detenzione domiciliare sostitutiva

Detenzione domiciliare sostitutiva: è legittima Per la Corte Costituzionale la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva contenuta nella riforma Cartabia non viola la legge delega

Detenzione domiciliare e legge delega

Il decreto legislativo n. 150 del 2022 non ha violato la legge delega nel disciplinare le modalità esecutive della nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 84-2024, con la quale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate una serie di questioni sollevate dalla Corte d’appello di Bologna.

La qlc

Rispetto all’unica questione valutata nel merito, la Consulta ha sottolineato che la riforma del 2022 mira a rivitalizzare le pene sostitutive delle detenzioni di breve durata, i cui effetti desocializzanti sono da tempo noti, specie nel contesto di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente, versano le carceri italiane. La Corte ha evidenziato che le pene sostitutive sono ispirate al principio secondo cui il sacrificio della libertà personale va contenuto entro il minimo necessario, oltre che alla necessaria finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 della Costituzione. Inoltre, la loro previsione incentiva l’imputato a definire il processo con un rito semplificato, e in particolare con il patteggiamento: il che contribuisce ad alleggerire i carichi del sistema penale, in funzione dell’obiettivo di assicurare a tutti tempi più contenuti di definizione dei processi. Infine, le pene sostitutive garantiscono risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative al carcere, dal momento che sono immediatamente esecutive non appena la sentenza di condanna passa in giudicato. E ciò a differenza di quanto accade rispetto alle pene detentive di durata non superiore a quattro anni, che restano di regola sospese anche per vari anni, sino a che il tribunale di sorveglianza non decida sulla richiesta del condannato di essere ammesso a una misura alternativa alla detenzione. Con la conseguenza che circa novantamila persone in Italia sono oggi “liberi sospesi”: e cioè condannati in via definitiva, che però non sono sottoposti allo stato ad alcuna misura restrittiva, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza.

La decisione della Corte Costituzionale

Secondo la Corte, la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare risponde a questi obiettivi generali della legge delega, che prescriveva al Governo di mutuare la disciplina prevista, in fase esecutiva, per l’omonima misura alternativa della detenzione domiciliare, ma soltanto “in quanto compatibile” con tali obiettivi. In particolare, la previsione, da parte del legislatore della riforma, di un più favorevole regime del limite minimo di permanenza nel domicilio (almeno dodici al giorno), così come di un’ampia possibilità di uscire dal domicilio stesso in relazione a “comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale di lavoro o di salute”, è coerente – ha osservato la Corte – con la spiccata funzionalità rieducativa di questa pena sostitutiva, che prevede uno specifico programma di trattamento elaborato dall’Ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato. Ciò appare conforme all’idea – che è alla base della riforma – di una “pena-programma” caratterizzata da elasticità nei contenuti, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in modo da garantire la risocializzazione del condannato e, assieme, una più efficace tutela della collettività.

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scuola praticanti notai

Al via la scuola per praticanti notai Il notariato comunica l'apertura di una nuova scuola per la preparazione giuridica dei praticanti notai

Notariato, la scuola per i praticanti

E’ partito il progetto formativo della “Scuola Nazionale del Notariato Giancarlo Laurini” del Consiglio Nazionale del Notariato e della Fondazione Italiana del Notariato. L’obiettivo è quello di “indirizzare, sostenere e consolidare la preparazione giuridica dei praticanti notai, necessaria per il superamento delle prove di concorso e per lo svolgimento dell’attività notarile” si legge nella nota diffusa ieri dallo stesso Notariato.

Finalità essenziale della Scuola è quella di accompagnare lo studio teorico-pratico con l’acquisizione dei principi etici e deontologici fondamentali per l’esercizio corretto della funzione notarile.

L’offerta formativa

Due le proposte formative della Scuola:

  • il “Notary Camp 2024”, tre corsi intensivi della durata di cinque giorni ciascuno (dal lunedì al venerdì) in partenza il prossimo 24 giugno. Si tratta di incontri di studio solo “in presenza” dedicati all’approfondimento di tematiche giuridiche (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale) che potrebbero risultare di particolare interesse nell’imminenza delle prove di concorso. Sarà possibile iscriversi sul sito www.scuolanazionalenotariato.it da domani 29 maggio 2024, a partire dalle ore 11, fino al raggiungimento del numero dei posti disponibili. La partecipazione per quest’anno è gratuita.
  • il “Corso ordinario 2024-2025”, della durata di nove mesi (dal 7 ottobre 2024 al 26 giugno 2025), al quale si potrà partecipare sia “in presenza” che “a distanza”, tramite la piattaforma della Scuola. Il Corso sarà suddiviso in tre moduli corrispondenti alle tre prove scritte di concorso (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale), completati dallo studio delle materie necessarie per assicurare una preparazione completa e interdisciplinare, quali la legge notarile, la deontologia, la legislazione urbanistica e catastale, il diritto internazionale privato, il diritto dell’Unione Europea, l’informatica giuridica e il diritto tributario. I mesi di maggio e giugno saranno dedicati alle prove di “simulazione di concorso”, con la relativa correzione collettiva e individuale, e costituiranno un quarto modulo solo “in presenza”. Le iscrizioni saranno aperte a partire da metà giugno e saranno messe a disposizione 8 borse di studio: il bando delle borse di studio e tutte le informazioni sui requisiti e sulle modalità di partecipazione saranno disponibili sul sito ufficiale www.scuolanazionalenotariato.it.
giurista risponde

Favoreggiamento e associazione mafiosa È configurabile il delitto di favoreggiamento rispetto al delitto di associazione mafiosa o costituisce una forma di concorso esterno?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

È configurabile il delitto di favoreggiamento personale in corso di consumazione del delitto associativo di cui all’art. 416bis c.p. nel caso in cui la condotta dell’agente sia sorretta dall’intenzione di aiutare il partecipe ad eludere le investigazioni dell’autorità e non dalla volontà di prendere parte, con “animus sodi”, all’azione criminosa. – Cass., sez. V, 29 febbraio 2024, n. 8928.

Con la sentenza in commento, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al rapporto tra il reato di favoreggiamento e il concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare la Corte, ha ribadito principi già espressi in materia ricordando quanto, in caso di concorso esterno in associazione mafiosa, sia fondamentale la sussistenza nel nesso eziologico che colleghi direttamente l’evento (integrato dalla conservazione, agevolazione o rafforzamento di un organismo criminoso già operante) con la condotta atipica del concorrente. L’accertamento postumo operato sulle condotte quindi, è diretto alla verifica dell’idoneità causale delle stesse che in virtù del mantenimento dell’operatività del sodalizio criminoso, devono tradursi in un contributo percepibile al mantenimento in vita dell’organismo stesso (ex mulitis, Cass., sez. I, 14 settembre 2023, n. 49790).

In termini di “misurazione” dell’apporto del soggetto agente ai fini dell’integrazione del concorso esterno, la Corte afferma che integra il reato in esame la condotta dell’imprenditore che pur non essendo inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto che si nutre di reciproci vantaggi, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e per l’organizzazione mafiosa di ottenere risorse, servizi o utilità anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti ottenuta dal concorrente esterno (Cass., sez. I, 16 novembre 2021, n. 47054).

In parallelo alla definizione delle condotte rilevanti in termini concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte si è poi occupata di evidenziare i criteri che distinguono la condotta di favoreggiamento da quella del partecipe e da quella del concorrente esterno rispetto all’associazione mafiosa. In linea con quanto prima detto, prima di tutto risponde di concorso esterno e non favoreggiamento, colui che, esterno al sodalizio agisce con l’intento non di fornire un singolo aiuto (ad esempio per eludere le indagini), ma un contributo alla capacità operativa del sodalizio stesso, alla sua conservazione e alla crescita dello stesso per la realizzazione di future imprese criminali. Diversamente, si configura il delitto di favoreggiamento personale in corso di consumazione del delitto associativo ex art. 416 bis c.p., nel caso in cui la condotta dell’agente sia sorretta dall’intenzione di aiutare il partecipe ad eludere le investigazioni delle autorità e non dalla volontà di prendere parte con animus socii all’azione criminosa.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da Tizio avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Palermo che confermava l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, applicando all’imputato la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Avverso tale ordinanza dunque ha proposto ricorso l’indagato, adducendo tre motivi di doglianza: il primo riferito a violazione e vizio di motivazione quanto alla sussistenza della gravità indiziaria in relazione alla condotta contestata al ricorrente; il secondo relativo a violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto; il terzo relativo a violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari e alla scelta della misura applicata. Il ricorso a giudizio della Corte è apparso infondato nel suo complesso. Il primo e secondo motivo sono stati dichiarati manifestamente infondati, non confrontandosi con le approfondite motivazioni contenute nell’ordinanza che ha operato a parere della corte “un buon governo e corretta applicazione dei principi di questa Corte”, qualificando correttamente la condotta dell’imputato in termini di concorrente esterno in associazione mafiosa ai sensi degli artt. 110, 416bis c.p., considerate le condotte di stretta vicinanza, partecipazione ad operazioni immobiliari, messa a disposizione delle proprie attività commerciali ad esponenti del clan, nonché ripetuti e monitorati incontri dell’imputato. Il terzo motivo appare invece generico, rappresentando una doglianza aspecifica a fronte del contenuto dell’ordinanza impugnata, che al contrario ha fornito puntuale risposta alle censure relative all’adeguatezza della misura inframuraria. Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato dalla Corte, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

*Contributo in tema di “Favoreggiamento e associazione mafiosa”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

giurista risponde

Oneri condominiali e vicende traslative di un immobile oggetto di locazione Qual è il soggetto obbligato al pagamento degli oneri condominiali in caso di vicende traslative di un immobile oggetto di locazione?

Quesito con risposta a cura di Carmela Quagliano e Daniele Venturi

 

Ai sensi degli artt. 1509 e 1602 c.c. la vendita, la cessione o la donazione di un immobile oggetto di locazione determina la surrogazione del terzo (acquirente, cessionario o donatario) nei diritti e nelle obbligazioni del dante causa-locatore. Ciò comporta anche il subentro nell’obbligo di pagamento delle quote condominiali rispetto al condominio di cui tale immobile fa parte.

L’onere della prova relativo all’individuazione del soggetto obbligato al pagamento di dette quote spetta al condominio che avanza la pretesa, incombendo su colui che nega tale affermazione solo la prova di eventuali fatti modificativi o estintivi capaci di escluderne la responsabilità.

A questo si aggiunge la nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. c.c. introdotta dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220 che attribuisce al soggetto che subentra nei diritti di un condomino la qualifica di obbligato solidale con quest’ultimo solo rispetto al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. – Cass., sez. II, 4 marzo 2024, n. 5704.

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte accoglie la doglianza del ricorrente che si era visto rigettare, nei due precedenti gradi di giudizio, l’opposizione a un decreto ingiuntivo relativo al pagamento di contributi condominiali maturati durante il periodo in cui a godere delle unità immobiliari era un soggetto qualificato come cessionario della stessa società ricorrente.

Come provato nei gradi di merito, infatti, la ricorrente aveva comunicato al condominio l’avvenuta cessione degli immobili al soggetto in capo al quale sono poi maturati gli obblighi individuati nel decreto ingiuntivo. Tale atto avrebbe dovuto rivolgersi, di conseguenza, verso il cessionario e non verso la società cedente.

La sentenza in epigrafe stigmatizza, poi, l’avvenuta inversione dell’onere della prova rispetto alla qualità di condomino. Al fine dell’accertamento dell’obbligo di pagamento dei contributi condominiali negli anni controversi è stato infatti erroneamente imputato alla società ricorrente l’onere di provare la propria estraneità rispetto alla qualità di condomino. Contrariamente, sarebbe stato necessario addossare al condominio l’onere di provare la sussistenza di tale qualità tenuto conto delle varie vicende che hanno interessato le unità immobiliari in oggetto.

La vicenda fornisce alla Corte anche l’occasione per ribadire la portata dell’art. 63 disp. att. c.c. secondo la pacifica interpretazione del quale la società ricorrente avrebbe potuto essere ritenuta responsabile, tutt’al più, delle ultime due annualità, come ribadito da giurisprudenza consolidata.

*Contributo in tema di “Oneri condominiali e vicende traslative di un immobile oggetto di locazione”, a cura di Carmela Quagliano e Daniele Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

avvocati ufficio processo formazione

Avvocati sospesi ufficio processo: hanno obbligo formativo? Il CNF chiarisce che gli avvocati sospesi in quanto alle dipendenze dell'ufficio del processo sono esonerati per lo stesso periodo dall'obbligo formativo

Avvocati ufficio del processo e obbligo formativo

Nessun obbligo formativo per gli avvocati assunti all’ufficio del processo. Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense (nel parere n. 21/2024) rispondendo al quesito del COA di Torino.

Il parere del CNF

Il COA chiedeva al CNF di sapere se possano ritenersi esonerati dall’obbligo formativo, per il periodo della sospensione, gli avvocati sospesi obbligatoriamente ex lege per effetto della loro assunzione alle dipendenze dell’Ufficio per il processo.

Il CNF premette che “la sospensione obbligatoria prevista dall’articolo 11, comma 2 bis, del decreto legge n. 80/2021 (come introdotto dall’articolo 17, comma 2, del d.l. n. 33/2022) per l’avvocato assunto alle dipendenze dell’ufficio per il processo è equiparabile, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo formativo, alla sospensione obbligatoria di cui all’articolo 20 della legge 247/2012”.

Pertanto, “come previsto dall’articolo 11 della legge n. 247/12 per gli avvocati sospesi obbligatoriamente, anche gli avvocati assunti alle dipendenze dell’ufficio per il processo e quindi sospesi ex lege devono ritenersi esonerati dall’assolvimento dell’obbligo formativo per la durata della sospensione”.

Il COA di Torino chiede di sapere se possano ritenersi esonerati dall’obbligo formativo, per il periodo della sospensione, gli avvocati sospesi obbligatoriamente ex lege per effetto della loro assunzione alle dipendenze dell’Ufficio per il processo.

giurista risponde

Applicabilità art. 578bis c.p.p. La disposizione dell’art. 578bis c.p.p. è applicabile, in ipotesi di confisca per equivalente, ai reati ricompresi nell’originaria formulazione dell’art. 578bis c.p. e commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. 21/2018, che ha introdotto nel codice di rito la suddetta disposizione?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

La disposizione dell’art. 578bis c.p.p. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. 21/2018, che ha introdotto la suddetta disposizione. – Cass Sez. Un. 31 gennaio 2023, n. 4145.

La vicenda in esame trae origine da un ricorso con cui è stata eccepita la nullità delle disposizioni relative alla confisca per equivalente disposta ai sensi dell’art. 12bis, D.Lgs. 74/2000, sul presupposto che tale misura sarebbe illegittima per effetto della pronuncia della sentenza di estinzione dei reati per prescrizione.

Rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia di applicabilità della disposizione di cui all’art. 578bis c.p.p. anche alle confische disposte per fatti consumati prima dell’entrata in vigore della stessa, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Secondo un primo orientamento, l’art. 578bis c.p.p. consente la confisca per equivalente anche in caso di sentenza dichiarativa di prescrizione di un reato commesso anteriormente alla sua entrata in vigore. La disposizione in esame è infatti considerata norma di natura processuale, come tale soggetta al principio tempus regit actum.

In particolare, si ritiene che l’art. 578bis c.p.p. non introduca nuovi casi di confisca, ma si limiti a definire la cornice procedimentale entro cui la stessa può essere applicata, agendo su un profilo processuale e temporale e lasciando inalterati i presupposti sostanziali di applicazione del vincolo.

La norma si limita infatti a prevedere la possibilità per il giudice di appello o la corte di cassazione di applicare la confisca per equivalente anche in caso di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, purché sia accertata la responsabilità dell’imputato.

Altro orientamento, valorizzando la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, nega l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 578bis c.p.p. per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione. Si ritiene infatti che la stessa, producendo effetti sostanziali, non possa operare retroattivamente.

Si richiama in proposito l’insegnamento delle Sezioni Unite che, all’esito di un percorso giurisprudenziale, hanno affermato il principio di diritto – oggi superato, in ragione dell’introduzione dell’art. 578bis c.p.p. – secondo cui il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Cass. Sez. Un. 21 luglio 2015, n. 31617).

Le Sezioni Unite condividono tale ultimo indirizzo interpretativo, riconoscendo alla confisca per equivalente una natura prevalentemente afflittiva e sanzionatoria, così come in più occasioni chiarito anche dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In particolare, le Sezioni Unite, ricordando che la confisca per equivalente costituisce “una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”, potendo la stessa essere sempre disposta a prescindere dalla sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra i beni aggredibili e il fatto criminoso- ne hanno riconosciuto la natura punitiva.

Alla luce delle esposte considerazioni, le Sezioni Unite hanno conclusivamente rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dal primo degli orientamenti esaminati, l’art. 578bis c.p.p. non si presenta come una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell’ordinamento, in quanto la nuova disposizione attribuisce il potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena.

Pertanto, rilevata la natura anche di diritto sostanziale della disposizione in esame, si esclude che la confisca per equivalente possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi anteriormente alla sua introduzione.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. III, 22 aprile 2022, n. 15655; Cass., sez. III, 4 aprile 2022, n. 7882;
Cass., sez. III, 29 ottobre 2021, n. 39157; Cass., sez. III, 26 maggio 2021, n. 20793
Difformi:      Cass., sez. II, 10 maggio 2021, n. 19645; Cass., sez. VI, 7 maggio 2020, n. 14041; Cass., sez. III, 4 aprile 2020, n. 8785
durata affitto turistico

Affitti brevi: legittimo il limite di 6 mesi per le prime case La Consulta legittima la previsione regionale della Val d'Aosta di un periodo massimo di durata della locazione turistica delle prime case

Durata massima affitti brevi

“L’art. 4, comma 1, lettera f), ultimo periodo, della legge della Regione Valle d’Aosta 18 luglio 2023, n. 11 (Disciplina degli adempimenti amministrativi in materia di locazioni brevi per finalità turistiche), nella parte in cui fissa in centottanta giorni la durata massima dell’attività di locazione degli alloggi a uso turistico costituiti da ‘camere arredate ubicate in unità abitative rientranti nella categoria di destinazione d’uso ad abitazione permanente o principale’ (prima casa), non concerne la disciplina della durata dei contratti di locazione turistica breve e, quindi, non incide sulla materia dell’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., al legislatore statale”. E’ quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94-2024, depositata oggi.

La questione di legittimità costituzionale

La Corte ha rigettato la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, affermando che “con la disposizione impugnata il legislatore regionale – nell’esercizio della competenza primaria in materia di urbanistica a esso affidata dall’art. 2, primo comma, lettera g), dello statuto speciale – ha inteso concretizzare quanto già stabilito nella legge urbanistica regionale”.

Infatti, la Regione ha configurato come mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, da abitazione principale (prima casa) ad abitazione temporanea (seconda casa), l’impiego di parti dello stesso (le “camere arredate”) a fini di locazione turistica breve per un tempo superiore a centottanta giorni annui, ritenendolo corrispondente a un uso “ non puramente occasionale e momentaneo”, in linea con gli artt. 73 e 74 della legge urbanistica regionale.

Nessun pregiudizio per i contratti tra privati

Il superamento di tale durata non comporta, invece, alcun “pregiudizio per la validità e l’efficacia dei contratti stipulati tra i privati” che rimangono “disciplinati dalle previsioni del codice civile a norma dell’art. 53 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito”.

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telefonata figli carcere

Telefonate ai figli: niente stretta per i reati ostativi La Corte Costituzionale ha ritenuto irragionevole la stretta sulle telefonate ai figli minori a carico dei condannati per reati di criminalità organizzata che abbiano accesso ai benefici

Telefonate figli e regime restrittivo

“Se un detenuto è stato condannato per un reato compreso nell’elenco dell’art. 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, ma ha in concreto accesso a tutti i benefici penitenziari, è irragionevole sottoporlo a un regime più restrittivo rispetto a quello ordinario solo per quanto riguarda le telefonate con i propri figli minori”. E’ quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 85-2024, con la quale ha ritenuto fondata una questione sottopostale da un magistrato di sorveglianza di Padova.

Condanna per reati ostativi

La Corte ha ricordato che chi è condannato per uno dei reati elencati nel primo comma dell’art. 4-bis (i cosiddetti “reati ostativi”) è ordinariamente escluso dai benefici penitenziari, in forza della generale presunzione per cui i collegamenti con l’organizzazione criminale non vengono meno con l’ingresso in carcere del condannato, con conseguente persistere della sua pericolosità sociale.

Questi detenuti hanno accesso ai benefici, di regola, soltanto quando collaborino con la giustizia, perché proprio la loro collaborazione costituisce “una sorta di prova legale della rottura del vincolo associativo rispetto al singolo detenuto, che a sua volta segnala l’inizio del suo percorso rieducativo”.

Ammissione benefici penitenziari

Tuttavia, come chiarito da sentenze recenti della stessa Consulta, “la presunzione di persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata deve sempre poter essere vinta da una prova contraria, valutabile caso per caso dal tribunale di sorveglianza”. E in effetti la legge prevede oggi varie ipotesi in cui i condannati per reati “ostativi” possono in concreto essere ammessi ai benefici penitenziari, pur in mancanza di una loro collaborazione con la giustizia.

Tra queste ipotesi c’è quella di chi – come il detenuto oggetto del procedimento principale, che sta scontando una condanna a trent’anni di reclusione – abbia accesso ai benefici perché la sua collaborazione è stata ritenuta impossibile, e non risultino elementi che attestino un suo collegamento attuale con la criminalità organizzata. Nel caso concreto, il detenuto aveva in effetti già goduto di permessi premio, concessi sulla base dei suoi progressi nel trattamento rieducativo attestati dall’amministrazione penitenziaria. Inoltre, in forza della normativa speciale adottata durante il periodo della pandemia, aveva fruito di una telefonata al giorno con i propri familiari, come tutti gli altri detenuti.

La decisione della Consulta

A questo punto la Corte ha ritenuto irragionevole sottoporre in queste situazioni il condannato – ammesso ai benefici in quanto ritenuto non più socialmente pericoloso – a una disciplina più sfavorevole rispetto a quella applicabile alla generalità dei detenuti. In proposito, la Corte ha osservato che ogni disciplina – come l’art. 4-bis – che, a parità di pena inflitta, deroga in senso peggiorativo al regime penitenziario ordinario “può trovare legittimazione sul piano costituzionale – al cospetto della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. – soltanto in quanto sia necessaria e proporzionata rispetto al contenimento di una speciale pericolosità sociale del condannato”; e non invece “in chiave di ulteriore punizione in ragione della speciale gravità del reato commesso. È, infatti, la misura della pena che nel nostro ordinamento deve riflettere la gravità del reato, non già la severità del regime sanzionatorio”.

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Danneggiamento e tentata rapina impropria Tra i reati di danneggiamento e tentata rapina impropria è configurabile il concorso di reati o l’assorbimento ex art. 84 c.p.?

Quesito con risposta a cura di Stella Liguori e Raffaella Lofrano

 

Nell’ipotesi di alterazione, deterioramento o distruzione del luogo di custodia di un bene seguito da violenza alla persona vi è concorso e non assorbimento ex art. 84 c.p. tra il reato di danneggiamento e quello di tentata rapina impropria e ciò perché l’unica ipotesi di furto assorbita nella fattispecie di cui all’art. 628 cod. pen. è quella semplice e non anche quella aggravata ex art. 625, n. 2, c.p. – Cass., sez. II, 10 gennaio 2024, n. 5887.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare il rapporto giuridico tra i reati di danneggiamento e tentata rapina impropria.

In primo e secondo grado era stata disposta condanna nei confronti dell’imputato per i delitti di tentata rapina impropria e danneggiamento per aver egli cercato di impossessarsi dei beni della persona offesa senza riuscirvi per fatti indipendenti dalla propria volontà, e per aver infranto il deflettore dell’autovettura rendendolo inservibile.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, sollevando, tra gli altri motivi, il mancato riconoscimento del concorso apparente di norme tra le ipotesi di rapina impropria e danneggiamento. In particolare, si eccepiva che l’ipotesi di cui all’art. 635 c.p. dovesse ritenersi assorbita ex art. 15 c.p. nella fattispecie di tentata rapina impropria e che fosse applicabile il principio del ne bis in idem sostanziale.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha ricordato quanto stabilito da Cass. pen., Sez. Un., 28 ottobre 2010, n. 1235, secondo cui, con riferimento al concorso di norme penali che regolano la stessa materia, si definisce norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale presentando uno o più requisiti suoi propri, che hanno funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo di quella generale.

In tal modo le Sezioni Unite ritenevano di escludere criteri diversi da quello di specialità per la risoluzione di problematiche di questa tipologia (così anche Cass. pen., Sez. Un., 23 febbraio 2017, n. 20664 e Cass. pen., Sez. Un., 15 luglio 2021, n. 38402).

Nel caso di specie, con riferimento al rapporto tra i reati di danneggiamento e tentata rapina impropria, si è osservato come la fattispecie di «rapina, essendo costituita dalle condotte di impossessamento del bene altrui e dalla violenza in danno della vittima, non contiene tutti gli elementi costitutivi l’ipotesi del danneggiamento che attiene invece alla alterazione della natura funzionale del bene e alla distruzione dello stesso. L’elemento del danno alla cosa, peraltro nel caso in esame anche diversa da quella oggetto di apprensione, non è elemento costitutivo della rapina così che tra gli artt. 628 e 635 c.p. non sussiste rapporto di specialità».

La Corte costituzionale, inoltre, si era pronunciata in merito al rapporto tra concorso apparente di norme e concorso di reati, ritenendo che per poter applicare il criterio della specialità è necessario che tra le fattispecie in confronto vi siano elementi fondamentali comuni, ma che una di esse abbia qualche elemento caratterizzante in più che la specializzi rispetto all’altra (Corte cost. 31 maggio 2016, n. 200).

Tale Corte, inoltre, ha ritenuto non doversi applicare il divieto del bis in idem per la sola ragione che i diversi reati concorrano formalmente, in quanto commessi con una sola azione o omissione. Essa ha, pertanto, richiamato quanto stabilito da Cass. pen., Sez. Un., 28 giugno 2005, n. 34655, secondo cui l’identità del fatto, ai fini preclusivi imposti dalla regola del ne bis in idem, sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato considerato in tutti i suoi elementi costitutivi: condotta, evento, nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Tuttavia, in casi come quello in oggetto, è stato osservato che gli eventi appaiono diversi poiché uno consiste nell’alterazione definitiva di un bene e l’altro nell’apprensione di un oggetto di valore.

La Corte di Cassazione, infine, si è proposta di valutare se il reato di rapina impropria che costituisce un reato complesso, essendo integrato delle fattispecie di furto e percosse, possa assorbire il reato di danneggiamento.

Essa ha osservato, preliminarmente, che l’ipotesi di furto aggravato dalla violenza sulle cose costituisce un’ipotesi di reato complesso in quanto il danneggiamento è considerato circostanza aggravante del furto, nel quale delitto è assorbito. Il reato di rapina, invece, è integrato dalla consumazione del solo reato di furto semplice e della violenza alla persona ma non anche da quello di furto aggravato. Nell’ipotesi di danneggiamento seguito da rapina, la contestazione di cui all’art. 628 c.p. non assorbe quella di cui all’art. 635 c.p. e ciò in quanto l’ipotesi di furto assorbita ex art. 84 c.p. è solo quella semplice e non anche quella aggravata dalla violenza sulle cose ex art. 625, n. 2 c.p.

È stato chiarito, infatti, che per ammettere la configurabilità del reato complesso di cui all’art. 84 c.p. i fatti non devono avere solo qualche elemento in comune, bensì uno deve convergere nell’altro «tanto da perdere la sua autonomia e diventare elemento costitutivo o circostanza aggravante dell’altro».

Sia sul piano oggettivo, invece, che su quello soggettivo, i due reati in esame differiscono.

Sul piano oggettivo, infatti, il danneggiamento è caratterizzato dal deteriorare, distruggere o alterare il bene e la rapina, invece, dall’apprensione della cosa con violenza o minaccia.

Sul piano soggettivo, inoltre, il danneggiamento è caratterizzato dalla volontà di arrecare nocumento all’oggetto mentre la rapina dall’impossessamento del bene altrui con il fine di trarne profitto.

Per tali motivi, la Cassazione ha ritenuto escludere la sussistenza di un rapporto di assorbimento ex art. 84 c.p. tra i due reati suddetti, considerando sussistere, invero, un concorso tra gli stessi.

*Contributo in tema di “Danneggiamento e tentata rapina impropria”, a cura di Stella Liguori e Raffaella Lofrano, estratto da Obiettivo Magistrato n. 73 / Aprile 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

concorso magistrato 2024

Concorso 400 magistrati: riaperti i termini In Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero che riapre i termini per la presentazione delle domande per il concorso a 400 posti di magistrato ordinario. C'è tempo fino all'1 giugno

Bando 400 magistrati 2024, riapertura termini

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale – Concorsi ed esami – n. 42 del 24 maggio 2024, il decreto del 21 maggio 2024 che dispone la riapertura dei termini per la presentazione delle domande per il concorso a 400 posti di magistrato ordinario, bandito con provvedimento dell’8 aprile 2024.

Domande entro l’1 giugno

Gli interessati, dunque, potranno presentare la loro istanza dalle ore 12:00 di oggi 24 maggio 2024 alle ore 12:00 dell’1 giugno 2024. 

Elenco candidati idonei e prove concorso 2022

Inoltre, rende noto via Arenula che, con riferimento al concorso per magistrato a 400 posti, bandito con provvedimento del 18 ottobre 2022, di cui è stato pubblicato il numero e l’elenco dei candidati idonei, è stato pubblicato l’elenco delle Corti d’appello secondo l’ordine di estrazione per le prove orali, che avranno inizio il 1° luglio 2024. Si parte dalla Corte d’appello di Bologna.