inps sui social

Inps sui social: ecco i canali dell’istituto Disponibili i canali Inps sui social: Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn, un ponte tra istituzione e cittadini

Inps sui social

Disponibili i canali social INPS su Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn. Lo rende noto l’Inps con un comunicato sul proprio sito.

L’Istituto si è impegnato, infatti, a utilizzare i social network per avvicinarsi ai cittadini, semplificando l’accesso ai propri servizi e rafforzando la fiducia attraverso una comunicazione chiara e immediata.

Questo approccio mira a fornire informazioni accurate e complete in un contesto sempre più vulnerabile alla disinformazione.

Ecco le pagine tematiche e come funzionano:

Facebook

A partire dal 2025, l’INPS sarà presente su Facebook con due pagine tematiche:

  • INPS per la Famiglia;
  • INPS – Credito e Welfare Dipendenti Pubblici.

Questi profili offriranno notizie aggiornate sui servizi, le prestazioni e, in generale, sul mondo del welfare.Per garantire una comunicazione più efficace e contrastare la diffusione di profili non ufficiali, le precedenti pagine INPS per i Lavoratori Migranti e INPS Giovani saranno integrate nelle pagine verificate.

WhatsApp

Da circa un anno, l’INPS è attivo su WhatsApp con il canale ufficiale INPS per tutti, dedicato a imprese, pensionati, lavoratori, famiglie e cittadini.

Questo canale consente di ricevere informazioni tempestive su temi attuali e rilevanti.

Instagram

Il profilo Instagram inps_social racconta l’Istituto principalmente attraverso immagini.

Grazie a visual tematici, fotografie, storie e quiz, l’account si propone di rendere la cultura previdenziale accessibile anche alle generazioni più giovani.

X

Il canale X @INPS_it offre aggiornamenti e notizie in tempo reale sui servizi e le iniziative dell’Istituto.

LinkedIn

I profili LinkedIn INPS_official e Ufficio Stampa INPS pubblicano aggiornamenti sui servizi dell’Istituto e promuovono iniziative di studio e ricerca, come il progetto VisitINPS, oltre a opportunità di lavoro tramite bandi di concorso pubblico.

Canali ufficiali

Questi sono i canali e i profili social ufficiali gestiti dalla comunicazione dell’Istituto. Qualsiasi altro profilo che utilizzi il nome o il logo dell’INPS, avvisa l’istituto, potrebbe fornire informazioni errate, incomplete o inaffidabili.

lavoro domenicale

Lavoro domenicale: più benefici perché più penoso Il lavoro domenicale è più penoso, il lavoratore ha diritto a benefici particolari, non solo di natura economica, ma anche contrattuale

Lavoro domenicale: diritti economici e non solo

Il lavoro domenicale è una realtà per molti settori, ma comporta sacrifici significativi che devono essere riconosciuti. La sentenza n. 31712/2024 della Cassazione sottolinea l’importanza di una tutela adeguata per i lavoratori, sia in termini economici che di benefici contrattuali.

Quid pluris anche non economico

La Corte d’Appello ha confermato la decisione con cui il giudice id primo grado ha riconosciuto ai lavoratori turnisti impiegati presso un aeroporto il diritto a una maggiorazione del 30% della retribuzione giornaliera per il lavoro svolto di domenica. I lavoratori, inquadrati nel CCNL Multiservizi, avevano sostenuto che il semplice riposo compensativo non era sufficiente a compensare i sacrifici legati alla prestazione domenicale.

La Corte ha stabilito che il lavoro domenicale richiede un trattamento aggiuntivo, anche in assenza di specifiche previsioni nel contratto collettivo. Secondo la sentenza, il riposo compensativo non copre pienamente i disagi derivanti dal lavoro in un giorno dedicato, per la maggioranza delle persone, agli interessi personali e familiari. La Corte ha sottolineato che tale sacrificio deve essere compensato con un quid pluris, che può consistere in una maggiorazione economica o in altri benefici contrattuali.

Compenso economico o vantaggi contrattuali

La Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento della Corte d’Appello e ha ribadito che il lavoro domenicale comporta una maggiore penosità, che deve essere riconosciuta attraverso un compenso adeguato. Tale compenso può essere economico oppure consistere in vantaggi contrattuali che migliorino il trattamento complessivo del lavoratore.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) è cruciale nella regolamentazione dei diritti dei lavoratori. Tuttavia, in alcuni casi, la normativa generale può supplire alle eventuali lacune del CCNL. La Corte ha infatti evidenziato che l’assenza di una maggiorazione specifica per il lavoro domenicale non implica la rinuncia ai diritti previsti dall’ordinamento.

Lavoro domenicale: il differimento del riposo non basta

La Cassazione ha anche chiarito che il differimento del riposo settimanale a un giorno diverso dalla domenica non compensa il sacrificio specifico legato al lavoro festivo. La semplice traslazione del giorno di riposo, infatti, non aggiunge alcun valore economico o simbolico al lavoratore. Pertanto, il giudice può intervenire per riconoscere un compenso aggiuntivo, valutando equitativamente il danno subito dal lavoratore.

La normativa italiana, con riferimento agli articoli 1226 e 2056 del Codice Civile, consente al giudice di determinare in via equitativa un risarcimento quando il danno non può essere quantificato con precisione. Nel caso del lavoro domenicale, tale principio è stato applicato per riconoscere una maggiorazione salariale per i sacrifici personali e familiari del lavoratore.

 

 

Leggi anche: Riposo compensativo: la Cassazione fa chiarezza

Allegati

cessione case prefabbricate

Cessione case prefabbricate: quale aliquota Iva L'Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sull'aliquota Iva applicabile alla cessione delle case prefabbricate

Aliquota IVA cessione case prefabbricate

Cessione case prefabbricate: l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 246/2024 del 5 dicembre scorso, ha fornito chiarimenti in merito all’aliquota Iva applicabile.
Nel caso di specie l’Amministrazione ha risposto all’interpello di una società che chiedeva delucidazioni sulla possibilità di assoggettare la cessione della casa prefabbricata alle aliquote  ridotte del 4 e del 10% nel caso di presentazione, da parte del cliente,  di una dichiarazione per l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata.

Soluzione prospettata dal contribuente

A  parere  della  Società  le  aliquote  agevolate  saranno  applicabili  sulla  base  della dichiarazione  resa dal cliente a  seguito della quale è tenuta ad emettere  fattura,  che  registrerà  attraverso  il  sistema  di  dichiarazione  elettronica  (OSS)  nello  Stato  di  appartenenza.

L’Istante indica la transazione nella Dichiarazione IVA nel sistema OSS come operazione effettuata in Italia e paga l’IVA ricevuta a saldo della fattura nel proprio Stato, che poi la riverserà all’Italia.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

“L’One Stop Shop (OSS o Sportello Unico) è un regime opzionale IVA che consente a un soggetto passivo di dichiarare e pagare l’IVA in un unico Stato membro, quello dove è identificato ai fini IVA, a fronte di operazioni dallo stesso effettuate a favore  di  privati consumatori UE,  siano esse cessioni  di  beni  o  prestazioni  di  servizi (B2C).

OSS

Lo Stato UE di identificazione provvederà poi alla ripartizione dell’imposta così  raccolta  tra  i  vari  Stati  UE  di  consumo  di  beni  e  servizi,  in  base  agli  importi  delle  transazioni ivi effettuate, rilevanti ai fini IVA”. Queste le premesse dell’Agenzia delle Entrate. “Si tratta dunque di una misura di semplificazione in quanto i soggetti passivi IVA che optano per tale regime, anziché identificarsi in tutti gli Stati UE per l’assolvimento  degli  obblighi  di  dichiarazione  e  di  versamento  dell’imposta  dovuta  a  fronte  delle  cessioni di beni e/o prestazioni di servizi ivi effettuate, dichiarano e versano l’IVA nel solo Stato membro di registrazione/identificazione per l’imposta dovuta sulle forniture  transfrontaliere di beni e/o servizi” proseguono le Entrate.

Nella fattispecie in esame, la Società afferma di essere un soggetto passivo IVA registrato in uno Stato dell’UE, dove ha optato per il regime in commento e pertanto alla  stessa si applicano le disposizioni di cui articolo 74­ septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Decreto IVA) quando effettua, nel territorio dello Stato, le operazioni ivi riportate.

In relazione a dette operazioni (i.e. B2C, effettuate nel territorio dello Stato), oltre a  dichiarare e  versare  nel  proprio Stato la  relativa imposta  dovuta in  Italia, la  norma  appena richiamata dispensa l’Istante anche dagli obblighi di cui al Titolo II del Decreto IVA, tra cui quelli di fatturazione, registrazione, tenuta dei registri contabili, ecc. (cfr. articolo 74­septies, comma 4, del Decreto IVA).

Cessioni di case prefabbricate in legno

In merito alle cessioni di case prefabbricate in legno, la Risoluzione Ministeriale  503351 del 12 marzo 1974 chiarisce che:

1. si applica l’aliquota IVA ordinaria al 22 per cento quando il cliente ”acquista i  pezzi della casa prefabbricata e li fa montare e mettere in opera dalla stessa impresa che li produce o da terzi”. In questo caso, ”il contratto ha per oggetto il semplice acquisto  dei singoli pezzi e poiché tali pezzi costituiscono l’oggetto della ordinaria produzione dell’impresa che li fabbrica…”, è da ritenere ”che il negozio giuridico si debba qualificare come una compravendita e, pertanto, il corrispettivo relativo vada assoggettato all’I.V.A. con l’aliquota ordinaria…”;

2. si applica l’aliquota IVA del 4% o del 10% quando ”il committente affida ad  un’impresa la costruzione di una casa, da effettuare con i pezzi fabbricati dall’impresa stessa”.

La fattispecie

Nel caso di specie, dalle informazioni fornite, la  fattispecie  prospettata dalla società è riconducibile all’ipotesi 1 della citata risoluzione: il cliente italiano in realtà non sta acquistando  una casa, come affermato dall’Istante, bensì pezzi di una casa (precisamente le pareti).

La Società offre anche opzioni supplementari, quali infissi, scale e pavimenti, che, tuttavia, anche considerandole unitamente alle pareti, non permettono di affermare che oggetto della  transazione  sia  una  casa/immobile.

All’operazione prospettata, per come così ricostruita, si rende dunque applicabile  l’aliquota IVA ordinaria del 22 per cento. A diverse conclusioni potrebbe giungersi nell’ipotesi in cui la fornitura in oggetto  avvenga nell’ambito di un contratto di appalto che abbia per oggetto la costruzione e la  consegna di una casa ”chiavi in mano” a cui, al ricorrere dei relativi presupposti, può  essere riconosciuta l’aliquota IVA del 4 o del 10 per cento.

perenzione

Perenzione: la guida Perenzione: istituto che determina l’estinzione del processo amministrativo se le parti restano inattive per un periodo determinato

Perenzione nel processo amministrativo

La perenzione è un istituto giuridico che regola la scadenza di certi termini processuali. Essa determina infatti la cessazione automatica di un’azione legale se la stessa non viene svolta entro il periodo previsto dalla legge. Questo concetto ha un’importanza fondamentale per garantire l’efficienza e la certezza dei processi amministrativi. In Italia, la perenzione è disciplinata dal DLgs n. 104/2010, noto come Codice del Processo Amministrativo, che ha introdotto diverse norme in materia di scadenze processuali e decadenze dei ricorsi.

In questo articolo, esamineremo gli articoli 81-85 del DLgs n. 104/2010, che regolano la perenzione nel processo amministrativo, approfondendo la sua applicazione pratica e le principali pronunce giuridiche che hanno contribuito a chiarire l’ambito di operatività di questo istituto.

Cos’è la perenzione?

La perenzione si verifica quando un’azione legale, che non venga portata avanti nel tempo previsto dalla legge, perde efficacia, determinando la decadenza del ricorso.

Nel contesto del processo amministrativo, la perenzione si applica principalmente ai ricorsi giurisdizionali amministrativi, che, se non attivati o non seguiti con le necessarie attività procedurali (come il deposito di documenti o l’avanzamento della causa), cadono in perenzione, estinguendosi automaticamente.

La perenzione ha quindi lo scopo di velocizzare i processi ed evitare l’accumulo di cause non attuali, ottimizzando il lavoro dei tribunali amministrativi e delle autorità competenti.

Codice del processo amministrativo: artt. 81-85

Come anticipato, la perenzione trova la sua disciplina negli articoli 81, 82. 83, 84 e 85 del decreto legislativo n. 104/2010, che ha disposto il riordino del processo amministrativo. Analizziamo singolarmente queste norme.

Articolo 81 – Perenzione: un ricorso è considerato perento se non viene compiuto alcun atto di procedura per un anno. Il termine di un anno non decorre dal momento della presentazione di un’istanza per la fissazione dell’udienza, fino a quando non vi sia una decisione su di essa, salvo eccezioni.

Articolo 82 – Perenzione dei ricorsi ultraquinquennali: se un ricorso rimane pendente per più di cinque anni dalla sua presentazione, la segreteria notifica alle parti l’obbligo per il ricorrente di presentare una nuova istanza di fissazione dell’udienza entro 120 giorni. Tale istanza deve essere firmata dal ricorrente e dal suo avvocato. In mancanza di questa istanza, il ricorso è dichiarato perento. Se invece viene comunicata la fissazione dell’udienza senza la notifica precedente, il ricorso può essere deciso solo se il ricorrente dichiara interesse alla decisione, altrimenti è dichiarato perento con decreto.

Articolo 83 – Effetti della perenzione: La perenzione si applica automaticamente (di diritto) e può essere rilevata anche d’ufficio. Ogni parte sopporta le proprie spese processuali.

Articolo 84 – Rinuncia: Una parte può rinunciare al ricorso in qualsiasi fase del processo attraverso: 1. una dichiarazione scritta firmata dalla parte stessa o dall’avvocato con mandato speciale, da depositare presso la segreteria; 2. una dichiarazione resa in udienza e registrata nel verbale. Il rinunciante deve sostenere le spese degli atti compiuti, salvo diversa decisione del collegio. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno 10 giorni prima dell’udienza. Se non vi è opposizione, il processo si estingue. Il giudice può comunque dedurre la perdita di interesse alla causa da fatti o comportamenti delle parti.

Articolo 85 – Procedura per lestinzione e limprocedibilità: l’estinzione e l’improcedibilità possono essere dichiarate con un decreto del presidente o di un magistrato delegato. Il decreto è comunicato alle parti dalla segreteria. Le parti hanno 60 giorni dalla comunicazione per opporsi al collegio mediante atto notificato a tutte le altre parti. Il giudizio di opposizione è deciso con un’ordinanza che, se accoglie l’opposizione, fissa una nuova udienza. In caso di rigetto, le spese sono a carico dell’opponente senza possibilità di compensazione. L’ordinanza è comunicata alle parti e può essere impugnata in appello. Se l’estinzione o l’improcedibilità si verificano durante l’udienza di discussione, vengono dichiarate con sentenza.

Giurisprudenza sulla perenzione

La giurisprudenza ha avuto un ruolo cruciale nell’interpretare e applicare i principi della perenzione, cercando di chiarire i contorni di questa disciplina e di bilanciare le esigenze di celerità dei processi con la tutela dei diritti degli utenti del processo amministrativo.

Consiglio di Stato sentenza n. 4318/2017

Nel processo amministrativo, il termine di perenzione previsto dall’art. 81, comma 1, del D.Lgs. n. 104/2010 (Codice del Processo Amministrativo) non decorre se la mancata fissazione dell’udienza da parte della Segreteria dipende da un’omissione di quest’ultima. In tali circostanze, l’inerzia del procedimento non può essere attribuita alle parti, che non hanno la possibilità di intervenire in un’attività procedurale demandata esclusivamente all’ufficio. Le parti hanno quindi il diritto di fare affidamento sull’obbligo della Segreteria di fissare l’udienza d’ufficio.

Consiglio di  Stato sentenza n. 3017/2018

La perenzione nel processo amministrativo ha una duplice natura: privatistica, perché presuppone una tacita rinuncia delle parti alla prosecuzione del giudizio; pubblicistica, in quanto mira a soddisfare l’interesse pubblico a una rapida definizione delle controversie relative all’esercizio del potere amministrativo. Questo istituto risponde quindi all’esigenza di garantire la chiusura delle situazioni giuridiche coinvolgenti la Pubblica Amministrazione entro un termine ragionevole. 

Consiglio di Stato sentenza n. 3426/2019

Nel giudizio amministrativo, il giudice può rilevare una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa anche in assenza delle formalità previste dall’art. 84 del D.Lgs. n. 104/2010. Tale valutazione può basarsi su fatti o atti univoci intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, nonché sul comportamento delle parti, che possono fornire elementi utili a dimostrare la perdita di interesse alla prosecuzione del giudizio.

Effetti della perenzione

La perenzione ha effetti rilevanti sul processo amministrativo. Quando si applica la perenzione, il ricorso diventa inefficace, e il procedimento legale si estingue senza che sia necessaria una pronuncia di merito. Ciò significa che il ricorrente perde la possibilità di far valere i propri diritti in quel determinato processo, e il ricorso non potrà più essere ripreso nemmeno su richiesta della parte. I termini di perenzione sono dunque strumenti utilizzati per accelerare i procedimenti amministrativi e per evitare l’accumulo di ricorsi inerti. Tuttavia, la legge consente alcune deroghe, soprattutto nei casi in cui vi siano impedimenti giustificati che impediscono al ricorrente di proseguire l’azione.

 

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responsabilità precontrattuale

Responsabilità precontrattuale Responsabilità precontrattuale: violazione dei principi base nelle trattative contrattuali sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. 

Responsabilità precontrattuale, cos’è

La responsabilità precontrattuale civile rappresenta un aspetto fondamentale del diritto civile italiano, in materia di contratti. Essa è disciplinata fondamentalmente dagli articoli 1337 e 1338 del codice civile. La stessa si configura quando una delle parti viola il principio di buona fede durante la fase le trattative contrattuali o nella formazione dell’accordo. La responsabilità precontrattuale civile si fonda quindi sull’obbligo di correttezza e buona fede, costituendo una garanzia fondamentale per il corretto svolgimento della fase che precede la stipula vera e propria dell’accordo.

Buona fede e lealtà nelle trattative: art. 1337 c.c.

L’articolo 1337 c.c. impone alle parti di agire con buona fede, comportandosi lealmente e nel rispetto degli interessi reciproci. Questo obbligo risulta violato in presenza di alcuni comportamenti, tra i quali rivestono particolare rilievo i seguenti:

  • interruzione immotivata delle trattative: soprattutto se l’altra parte confidava ragionevolmente nella conclusione del contratto;
  • omissione di informazioni rilevanti: come le cause di invalidità del contratto conosciute dalla parte che le nasconde (art. 1338 c.c.);
  • condotte ingannevoli o pregiudizievoli: che si realizzano quando, ad esempio, si induce una controparte a stipulare un contratto svantaggioso o lesivo.

Queste violazioni possono causare un danno risarcibile, comprendente sia il danno emergente (spese sostenute) che il lucro cessante (perdita di opportunità economiche).

Responsabilità precontrattuale civile: natura

Sulla qualificazione della natura della responsabilità precontrattuale civile il dibattito giuridico è ancora aperto. Alcuni ritengono che la stessa abbia extracontrattuale, basandosi sull’articolo 2043 c.c., altri invece la considerano di natura contrattuale, facendo riferimento all’articolo 1218 c.c. Indipendentemente dalla sua natura però tutti sono concordi nel ritenere che questa responsabilità tuteli l’interesse negativo, ovvero il diritto a non essere coinvolti in trattative infruttuose.

Contratti per adesione: regole e limiti particolari

I contratti per adesione, spesso caratterizzati da clausole prestabilite, devono rispettare particolari formalità per evitare abusi nella fase delle trattative. Gli articoli 1341 e 1342 c.c. regolano queste situazioni, stabilendo che:

  • le condizioni generali dell’accordo sono valide solo se il cliente le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle al momento della stipula;
  • mentre per quanto riguarda le clausole onerose, le stesse diventano efficaci solo con una specifica approvazione scritta.

La giurisprudenza, nel tempo, ha combattuto gli abusi legati a questi contratti, dichiarando nulle clausole particolarmente gravose o poco trasparenti. Le norme sui contratti per adesione, infatti mirano a bilanciare la necessità della velocità negli scambi economici e la tutela dei contraenti più deboli, prevenendo situazioni di squilibrio e abuso.

Comunicazione delle cause di invalidità: art. 1338 c.c.

Nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede nelle trattative contrattuali l’articolo 1338 c.c. pone a carico delle parti l’obbligo di informare l’altra parte su eventuali cause di invalidità del contratto conosciute o conoscibili con la normale diligenza. Il principio sancito da questa norma mira a evitare che una delle parti venga coinvolta in trattative inutili o in contratti invalidi.

La mancata comunicazione obbliga il responsabile a risarcire i danni subiti dalla controparte.Tuttavia, anche l’altra parte ha il dovere di agire con diligenza per individuare eventuali vizi contrattuali.

Il valore giuridico delle trattative

Le trattative, pur non essendo elementi costitutivi del contratto, rivestono un ruolo giuridico rilevante. Esse preparano il contratto futuro, ma non obbligano le parti a concluderlo. Un comportamento negligente o doloso che violi la fiducia della controparte può generare una responsabilità a tutela l’interesse delle parti a non subire danni derivanti da aspettative ragionevolmente create. Trattasi di una responsabilità però che non tutela solo l’interesse economico, ma anche la fiducia reciproca necessaria per una collaborazione produttiva.

Responsabilità precontrattuale: ultime della Cassazione

Gli articolo 1337 e 1338 c.c contengono principi dal contenuto ampio e come tali in continua evoluzione. La Cassazione riveste un ruolo fondamentale nell’aggiornamento dei concetti di lealtà, buona fede e correttezza nell’ambito delle trattative precontrattuali e nel definire l’ambito applicato o di queste norme. Vediamo quindi quali sono le ultime pronunce degli Ermellini sulla responsabilità precontrattuale civile.

Cassazione n. 28767/2204

“Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che:

  • tra le parti siano in corso trattative;
  • che queste siano giunte ad uno stadio idoneo a ingenerare nella parte che invoca l’altrui; il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto;
  • esse siano state interrotte, senza giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità;
  • pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.”

Cassazione n. 27102/2024

“In materia di responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall’articolo 1337 cod. civ., la tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede correttezza postulati dalla norma di qua.”

Cassazione n. 19022/2023

“La responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e art. 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste Erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse; e se altresì affermato che il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale consiste “nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate… Sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte“.

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cassa integrazione guadagni

Cassa Integrazione Guadagni Cassa Integrazione guadagni: cos'è, come funziona e quale impatto ha avuto sull'istituto decreto legislativo n. 148/2015

Cassa Integrazione Guadagni: come funziona

La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è uno strumento fondamentale per il sostegno dei lavoratori in Italia durante periodi di crisi aziendali o difficoltà economiche.

Consente di garantire una parte della retribuzione ai dipendenti, evitando licenziamenti di massa e favorendo la continuità lavorativa. Un aspetto fondamentale del sistema di CIG è la sua regolamentazione, che nel corso degli anni ha subito importanti modifiche.

Da segnalare quelle introdotte dal Decreto Legislativo 148/2015, che ha modernizzato il quadro normativo della Cassa Integrazione.

In questo articolo esploreremo cos’è la Cassa Integrazione, le principali tipologie, e come il Decreto 148/2015 abbia influenzato il sistema, introducendo importanti novità sia per le imprese che per i lavoratori.

Cos’è la CIG

La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è una misura di sostegno al reddito che interviene quando un’impresa, per motivi economici, temporaneamente non può garantire ai propri dipendenti il normale orario di lavoro. Grazie alla CIG, l’azienda ha la possibilità di sospendere o ridurre l’attività lavorativa, mentre i dipendenti ricevono una parte del loro stipendio grazie all’intervento dello Stato.

La Cassa Integrazione può essere richiesta in diversi casi, come ad esempio in seguito a una crisi aziendale, a situazioni di mercato difficili, o a eventi straordinari come calamità naturali o pandemie.

Tipologie di Cassa Integrazione

Esistono principalmente tre tipologie di Cassa Integrazione:

Cassa Integrazione Ordinaria (CIGO)

Si applica alle aziende non editi e a quelle industriali e artigiani dell’edilizia che affrontano una temporanea difficoltà economica o organizzativa. La CIGO è concessa per 13 settimane, fatte salve eventuali proroghe, che in certe zone possono elevare il limite a 24 mesi.

Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS)

È utilizzata da aziende in difficoltà più gravi, come quelle in ristrutturazione, riorganizzazione o in crisi aziendale. La CIGS è destinata a grandi imprese e a determinati settori, ed è regolamentata da norme più stringenti rispetto alla CIGO.

Cassa Integrazione in Deroga (CIGD)

È una misura di sostegno speciale che può essere attivata in situazioni straordinarie, come crisi aziendali che non rientrano nei criteri delle altre forme di CIG. Viene applicata anche in caso di difficoltà di piccole e medie imprese o in settori non coperti da altre misure.

Decreto Legislativo 148/2015: novità e conseguenze

Il Decreto Legislativo 148 del 14 settembre 2015 ha rappresentato una pietra miliare per la riforma degli ammortizzatori sociali in Italia, modificando e migliorando il sistema di Cassa Integrazione. Questo decreto ha avuto un impatto significativo su come la CIG viene concessa e gestita, introducendo una serie di innovazioni a favore sia delle imprese che dei lavoratori. Vediamo le principali modifiche.

  1. Razionalizzazione e unificazione ammortizzatori sociali

Prima del Decreto 148/2015, esistevano diverse forme di ammortizzatori sociali, ma con criteri e modalità di accesso differenti, a seconda delle dimensioni dell’impresa e delle specifiche situazioni. Il decreto ha introdotto una razionalizzazione del sistema, cercando di semplificare le procedure e di rendere più uniforme l’accesso agli ammortizzatori.

Il decreto ha, infatti, unificato il trattamento di integrazione salariale per tutte le tipologie di CIG, anche per le imprese di piccole dimensioni. Ha creato maggiore uniformità e maggiore accessibilità alla Cassa Integrazione, estendendo la possibilità di utilizzare gli ammortizzatori sociali anche alle aziende più piccole, che prima avevano difficoltà a beneficiare di questi strumenti.

  1. Durata e utilizzo della CIG

Il Decreto ha anche modificato la durata del trattamento di CIG, introducendo una maggiore flessibilità. In particolare, ha previsto che le agevolazioni per la CIGO vengano concesse solo per periodi determinati (a seconda della gravità della crisi aziendale). Questo permette di ridurre il rischio di abuso di questo strumento da parte delle imprese, incentivando l’adozione di soluzioni più durature e strutturali per uscire dalla crisi.

Inoltre, il decreto ha limitato l’utilizzo della CIG in deroga, che viene concessa solo per situazioni eccezionali. L’idea è quella di incentivare il ricorso a forme ordinarie di integrazione salariale, garantendo al contempo maggiore equità tra le aziende di diverse dimensioni e settori.

  1. Maggiore controllo e trasparenza

Una delle innovazioni più importanti introdotte dal Decreto 148/2015 è l’aumento dei controlli sulle modalità di accesso agli ammortizzatori sociali. Le aziende sono tenute a fornire una documentazione dettagliata riguardo le motivazioni che giustificano il ricorso alla CIG. In questo modo, il governo intende prevenire eventuali abusi e garantire che le risorse vengano utilizzate esclusivamente per aiutare le imprese in difficoltà reali.

  1. Sostegno a settori strategici e a imprese

Il Decreto ha esteso anche l’ambito di applicazione della CIGS per le imprese in crisi e per quelle che devono affrontare ristrutturazioni aziendali. Inoltre, ha previsto misure di sostegno specifico per i settori in difficoltà, come il settore industriale e quello agricolo, attraverso una maggiore personalizzazione delle forme di ammortizzatore sociale.

Come richiedere la Cassa Integrazione Guadagni

La procedura per richiedere la Cassa Integrazione varia a seconda della tipologia, ma in generale le imprese devono inviare una richiesta formale all’INPS, accompagnata dalla documentazione che giustifica la necessità di ricorrere alla CIG. L’INPS, a sua volta, valuta la richiesta e decide se concedere l’ammortizzatore. La durata e l’importo del trattamento dipendono dalle specifiche condizioni aziendali e dalla tipologia di CIG richiesta.

 

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festival di sanremo

Festival di Sanremo: addio alla Rai? Festival di Sanremo: dal 2026 gara pubblica, l’affidamento alla RAI è illegittimo, non rispetta le norme sui contratti pubblici

Festival di Sanremo: affidamento illegittimo alla RAI

Illegittimo l’affidamento diretto del Festival di Sanremo alla RAI da parte del Comune di Sanremo.  Dal 2026, l’organizzazione del Festival dovrà passare attraverso una gara pubblica. La decisione, contenuta nella sentenza del TAR Liguria n. 843/2024, nasce dal ricorso presentato dai discografici italiani, rappresentati dal presidente dell’Associazione Fonografici Italiani.

Festival della canzone italiana: concessione marchio

Nel 2023, il presidente dell’Associazione Fonografici Italiani la sua etichetta discografica  contestano la concessione diretta del Marchio “Festival della Canzone Italiana” alla RAI, senza una procedura di evidenza pubblica.

La convenzione, infatti, garantiva alla RAI l’uso esclusivo del marchio e l’organizzazione delle edizioni 2024 e 2025. Il Comune avrebbe dovuto invece rispettare le norme europee e nazionali sui contratti pubblici, aprendo il bando a operatori del settore.

Festival di Sanremo:  la convenzione tra Comune e RAI

La convenzione per il Festival di Sanremo prevede che la RAI organizzi l’evento a sue spese, presentando un progetto-programma al Comune per l’approvazione. In cambio, ottiene i diritti di sfruttamento economico del marchio e del Festival. Il Comune fornisce supporto logistico e floreale e riceve un corrispettivo, oltre a una percentuale sui ricavi generati dalla RAI.

Il TAR ha evidenziato che questa convenzione è un “contratto attivo”, poiché la RAI trae un’opportunità di guadagno. Pertanto, la concessione dovrebbe seguire i principi di trasparenza, concorrenza e imparzialità, previsti dalla normativa vigente.

Marchio e format: entità distinte

Un punto centrale della sentenza riguarda la distinzione tra il marchio e il format. Il TAR ha stabilito che il marchio “Festival della Canzone Italiana” non è inscindibilmente legato al format ideato dalla RAI. Dal 1951 al 1991, infatti, il Comune ha gestito il Festival autonomamente. La RAI si è infatti limitata trasmettere la manifestazione canora in televisione.

Negli ultimi anni poi, il format del Festival è stato modificato più volte, dimostrando l’assenza di un legame indissolubile tra marchio e organizzazione. Nel 2021, ad esempio, il Festival si è svolto senza pubblico per via della pandemia e in altre edizioni sono stati introdotti cambiamenti significativi nelle modalità di gara e conduzione.

Le difese della RAI e del Comune di Sanremo

La RAI ha sostenuto di essere titolare esclusiva del diritto d’autore sul format e di aver investito interamente nella sua creazione. Il TAR però ha respinto questa tesi, affermando che il contratto con il Comune riguarda lo sfruttamento del marchio, non del format.

Il Comune, dal canto suo, ha difeso la convenzione come immodificabile, sottolineando la necessità di un legame tra organizzazione e trasmissione televisiva. Questa posizione non ha convinto i giudici, che hanno ritenuto possibile separare i due ruoli, come avveniva prima del 1991.

Festival di Sanremo: negata la qualifica di bene culturale

Il Tar ha escluso che il Festival, il marchio o il format possano essere qualificati come beni culturali ai sensi del Codice dei beni culturali. Si tratta di diritti immateriali e di una manifestazione circoscritta nel tempo e nello spazio, non assimilabile a espressioni di identità culturale collettiva.

Conseguenze sul Festival di Sanremo

Le edizioni 2024 e 2025 rimangono salve, poiché l’organizzazione è già in fase avanzata. Tuttavia, dal 2026, il Comune dovrà aprire una gara pubblica per assegnare la gestione del Festival. La RAI, quindi, potrebbe non essere più l’organizzatrice principale dell’evento. La sentenza segna un cambiamento epocale per il Festival di Sanremo. Dal 2026, nuovi operatori potranno concorrere per gestire l’evento, garantendo maggiore trasparenza e concorrenza. La competizione potrebbe portare a innovazioni significative nel panorama musicale e mediatico italiano.

 

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giurista risponde

Procedure di gara: il termine per ricorrere Quali i termini per ricorrere nelle procedure di gara?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nell’ambito delle procedure di gara, ai fine dell’esperibilità del ricorso, trova applicazione il termine decadenziale dei trenta giorni, laddove la comunicazione degli esiti di gara abbia esaustivamente soddisfatto l’interesse sostanziale conoscitivo; nel caso contrario trova applicazione il termine di quarantacinque giorni (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 25 settembre 2024, n. 1721).

Preliminarmente, è opportuno ricordare che l’art. 120 del codice del processo amministrativo prevede che il termine decorre, per il ricorso principale ed i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 90 del D.Lgs. 36/2023 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, ai sensi dell’art. 36 del medesimo codice dei contratti pubblici.

Dunque, la decorrenza del termine per ricorrere differisce che si tratti di ricezione della comunicazione ex art. 90 oppure della messa a disposizione degli atti ex art. 36, mediante la procedura dell’accesso.

A tal proposito soccorrono le regole cardine della pienezza conoscitiva strumentali all’inviolabilità del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato.

Pertanto, nell’ambito delle controversie ex art. 120 c.p.a., laddove la comunicazione degli esiti di gara (ex art. 90) abbia esaustivamente soddisfatto l’interesse sostanziale conoscitivo e non sia necessario attendere la messa a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, trova applicazione il tradizionale termine decadenziale dei trenta giorni ai fini dell’esperibilità del ricorso avverso gli atti di gara. Nel caso contrario in cui la conoscenza di atti ulteriori e diversi assurga a condizione ineludibile per poter acquisire una pienezza conoscitiva, rintracciabile mediante l’istituto dell’accesso formale, allora opera la logica della dilazione temporale con un’estensione fino ai quarantacinque giorni.

 

(*Contributo in tema di “Procedure di gara: il termine per ricorrere”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

pitbull senza museruola

Pitbull senza museruola sul bus: è reato Interruzione di pubblico servizio quando il passeggero pretende di salire su un autobus con un pitbull senza guinzaglio e museruola

Interruzione di pubblico servizio

Pitbull senza museruola sul bus è reato di interruzione di pubblico servizio ex articolo 340 del Codice penale. La norma punisce chiunque cagioni un’interruzione o un turbamento del regolare svolgimento di un servizio pubblico o di pubblica necessità. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 45289/2024 ha chiarito che chi pretende di salire su un autobus con un cane senza guinzaglio e museruola anche in presenza del volere contrario e legittimo del conducente dellautobus, commette questo reato.

Autobus fermo per un cane senza museruola

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un utente che ha preteso di salire su un autobus con un pit bull di grossa taglia senza museruola e senza guinzaglio. Il conducente, conformemente al regolamento del trasporto pubblico, ha impedito l’accesso all’animale. Ne è scaturita una lunga discussione, che ha ritardato la partenza dellautobus di circa quarantacinque minuti. Il padrone del cane, peraltro, ha mantenuto un atteggiamento intimidatorio nei confronti dell’autista e degli altri passeggeri. La Corte di Cassazione per queste ragioni ha confermato la condanna per interruzione di pubblico servizio, rigettando ogni pretesa difensiva. Il ricorrente aveva lamentato l’assenza di un regolamento esposto all’interno del mezzo e invocato l’attenuante della provocazione. Questi argomenti però sono stati respinti.

Obbligo di rispettare il regolamento di viaggio

Il conducente di un autobus ha il dovere di far rispettare il regolamento di viaggio. Questo include prescrizioni specifiche sull’accesso con animali domestici, come l’uso obbligatorio del guinzaglio e della museruola per i cani di grossa taglia o considerati potenzialmente pericolosi. Il regolamento ha una base giuridica solida e tutela la sicurezza di tutti i passeggeri. In questa vicenda, il conducente ha agito quindi nel rispetto dei propri obblighi e non ha assunto una condotta provocatoria. La Cassazione ha chiarito infatti che non si può configurare l’attenuante della provocazione quando il soggetto “provocatore” esercita un dovere istituzionale con equilibrio e senza intenti vessatori.

Esclusa l’attenuante della provocazione

La difesa aveva invocato l’attenuante della provocazione, sostenendo che il comportamento del conducente avesse scatenato la reazione dell’imputato. La Suprema Corte però ha respinto questa tesi, ricordando i criteri applicativi dell’attenuante. Secondo l’articolo 62 del Codice penale, essa sussiste infatti solo se il comportamento del provocatore è oggettivamente ingiusto e compiuto con intenti di dispetto o di faziosità. Nel caso concreto, l’autista ha svolto solo il proprio dovere, facendo rispettare una norma regolamentare. Non si tratta, dunque, di un comportamento ingiusto, ma di un’azione lecita e doverosa.

Irrilevanza dell’errore sulle attenuanti

Un ulteriore punto sollevato dalla difesa riguardava la mancata esposizione del regolamento sul mezzo pubblico. L’imputato riteneva di essere stato tratto in errore e che l’assenza della regola visibile giustificasse la sua reazione. La Cassazione ha ribadito l’irrilevanza di questo errore ai fini delle attenuanti. Ai sensi dell’articolo 59, comma 3, del Codice penale, le circostanze attenuanti erroneamente supposte dall’autore non possono essere valutate a suo favore. Di conseguenza, anche l’ignoranza del regolamento non esime dalla responsabilità penale.

Cassazione sul reato di interruzione di pubblico servizio

Dalla decisione emerge in conclusione che il reato di interruzione di pubblico servizio si configura quando un soggetto impedisce o turba il normale svolgimento di un servizio pubblico, causando un ritardo significativo o una sospensione temporanea. Nel caso del pit bull senza museruola, la discussione prolungata e latteggiamento intimidatorio del padrone hanno impedito la ripartenza dell’autobus, causando un disagio ai passeggeri e al servizio stesso. Questa condotta integra quindi pienamente il reato previsto dall’articolo 340 del Codice penale.

divorzio breve

Divorzio breve: la guida Divorzio breve: la legge n. 55/2015 ha ridotto i tempi del divorzio riducendo il tempo   di attesa dalla separazione consensuale o giudiziale

Divorzio breve: la legge n. 55/2015

Il divorzio breve, introdotto in Italia dalla Legge n. 55 del 2015, ha segnato un’importante evoluzione nel diritto di famiglia italiano. Questa legge ha ridotto significativamente il tempo necessario per ottenere la dissoluzione legale del matrimonio, migliorando così l’efficienza del sistema giuridico e rispondendo alle esigenze di una società sempre più dinamica. In questo articolo, esploreremo l’istituto alla luce della Legge n. 55/2015, analizzando i suoi effetti pratici e le implicazioni per i coniugi coinvolti.

Cos’è il divorzio breve?

Il divorzio breve è un’innovazione legislativa che ha ridotto i tempi necessari per ottenere il divorzio in Italia, abbattendo i periodi del divorzio successivi alla separazione previsti dalla Legge n. 898 del 1970. Questa normativa stabiliva infatti che i coniugi dovessero essere separati per almeno tre anni prima di poter chiedere il divorzio. Con l’introduzione della Legge n. 55/2015, queste tempistiche sono state ridotte. Questo cambiamento ha rappresentato una semplificazione per molte coppie, rendendo più rapida la conclusione di un matrimonio che, per vari motivi, è giunto al capolinea. L’obiettivo della riforma è stato quello di alleggerire il carico di lavoro dei tribunali e rispondere alle necessità di una società in rapido cambiamento, in cui i legami coniugali si deteriorano più velocemente.

Legge n. 55/2015: modificati i tempi

La Legge n. 55/2015, approvata il 6 maggio 2015, ha modificato l’art. 3 della Legge n. 898 del 1970 (Legge sul Divorzio), che disciplinava i tempi del divorzio. Prima di tale riforma, come anticipato, i coniugi dovevano essere separati legalmente da almeno tre anni per poter ottenere il divorzio. Con l’introduzione del nuovo istituto, i tempi di separazione sono stati drasticamente ridotti, con l’intento di rendere più rapido e accessibile il processo di dissoluzione del matrimonio

La legge ha stabilito infatti che:

  • in presenza di una separazione consensuale, ossia quando i coniugi sono d’accordo sulla separazione e sugli effetti accessori (come l’affidamento dei figli e il mantenimento), il tempo di separazione necessario per chiedere il divorzio è ridotto a 12 mesi.
  • Nell’ipotesi invece di una separazione giudiziale, che viene avviata quando i coniugi non riescono a trovare un accordo e devono ricorrere al tribunale per risolvere le questioni relative alla separazione, il termine per chiedere il divorzio è ridotto a 6 mesi.  

Questa modifica ha reso il processo di divorzio più veloce ed efficiente, contribuendo a ridurre il tempo di attesa per chi desidera mettere fine a un matrimonio.

Come funziona il divorzio breve?

Lo scioglimento del matrimonio breve non cambia le modalità di separazione, ma agisce esclusivamente sui tempi in cui è possibile chiedere il divorzio. Vediamo come funziona nei due principali scenari

  1. La procedura di divorzio breve consensuale può essere avviata dopo 12 mesi dalla separazione consensuale. Il vantaggio principale è che, in questo caso, non è necessario il passaggio in tribunale, se non sono presenti figli minorenni o non ci sono altre problematiche legali da risolvere.
  2. Il divorzio breve giudiziale invece può essere avviato dopo che la separazione legale è stata dichiarata dal giudice. In questo caso i coniugi possono chiedere il divorzio dopo soli 6 mesi. Questo significa che, in caso di separazione giudiziale, i tempi per il divorzio sono molto più rapidi rispetto a quelli previsti prima della legge n. 55/2015.

Divorzio breve quali vantaggi

La Legge n. 55/2015 ha portato numerosi vantaggi, tanto per i coniugi quanto che per il sistema giuridico.

Maggiore rapidità

Il principale vantaggio è rappresentato dalla riduzione dei tempi. Le coppie che hanno già intrapreso un processo di separazione, ma che non sono ancora riuscite a ottenere il divorzio, possono finalmente porre fine al loro matrimonio con maggiore tempestività. Questo è particolarmente importante in un contesto in cui le persone cercano di risolvere rapidamente le difficoltà familiari per poter ricominciare una nuova vita.

Minore conflittualità

La possibilità di concludere rapidamente la procedura consente alle parti di evitare prolungamenti inutili e tensioni prolungate. I tempi più brevi incoraggiano infatti i soggetti coinvolti a trovare una soluzione pacifica.

Semplificazione delle procedure giudiziarie

La legge ha prodotto anche l’effetto di ridurre il carico di lavoro dei tribunali, perché la procedura è meno complessa. Con l’abbattimento dei tempi di separazione, il numero di casi pendenti in tribunale si è ridotto con conseguente alleggerimento del sistema giudiziario.

Maggiore tutela per i minori

Questo modo di procedere più rapido è senza dubbio positivo anche per i figli minorenni. La procedura accelerata riduce il periodo di conflitto e di incertezza familiare e i minori riescono ad adattarsi più velocemente alla nuova situazione.

Divorzio breve: svantaggi

Nonostante i numerosi vantaggi, l’istituto non è privo di criticità. Alcuni esperti ritengono che i tempi ridotti non permettono una riflessione adeguata sui danni emotivi della separazione per i coniugi e i figli minori. La rapidità della procedura potrebbe ridurre inoltre il tempo disponibile per una negoziazione accurata degli accordi, soprattutto per quanto riguarda la custodia dei figli e la divisione equa  dei beni.

 

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