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Violenza di genere e violazione del divieto di avvicinamento Violenza di genere: la Cassazione ritiene violato il divieto di avvicinamento anche se è la vittima a recarsi a casa dell'imputato

Violazione del divieto di avvicinamento

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4936/2025, ha fornito un’importante interpretazione in materia di violenza di genere e rispetto delle misure cautelari. In particolare, la pronuncia chiarisce che l’indagato, sottoposto al divieto di avvicinamento alla vittima, viola tale disposizione anche se è la stessa vittima a recarsi presso la sua abitazione. Secondo la Suprema Corte, l’uomo avrebbe dovuto lasciare la propria casa o allertare le forze dell’ordine per evitare la violazione della misura cautelare.

La vicenda

Il caso riguarda un uomo sottoposto al divieto di avvicinamento alla sua ex compagna che vedeva annullata dal tribunale di Firenze l’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 387-bis c.p. Nonostante la misura cautelare, infatti, la donna si era recata presso l’abitazione dell’indagato. Ma secondo i giudici non si poteva esigere dall’indagato la condotta di allontanamento dalla propria abitazione nè tantomeno era ravvisabile l’obbligo di allertare le forze dell’ordine.

il PM ricorreva innanzi al Palazzaccio sostenendo che sebbene l’uomo non avesse cercato l’incontro con la donna, aveva comunque violato la prescrizione impostagli nel permetterle di intrattenersi nella sua abitazione, omettendo di adottare comportamenti, scarsamente onerosi e quindi esigibili, come quello di richiedere l’intervento delle Forze del’Ordine.

La posizione della Cassazione

La Cassazione, dopo aver compiuto un lungo excursus sul quadro normativo in materia, ha dato ragione al pubblico ministero.

Nel caso specifico, se non era esigibile la condotta di lasciare la propria abitazione, era, nondimeno, esigibile lo ius excludendi, affermano i giudici: l’uomo ha consentito alla ex di entrare nella sua abitazione ospitandola per l’intera giornata o addirittura verosimilmente per alcuni giorni. Per cui, il ricorrente, “ha – scientemente e volutamente – stabilito un contatto diretto e ravvicinato con al giovane donna, cooperando nella violazione ab initio effettivamente riferibile alla persona offesa e approfittando della situazione venutasi a creare”.
In un contesto caratterizzato da una relazione personale nettamente
“squilibrata”, anche per lo stato di conclamata vulnerabilità della donna, scrivono da piazza Cavour, “la preoccupazione principale deve essere quella di garantire la incolumità anche contro la volontà della stessa persona offesa: la volontà della vittima non può, dunque, avere efficacia scriminante e/o esimente nè portata liberatoria dagli obblighi, «…occorrendo sempre effettuare una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti in un’ottica di prioritaria sicurezza della vittima » (cfr. Sez. 6, n.46797 del 18/10/2023)”. Per cui, essendo grave il quadro indiziario sotto il profilo della dolosa violazione del contenuto precettivo della misura cautelare, la S.C. annulla l’ordinanza passando la parola al giudice del rinvio.

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