Cos’è lo straining
Lo straining è una forma di disagio lavorativo che si verifica quando il dipendente è esposto a condotte ostili isolate, ma permanenti nei loro effetti, in grado di compromettere la sua serenità psicofisica e professionale. Pur non essendo regolato da una norma specifica, lo straining è riconosciuto e tutelato dalla giurisprudenza italiana, che lo assimila, sotto alcuni profili, al mobbing.
Il termine “straining” deriva dall’inglese to strain (tendere, mettere sotto pressione) e si riferisce a una situazione di stress occupazionale forzato determinata da un singolo evento ostile o da pochi episodi non reiterati, ma capaci di produrre conseguenze durature nel tempo.
Caratteristiche principali:
- azioni unilaterali del datore di lavoro o dei colleghi;
- assenza della reiterazione tipica del mobbing;
- esposizione del lavoratore a una condizione lavorativa deteriorata in modo continuativo;
- impotenza relazionale e isolamento.
Esempi comuni di straining:
- trasferimento immotivato o punitivo;
- esclusione da riunioni o comunicazioni aziendali;
- dequalificazione improvvisa e ingiustificata;
- modifica unilaterale delle mansioni in senso peggiorativo.
Differenze tra straining e mobbing
Caratteristica | Mobbing | Straining |
Frequenza delle condotte | Reiterate e sistematiche | Isolate ma con effetti duraturi |
Durata | Prolungata nel tempo | Può essere anche un singolo episodio |
Obiettivo persecutorio | Esplicito e intenzionale | Anche non intenzionale |
Gravità delle conseguenze | Spesso maggiore | Reale ma meno intensa |
Cosa dice la Cassazione
Cassazione n. 123/2025: Anche in assenza di “mobbing” vero e proprio (cioè senza un intento persecutorio unitario), il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile per danni alla salute del dipendente ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile. Questa responsabilità scatta quando il datore di lavoro, anche per negligenza, permette il persistere di un ambiente di lavoro stressante che danneggia la salute dei lavoratori. Inoltre, il datore è responsabile se adotta comportamenti che, pur non essendo di per sé illegittimi, possono causare disagio o stress e che, isolatamente o insieme ad altre inadempienze, peggiorano gli effetti dannosi per la salute e la personalità del lavoratore. La Cassazione (sentenze citate) sottolinea che un ambiente di lavoro stressogeno è considerato un fatto ingiusto che può portare a riesaminare anche condotte datoriali apparentemente lecite o isolate, poiché la tutela della salute del lavoratore è un diritto fondamentale garantito da una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2087 c.c.
Cassazione n. 15957/2024: Il mobbing lavorativo si configura quando si verificano ripetuti comportamenti dannosi all’interno del contesto lavorativo, accompagnati dall’intenzione di perseguitare la vittima, indipendentemente dalla legalità dei singoli atti. Lo straining, invece, si verifica quando un singolo comportamento stressogeno viene attuato consapevolmente nei confronti del dipendente, anche in assenza di una pluralità di azioni vessatorie continuative, mirando a indurre una condizione di stress forzato e prolungato nell’ambiente di lavoro. In sostanza, il mobbing si basa sulla ripetizione di atti persecutori, mentre lo straining si concentra sull’impatto stressante di un singolo atto consapevole.
Cassazione 29101/2023: o “straining” è considerato una forma di mobbing “attenuata” perché non presenta la ripetitività tipica delle azioni vessatorie. Tuttavia, costituisce comunque un’imposizione di stress da parte del superiore attraverso atti ostili mirati a discriminare il lavoratore. L’aspetto fondamentale è che, indipendentemente dall’etichetta (“mobbing” o “straining”), ciò che rileva è che il singolo atto ostile sia di per sé illecito e causi una lesione all’integrità psicofisica e personale del lavoratore.
Cosa dice la legge
Non esiste una disciplina legislativa specifica sullo straining. Tuttavia, il fenomeno trova tutela nei seguenti strumenti normativi:
- Art. 2087 c.c.: obbligo del datore di lavoro di garantire l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;
- Art. 2043 c.c.: risarcimento del danno ingiusto;
- Art. 32 Cost.: tutela della salute come diritto fondamentale;
- Testo Unico Sicurezza (d.lgs. 81/2008): obbligo di valutazione e prevenzione dei rischi psicosociali;
- Codice Civile e normativa antidiscriminatoria, se lo straining è legato a genere, età, orientamento sessuale, disabilità o appartenenza sindacale.
La giurisprudenza considera quindi il comportamento illecito e lesivo, anche se isolato, rilevante per fondare una richiesta di tutela e risarcimento.
Quando lo straining può costituire reato
Sebbene lo straining, come il mobbing, non configuri un reato autonomo, alcune condotte possono assumere rilevanza penale:
- lesioni personali (art. 582 c.p.), se ne deriva un danno psico-fisico accertato;
- atti persecutori (art. 612-bis c.p.), se si riscontra una condotta molesta o intimidatoria;
- abuso d’ufficio, nei confronti di lavoratori della pubblica amministrazione.
Risarcimento del danno da straining
Il lavoratore vittima di straining ha diritto a un risarcimento integrale del danno subito, purché provi:
- la condotta illecita posta in essere (anche isolata);
- il nesso causale con il danno psicofisico o professionale;
- l’entità del danno, anche tramite certificazione medica o relazioni psicologiche.
La giurisprudenza riconosce il danno da straining come:
- danno biologico (patologie psichiche o fisiche);
- danno morale (sofferenza soggettiva);
- danno esistenziale (limitazione della sfera personale e sociale);
- danno patrimoniale (perdita economica o dequalificazione).
Cassazione n. 33428/2022: l’ambiente di lavoro stressogeno costituisce un fatto ingiunto e illecito e come tale deve essere sempre preso in considerazione ai fini del risarcimento del danno del lavoratore, anche manca la reiterazione.
Tutele del lavoratore vittima di straining
Le azioni da intraprendere in caso di straining includono:
- raccolta accurata di documenti in grado di provare le condotte (email, provvedimenti, testimonianze);
- visita presso il medico competente aziendale o il medico di base;
- segnalazione all’Ispettorato del lavoro o al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS);
- assistenza legale da parte di un avvocato giuslavorista per agire in sede civile o penale;
- supporto da parte del sindacato o di associazioni specializzate nella tutela del benessere lavorativo.