contributo unificato

Contributo unificato errato? Scatta la compensazione delle spese La Cassazione chiarisce che un errore nella determinazione del contributo unificato da parte dell'avvocato può giustificare la compensazione delle spese processuali

Contributo unificato errato e spese processuali

Un errore nella determinazione del contributo unificato può giustificare la compensazione integrale delle spese processuali. A stabilirlo è la Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 13145/2025, depositata il 20 maggio 2025.

La vicenda processuale

Nel giudizio d’appello, la parte ricorrente aveva erroneamente indicato come valore della controversia la somma di € 1.200,71, ai fini del pagamento del contributo unificato. Secondo la ricorrente, tale importo non avrebbe dovuto influenzare il valore effettivo della domanda. Riteneva che la liquidazione delle spese fosse stata operata su un errato scaglione tariffario.

Tuttavia, la Corte aveva condannato la parte a rimborsare € 1.378, oltre accessori. La ricorrente chiedeva invece che fosse applicato lo scaglione inferiore (fino a € 1.100), con liquidazione delle spese pari a € 332 oltre CPA, IVA e accessori.

Il principio di diritto espresso dalla Cassazione

Secondo la S.C., la dichiarazione del difensore relativa al contributo unificato non incide sul valore della causa, trattandosi di un’informazione rivolta al funzionario di cancelleria. Però, qualora l’indicazione erronea del valore sia tale da indurre in errore il giudice nella liquidazione delle spese, può costituire una “grave ed eccezionale ragione” per disporre la compensazione delle spese processuali, ex art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.

La Corte ha inoltre ribadito che, ai fini della determinazione del valore della causa:

  • in primo grado, rileva la somma domandata o accordata;

  • in appello, conta solo la parte della pretesa ancora oggetto di contestazione o l’eventuale differenza accordata rispetto alla sentenza impugnata.

Nel caso concreto, la Cassazione ha accolto il ricorso in relazione al capo relativo alle spese del giudizio di appello, rideterminando i compensi per le quattro fasi indicate nel D.M. parametri forensi, oltre accessori.

Tuttavia, nonostante l’accoglimento parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimità sono state integralmente compensate. Secondo la Corte, non è equo che i costi dell’impugnazione, resa necessaria da un errore della parte, gravino sulla controparte che non ha nemmeno resistito all’impugnazione stessa.

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elezioni 2025

Dl elezioni: cosa prevede la nuova legge In vigore la nuova legge di conversione del Dl elezioni che introduce disposizioni urgenti per le elezioni 2025

Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il 18 maggio 2025, la nuova legge n. 72/2025, di conversione del Dl elezioni 2025, approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati l 13 marzo scorso.

Qui il testo coordinato del Dl Elezioni e della relativa legge di conversione

Dl elezioni: le novità della legge

Le norme introdotte prevedono, tra l’altro:

  • lo svolgimento delle votazioni in due giorni (domenica e lunedì), anziché in un solo giorno come previsto dalla disciplina vigente, per le elezioni amministrative e per le consultazioni referendarie del 2025. Gli orari da rispettare saranno i seguenti: per le votazioni della domenica dalle ore 7.00 alle ore 23.00; per le votazioni del lunedì dalle ore 7.00 alle ore 15.00;
  • le disposizioni applicabili in caso di svolgimento contestuale delle consultazioni elettorali e referendarie, l’ordine di scrutinio delle schede e le modalità di ripartizione delle relative spese;
  • limitatamente al 2025 per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei Comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, se è stata ammessa e votata una sola lista sono eletti i candidati della lista e quello candidato a titolo di sindaco collegato a condizione che la lista abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50% (numero di votanti non inferiore al 40% degli elettori iscritti nelle liste del comune). Il mancato raggiungimento di queste percentuali rende nulla l’elezione;
  • che i componenti dell’Ufficio elettorale potranno avere l’età limite di 70 anni;
  • la possibilità di partecipazione alle consultazioni referendarie dell’anno 2025 per tutti coloro che, per motivi di studio, lavoro o cure mediche, sono temporaneamente domiciliati in un comune di una provincia diversa da quella di residenza;
  • la soppressione della distinzione di genere delle liste elettorali, così come è soppressa la necessità di indicare il cognome del marito per le donne spostate o vedove;
  • il potenziamento delle prestazioni dei servizi erogati dal Sistema Informativo Elettorale (SIEL) del Ministero dell’interno;
  • la digitalizzazione dei sistemi elettorali e l’incremento della dotazione organica del Ministero dell’interno;
  • la sottoscrizione con firma elettronica qualificata delle liste di candidati da parte degli elettori impossibilitati ad apporre firma autografa.

Elezioni 25 e 26 maggio: decreto del Viminale

In seguito all’esame del decreto-legge, il Ministro dell’interno Matteo Piantedosi  con decreto del 24 marzo 2025, ha fissato la data di svolgimento delle elezioni amministrative nelle regioni a Statuto ordinario per domenica 25 e lunedì 26 maggio, con eventuali ballottaggi domenica 8 e lunedì 9 giugno.

I DPR del 31 marzo 2025 invece hanno indetto i comizi elettorali per i referendum nelle giornate di domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025.

categorie protette

Le categorie protette Categorie protette: cosa sono, normativa, requisiti, iscrizione al collocamento mirato, obblighi, tutele e vantaggi per le aziende

Cosa sono le categorie protette

Le categorie protette rappresentano una specifica fascia della popolazione tutelata dalla legge per favorirne l’inserimento e l’integrazione nel mondo del lavoro. Il riferimento normativo principale è la legge n. 68 del 12 marzo 1999, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, che disciplina le modalità di assunzione, gli obblighi per le aziende e i criteri per l’iscrizione negli appositi elenchi.

Per categorie protette si intendono quei soggetti che, a causa di disabilità, condizioni sociali o personali particolari, incontrano ostacoli nell’accesso al mercato del lavoro. La legge prevede per loro misure agevolative e prioritarie nell’inserimento lavorativo, sia nel settore pubblico sia in quello privato.

Normativa di riferimento

La disciplina contenuta nella legge 68/1999, che ha sostituito la precedente legge n. 482/1968, ha introdotto il collocamento mirato, un sistema che tiene conto delle abilità residue della persona e delle caratteristiche del posto di lavoro. La legge è stata successivamente integrata da vari interventi normativi, tra cui il d.lgs. n. 151/2015 (Jobs Act), che ha semplificato le modalità di assunzione e rafforzato i controlli.

Chi rientra nelle categorie protette

Secondo l’art. 1 e l’art. 18 della legge 68/1999, fanno parte delle categorie protette:

Disabili (art. 1)

  • persone con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;
  • invalidi del lavoro con grado di invalidità superiore al 33% accertata dall’INAIL;
  • non vedenti o sordomuti;
  • invalidi di guerra, invalidi civili di guerra e invalidi per servizio.

Altri soggetti tutelati (art. 18)

  • Orfani e coniugi superstiti di deceduti per causa di guerra, servizio o lavoro;
  • Profughi italiani rimpatriati;

Requisiti iscrizione liste categorie protette

Per poter accedere ai benefici previsti dalla legge, è necessario:

  • essere in età lavorativa (indicativamente tra i 15 e i 67 anni);
  • avere stato di disoccupazione al momento dell’iscrizione (anche per chi ha un reddito inferiore al limite previsto per legge);
  • essere in possesso del certificato di invalidità o della documentazione rilasciata da INAIL, Ministero della Difesa, o altro ente competente;
  • presentare la domanda presso il Centro per l’impiego territorialmente competente.

Come iscriversi al collocamento mirato

L’iscrizione avviene tramite i Centri per l’impiego, dove il soggetto interessato presenta:

  • il proprio documento d’identità;
  • il certificato di invalidità riconosciuta;
  • il certificazione di disoccupazione (DID);
  • il modulo di iscrizione alle liste del collocamento mirato.

Dopo la valutazione dei requisiti, l’utente viene inserito in apposite graduatorie provinciali, distinte per tipo di invalidità e per qualifica professionale. In alcune regioni è attivo un servizio online tramite il portale del lavoro regionale.

Obblighi per le aziende

Le imprese, in base alla dimensione della forza lavoro, sono tenute ad assumere lavoratori appartenenti alle categorie protette:

  • 1 lavoratore se l’azienda ha da 15 a 35 dipendenti;
  • 2 lavoratori se l’azienda ha da 36 a 50 dipendenti;
  • 7% della forza lavoro per le aziende con oltre 50 dipendenti.

Le aziende possono adempiere a tale obbligo tramite:

  • assunzione diretta;
  • convenzioni con il Centro per l’impiego;
  • richiesta nominativa o numerica;
  • convenzioni di tirocinio o formazione.

Quali tutele per i lavoratori delle categorie protette

Una volta assunti, i lavoratori delle categorie protette godono di specifiche tutele:

  • divieto di licenziamento discriminatorio;
  • valutazione delle capacità residue nella mansione assegnata;
  • eventuali adattamenti del posto di lavoro;
  • accesso a percorsi personalizzati di formazione e riqualificazione.

Vantaggi per le aziende

Le imprese che assumono lavoratori appartenenti alle categorie protette possono beneficiare di:

  • incentivi economici (contributi a fondo perduto o sgravi contributivi);
  • accesso a convenzioni personalizzate;
  • supporto da parte dei Servizi per l’impiego e dei referenti regionali del collocamento mirato.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati ai disabili

gatti in condominio

Gatti in condominio: sì ai danni per le intrusioni dai vicini Scatta il risarcimento del danno per i danni da intrusioni ripetute dei gatti in condominio

Gatti in condominio: responsabilità oggettiva

Gatti in condominio: la presenza incontrollata di animali domestici all’interno di proprietà altrui può costituire fonte di responsabilità civile oggettiva, con diritto al risarcimento del danno e all’applicazione di misure coercitive per garantire la tutela effettiva dei diritti del vicino. Lo ha affermato il Giudice di Pace di Pescara con la sentenza n. 332 del 12 aprile 2025, in un caso relativo all’intrusione reiterata di gatti in ambito condominiale.

Il caso: gatti su terrazzi altrui

Il contenzioso è nato a seguito dell’ingresso abituale di tre gatti nei terrazzi di un’abitazione attigua, con deterioramento di piante, imbrattamento delle superfici e esalazioni maleodoranti. Particolarmente rilevante è risultata la condizione medica di una delle ricorrenti, affetta da grave allergia ai felini, peggiorata dall’assenza di ogni misura preventiva da parte della proprietaria degli animali.

In giudizio, le ricorrenti hanno domandato il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, nonché l’adozione di misure idonee a impedire l’accesso dei felini, con applicazione di una penale giornaliera in caso di inadempimento, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. La convenuta non si è costituita, venendo dichiarata contumace.

Responsabilità oggettiva ex art. 2052 c.c.

Il giudice ha fondato la propria decisione sull’art. 2052 del Codice civile, che prevede la responsabilità oggettiva del proprietario per i danni causati da animali, indipendentemente dalla colpa. Come affermato anche dalla Corte di Cassazione (sent. n. 10402/2016), spetta al danneggiato provare il nesso tra il comportamento dell’animale e il danno, mentre il proprietario può esimersi da responsabilità solo se dimostra il caso fortuito.

Nel caso di specie, l’inerzia della proprietaria e la mancata adozione di cautele hanno rafforzato il riconoscimento della responsabilità. La decisione contribuisce a delineare un orientamento giurisprudenziale sempre più rigoroso sul dovere di controllo degli animali d’affezione in ambito condominiale.

Il danno risarcibile

Il giudice ha riconosciuto sia il danno patrimoniale (per il deterioramento del verde e la perdita dell’uso pieno del terrazzo), sia il danno non patrimoniale, derivante dall’impatto sulla salute psicofisica della ricorrente allergica. Il riferimento all’art. 32 della Costituzione, che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo, ha rafforzato la legittimità della richiesta risarcitoria anche in assenza di reato, coerentemente con l’indirizzo della Cassazione (sent. n. 15742/2018).

La quantificazione del danno è avvenuta in via equitativa, considerando la frequenza degli episodi, la durata del disagio e la gravità delle conseguenze sanitarie.

Misure coercitive

Accogliendo la richiesta ex art. 614-bis c.p.c., il giudice ha imposto alla convenuta l’installazione di barriere o reti atte a impedire ulteriori intrusioni. In caso di inadempienza, è stata prevista una penale giornaliera fino all’adempimento.

Questa misura rappresenta un importante strumento per garantire l’efficacia della sentenza, evitando che la tutela riconosciuta resti astratta e inattuata. Si tratta di un’applicazione concreta del principio di effettività della tutela giurisdizionale, estesa anche a dinamiche della vita quotidiana condominiale, spesso sottovalutate ma giuridicamente rilevanti.

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misure cautelari personali

Misure cautelari personali Misure cautelari personali: definizione, principio di proporzionalità, normativa, presupposti, tipologie, normativa e giurisprudenza

Cosa sono le misure cautelari personali?

Le misure cautelari personali rappresentano strumenti giuridici che limitano temporaneamente la libertà personale di un soggetto nel corso di un procedimento penale. Vengono applicate per prevenire la fuga dell’imputato, la reiterazione del reato o l’inquinamento delle prove.

Le misure cautelari personali sono provvedimenti restrittivi imposti dal giudice prima della sentenza definitiva per garantire il buon andamento del processo.

Il principio di proporzionalità

Tra i principali criteri di scelta delle misure cautelari da applicare il giudice deve tenere conto del principio di proporzionalità della misura rispetto al reato contestato (art. 275 app).

Normativa di riferimento

Sono disciplinate dal Titolo I del Libro IV del Codice di Procedura Penale (articoli 272-315 app).

Queste le norme di maggiore rilievo:

  • art. 272 CPP: Principio di eccezionalità delle misure cautelari;
  • art. 273 CPP: Necessità di gravi indizi di colpevolezza;
  • art. 274 CPP: Esigenze cautelari;
  • art. 275 CPP: Principio di proporzionalità;
  • art. 280 CPP: Condizioni di applicabilità delle misure;
  • art. 292 CPP: Contenuto dell’ordinanza cautelare;
  • art. 309-311 CPP: Procedura di impugnazione delle misure cautelari.

Presupposti adozione misure cautelari personali

L’adozione di una misura cautelare personale richiede la presenza di determinati presupposti fondamentali:

1. gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p);

2. esigenze cautelari (art. 274 c.p.p), che possono riguardare:

  • il pericolo di fuga;
  • la possibile reiterazione del reato;
  • l’inquinamento delle prove.

3. utilità della misura. 

Tipologie di misure cautelari personali

Le misure cautelari personali si distinguono in misure coercitive e misure interdittive.

Misure Coercitive

Le misure coercitive incidono direttamente sulla libertà personale dell’imputato.

  • Custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p): è la misura più grave, applicata per reati particolarmente gravi (es. omicidio, mafia, terrorismo). Il giudice deve motivare la necessità di applicarla.
  • La custodia cautelare può avvenire anche in un istituto a custodia attenuata per le detenute madri (art. 285 bis c.p.p) e in un luogo di cura (art. 286 c.p.p).
  • Arresti domiciliari (art. 284 c.p.p): l’imputato è obbligato a rimanere presso la propria abitazione o altro luogo designato. Può essere concesso solo se sufficiente a tutelare le esigenze cautelari.
  • Obbligo di dimora (art. 283 c.p.p): impone all’indagato di risiedere in un determinato Comune senza allontanarsi.
  • Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p): viene adottato nei casi di reati contro la persona, come violenza domestica o stalking.
  • Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p): l’imputato deve presentarsi periodicamente presso un comando di polizia.
  • Divieto di espatrio (art. 281 c.p.p): l’imputato non può uscire dal territorio nazionale senza preventiva autorizzazione del giudice procedente.

Misure interdittive

Le misure interdittive non limitano direttamente la libertà personale, ma incidono sull’attività professionale o sociale dell’imputato.

  • Sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 288 c.p.p)
  • Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 288 c.p.p);
  • Divieto temporaneo di contrattare con la Pubblica Amministrazione (art. 289 bis c.p.p)
  • Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p).

Durata delle misure cautelari

La durata della custodia cautelare è stabilita dall’art. 303 CPP e dipende dalla gravità del reato e dalla fase processuale:

  • Massimo 2 anni per reati puniti con pena massima non superiore a 6 anni;
  • Massimo 4 anni per reati puniti con pena non superiore nel massimo a 20 anni, salvo eccezioni;
  • Massimo 6 anni per reati con pena superiore a 20 anni o puniti con la pena dell’ergastolo.

Per quanto riguarda invece la durata delle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare l’art. 308 c.p.p stabilisce che “perdono efficacia quando dall’inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’articolo 303.”

Le misure interdittive invece non possono durare più di 12 mesi, anche se possono essere rinnovate.

Per particolari delitti queste perdono efficacia con il decorso di sei mesi dalla loro esecuzione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha spesso ribadito i criteri di applicazione delle misure cautelari:

Cassazione n. 8379/2025: a seguito della sentenza n. 173 del 2024 della Corte costituzionale, è stato dichiarato illegittimo l’automatismo con cui il giudice, dopo aver disposto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa con le modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis del codice di procedura penale, applichi una misura più restrittiva qualora si accerti l’impossibilità tecnica di tali controlli. La Corte ha stabilito che il giudice, in tale circostanza, deve invece riesaminare il caso specifico e decidere se aggravare o attenuare la misura originaria, sempre nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Cassazione n. 30996/2023: la vicenda cautelare richiede una valutazione continua e unitaria dei presupposti che la giustificano, il che significa che le condizioni richieste per l’applicazione di una specifica misura devono persistere non solo al momento iniziale, ma durante tutta la sua esecuzione. I principi di adeguatezza e proporzionalità devono quindi accompagnare quella particolare misura restrittiva non solo quando viene disposta, ma per tutta la sua durata nel processo. Se così non fosse, si verificherebbe una limitazione della libertà personale sproporzionata rispetto alla sua funzione, compromettendo il quadro costituzionale di riferimento.

 

Leggi anche: Le misure interdittive

project finance

Project Finance Project finance nel Codice dei contratti pubblici: cos'è, come funziona, soggetti coinvolti, normativa e rischi

Project finance: definizione

Il project finance, o finanza di progetto, è uno strumento di partenariato pubblico-privato attraverso il quale un soggetto privato realizza, finanzia e gestisce opere pubbliche o di pubblica utilità a fronte del diritto di sfruttarne economicamente la gestione. Questo istituto è regolato nel nostro ordinamento dal Codice dei contratti pubblici, ed è pensato per facilitare la realizzazione di infrastrutture complesse senza gravare interamente sul bilancio dello Stato.

Finalità del project finance

Trattasi di uno strumento strategico per la realizzazione di opere pubbliche, in un’ottica di efficienza gestionale e sostenibilità finanziaria, in grado di attrarre risorse private in settori di pubblico interesse. Tuttavia, è necessaria una accurata valutazione dei rischi, un’adeguata struttura contrattuale e il rigoroso rispetto della procedura ad evidenza pubblica prevista dal Codice dei contratti pubblici.

Questo istituto consente la realizzazione e la gestione di opere pubbliche o servizi mediante l’investimento diretto di capitali privati, con la previsione di un ritorno economico derivante dalla gestione dell’opera stessa, secondo un piano economico-finanziario definito ex ante.

Nel linguaggio giuridico italiano si parla anche di finanza di progetto, e viene utilizzata in particolare per opere quali:

  • impianti sportivi;
  • parcheggi;
  • ospedali;
  • infrastrutture stradali;
  • reti energetiche.

La normativa di riferimento

La disciplina di questo istituto è contenuta principalmente nel Codice dei contratti pubblici, ossia:

  • Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, entrato in vigore il 1° luglio 2023: in particolare, gli articoli da 193 a 203 del Codice riguardano il partenariato pubblico-privato, con focus sul project finance;
  • Ulteriori riferimenti si trovano anche nelle linee guida ANAC e nella giurisprudenza amministrativa.

Come funziona il project finance: le fasi

Il project finance si articola in diverse fasi operative, ben disciplinate dalla normativa:

  1. Iniziativa: può essere promossa sia dalla pubblica amministrazione (project finance “pubblico”) sia da un promotore privato (project finance “privato”);
  2. Proposta progettuale: il promotore privato presenta alla PA una proposta contenente studio di fattibilità, il piano economico-finanziario e lo schema di concessione;
  3. Valutazione: l’amministrazione valuta la fattibilità, la convenienza economica e l’interesse pubblico dell’iniziativa;
  4. Procedura ad evidenza pubblica: se la proposta è accolta, la PA indice una gara per l’affidamento della concessione, nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza;
  5. Affidamento e concessione: il promotore gode di un diritto di prelazione. Se un altro soggetto si aggiudica la gara, il promotore può subentrare a pari condizioni;
  6. Progettazione esecutiva, costruzione e gestione: l’aggiudicatario si assume i rischi e i costi della realizzazione e della gestione dell’opera, recuperando l’investimento tramite tariffe, canoni o corrispettivi previsti dal contratto di concessione.

Tipologie di project finance

Il Codice distingue principalmente pertanto due tipologie di finanza di progetto:

  • Project finance a iniziativa pubblica: è la PA a promuovere l’intervento, individuando il progetto e avviando la gara.
  • Project finance a iniziativa privata: è il soggetto privato a proporre il progetto alla PA, che può valutarlo e inserirlo nella programmazione triennale dei lavori.

Soggetti coinvolti

I principali soggetti che intervengono in un’operazione di project finance sono:

  • Ente concedente (Pubblica Amministrazione): promuove o riceve la proposta e affida il progetto;
  • Promotore privato: soggetto proponente o partecipante alla gara, spesso un consorzio o società di progetto (SPV);
  • Finanziatori (banche, fondi): erogano il capitale necessario alla realizzazione dell’opera;
  • Società veicolo (Special Purpose Vehicle – SPV): costituita ad hoc per la gestione dell’opera e la sua rendicontazione economica.

Il piano economico-finanziario (PEF)

Elemento centrale del project finance è il PEF, che contiene:

  • stima dettagliata dei costi e dei ricavi previsti,
  • proiezione dei flussi di cassa,
  • analisi del rischio e delle coperture assicurative,
  • sostenibilità economico-finanziaria del progetto.

Il PEF deve essere asseverato e costituisce la base per la valutazione della bancabilità del progetto.

I rischi del project finance

Il trasferimento dei rischi è uno degli elementi qualificanti di questo strumento. Il D.lgs. 36/2023 prevede che il concessionario privato si assuma i rischi operativi, tra cui:

  • il rischio di costruzione: costi imprevisti, ritardi, varianti tecniche;
  • il rischio di disponibilità: capacità dell’opera di fornire il servizio previsto;
  • il rischio di domanda: affluenza o utilizzo inferiore alle stime, che può compromettere la redditività;
  • il rischio finanziario: variazioni dei tassi, inflazione, costi di finanziamento.

violenza domestica

Violenza domestica: la Cassazione valorizza gli indizi La Cassazione chiarisce che anche un solo episodio di violenza domestica può giustificare la separazione con addebito. Fondamentali anche gli indizi e le testimonianze indirette

Violenza domestica e separazione

In ambito familiare, ai fini della ricostruzione dei fatti nei procedimenti giudiziari – in particolare nelle cause di separazione personale tra coniugi – il giudice non può limitarsi a considerare solo le prove dirette e palesi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10021/2025, affermando che la valutazione degli indizi è essenziale per accertare episodi di violenza domestica.

Un solo episodio può bastare per l’addebito

La vicenda trae origine da una causa di separazione in cui il Tribunale aveva addebitato la crisi coniugale al marito, ritenuto responsabile di atti di violenza contro la moglie. La Corte d’appello, tuttavia, aveva annullato tale addebito, non ravvisando prove sufficienti delle condotte contestate. Contro questa decisione la moglie ha proposto ricorso in Cassazione, che ha accolto la doglianza, cassando la sentenza impugnata e rinviando la questione a una diversa composizione della Corte territoriale.

La Suprema Corte ha ribadito un principio fermo nella sua giurisprudenza: anche un solo episodio accertato di percosse può giustificare la separazione con addebito, in quanto comportamento lesivo della dignità personale e tale da compromettere in modo irreversibile l’equilibrio della relazione coniugale.

Indizi strumenti fondamentali per accertare la verità

Nel confermare la centralità dell’approccio indiziario, la Cassazione evidenzia come, soprattutto nei procedimenti familiari, spesso legati a dinamiche intime e riservate, il giudice debba fondare il proprio convincimento anche su elementi indiretti. Tra questi:

  • le testimonianze de relato, provenienti dalla parte che denuncia i fatti;

  • le relazioni dei Servizi sociali, spesso fondamentali per rilevare situazioni di maltrattamento o disagio familiare.

La Corte sottolinea che queste fonti possono rappresentare indizi rilevanti, da valutare congiuntamente per ricostruire episodi di violenza fisica o psicologica difficilmente documentabili con prove dirette, come spesso accade nei contesti di abuso domestico.

Allegati

diritti di copia

Diritti di copia nel processo penale: i chiarimenti di via Arenula Nuove regole sui diritti di copia nel processo penale: 25 euro per supporti fisici e 8 euro per invii telematici. I chiarimenti della circolare del Ministero della Giustizia del 13 maggio 2025

Diritti di copia nel processo penale

Con la circolare diramata il 13 maggio 2025, pubblicata sul canale Filo Diretto, il Ministero della Giustizia ha fornito importanti chiarimenti in merito al nuovo regime dei diritti di copia nel processo penale, introdotto dalla legge di bilancio 2025 (L. n. 207/2024), che ha modificato le disposizioni del Testo Unico delle spese di giustizia.

Esclusione dell’esenzione prevista nel processo civile

Un primo punto chiarito riguarda l’inapplicabilità, nel rito penale, della disposizione introdotta dal nuovo comma 1-bis dell’art. 269 del T.U. spese di giustizia. Tale norma, che esonera dal pagamento dei diritti di copia le copie senza certificazione di conformità estratte direttamente dal fascicolo informatico, è infatti riferita esclusivamente al processo civile. Nel processo penale, anche il download degli atti digitali comporta un’attività della cancelleria, configurandosi dunque come trasmissione telematica e non come semplice estrazione.

Regime forfettario per copie informatiche nel penale

Con l’introduzione dell’articolo 269-bis del Dpr n. 115/2002, trova applicazione un criterio forfettario di calcolo dei diritti di copia per gli atti e documenti processuali nel settore penale, valido dal 1° gennaio 2025. Sono previste due modalità di rilascio:

  • Supporti fisici (USB, CD, DVD): il costo è pari a 25 euro per ciascun dispositivo utilizzato, indipendentemente dal numero di pagine o dal tipo di contenuto (video, audio, testi);

  • Trasmissione telematica (PEC, PEO, portale): il diritto di copia è fissato in misura forfettaria pari a 8 euro per ogni invio, senza considerare il numero di pagine trasmesse.

In caso di invii multipli – ad esempio per limiti alla dimensione dei file allegati – si applicherà l’importo di 8 euro per ciascuna trasmissione.

Applicabilità anche in assenza del fascicolo informatico

La circolare chiarisce che, anche in contesti in cui il fascicolo informatico non sia attivo (es. nei giudizi d’appello), continua a trovare applicazione il nuovo regime forfettario introdotto dall’art. 269-bis, in quanto riferito a qualunque richiesta di rilascio o trasmissione telematica di atti, indipendentemente dall’effettiva informatizzazione del fascicolo.

Riduzioni nei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace

Nel processo penale davanti al Giudice di Pace, i diritti sono ridotti del 50% come stabilito dall’art. 271 del Dpr n. 115/2002:

  • 12,50 euro per supporti fisici;

  • 4,00 euro per ogni trasmissione telematica.

Precisazioni operative

La circolare ministeriale precisa inoltre che:

  • La mera visione degli atti informatici non comporta il pagamento di diritti, che sono dovuti solo nel caso di formale richiesta di copia;

  • Non è ammessa la riproduzione autonoma dei documenti tramite dispositivi personali (scanner, smartphone, ecc.), in quanto elusiva degli obblighi fiscali;

  • Le copie cartacee restano richiedibili, ma i relativi diritti sono soggetti a un aumento del 50%, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 5, D.L. n. 193/2009, convertito in L. n. 24/2010.

pagamento ferie

Pagamento ferie: per la Cassazione ha natura retributiva La Cassazione chiarisce che il pagamento delle ferie ha natura retributiva, non risarcitoria. La quantificazione è demandata alla contrattazione collettiva, nel rispetto dell’art. 36 Cost. e della Direttiva 2003/88/CE

Natura retributiva del pagamento ferie

Con l’ordinanza n. 13042/2025, la sezione lavoro della Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla qualificazione giuridica del compenso spettante per le ferie maturate e non godute, ribadendo un principio di rilievo sistematico: il pagamento delle ferie ha natura retributiva e non risarcitoria.

Pagamento ferie affidato alla contrattazione collettiva

In assenza di una disciplina legislativa specifica, spiega la Corte, la quantificazione della retribuzione da corrispondere durante il periodo di ferie rientra nell’ambito della contrattazione collettiva, la quale può legittimamente escludere o includere specifiche voci retributive, purché tale regolamentazione non violi l’art. 36 della Costituzione.

Questa impostazione rispetta i parametri imposti dal diritto dell’Unione europea, in particolare dall’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, come interpretata dalla Corte di giustizia UE, secondo cui il trattamento economico durante le ferie deve riflettere la retribuzione ordinaria del lavoratore, onde evitare che egli sia disincentivato dal fruire del periodo di riposo annuale.

Le caratteristiche della retribuzione feriale

Secondo la Suprema Corte, affinché un emolumento possa essere incluso nel trattamento economico per ferie, deve rispettare due criteri fondamentali:

  • Deve avere natura retributiva, escludendosi quindi importi a titolo di risarcimento del danno o rimborso spese;

  • Deve essere collegato all’esecuzione della prestazione lavorativa o essere correlato allo status professionale e personale del lavoratore.

In sostanza, devono essere ricompresi quegli elementi della retribuzione che, per caratteristiche e modalità di erogazione, sono costanti e ricorrenti, rappresentando una componente stabile del trattamento economico del lavoratore.

Rilevanza del trattamento mensile

Ai fini della valutazione dell’importo spettante durante le ferie, rileva il parametro della retribuzione mensile, trattandosi del periodo normalmente interessato dalla fruizione del diritto al riposo. Il riferimento alla retribuzione annua, chiarisce la Corte, sarebbe fuorviante e non coerente con le finalità della normativa europea.

sostituzione fedecommissaria

Sostituzione fedecommissaria  Sostituzione fedecommissaria o fedecommesso: definizione, normativa, presupposti, effetti, disciplina e giurisprudenza

Sostituzione fedecommissaria

La sostituzione fedecommissaria, conosciuta anche come fedecommesso, è un istituto giuridico previsto dall’ordinamento italiano in materia successoria. Nella pratica si tratta di una particolare disposizione testamentaria con la quale il testatore vincola il primo beneficiario (detto fedecommissario) a conservare i beni ricevuti, affinché alla sua morte passino direttamente a un secondo beneficiario già individuato dal testatore. Si tratta, nella pratica, di una sostituzione obbligatoria che prevede l’automatico trasferimento del bene ereditato, senza la necessità di aprire una nuova successione.

Disciplina normativa

Il fedecommesso è disciplinata dal Codice Civile agli articoli 692 e seguenti. In passato l’istituto veniva impiegato per tutelare patrimoni ingenti dalla cattiva gestione dell’eredita nel caso in cui l’erede fosse troppo giovane di età. Oggi invece trova applicazione solamente in casi specifici, a seguito di un’importante limitazione legislativa.

Attualmente la sostituzione fedecommissaria è ammessa infatti soltanto in favore di figli o discendenti del testatore, che siano interdetti per infermità mentale, come previsto dall’articolo 692 c.c.

Presupposti della sostituzione fedecommissaria

Affinché possa operare validamente la sostituzione fedecommissaria occorrono determinati presupposti:

  • l’esistenza di un atto di disposizione a causa di morte (testamento);
  • la nomina di un primo successore (il fiduciario) obbligato a conservare il bene;
  • la designazione di un successore ulteriore, che subentrerà nel possesso del bene alla morte del primo;
  • la presenza di condizioni soggettive particolari, come l’interdizione per infermità mentale del primo beneficiario.

Se uno di questi presupposti manca, la sostituzione fedecommissaria non può produrre i suoi effetti.

Effetti giuridici

L’effetto principale della sostituzione fedecommissaria è che il primo successore non può disporre liberamente dei beni ricevuti: egli è obbligato infatti a conservarli e a trasmetterli al sostituito.  Il secondo beneficiario, infatti, acquista i beni direttamente, senza che si apra una nuova successione in suo favore, attraverso un meccanismo di acquisto immediato e diretto alla morte del primo successore.

L’alienazione o l’atto di disposizione dei beni gravati dal fedecommesso può essere autorizzata dal giudice solo se l’utilità è evidente e disponendo comunque il reimpiego delle somme.

Ambito di applicazione attuale

Come già accennato, la sostituzione fedecommissaria oggi può essere istituita da ciascuno dei genitori, dagli altri ascendenti in linea retta e dal coniuge dell’interdetto, nei confronti del figlio, del discendente e del coniuge, che vengono gravati dell’obbligo di conservare e di restituire alla sua morte i beni in favore della persona o degli enti che si sono occupati dell’interdetto, sotto la vigilanza del tutore. La stessa disposizione si può applicare anche al minore di età in condizioni di infermità mentale tale da far presumere che nei suoi confronti interverrà una pronuncia di interdizione.

In tutti gli altri casi, il fedecommesso è nullo per violazione della normativa vigente.

Giurisprudenza sulla sostituzione fedecommissaria

La Cassazione è intervenuta in diverse occasioni per chiarire i profili più rilevanti dell’istituto.

Cassazione n. 10612/2016: Al fine di qualificare correttamente una disposizione testamentaria come sostituzione fedecommissaria o lascito sottoposto a condizione, il giudice è chiamato ad indagare la reale intenzione del testatore, analizzando l’insieme delle sue espressioni.

Cassazione 25698/2018: Per distinguere tra sostituzione fedecommissaria e costituzione testamentaria di usufrutto, l’interpretazione deve mirare alla reale volontà del testatore, analizzando sia le finalità perseguite che il testo del testamento; di conseguenza, la disposizione che attribuisce simultaneamente a diverse persone usufrutto e nuda proprietà non configura una sostituzione fedecommissaria, bensì una formale istituzione di erede, poiché i chiamati succedono direttamente al testatore e la riunione di usufrutto e nuda proprietà deriva dalla naturale espansione della proprietà, non da una successione in ordine successivo.

Considerazioni conclusive

La sostituzione fedecommissaria rappresenta un’eccezione al principio di libera disponibilità dei beni ereditari, finalizzata a tutelare soggetti deboli, come gli interdetti per infermità mentale. La sua operatività è subordinata a rigidi presupposti di legge e a un’autorizzazione giudiziale. In mancanza di tali condizioni, la sostituzione è considerata nulla.

Alla luce della complessità dell’istituto e della rilevanza degli interessi coinvolti, è opportuno rivolgersi sempre a un avvocato per la corretta predisposizione delle clausole testamentarie che intendano prevedere una sostituzione fedecommissaria.

 

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