precompilata

Precompilata verso lo sprint finale C'è tempo fino al 30 settembre per l'invio del 730 precompilato mentre è scaduto ieri il termine ultimo per il pagamento della quinta rata della rottamazione

Precompilata entro il 30 settembre

Conto alla rovescia per la precompilata. Manca una settimana al termine per l’invio del 730 precompilato, fissato al prossimo lunedì, 30 settembre. Lo ricorda l’Agenzia delle Entrate con un comunicato pubblicato sul proprio sito.

Dai primi dati, oltre il 50% dei modelli già restituiti al Fisco è stato trasmesso con la nuova modalità semplificata, che guida l’utente fino al click finale con un percorso più facile e parole di uso comune. Tra i 730 semplificati più di 4 su 10 sono stati accettati dai cittadini senza modifiche.

Nel frattempo è scaduto proprio ieri, ricorda il fisco, il termine ultimo per il pagamento della quinta rata della Rottamazione-quater delle cartelle. L’ultimo giorno utile per il pagamento era fissato per lunedì 23 settembre, dopo la proroga del dlgs n. 108/2024.

Precompilata ‘semplificata’

Da quest’anno, chi ha i requisiti per presentare il 730 può scegliere, in alternativa alla modalità tradizionale, la nuova compilazione semplificata per visualizzare le informazioni all’interno di un’interfaccia senza campi e codici e più facile da navigare.

In questo caso, è il sistema a inserire automaticamente i dati all’interno del modello, come validati o integrati/modificati dal contribuente. Da un primo bilancio, più della metà dei 730 sono stati inviati in modalità semplificata, il 52%. Sempre considerando i 730 semplificati, il 42% sono stati accettati così come predisposti dal Fisco.

Come inviare il 730

Per consultare e inviare il proprio modello occorre entrare nell’applicativo, disponibile sul sito dell’Agenzia, tramite Spid, Carta d’identità elettronica (Cie) o Carta nazionale dei servizi (Cns).

Resta ferma la possibilità di “affidare” la propria dichiarazione a un familiare o una persona di fiducia: è possibile attivare l’abilitazione direttamente online nella propria area riservata, inviando una pec o ancora facendo richiesta presso un qualsiasi ufficio dell’Agenzia. Il 730 precompilato deve essere inviato entro il 30 settembre 2024; un mese in più per il modello Redditi, la cui deadline è fissata al 31 ottobre.

Le guide e i tutorial

Un video-tutorial pubblicato sul canale YouTube dell’Agenzia spiega i passi fondamentali per consultare e inviare la dichiarazione mentre il sito dedicato “info730” raccoglie tutte le informazioni utili e le risposte alle domande più frequenti.

Il fisco ha inoltre messo a disposizione online la guida La dichiarazione precompilata 2024. Quest’anno i dati precaricati – tra cui spese sanitarie, premi assicurativi, certificazioni uniche, bonifici per ristrutturazioni, interessi sui mutui, ecc. – ammontano a circa 1 miliardo e 300 milioni.

referendum

Referendum: i dati del ministero sulle firme digitali Solo ieri raccolte oltre 155mila firme. Via Arenula: sottoscrizioni relative a quesiti referendari inseriti nel sistema

Referendum, ieri raccolte oltre 155.000 firme

Nella sola giornata di ieri la piattaforma digitale istituita dal Ministero della Giustizia per le firme per i referendum ha raccolto complessivamente oltre 155.000 sottoscrizioni relative a tutti i quesiti referendari attualmente inseriti nel sistema.

Una cifra record, fa sapere via Arenula in una nota, “in una giornata nella quale si era verificata una momentanea interruzione fra le ore 13 e le 15 causata da un elevatissimo numero di accessi”.

I tecnici del Dipartimento per l’Innovazione Tecnologica della giustizia, tramite la Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati, hanno immediatamente provveduto a ripristinare il servizio e nelle ore successive la piattaforma ha ripreso a funzionare con picchi di oltre diecimila firme per ogni ora, raggiungendo in serata, pur con fisiologici rallentamenti dovuti all’eccezionale flusso di accessi, il dato record di oltre 155.000 mila sottoscrizioni relative a tutti i referendum attualmente disponibili.

giurista risponde

Furto di energia elettrica e circostanza aggravante In caso di furto di energia elettrica, la natura della circostanza aggravante dell’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a un pubblico servizio, di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 c.p., ai fini di formularne la contestazione, ha natura auto-evidente o valutativa?

Quesito con risposta a cura di Valentina Riente e Michele Pilia

 

 

Nel caso di furto di energia elettrica, stante la natura valutativa e non auto-evidente della circostanza ex art. 625, comma 1, n. 7, c.p., essa deve essere esplicitamente contestata al fine di permettere all’imputato di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa. – Cass., sez. V, 14 giugno 2024, n. 23918.

Rispetto alle modalità con le quali deve essere contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 c.p. dell’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a un pubblico servizio sussiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Per una prima impostazione interpretativa, dato che l’aggravante è di natura auto-evidente in quanto l’energia elettrica, su cui ricade la condotta di sottrazione, è, di per sé, un bene funzionalmente destinato al pubblico servizi, sarebbe legittima la contestazione posta in essere senza una specifica ed espressa formulazione che la menzioni.

Altro orientamento, invece, siccome ritiene che l’aggravante predetta abbia natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli svelte del legislatore, non considera legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza l’aggravante configurata solo dal fatto che i beni oggetto di sottrazione siano destinati al pubblico servizio.

Rammentate le indicazioni provenienti dalle Sezioni Unite “Sorge del 2019 (n. 24906) secondo cui “la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive”, diversamente dai casi in cui, per le aggravanti, la previsione normativa include componenti valutative, ossia modalità della condotta integrative dell’ipotesi aggravata solo in presenza di particolari connotazioni qualitative e quantitative, i Giudici di legittimità propendono per il secondo orientamento.

In particolare, pur considerando indubbia la rilevanza pubblicistica di un bene come l’energia, la Suprema Corte ha ritenuto che ciò che rileva ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 c.p. è la concreta destinazione (piuttosto che la natura) del bene a un pubblico servizio, elemento che non può essere considerato alla stregua di un connotato intrinseco e auto-evidente data la pluralità di destinazioni che il bene-energia può avere e che, dunque, richiede una valutazione da parte dell’interprete, anche riguardo a norme extra-penali, in continua evoluzione.

A conferma di tale interpretazione vi sarebbe la lettera stessa dell’art. 625 c.p. che prevede, al suo interno, la compresenza di due diverse ipotesi di aggravanti, quelle previste dal n. 7 e dal n. 7bis (relativa alla commissione del fatto su componenti metalliche o altro materiale sottratto a infrastrutture destinate all’erogazione), legate tra loro da un rapporto di specialità.

Ritenuta la natura valutativa della circostanza, risulta necessario che il capo di imputazione sia formulato anche con specifico riferimento a una serie di elementi descrittivi e qualificativi relativi alla circostanza aggravante dell’essere il bene sottratto destinato a pubblico servizio così da rendere pienamente esercitabili i diritti di difesa dell’imputato. Necessità che deriva anche dal livello di tutela preteso a riguardo dall’art. 6, par. 3, lett. a) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che individua, tra i canoni dell’equo processo, come elemento prodromico ai fini della difesa il rendere in concreto edotto l’imputato della prospettazione accusatoria formulata a suo carico in tutte le sue componenti.

Contributo in tema di “Furto di energia elettrica”, a cura di Valentina Riente e Michele Pilia, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / Settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

notifiche pec

Notifiche pec dal 30 settembre si cambia  Le notifiche pec sono regolate dalle specifiche tecniche del 7 agosto 2024, in vigore dal 30 settembre 2024

Notifiche pec e altre novità nel processo telematico

Le notifiche pec rappresentano uno degli argomenti di cui si sono occupati le specifiche tecniche del 7 agosto 2024 e che saranno in vigore dal 30 settembre 2024.

Vediamo gli aspetti più interessanti di questo argomento.

Notifiche pec: comunicazione dell’indirizzo

Le notifiche a mezzo pec, nel processo civile telematico che nel processo penale telematico, presuppongono la presenza di gestori di questa forma di comunicazione, ma non solo.

L’articolo 10 delle specifiche tecniche dispone che la Pubblica Amministrazione o l’ente privato debbano comunicare i propri indirizzi di posta elettronica certificata per poter ricevere le comunicazioni e le notificazioni. L’obbligo di comunicazione dell’indirizzo pec riguarda anche gli organi, le articolazioni territoriali e le aree organizzative omogenee come previsto dall’articolo 11 delle specifiche.

Deposito telematico e formato dei documenti informatici

Gli atti del procedimento civile o penale informatico devono essere depositati in modalità telematica presso l’ufficio giudiziario devono essere in formato PDF o PDF/A e possedere tutta una serie di requisiti necessari soprattutto per individuare la provenienza.

Ai sensi dell’articolo 16 i documenti informatici allegati agli atti, devono essere privi di macro e campi variabili. Essi possono essere anche in formato posta elettronica certificata, purché contengano i file nei formati PDF, rich text format, MPEG2 e MPEG4, particolari formati audio come MP3 (.mp3), FLAC (.flac), formato text e ipertesto.

Trasmissione a mezzo pec di atti del procedimento civile

Nel procedimento civile, l’atto in forma di documento informatico e gli allegati devono essere trasmessi dai soggetti abilitati esterni a mezzo pec. L’atto, così come i suoi allegati, devono essere contenuti nella busta telematica, che è un file in formati MIME.

La busta non può avere una dimensione superiore ai 60 Megabyte. Essa viene trasmessa all’ufficio giudiziario destinatario in allegato a un messaggio pec, che rispetta determinate specifiche per quanto riguarda il mittente, il destinatario, l’oggetto, il corpo e gli allegati. L’elaborazione della busta può restituire diverse anomalie codificate con i termini warn, error e fatal.

Notifiche pec: l’art. 21

La norma dedicata nello specifico alle notificazioni a mezzo pec è l’articolo 21 e si riferisce a quelle che vengono effettuate dagli uffici giudiziari ai soggetti abilitati esterni e agli utenti privati. La notifica viene effettuata recuperando l’indirizzo dai pubblici elenchi e la comunicazione o notificazione è riportata nel corpo del messaggio e nel file allegato. Il gestore dei servizi recupera poi ile ricevute della pec e gli avvisi di mancata consegna dal gestore pec del Ministero e lli conserva all’interno del fagiolo informatico. La ricevuta è breve per le comunicazioni. È invece completa per le notificazioni.

La comunicazione o la notificazione che contiene particolari categorie di dati personali è effettuata invece per estratto ai sensi dell’art. 22. Il destinatario effettua il prelievo dell’atto integrale accedendo all’URL contenuto nel messaggio di avviso PEC.

Notificazioni pec avvocati

L’art. 26 è dedicato nello specifico alle “Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati”. Esso sancisce che, quando l’atto da notificare è un documento informatico, esso deve essere in formato PDF o PDF/A e allegato al messaggio pec. Si procede nello stesso modo quando l’atto da notificare è l’atto del processo da trasmettere all’ufficio giudiziario.

ipoteca cos'è

Ipoteca: cos’è e come funziona Breve guida sull’ipoteca: a cosa serve, come si iscrive e a cosa dà diritto. I diritti del terzo acquirente e la liberazione dall’ipoteca

Ipoteca, diritto reale di garanzia

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che conferisce il diritto, al soggetto in cui favore è iscritta, di ottenere l’espropriazione e la vendita del bene ipotecato e di essere soddisfatto sul ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori.

Tale garanzia può avere ad oggetto beni immobili, rendite dello Stato o beni mobili registrati, come navi, aeromobili e autoveicoli.

Insieme al pegno (che ha ad oggetto, invece, i beni mobili) e ai privilegi, l’ipoteca è una delle cause di prelazione che fanno venir meno la c.d. par condicio creditorum prevista dall’art. 2741 del codice civile (in base alla quale i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore).

Che cos’è l’ipoteca giudiziale

L’ipoteca può essere di tre tipi: legale, giudiziale e volontaria.

L’ipoteca legale è prevista dall’art. 2817 del codice civile in favore di determinati soggetti (ad esempio in favore dell’alienante nei confronti dell’acquirente, per tutelarlo in caso di mancato pagamento del prezzo).

L’ipoteca giudiziale spetta, invece, a chiunque ottenga un provvedimento favorevole da parte del giudice (ad es.: una sentenza) che obblighi l’altra parte al pagamento di una somma di denaro o all’adempimento di altro tipo di obbligazione. In tal caso, quindi, la sentenza è titolo per l’iscrizione di ipoteca sui beni del debitore, se questi non ottempera a quanto disposto dal giudice.

L’ipoteca volontaria, infine, è concessa spontaneamente, per iscritto con atto pubblico o scrittura privata, con una dichiarazione unilaterale o disposizione contrattuale con cui si individui con precisione l’immobile oggetto di garanzia.

Quanto dura l’ipoteca su un immobile

L’ipoteca si sostanzia in una iscrizione nei registri immobiliari, che ha valore costitutivo: solo con l’iscrizione, cioè, l’ipoteca si perfeziona e il relativo diritto diviene opponibile ai terzi acquirenti del bene.

Per l’iscrizione dell’ipoteca, il richiedente deve presentare il titolo costitutivo (ad esempio, la sentenza) ed una nota di iscrizione, in cui va precisata, tra l’altro, la somma per la quale l’ipoteca viene iscritta.

L’ipoteca ha una durata di venti anni, che decorrono dal momento dell’iscrizione nei pubblici registri; è possibile, peraltro, provvedere al rinnovo dell’ipoteca prima della sua scadenza.

Il grado dell’ipoteca

La preferenza riservata al creditore ipotecario in sede di ripartizione del ricavato della vendita del bene segue un criterio temporale, poiché, come dispone l’art. 2852 c.c. “l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione“.

In altre parole, viene soddisfatto per primo chi ha eseguito la prima iscrizione e via via gli altri creditori ipotecari a seguire, in base al proprio grado di iscrizione, sempre che la somma del ricavato sia sufficiente a soddisfarli.

Quando una casa è ipotecata si può vendere?

Il creditore ipotecario ha diritto di ottenere l’espropriazione del bene anche se questo sia stato nel frattempo venduto dal debitore ad un terzo.

Purgazione dell’ipoteca

A norma dell’art. 2858 c.c., il terzo acquirente può scegliere se pagare i creditori, rilasciare l’immobile o liberare i beni dalle ipoteche (c.d. purgazione dell’ipoteca). La liberazione dall’ipoteca si può ottenere notificando ai creditori ipotecari un atto in cui viene indicato il prezzo stabilito per la vendita; se entro quaranta giorni dalla notifica, i creditori non chiedono l’espropriazione del bene (con il fine di ottenere un prezzo più alto), il terzo acquirente ha facoltà di depositare il prezzo indicato, che servirà a soddisfare, eventualmente solo in parte, i creditori. In tal modo, l’acquirente ottiene la cancellazione delle ipoteche iscritte prima della trascrizione del suo titolo di acquisto.

Vedi gli articoli di diritto civile

delibera annullabile

Delibera annullabile se la convocazione è successiva all’assemblea Delibera annullabile se il Condominio prova l’invio della raccomandata, ma non la ricezione o il rilascio dell’avviso di giacenza

Delibera annullabile senza prova invio convocazione

Delibera annullabile se la convocazione perviene dopo l’assemblea e se il Condominio produce in giudizio solo la raccomandata di invio della convocazione assembleare alla singola condomina, senza dimostrare l’esito dell’invio. Questa la decisione assunta dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 13794/2024.

Avviso di convocazione successivo al verbale assembleare

Una condomina cita in giudizio il condominio esponendo di non aver potuto partecipare all’assemblea condominiale del 25 novembre 2021. La stessa ha infatti ricevuto l’avviso di convocazione diversi giorni dopo la ricezione del verbale in data 30 dicembre 2021.

Parte attrice chiede quindi l’annullamento della delibera impugnata e la nullità del rendiconto 2020 approvato in quell’assemblea.

Avviso di convocazione: almeno 5 giorni prima dell’assemblea

Parte convenuta costituitasi in giudizio produce la raccomandata con avviso di ricevimento del 12 novembre 2021 con la quale ha convocato all’assemblea parte attrice.

L’art. 66 disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba essere comunicato almeno cinque giorni prima dell’adunanza in prima convocazione. In caso di convocazione tardiva,  omessa o incompleta la deliberazione è annullabile su istanza dei dissenzienti o degli assenti perché non convocati nelle modalità di rito.

Delibera annullabile: la mancata convocazione è vizio procedimentale

La Corte di Cassazione ha chiarito inoltre che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione al singolo condomino è un vizio procedimentale che comporta l’annullabilità della delibera condominiale. La legittimazione a chiedere l’annullamento spetta solo al singolo premesso che all’onere di dimostrare, in caso di contestazione, i fatti dei quali risultano l’omessa comunicazione.

Manca la prova della ricezione

A carico del Condominio, al fine di dimostrare il rispetto del termine di quell’art. 66 disp. att. c.c. è sufficiente che lo stesso dimostri che la raccomandata inviata sia pervenuta all’indirizzo del destinatario e che, in caso di mancata consegna, sia stato rilasciato avviso di giacenza presso l’ufficio postale.

Nel caso di specie però il Condominio ha prodotto solo l’atto di invio della raccomandata all’attrice datata 12 novembre 2021. Lo stesso non ha dimostrato l’esito dell’invio, considerato che detta raccomandata è stata effettuata con avviso di ricevimento.

Alla luce di quanto emerso in sede istruttoria la domanda di parte attrice deve essere accolta e quindi la delibera del 25 novembre 2021deve essere annullata.

 

Leggi anche: “Convocazione assemblea condominio: avviso in cassetta inefficace

avvocato specialista

Avvocato specialista per comprovata esperienza In vigore il regolamento del Consiglio Nazionale Forense sul procedimento amministrativo per il conseguimento del titolo

Regolamento del CNF n. 3/2024

Avvocato specialista per comprovata esperienza: è in vigore il regolamento del Consiglio Nazionale Forense n. 3/2024 recante “il procedimento amministrativo relativo al conseguimento del titolo” ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 8 del dm n. 144/2015 e ss.mm.ii.

La domanda

La presentazione della domanda va inoltrata dall’interessato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza il quale, verificata la regolarità della documentazione, la trasmette al CNF entro 30 giorni decorrenti dalla data di presentazione.

Il Consiglio dell’Ordine, nel caso in cui la documentazione prodotta dall’istante non sia regolare, può richiedere integrazioni istruttorie. In tal caso, il termine di cui al comma 1 è sospeso per 10 (dieci) giorni decorrenti dalla richiesta di integrazione.

La presentazione della istanza da parte dell’interessato, la eventuale richiesta di integrazione istruttoria da parte del Consiglio dell’Ordine e la trasmissione al Consiglio Nazionale Forense devono avvenire esclusivamente mediante la piattaforma dedicata.

I requisiti necessari

Il Consiglio dell’Ordine, ai fini della regolarità della domanda, verifica che l’istante: a) abbia maturato un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno otto anni: b) non abbia riportato, nei tre anni precedenti la presentazione della domanda, una sanzione disciplinare definitiva, diversa dall’avvertimento, conseguente ad un comportamento realizzato in violazione del dovere di competenza o di aggiornamento professionale; c) non abbia subìto, nei due anni precedenti la presentazione della domanda, la revoca del titolo di specialista.

Il COA verifica, altresì, che l’istante abbia prodotto una relazione relativa agli incarichi computati allegando atti e/o documenti richiamati nella relazione medesima, nonchè, “che la relazione e gli atti e/o i documenti allegati siano anonimi o pseudonimizzati”.

Il procedimento

Il procedimento è di competenza del Consiglio Nazionale Forense, il quale, ricevuta la trasmissione dell’istanza da parte del Consiglio dell’Ordine, per il tramite del Comitato per le specializzazioni forensi, verifica la regolarità formale della istanza e in caso negativo procede a richiedere integrazioni istruttorie all’istante.

Il CNF, ricevuto il decreto del Ministro della giustizia di nomina dei componenti di competenza ministeriale, per il tramite del funzionario di riferimento, organizza il colloquio di verifica che può svolgersi anche da remoto.

Quindi, ricevuta la comunicazione della commissione di valutazione, nella prima seduta amministrativa utile: a) in caso di esito positivo, delibera il conferimento del titolo, dandone comunicazione all’istante ed al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, ai fini dell’iscrizione negli elenchi di cui all’articolo 5 del Decreto 144 del 2015 e ss. ii. e mm.; b) in caso di esito negativo, convoca l’istante per un secondo colloquio da svolgersi a cura del Comitato per le specializzazioni forensi.

In ogni caso il provvedimento conclusivo va adottato entro 180 giorni decorrenti dalla presentazione della domanda.

Allegati

violenza sessuale

La violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) Le forme di violenza sessuale previste dal legislatore traggono origine dalla riforma epocale avvenuta con la legge n. 66/1996

Il reato di violenza sessuale

L’art. 609bis, sotto la generica rubrica «violenza sessuale», prevede e punisce come reato:

  • il fatto di chi, con violenza o minaccia, o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali; il fatto di chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
  • il fatto di chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali, traendo in inganno la persona offesa, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

In forza di tale previsione è possibile distinguere due tipi di violenza sessuale: una violenza sessuale posta in essere mediante azione diretta (violenza, minaccia, abuso di autorità) sulla persona offesa; e una violenza sessuale posta in essere mediante induzione (comma 2).

Il problema della responsabilità per omissione

Occorre ricordare, quanto alla possibilità di rispondere di violenza sessuale per omissione, che la giurisprudenza ha giustamente affermato che il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell’art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell’integrità psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all’art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate:

a) dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento;

b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul «garante»;

c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento (in tal senso, Cass. 30-1-2008, n. 4730). Si è, per converso, escluso che sussista tale obbligo di garanzia a carico dei nonni (Cass. 27-9-2011, n. 34900).

Violenza sessuale mediante azione diretta: soggetto attivo e passivo

Il comma 1 dell’art. 609bis prevede il fatto di chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.

Soggetto attivo del reato può essere «chiunque»: si tratta, pertanto, di un reato comune, ed in particolare, di un reato ad esecuzione personale, in quanto l’autore principale è sempre il soggetto che compie l’atto sessuale con la vittima; nel caso in cui la violenza, minaccia od abuso di autorità siano opera di un terzo sarà configurabile un concorso di persona nel reato (artt. 110 e ss. c.p.).

In ordine al soggetto passivo, il legislatore non opera alcuna restrizione, né di sesso, né di altra natura: può trattarsi di qualunque essere umano, uomo o donna.

Nell’ambito dei soggetti tutelati, rientrano anche:

  • il coniuge: il concetto di violenza sessuale, come già quello di violenza carnale, non è, infatti, suscettibile di connotazioni diverse tra estranei o nei rapporti tra coniugi, godendo, senza alcun dubbio, anche il coniuge del diritto (insopprimibile ed inviolabile) di disporre liberamente del proprio corpo a fini sessuali. Ed in tal senso si è espressa, in modo constante la giurisprudenza della Cassazione, sostenendo, fra l’altro che, in tema di violenza sessuale, l’esistenza di un rapporto di «coniugio» non esclude, di per sé, la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto stabilito dall’art. 143 c.c. in materia di diritti e doveri dei coniugi, che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell’istinto sessuale anche contro la volontà dell’altro coniuge, tanto più in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze, ponendosi queste in contrapposizione rispetto ai sentimenti di rispetto, affiatamento e vicendevole aiuto e solidarietà fra le cui espressioni deve ricomprendersi anche il rapporto sessuale (Cass. 8-10-2007, n. 36962). E ciò anche quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali;
  • il soggetto dedito alla prostituzione: le condizioni e le qualità personali della persona offesa non legittimano la riconduzione del fatto all’ipotesi di minore gravità, in quanto il diritto al rispetto della libertà sessuale trova eguale riconoscimento nei confronti di chiunque, a prescindere dal motivo e dal numero dei rapporti usualmente intrattenuti (Cass. 18-1-2017, n. 2469).

Soggetto passivo può essere unicamente un essere umano vivente: ne consegue che:

  • la cd. necrofilia (sfogo di libidine commesso con cadaveri) esula dall’ambito dell’art. 609bis, e può assumere rilievo penale unicamente nell’ambito della fattispecie prevista dall’art. 410 c.p. (vilipendio di cadavere);
  • i rapporti sessuali con animali esulano, a loro volta, dall’ambito dell’art. 609bis e possono assumere rilievo penale unicamente nell’ambito delle fattispecie previste dagli artt. 638 (uccisione o danneggiamento di animali altrui) e 544ter c.p. (maltrattamento di animali).

L’elemento oggettivo: violenza, minaccia od abuso

Sotto il profilo oggettivo assumono rilievo la violenza, minaccia od abuso di autorità poste in essere per costringere la vittima al compimento di un atto sessuale non voluto.

La violenza consiste nell’esercizio di una qualsiasi forza fisica, anche se non spinta al massimo della brutalità ed irresistibilità, diretta a vincere la resistenza opposta della vittima. Ed infatti integra il requisito oggettivo della condotta violenta non solo quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (Cass. 14-7-2010, n. 27273). In altri termini la condotta vietata consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso.

La minaccia, a sua volta, consiste nel manifestato proposito di arrecare un danno alla vittima, ad altre persone o alle cose, al fine di coartare la volontà della vittima e farle accettare l’atto voluto di mira dall’agente.

Rientra nella nozione di minaccia impiegata dall’art. 609bis c.p. anche la prospettazione, da parte del soggetto agente, di esercitare un diritto quando essa sia finalizzata al conseguimento dell’ulteriore vantaggio di tipo sessuale, non giuridicamente tutelato, ottenendosi per tale via un profitto ingiusto e contra ius.

Come visto l’abuso di autorità costituisce, unitamente alla violenza o alla minaccia, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609bis c.p. Ad avviso della Cassazione, esso presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (Cass. Sez. Un. 1-10-2020, n. 27326). Naturalmente, perché possa parlarsi di abuso di autorità, occorre che l’atto sessuale non sia stato voluto dalla vittima ma che l’abusante abbia approfittato della propria condizione di superiorità per indurre la persona offesa a subire. In altri termini l’abuso di autorità deve determinare una vera e propria costrizione al compimento degli atti sessuali.

Si pone anche il problema di stabilire se la relazione di dipendenza tra il soggetto agente e la vittima debba essere attuale (sussistente, cioè, al momento dell’atto sessuale), o possa essere anche cessata, purché si protragga il timore riverenziale provocato dalla stessa relazione: se, tuttavia, si ha riguardo agli elementi che costituiscono la fattispecie oggetto di incriminazione, ed alla ratio della stessa che va individuata nel possibile timore riverenziale che può ingenerarsi nella vittima, risulta chiaro che la relazione di dipendenza non attuale non assumerà alcun rilievo, soltanto se essa sia venuta meno anche di fatto, se, cioè, il soggetto agente non conserva alcun potere concreto sulla vittima.

Per quanto riguarda il problema della necessità, o meno, che la relazione di dipendenza che origina l’abuso intercorra tra l’autore del fatto e la vittima, si impone il rilievo che ben potrà, in concreto, l’abuso essere posto in essere per favorire il compimento di un atto sessuale tra la vittima ed un terzo: rileva, pertanto, non soltanto la relazione diretta (quella intercorrente tra il soggetto agente e la persona offesa), ma anche quella indiretta (sussistendo, in tal caso, una ipotesi di concorso di persone nel reato, tra il soggetto che abusa della propria autorità, ed il terzo che compie l’atto sessuale non voluto dalla vittima).

È opportuno precisare che, qualora l’abuso sia rivolto in danno di persona sottoposta a limitazioni della libertà personale, si versa nell’ipotesi aggravata di cui all’art. 609ter, comma 1, n. 4).

Sia la violenza, sia la minaccia, sia l’abuso di autorità devono essere tali da poter concretamente coartare la volontà della persona offesa.

In particolare, la violenza e la minaccia devono essere poste in essere con connotati che ne esteriorizzino la gravità e la serietà. L’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima nei reati di violenza sessuale vanno esaminate non secondo criteri astratti aprioristici, ma tenendosi conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva (di tempo, di luogo) e soggettiva (personalità del soggetto attivo e della vittima); sicché anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, può esser sufficiente ad integrare, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza.

L’atto sessuale

Il concetto di «atto sessuale» costituisce una delle più importanti innovazioni apportate dalla nuova normativa.

La precedente disciplina era incentrata sulla distinzione tra:

  • congiunzione carnale, che si ha ogni qualvolta avvenga una qualsiasi compenetrazione, anche abnorme, tra organi genitali, ovvero tra un organo genitale ed un altro organo: la nozione ricomprendeva sia il coito anale che quello orale;
  • atti di libidine violenti, che si concretizzano in ogni forma di contatto corporeo (pur non inerente agli organi genitali, o a parti nude del corpo), diversa della penetrazione, che, per le modalità con cui si svolge, costituisca inequivoca manifestazione di ebbrezza sessuale.

Proprio in virtù di tale distinzione, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti di volta in volta oggetto di indagine, assumeva in passato decisivo rilievo l’accertamento della qualità dell’atto compiuto (e cioè il quantum di penetrazione, la completa congiunzione carnale, o l’atto idoneo a procurare una diversa soddisfazione sessuale): ciò giustificava odiose indagini (ed odiose domande, poste da taluni difensori con spregio assoluto di ogni etica professionale, e più ancora morale), che costringevano le vittime a raccontare (e ricordare) la sequenza di oltraggiose infamie subìte; il processo si risolveva, spesso, in un ulteriore supplizio per la vittima, tratta al cospetto di imputati talora arroganti e sprezzanti (le cronache processuali sono piene di simili episodi).

Avuto riguardo alla diversa oggettività giuridica del reato di violenza sessuale (che, nella nuova configurazione, offende la libertà individuale della vittima), oltre che all’esigenza di toglier rilievo a distinzioni atte ad offendere ulteriormente la dignità della vittima, il legislatore ha incentrato il disvalore della nuova fattispecie nel compimento di un atto sessuale non voluto dalla vittima.

Il concetto di atto sessuale, definibile come ogni condotta che si concretizza nella manifestazione esteriore di un istinto sessuale ricomprende, pertanto, sia la congiunzione carnale (ed, in particolare, ogni forma, anche abnorme, di coito) sia gli atti di libidine, e, quindi, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale.

La fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima, quando gli «atti sessuali», quali definiti dall’art. 609bis c.p., coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale. In giurisprudenza si è giunti ad affermare che, in tema di reati contro la libertà sessuale, gli atti sessuali «non convenzionali» possono essere ritenuti leciti nella misura in cui si svolgano in base ad un consenso dei partecipanti che deve protrarsi per tutta la durata degli stessi (Cass. 26-11-2021, n. 43611). Quanto al bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, possa ritenersi che abbia inciso sulla libertà sessuale della vittima (Cass. 23-10-2019, n. 43423).

In conclusione, dunque, ed alla luce anche della più recente giurisprudenza, possiamo affermare che devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quegli atti indirizzati verso zone erogene e che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo e ad entrare nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione, sostituzione di persona, abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica; tra questi vanno ricompresi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo del tutto irrilevante, ai fini della consumazione, che il soggetto abbia o meno conseguito la soddisfazione erotica: la prevalenza dell’aspetto oggettivo e non di quello soggettivo, come avveniva in precedenza per gli atti di libidine, discende dalla differente collocazione e dal diverso bene giuridico protetto dai reati introdotti dalla L. 15-2-1996, n. 66 rispetto a quelli in precedenza contemplati dal codice del 1930.

Non è richiesto, per la sussistenza del reato, che gli atti sessuali siano compiuti dall’autore della violenza: come ha precisato la giurisprudenza, infatti, la condotta vietata dall’art. 609bis comprende, se connotata da costrizione, sia ogni forma di congiunzione carnale tra autore del reato e soggetto passivo, sia qualsiasi atto che offende in modo diretto ed univoco la libertà sessuale della vittima (requisito oggettivo), attraverso l’eccitazione dell’agente e l’eventuale soddisfacimento del suo istinto sessuale (requisito soggettivo); di conseguenza, il delitto di violenza sessuale è configurabile non solo nei casi in cui avvenga un contatto fisico diretto tra soggetto attivo e soggetto passivo, ma anche quando il soggetto attivo, al fine del soddisfacimento del proprio piacere sessuale, costringa due soggetti diversi, da considerare entrambi soggetti passivi, a compiere o subire atti sessuali solo tra loro.

Il dissenso della persona offesa

È opportuno ricordare che il dissenso della persona offesa al compimento dell’atto sessuale è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 609bis (al pari di quelli dianzi indicati). Ciò significa che il consenso del partner non assume il ruolo di elemento scriminante ex art. 50 c.p. ma esclude la tipicità del fatto. In altre parole l’atto sessuale con persona consenziente fa si che il soggetto agente non compia una violenza sessuale scriminata, ma tenga una condotta diversa da quella tipica.

Al riguardo, la giurisprudenza ha ricordato che il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all’art. 609bis c.p. la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga meno in itinere a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso (in tal senso, Cass. 21-1-2008, n. 4532).

Ad avviso della Cassazione, in tema di violenza sessuale, la sussistenza del consenso all’atto, che esclude, come detto, la configurabilità del reato, deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (Cass. 4-3-2022, n. 7873). Si è, altresì, affermato che l’assunzione, da parte della persona offesa, di sostanze alcoliche o stupefacenti in quantità tali da comportare l’assoluta incapacità di esprimere il proprio consenso, rende configurabile, nei suoi confronti, il delitto di violenza sessuale per costrizione, di cui all’art. 609bis, comma 1, c.p. e non quello di violenza sessuale per induzione di cui all’art. 609bis, comma 2, c.p. (Cass. 4-3-2022, n. 7873).

L’elemento soggettivo

Sotto il profilo soggettivo è richiesto il dolo generico caratterizzato dalla volontà dell’atto sessuale, con la coscienza di tutti gli elementi essenziali del fatto.

Tra questi, come si è detto, rientra (oltre che la violenza sessuale, la minaccia, l’abuso di autorità) il dissenso della persona offesa: ne consegue che l’erroneo convincimento che il partner sia consenziente, integrando gli estremi dell’errore sul fatto che costituisce reato, ex art. 47, comma 1, esclude la punibilità dell’agente in quanto esclude il dolo necessario. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui l’errore sul consenso della persona offesa sia determinato da colpa, in quanto il reato di cui all’art. 609bis non è previsto dalla legge come delitto colposo.

Qualora, invece, il soggetto agente ignori l’esistenza del consenso del partner e, dunque, creda per errore di compiere una violenza sessuale, trova applicazione l’art. 49, comma 1, c.p. (cd. reato putativo) in forza del quale è esclusa la punibilità per il reato erroneamente ritenuto esistente, fermo restando la punibilità per un diverso reato (ad esempio, violenza o minaccia) del quale concorrano gli elementi costitutivi (art. 49, comma 3).

In giurisprudenza si afferma che, in tema di violenza sessuale, costituendo il dissenso della persona offesa un elemento costitutivo, sia pure implicito, della fattispecie, necessario perché sussista la condotta tipica, l’errore su di esso rileva come errore di fatto, sicché incombe sull’imputato l’onere di fornire la prova del relativo assunto (Cass. 31-1-2022, n. 33326).

Consumazione e tentativo

Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 609bis è sufficiente il compimento dell’atto sessuale come prima inteso, risultando priva di rilievo l’eventuale concupiscenza (emissio seminis) o soddisfazione che può derivarne.

Nessun dubbio può nutrirsi sulla configurabilità del tentativo: è opportuno tener presente, però, che, a seguito dell’unificazione, nel più ampio concetto di atto sessuale, della violenza carnale e degli atti di libidine violenti, sarà configurabile il tentativo in presenza di atti che, pur diretti all’atto sessuale, non si concretizzino in alcun approccio fisico, pur se sia stata già posta in essere la violenza, la minaccia o l’abuso di autorità.

In tal senso, in giurisprudenza si afferma che è configurabile il tentativo del reato previsto dall’art. 609bis c.p. in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ne ha raggiunto le zone genitali o erogene ovvero non ha provocato un contatto tra le proprie parti intime e la vittima (Cass. 24-3-2022, n. 10626). Si è ritenuto il tentativo, altresì, nella condotta di colui che, all’esplicito rifiuto di consumare un rapporto sessuale, reitera più volte la richiesta ponendo in essere violenze o minacce che, sebbene non comportino una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, siano comunque chiaramente finalizzate a vincerne la resistenza (Cass. 14-10-2015, n. 41214). In sintesi, ai fini dell’integrazione del tentativo di reati a sfondo sessuale sono necessarie, sul piano soggettivo, l’intenzione dell’agente di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e, sul piano oggettivo, l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo superficiale e-o fugace, non indirizzati verso zone cd. erogene (Cass. 1-6-2011, n. 21840).

La violenza sessuale presunta

Il comma 2 dell’art. 609bis disciplina due fattispecie di violenza sessuale mediante induzione (o, come talvolta è chiamata nella prassi, violenza sessuale presunta), poste in essere (non secondo generici e non definiti comportamenti idonei a suggestionare la volontà della vittima, bensì) secondo modalità specificamente descritte e che sono:

  • l’abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
  • l’aver tratto in inganno la persona offesa, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

In entrambe le figure la persona offesa consente all’atto sessuale, ma il suo consenso è viziato dall’inganno o dall’abuso che il soggetto agente compie giovandosi dello stato di inferiorità fisica o psichica della stessa persona offesa: in esse, quindi, il consenso si configura quale elemento strutturale della fattispecie criminosa, e non può essere conseguentemente valutato quale circostanza attenuante ai sensi dell’art. 62, n. 5) (concorso del fatto doloso della persona offesa).

Esaminiamo le due forme di induzione:

a) L’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima

La prima delle due forme di induzione fa riferimento, con formulazione generica, ad una strumentalizzazione di condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, da qualunque causa siano esse state cagionate, anche se si tratta di causa indipendente dal fatto del colpevole, purché le stesse siano sussistenti al momento dell’atto sessuale: non sussisterà alcun reato nel caso di «intervalla insaniae», in cui cioè la persona offesa, pur fisicamente o psichicamente inferma, abbia riacquistato per intero il pieno possesso delle proprie capacità fisiche e psichiche, prestando validamente il proprio consenso all’atto sessuale nel corso di un «lucido intervallo».

In giurisprudenza si afferma che tra le condizioni di inferiorità psichica rilevanti a norma dell’art. 609bis, comma 2, n. 1), c.p. rientrano tutte quelle che siano tali da determinare una posizione vulnerabile della vittima, indipendentemente dall’esistenza di patologie mentali, comprese quelle determinate da credenze esoteriche in grado di suggestionare la persona offesa, delle quali l’agente approfitti spingendo o convincendo quest’ultima ad aderire ad atti sessuali che, diversamente, non avrebbe compiuto (Cass. 11-11-2020, n. 31512). Quanto all’induzione, in particolare, si è affermato che essa si realizza anche quando, con un’opera di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Cass. 3-6-2010, n. 20766).

Questo speciale stato non deve, tuttavia, assumere rilievo soltanto sotto un profilo astratto, ma va posto in necessario raffronto con la situazione di fatto concretamente esistente al momento dell’atto sessuale, con riferimento sia al contesto esterno nel quale i fatti sono inseriti (per accertare l’eventuale esistenza di modifiche intervenute nel tempo, che abbiano causato una positiva evoluzione della personalità della vittima, eliminando la condizione di inferiorità psichica), sia alla persona del soggetto agente (onde accertare se quest’ultimo abbia, o meno, avuto consapevolezza dell’esistenza di una condizione di menomata resistenza della vittima).

In un esaustivo pronunciamento in materia, in sintesi, la Cassazione ha avuto modo di affermare che per la sussistenza del reato di cui all’art. 609bis, comma 2, n. 1), c.p., è necessario accertare che:

1) la condizione di inferiorità sussista al momento del fatto;

2) il consenso dell’atto sia viziato da tale condizione;

3) il vizio sia riscontrato caso per caso e non presunto, né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona, quando non sia tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento, se necessario, fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi;

4) il consenso sia frutto dell’induzione;

5) l’induzione, a sua volta, sia stata posta in essere al fine di sfruttare la (e approfittare della) condizione di inferiorità per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato;

6) l’induzione e la sua natura abusiva non si identifichino con l’atto sessuale, ma lo precedano (Cass. 23-11-2018, n. 52835).

Tra i casi di inferiorità fisiopsichica ben possono rientrare, secondo una consolidata giurisprudenza che la dottrina recente ritiene ancor oggi valida:

  • lo stato di tossicodipendenza, in quanto il soggetto, pur di procurarsi gli stupefacenti, è disposto a qualsiasi azione, anche cedere il proprio corpo (Cass. 6173/1999);
  • l’assunzione di psicofarmaci (cosiddetti tranquillanti), quando da esso derivi una sospensione della attenzione e dei poteri di controllo che renda il soggetto medesimo incapace di normale resistenza all’azione del colpevole ed a quest’ultimo consenta di commettere violenza carnale (Cass. 624/1996);
  • l’assunzione di una quantità di bevande alcoliche tale da determinare un evidente indebolimento psichico di cui era pienamente consapevole il soggetto attivo per essere stato presente all’assunzione delle bevande stesse (Cass. 39800/2016).

b) L’inganno mediante sostituzione di persona

La fattispecie di cui al n. 2) dell’art. 609bis fa riferimento al caso, tradizionalmente discusso in dottrina, in cui il soggetto agente, attraverso l’impiego di mezzi fraudolenti, si sostituisca alla persona in relazione alla quale soltanto la vittima avrebbe prestato il consenso all’atto sessuale (si pensi al caso di chi, avvalendosi dell’oscurità, approfitti di una donna sostituendosi al di lei marito).

Si ritiene (AMBROSINI) che la «sostituzione di persona» di cui parla la norma è quella tipica prevista dall’art. 494; ne consegue che integra la fattispecie in esame l’attribuirsi falsamente la qualità di «medico» per compiere atti lascivi su una donna.

Elemento soggettivo

Vale quanto detto per il comma 1 dell’art. 609bis. Va solo precisato che per le ipotesi in esame il soggetto deve essere consapevole della particolare condizione della vittima (per il n. 1) o deve volere l’inganno (per il n. 2).

Pena ed istituti processuali per le due figure di violenza sessuale

Per effetto dei correttivi al sistema sanzionatorio, dovuti alla L. 19-7-2019, n. 69 (cd. «Codice rosso»), la pena è la reclusione da sei a dodici anni (ante riforma era la reclusione da cinque a dieci anni), pena diminuita in misura non eccedente i due terzi nei casi di minore gravità. L’arresto in flagranza è obbligatorio (facoltativo nelle ipotesi di minore gravità), ed il fermo consentito. Si procede a querela della persona offesa (d’ufficio nei casi previsti dall’art. 609septies, comma 4, nonché in presenza delle aggravanti di cui agli artt. 270bis.1, comma 1 e 416bis.1, comma 1 c.p.) e la competenza spetta al Tribunale collegiale.

L’attenuante di cui all’art. 609bis, comma 3

La circostanza attenuante prevista nel comma 3 dell’art. 609bis consente, nei casi di minore gravità, una riduzione della pena da applicare, nella misura massima di due terzi.

Si tratta di una circostanza attenuante:

  • speciale (in quanto prevista solo per i reati in oggetto);
  • oggettiva (concernendo casi di minore gravità, da individuare avendo riguardo alla natura, l’oggetto, la specie, i mezzi, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione, od anche la gravità del danno: essa, come tale, ai sensi dell’art. 118 c.p., in caso di concorso di persona nel reato, risulterà applicabile a tutti i concorrenti per il solo fatto di sussistere);
  • obbligatoria (sussistendo i presupposti per la sua concessione, il giudice dovrà necessariamente operare la diminuzione di pena, conservando ampia discrezionalità soltanto in ordine alla quantificazione della diminuzione, da un terzo a due terzi);
  • ad effetto speciale (ex art. 63, comma 3, c.p.), comportando una diminuzione di pena in misura superiore ad un terzo della pena base;
  • ad efficacia comune (operando la diminuzione rispetto alla pena base);
  • compatibile con il tentativo (art. 56 c.p.): in proposito, si è affermato in giurisprudenza che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel tentativo di violenza sessuale, non si deve tenere conto dell’azione effettivamente compiuta dall’agente, ma di quella che lo stesso aveva intenzione di porre in essere e che non è stata realizzata per cause indipendenti dalla sua volontà (Cass. 18-4-2017, n. 18793).

Il vero problema che pone l’attenuante in esame è quello di dare un contenuto concreto all’espressione «minore gravità» usata dal legislatore e, quindi, di individuare parametri oggettivi cui ancorare la maggiore o minore gravità del fatto.

In concreto, ed alla luce dell’esperienza dottrinaria e giurisprudenziale maturata con riguardo ad analoghe figure, può ritenersi che ai fini della concessione dell’attenuante per i «casi di minore gravità» dovrà considerarsi il nocumento che il reato, ove consumato, avrebbe cagionato alla persona offesa, in rapporto all’oggetto materiale del reato stesso, ed al grado di compressione dell’altrui libertà personale (sessuale) che avrebbe caratterizzato il reato consumato, senza aver riguardo all’effetto conseguente al mero fatto materiale del tentativo; ricorrono, quindi, gli estremi per l’applicazione dell’attenuante in esame in tutti quei casi in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità ed alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà personale (sessuale) della vittima sia stata compressa in maniera meno grave (ad esempio, l’atto sessuale compiuto fruendo dell’iniziale consenso del partner nonostante la successiva ed immotivata revoca del consenso stesso).

Più volte chiamata ad esprimersi in merito al senso da attribuire alla locuzione «minore gravità», la Cassazione ha avuto modo di affermare quanto segue: il riconoscimento della circostanza attenuante della minore gravità del fatto non è impedito dalla commissione di una pluralità di episodi illeciti in danno di diverse persone offese, la cui libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave (Cass. 20-6-2016, n. 25434); la mancanza di contatto fisico tra l’autore del reato e la vittima non è determinante ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità (Cass. 2-5-2013, n. 19033); non può essere concessa nell’ipotesi di reato di violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609octies c.p., in quanto trattasi di attenuante specifica prevista soltanto per la violenza sessuale individuale ed essendo peraltro incompatibile logicamente con la maggiore gravità di una violenza sessuale di gruppo (Cass. 15-11-2007, n. 42111); ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della «minore gravità» non rileva la semplice assenza di un rapporto sessuale con penetrazione, in quanto è necessario valutare il fatto nella sua complessità (Cass. 6-3-2009, n. 10085); l’attenuante di cui all’art. 609bis, ultimo comma, c.p. non può essere di per sé esclusa per la sussistenza di una o più circostanze aggravanti, occorrendo in tal caso valutare se queste ultime, in relazione al bene giuridico tutelato, incidano sui parametri che rilevano ai fini dell’accertamento della minore gravità del fatto, costituiti dal grado di compressione della libertà sessuale subito dalla vittima e dalla consistenza del danno arrecatole (Cass. 19-2-2020, n. 6502); in tema di violenza sessuale, non è di ostacolo al riconoscimento della circostanza attenuante speciale del fatto di minore gravità di cui all’art. 609bis, comma 3, c.p., il fatto che il reato sia commesso da un docente, all’interno di un istituto scolastico, in danno di allievi, posto che l’abuso di autorità è già stato considerato dal legislatore come elemento integrativo della fattispecie incriminatrice, nonché ai fini della procedibilità d’ufficio del reato (Cass. 30-5-2023, n. 35303); in tema di violenza sessuale, il riconoscimento dell’attenuante della minore gravità, nel caso di più fatti in continuazione ai danni della medesima persona offesa minorenne, richiede che ogni singolo fatto sia inquadrato in una valutazione globale, posto che anche un fatto, ritenuto di modesta gravità se valutato singolarmente, può, ove replicato, comportare un aggravamento di intensità della lesione del bene giuridico così da comportare l’esclusione dell’attenuante speciale (Cass. 24-11-2022, n. 9308); in tema di reati sessuali, non ricorre l’attenuante della minore gravità del fatto, di cui all’art. 609bis, comma 3, c.p., nel caso in cui la violenza sessuale sia perpetrata dal genitore ai danni del proprio figlio, trattandosi di condotta che, profanando gravemente la sfera sessuale della vittima, determina uno sviamento dalla funzione di accudimento e protezione propria della figura genitoriale (Cass. 17-12-2021, n. 23078); in tema di violenza sessuale, anche in caso di solo sopravvenuto dissenso della vittima al rapporto sessuale è legittimo il diniego della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, quando, per i mezzi, le modalità esecutive della condotta, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, e le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, si realizzi una significativa compromissione della libertà sessuale (Cass. 22-1-2020, n. 16440).

La violenza sessuale aggravata (artt. 609ter e duodecies)

L’art. 609ter (oggetto di numerosi correttivi succedutisi nel tempo) prevede, nei suoi due commi, una serie di circostanze aggravanti.

In particolare il comma 1, dispone che la pena stabilita dall’art. 609bis è aumentata di un terzo se i fatti ivi previsti sono commessi:

  • nei confronti di persona della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore;
  • con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa.

Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’arma, è necessario che il reo sia palesemente armato, ma non che l’arma sia addirittura impugnata per minacciare, essendo sufficiente che essa sia portata in modo da poter intimidire (Cass. 26-2-2021, n. 7754). Quanto all’uso di sostanze narcotiche, si verifica quando lo stato di incoscienza della vittima sia stato provocato mediante la somministrazione di farmaci anestetici allo scopo di consentire all’agente di porre in essere la condotta vietata;

  • da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di pubblico servizio;
  • su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

Tale circostanza include anche le ipotesi nelle quali lo stato del soggetto passivo non discenda da un potere pubblicistico ed abbia natura illecita, comprensiva del sequestro di persona.

  • nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto;
  • all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa;
  • nei confronti di donna in stato di gravidanza;
  • nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza.

Sussiste «relazione affettiva» quando il soggetto attivo possieda o abbia posseduto determinate qualità soggettive che, indipendentemente sia dalla convivenza con la vittima, sia dalla stabilità e/o durata della «relazione», facilitino il delitto consentendo all’agente lo sfruttamento del rapporto di fiducia della vittima nei suoi confronti e l’accesso violento o abusivo nella sfera più intima di quest’ultima;

  • se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività.

Sia questa aggravante, che la successiva, introdotte dal D.Lgs. 4-3-2014, n. 39, costituiscono la traduzione normativa di taluni dei precetti contenuti nell’art. 9 della direttiva 2011/93/ UE, sostitutiva della decisione quadro 2004/68/ GAI, nel quale gli Stati destinatari si impegnano ad adottare le misure necessarie affinché possano essere considerate figure circostanziali dei delitti oggetto della direttiva il fatto che «[…] d) il reato è stato commesso nel contesto di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24-10-2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata; […] g) il reato è stato commesso ricorrendo a violenze gravi o ha causato al minore un pregiudizio grave»;

  • se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

La figura prevede due distinte ipotesi, di cui solo la seconda prende in considerazione l’età della vittima, limitandosi la prima a considerare le «violenze gravi», a prescindere dal fatto che la vittima del reato sia maggiorenne o minorenne;

  • se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

Tale configurazione aggravata rientra fra le novità disciplinari dovute alla L. 23-12-2021, n. 238 (nota come Legge europea 2019-2020). Nello specifico, la modifica appare volta a recare attuazione a quanto previsto nell’art. 9, lett. f) della Direttiva 2011/93/UE, il quale dispone che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia considerata quale aggravante, con riferimento ai reati sessuali su minori (specificamente indicati negli artt. da 3 a 7 della direttiva stessa) la circostanza per la quale «l’autore del reato, deliberatamente o per negligenza, ha messo in pericolo la vita del minore».

Ai sensi del comma 2 della medesima previsione, la pena stabilita dall’art. 609bis è aumentata della metà se i fatti ivi previsti sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici. La pena è raddoppiata se i fatti di cui all’art. 609bis sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.

Si evidenzia che l’aggravante in commento è stata oggetto di numerosi correttivi, il più recente dei quali operato dalla L. 19-7-2019, n. 69, cd. «Codice rosso». La prima delle modifiche effettuate si traduce in un correttivo di coordinamento rispetto all’incremento sanzionatorio della fattispecie di riferimento (la violenza sessuale, ex art. 609bis, la cui risposta sanzionatoria, come visto, è stata elevata, passando dalla reclusione da cinque a dieci anni alla reclusione da sei a dodici anni). Di qui l’esigenza di richiamare direttamente la figura-base e prevederne un aumento di pena. Inoltre, attraverso le coordinate innovazioni concernenti la prima e la quinta di tali previsioni, si è, poi, disposto che la violenza sessuale commessa dall’ascendente, dal genitore anche adottivo o dal tutore sia sempre aggravata, a prescindere dall’età della vittima (prima del correttivo era aggravata solo la violenza commessa da questi soggetti in danno di minorenne, per tal via ritenendo di apprestare una maggior tutela nell’ambito delle relazioni familiari, spesso sede di turpi episodi criminosi del genere tipizzato dalla norma). Si è, infine, provveduto ad una rimodulazione delle aggravanti quando la violenza sessuale sia commessa in danno di minore. Si prevede, infatti, un aumento di pena progressivamente maggiore, quanto meno elevata sia l’età della vittima (un terzo della pena-base della violenza sessuale per gli infradiciottenni, la metà per gli infraquattordicenni ed il doppio per coloro che non abbiano compiuto i dieci anni). Prima del correttivo, si prevedeva esclusivamente una aggravante per il fatto commesso in danno di minore di anni dieci.

Per effetto, infine, dell’art. 609duodecies (introdotto dal decreto del 2014 di cui si è appena detto) la violenza sessuale, ma anche le fattispecie di reato di cui agli artt. 609quater, quinquies, octies ed undecies, sono aggravate (con incremento di pena non eccedente la metà) se commesse con l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche (per tal via disincentivando l’impiego della telematica quale strumento di approccio alle vittime).

Si è affermato in giurisprudenza che, in tema di reati sessuali, è configurabile l’aggravante dell’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di acceso alle reti telematiche, di cui all’art. 609duodecies c.p., nel caso in cui l’agente ponga in essere una qualsiasi azione volta a rendere maggiormente difficoltosa la propria identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento (Cass. 23-11-2022, n. 44453).

 

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prestazioni di esodo

Prestazioni di esodo: i chiarimenti INPS L'INPS fornisce chiarimenti in merito alle ricostituzioni delle prestazioni di esodo di cui all'art. 4, commi da 1 a 7, della legge n. 92/2012

Chiarimenti in merito alle ricostituzioni delle prestazioni di esodo

Prestazioni di esodo: a seguito delle richieste di chiarimento pervenute, l’INPS con il messaggio n. 3078 del 19 settembre 2024, fornisce ulteriori indicazioni operative in merito alla possibilità di ricostituire le stesse, di rideterminare l’importo della prestazione e la sua scadenza, in presenza di contribuzione accreditata a seguito di domanda presentata successivamente all’accesso in esodo come, ad esempio, per la domanda di accredito figurativo per il servizio militare o per la domanda di riscatto/ricongiunzione, non valutata né ai fini della verifica del diritto né della quantificazione dell’importo.

La domanda

La domanda di prestazione di accompagnamento a pensione, ricorda l’istituto, è trasmessa telematicamente dal datore di lavoro tramite il “Portale prestazioni esodo”.

Nella domanda sono riportati, oltre ai dati identificativi del datore di lavoro, anche le informazioni relative all’anzianità contributiva maturata dal lavoratore alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, nonché la data fino alla quale il datore di lavoro si impegna a versare la contribuzione correlata.

Per le prestazioni di esodo di cui all’articolo 4, commi da 1 a 7, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e all’articolo 41, comma 5-bis, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, tali informazioni sono certificate dall’Istituto prima della chiusura del relativo piano di esodo.

Poiché le prestazioni di esodo sono erogate su richiesta del datore di lavoro che ha l’onere del pagamento delle prestazioni stesse, non è possibile procedere alla loro ricostituzione né d’ufficio né su istanza del lavoratore.

La domanda di ricostituzione deve, pertanto, essere presentata esclusivamente dal datore di lavoro esodante, in accordo con il lavoratore.

Casi particolari

Si precisa, inoltre, che è consentita la ricostituzione delle prestazioni di esodo, sempre previa domanda da parte del datore di lavoro in accordo con il lavoratore, nel caso in cui:

  • dopo la cessazione del rapporto di lavoro, vengano erogate retribuzioni riferite al periodo di lavoro precedente alla cessazione e non considerate al momento della liquidazione in via definitiva della prestazione di esodo;
  • nell’estratto contributivo risulti contribuzione non presente al momento della liquidazione in via definitiva della prestazione di esodo.

Qualora, a seguito dell’accredito di tale contribuzione, possa essere anticipata la scadenza dell’assegno di esodo, la Struttura dell’INPS territorialmente competente provvede ad avvisare il datore di lavoro e il lavoratore per concordare l’anticipo della scadenza della prestazione e il relativo versamento della contribuzione correlata. Nel caso di ricostituzione, il modello “TE08” recherà la nuova scadenza della prestazione di accompagnamento a pensione per consentire al lavoratore di presentare in tempo utile la domanda di pensione.

La contribuzione accreditata viene considerata in sede di liquidazione della prestazione pensionistica.

Procedura WEBDOM

La domanda di ricostituzione deve essere caricata nella procedura “WEBDOM” in modalità manuale solo a seguito di apposita richiesta presentata dal datore di lavoro tramite posta elettronica certificata (PEC) alla Struttura dell’INPS territorialmente competente che gestisce l’assegno di esodo, allegando una dichiarazione, opportunamente timbrata e firmata dal legale rappresentante, con la quale lo stesso si fa carico dell’eventuale maggiore onere derivante dalla ricostituzione della prestazione.

Alla domanda deve essere allegato anche il consenso del lavoratore interessato, da acquisire agli atti.

 

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affitti brevi

Affitti brevi: dal 2 novembre obblighi di sicurezza per gli impianti Affitti brevi: dal 2 novembre scatta l’obbligo del Cin ma anche quello in materia di sicurezza degli impianti

Affitti brevi: CIN obbligatorio dal 2 novembre 2024

In materia di affitti brevi la recente normativa è intervenuta su più fronti, introducendo diverse novità. Dal 2 novembre ad esempio, tutti gli immobili e le strutture dovranno possedere il CIN, il codice identificativo nazionale ed esibirlo sia all’interno dell’immobile concesso in locazione che al suo esterno.  

Sicurezza degli impianti per gli affitti brevi

Chi vorrà concedere in locazione il proprio immobile con contratto di affitto di breve durata dovrà adempiere però anche a un altro importante obbligo.

L’articolo 13 ter del Decreto legge n. 145/2023 al comma 7 dispone che le unità immobiliari con destinazione ad a uso abitativo che saranno oggetto di contratti di locazione per finalità turistiche o ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50,  gestite con determinate forme imprenditoriali dovranno essere munite dei requisiti di sicurezza degli impianti in base alle prescrizioni stabilite dalle norme statali e regionali in vigore.

Obblighi di sicurezza: in cosa consistono

Nello specifico, le unità immobiliari dovranno essere dotate di dispositivi funzionanti per rilevare la presenza di gas combustibili e del monossido di carbonio.

I proprietari o i locatori dovranno dotare gli immobili di estintori portatili, costruiti e conservati in base alle disposizioni di legge. Questi strumenti dovranno essere posizionati in luoghi facilmente visibili e accessibili, soprattutto vicino ai punti di accesso e nei pressi delle aree di maggior pericolo. Le regole prevedono che i soggetti obbligati dovranno installare un estintore ogni 200 metri quadrati di pavimento, o frazione, con un minimo di un estintore ogni piano.

Per quanto riguarda gli estintori il decreto 145/2023 rinvia al punto 4.4 dell’allegato I  del decreto 3 settembre 2021 contenente i “Criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, ai sensi dell’articolo 46, comma 3, lettera a), punti 1 e 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.”

 

 

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