sentenza n. 195/2024, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania avverso l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026).

Spese sanità: le questioni

La Corte ha dichiarato non fondate diverse questioni, che riguardavano la legittimità della misura, le modalità e la durata del concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica, stabilite dalla legge di bilancio 2024 nelle more della nuova governance economica europea, che, peraltro, mostrano la volontà del legislatore statale di non far gravare il suddetto contributo sulle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute.

La sentenza ha però sollecitato il legislatore, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”», ad «acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto» e a non trascurare, per garantire maggiore effettività al principio di leale collaborazione, il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

Illegittimità costituzionale art. 1, co. 527, legge bilancio 2024

La sentenza ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, quinto periodo, della legge di bilancio per il 2024, ma solo nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre, a seguito del mancato versamento del contributo dovuto da parte delle regioni, quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia e, in particolare, della tutela della salute.

Ciò in quanto, «nemmeno nel caso in cui la regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere»: il diritto alla salute, infatti, «coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità».

Illegittimità costituzionale art. 1 comma 557 l. 213/2023

Da ultimo, la sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, diretto a individuare i criteri e le modalità di riparto, nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme, del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

la decisione di quotazione

La decisione di quotazione La decisione di quotazione in borsa, una delle scelte più difficili da intraprendere nel corso di vita di una società

Decisione di quotazione in borsa

La decisione di quotazione in Borsa è una delle scelte più difficili e importanti da intraprendere nel corso di vita di una società, in quanto tale procedimento può creare valore per gli azionisti e influire positivamente su tutti gli aspetti di gestione ordinaria dell’attività d’impresa.

Opportunità per le aziende

Secondo una visione convenzionale, tale processo è una fase da perseguire ai fini di crescita aziendale. La quotazione in Borsa rappresenta da sempre un’opportunità per le aziende che hanno l’ambizione di crescere. Del resto, non è possibile affermare che una società abbia necessariamente bisogno di quotarsi in Borsa per espandersi. Basti pensare al contesto italiano attuale, nel quale, tra le tante piccole imprese familiari, si osservano alcune imprese di grandi dimensioni e longeve – anche queste principalmente a conduzione familiare –, che dispongono di un capitale chiuso. Come dato di fatto, è possibile affermare che, secondo Pagano et al., «Nei Paesi Europei, come la Germania e l’Italia, le società quotate sono l’eccezione invece che la regola, e molte società private sono molto più grandi rispetto alla media delle società quotate».

Il panorama italiano

A favore di ciò, è possibile osservare alcuni dati del mondo italiano: parte delle più grandi società italiane non è quotata in Borsa. Tra queste, è possibile ricordare la storica Ferrero, fondata nel dopoguerra dall’omonima famiglia, che ha chiuso il bilancio consolidato 2022/2023 al 31 agosto 2023 con un fatturato di circa 17 miliardi di euro; un’altra società italiana famosa in tutto il mondo che presenta un capitale chiuso è la Barilla. La multinazionale conta circa 10 mila dipendenti in tutto il mondo e un fatturato di circa 4,872 miliardi di euro al 2023. Ancora, altra grande azienda italiana non quotata è Lavazza, con 3,06 miliardi di euro di fatturato al 2023.

Per quel che riguarda le società quotate, al 30 settembre 2024, i mercati di Borsa Italiana ne contano 426, di cui, 339 sono costituite da un Market Cap inferiore a 1 miliardo di euro e sono considerate PMI. Ciò fa comprendere il grande lavoro che sta svolgendo Borsa Italiana Spa, Gruppo Euronext di invogliare sempre più imprese ad accedere al mercato dei capitali di rischio nonostante queste siano considerate medie e piccole da un punto di vista dimensionale, cercando di confrontarsi con il contesto internazionale e anche intercontinentale. Il contesto italiano sta cercando di incentivare le aziende con alto potenziale di crescita a quotarsi per fare in modo che queste crescano e favoriscano lo sviluppo del mercato dei capitali italiano, meno efficiente di altri mercati intercontinentali.

Quotazione in borsa e crescita aziendale

Anche se la quotazione in Borsa non è un fattore cruciale per la crescita aziendale, l’aspetto dimensionale può in parte influire sulla decisione di quotazione: più la società è grande e maggiore sarà la probabilità che questa si quoti in Borsa per aprire il proprio capitale (Pagano et al., 1998).

Ciò aprirebbe un divario tra il modello societario degli Stati Uniti e quello italiano: la differenza sostanziale, che ora si sta cercando di ridurre, come dimostrano i numerosi incentivi degli ultimi anni (si consideri il D.L. 50/2017 a favore della quotazione delle PMI), è che, mentre nel primo contesto è possibile trovare società che si quotano anche nelle prime fasi di vita, nel secondo, come già osservato, le imprese affrontano un viaggio molto lungo prima di arrivare alla quotazione e, certe volte, può essere una scelta da non voler prendere in considerazione.

Comprendere il perché di questa discrepanza significherebbe dover analizzare una serie di fattori contestuali per ambo i modelli: l’efficienza del mercato dei capitali, il contesto legale (alta protezione degli investitori vs. bassa protezione degli investitori), la struttura proprietaria (proprietà frazionata vs. alta concentrazione proprietaria), la presenza dello Stato nella proprietà delle società e tanti altri aspetti. In ogni caso, è possibile affermare che l’aspetto dimensionale di una società può influire sulla scelta di quotazione in Borsa, poiché tutti i costi relativi a tale procedimento non aumentano proporzionalmente, dunque, peserebbe di più sulle società più piccole.

 

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pignoramento della pensione

Pignoramento della pensione: limiti Il pignoramento della pensione è soggetto a specifici limiti per garantire al titolare il minimo vitale per il suo sostentamento

Cos’è il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è un argomento di grande interesse per molti pensionati italiani, soprattutto per coloro che si trovano in difficoltà economiche e rischiano di vedere una parte della propria pensione decurtata per estinguere alcuni debiti.

In questo contesto, l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile stabilisce i limiti e le modalità con cui è possibile procedere al pignoramento delle somme erogate come pensione.

Cosa dice l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile

L’articolo 545 del Codice di procedura civile regola il pignoramento dei crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi, tra i quali rientrano anche le pensioni. Questo articolo prevede specifiche limitazioni per tutelare il diritto alla sussistenza del debitore, affinché non si vedano compromessi i mezzi di sostentamento minimo necessari per vivere dignitosamente.

La legge cerca infatti di bilanciare la necessità di soddisfare i crediti con il diritto del debitore a conservare una parte delle proprie entrate, soprattutto quando queste derivano dai trattamenti pensionistici.

La pensione, infatti, può essere pignorata solo in parte. Il comma 7 statuisce che: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dellassegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”. 

Pignoramento della pensione: il minimo “vitale”

Il minimo vitale è un concetto fondamentale nella regolamentazione del pignoramento della pensione. L’articolo 545 stabilisce infatti che una parte della pensione debba sempre rimanere intoccabile, per garantire che il pensionato non resti senza i mezzi necessari per il suo sostentamento.

Se l’importo della pensione è già basso e il pignoramento ridurrebbe eccessivamente la somma disponibile per il mantenimento, il giudice può intervenire per ridurre l’ammontare pignorabile, sempre tenendo conto delle esigenze di vita del pensionato.

Dal 2022 il minimo della pensione impignorabile è di euro 1.000,00. Questo significa che le pensioni inferiori a 1.000,00 mensili non possono essere pignorate; le pensioni di importo superiore possono essere pignorate, ma solo per la parte eccedente.

Ad ogni modo, per limporto eccedente il minimo vitale, il pignoramento è possibile solo per un quinto delleccedenza (e non per l’intera eccedenza).

I crediti impignorabili

L’art. 545 del Codice di procedura civile “elenca” i crediti impignorabili, stabilendo al comma 1, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con lautorizzazione del presidente del Tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”, e al successivo comma 2 che “Non possono essere pignorati crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nellelenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattia o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. 

Inoltre, alcuni tipi di pensione sono esenti da pignoramento in determinati casi. Per esempio, le pensioni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento e le altre prestazioni assistenziali non possono essere pignorate, poiché sono destinate a garantire la sussistenza del beneficiario in situazioni di difficoltà o invalidità. Queste indennità sono, infatti, tutelate da leggi specifiche che le rendono impignorabili, a prescindere dall’importo.

Pignoramento Agenzia delle Entrate

Qualora il pignoramento sia effettuato dall’agente della riscossione, la vigente normativa prevede ulteriori limiti: la quota pignorabile non deve superare un decimo se la pensione è inferiore o pari a euro 2.500, un settimo se è compresa tra 2.500 e 5.000 euro e un quinto se è maggiore di 5.000 euro.

Nel caso in cui i creditori pignoranti sono più di uno e i crediti eterogenei, si può pignorare fino al doppio quinto della pensione: quindi si può arrivare sino al 40% della parte eccedente il minimo vitale.

 

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braccialetto elettronico

Braccialetto elettronico: carcere per chi impedisce il funzionamento Braccialetto elettronico: il giudice può disporre la custodia cautelare in carcere per chi lo manomette o ne impedisce il funzionamento

Braccialetto elettronico: le novità del decreto giustizia

Braccialetto elettronico: il decreto legge n. 178/2024 contenente misure urgenti sulla giustizia torna ad occuparsene. L’articolo 7 del decreto interviene su alcune norme del codice di procedura penale. L’obiettivo è quello di rendere più efficace questo strumento di controllo a tutela soprattutto delle donne vittime di violenza e di stalking.

Fattibilità del controllo con il  braccialetto elettronico

A questo scopo dopo l’articolo 97 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale la riforma inserisce ex novo l’articolo 97 ter. La norma è incentrata sulle modalità di accertamento della fattibilità tecnica e operativa del controllo tramite braccialetto elettronico.

L’accertamento della fattibilità tecnica e operativa, disciplinato dagli articoli 275-bis, 282-bis e 282-ter del codice, riguarda, in particolare, la verifica preliminare necessaria per stabilire le modalità di controllo che il giudice prescrive. La polizia giudiziaria, eventualmente supportata da operatori specializzati della società incaricata dei servizi tecnici o elettronici, deve effettuare questa verifica senza ritardi e comunque entro 48 ore.

Detta verifica comprende:

  • la possibilità di attivare e far funzionare i mezzi elettronici o tecnici previsti;
  • l’analisi delle caratteristiche specifiche del luogo di applicazione (es. distanza, copertura di rete, qualità della connessione, tempi di trasmissione dei segnali);
  • la gestione operativa degli strumenti e altre circostanze rilevanti per valutare l’efficacia del controllo sulle prescrizioni imposte all’

Concluse queste operazioni, la polizia giudiziaria deve redigere un rapporto tecnico. Questo documento certifica la fattibilità del controllo e lo trasmette senza ritardi, entro ulteriori 48 ore, all’autorità giudiziaria competente. Il giudice, sulla base di questo rapporto, valuta eventuali misure cautelari, inclusa l’applicazione congiunta o la sostituzione con misure più restrittive. 

Carcere per chi ne impedisce il funzionamento regolare

Per rendere più efficace il controllo con il braccialetto elettronico il decreto giustizia interviene anche sull’art. 276 c.p.p, che si occupa dei provvedimenti che il giudice può adottare in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte.

La nuova versione prospettata dal decreto del comma 1 ter dell’art. 276 c.p.p prevede che in caso di violazione delle disposizioni relative agli arresti domiciliari, come il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da un altro luogo di dimora privata, oppure in caso di manomissione o di comportamenti gravi o reiterati che compromettono o ostacolano il corretto funzionamento dei dispositivi elettronici e degli strumenti tecnici di controllo previsti dall’articolo 275-bis, anche quando utilizzati ai sensi degli articoli 282-bis e 282-ter, il giudice procede alla revoca della misura e alla sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto risulti di lieve entità.

 

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giurista risponde

Appropriazione indebita: quando si consuma il reato Ai fini della individuazione del tempus commissi delicti con riferimento al reato di appropriazione indebita, a rilevare è il momento in cui viene realizzata la prima condotta appropriativa o il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito?

Quesito con risposta a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti

 

Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Cass., sez. II, 27 settembre 2024 n. 36177).

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se il reato ascritto all’imputato si fosse estinto, prima dell’emanazione della sentenza di primo grado, per intervenuta prescrizione.

In primo e secondo grado i giudici di merito avevano considerato il reato non estinto per prescrizione, individuando quale data di commissione del medesimo quella in cui l’imputato aveva negato alle parti civili la restituzione delle somme di denaro richiestegli, ritenendo inoltre, alla luce di tale data, tempestiva la proposizione della querela.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando l’erronea individuazione del tempus commissi delicti, nonché la tardività nella proposizione della querela.

In particolare, si obiettava che il reato di appropriazione indebita doveva considerarsi perfezionato alla data della scadenza del contratto di deposito irregolare, dovendo ritenersi, in primo luogo, tardiva la proposizione della querela da parte dei titolari delle somme di denaro di cui si chiedeva la restituzione e, in secondo luogo, il reato estinto per intervenuta prescrizione, già prima della emanazione della sentenza di primo grado.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, dichiarando inammissibile il ricorso alla luce della manifesta infondatezza delle censure proposte, ha ricordato quando stabilito da una risalente ma sempre attuale pronunzia di legittimità (Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 1972, n. 6872), secondo cui l’inutile scadenza del termine di adempimento di una obbligazione civilistica che imponga la restituzione di una cosa altrui non determina, né prova, di per sé, la consumazione del reato di appropriazione indebita; perché ciò avvenga è necessario che, in base a concludenti circostanze di fatto (che possono anche essere diverse dal dare alla cosa una destinazione incompatibile con il titolo del suo precedente e legittimo possesso, e possono consistere anche nel rifiuto ingiustificato della restituzione), sia rivelato il carattere intenzionale (caratterizzante l’elemento soggettivo del reato) della omessa restituzione, nel senso che in quest’ultima coincida, in uno con l’elemento materiale del reato (intrinsecamente inerente alla protrazione non più giustificata del possesso nella persona dell’agente), anche l’elemento soggettivo, inerente alla volontà di invertire il titolo del possesso medesimo appropriandosi della cosa al fine di trarne ingiusto profitto.

Nel caso di specie, il tempus commissi delicti, come correttamente valutato dai giudici di merito, era coinciso con la data in cui l’imputato aveva spedito una lettera raccomandata alle parti civili, ricusando la loro richiesta di restituzione degli importi detenuti e con la quale veniva di fatto esteriorizzato l’animus domini dell’odierno imputato in merito alle somme di denaro detenute, restando del tutto irrilevante, ai fini penalistici, la scadenza del termine entro la quale andava adempiuta l’obbligazione civilistica restitutoria.

Ritenendo quindi corrette le valutazioni operate dai giudici di merito, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e infondate le censure prospettate.

(*Contributo in tema di “Appropriazione indebita: quando si consuma il reato”, a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)