perdono giudiziale

Perdono giudiziale Il perdono giudiziale è un istituto di diritto penale che riguarda i minori la cui disciplina è contenuta nell’art. 169 c.p.

Perdono giudiziale: cos’è

Il perdono giudiziale è un istituto di diritto penale riservato ai minorenni. Grazie al perdono giudiziale il minore evita il rinvio a giudizio o la pronuncia di condanna se il processo è già stato avviato nei suoi confronti.

Ratio del perdono giudiziale

L’istituto attua in questo modo il contenuto della disposizione dell’articolo 31 della Costituzione. Essa dispone nello specifico che la Repubblica Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.” 

Grazie infatti ai benefici previsti da questo istituto il minore non subisce lo stigma della colpevolezza e le conseguenze negative che possono derivare dall’applicazione di una pena detentiva o pecuniaria. Il processo penale minorile del resto si fonda su obiettivi diversi rispetto a quello ordinario. Il minore, in misura ancora maggiore rispetto all’adulto, deve essere rieducato e reinserito in un contesto sociale positivo.

Perdono giudiziale: come funziona

Per comprendere il funzionamento base del perdono giudiziale è necessario analizzare l’art. 169 c.p, che lo disciplina.

Articolo 169 c.p.: perdono giudiziale per i minori di anni 18

Il comma 1 della norma dispone che: 1.Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a cinque euro, anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. 2. Qualora si proceda al giudizio, il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna.” 

La norma dispone in pratica che il giudice, nel disporre il perdono giudiziale, è tenuto a emettere un provvedimento irrevocabile con cui decide l’estinzione del reato, disponendo di non rinviare a giudizio il minore o astenendosi dal pronunciare la condanna, se il giudizio è stato intrapreso ed è giunto a sentenza.

Elementi di valutazione

Per la concessione del perdono giudiziale però occorre la sussistenza dei seguenti presupposti richiesti dalla norma, ossia:

  • che il reato sia stato commesso da un minore di età;
  • che per quel reato la legge stabilisca una pena restrittiva della liberà personale non inferiore alla durata di due anni o una pena pecuniaria non inferiore a 5 euro, anche congiunta alla precedente.

Un altro presupposto fondamentale che il giudice deve valutare per decidere di concedere o meno il perdono giudiziale sono le circostanze previste dall’articolo 133 c.p da cui desumere la gravità del reato. Tra queste rilevano soprattutto la condotta contemporanea e successiva al reato, i motivi che hanno spinto il minore a delinquere, la presenza di precedenti penali e giudiziari in generali, ma anche l’intensità del dolo e della colpa e la gravità del danno cagionato.Il giudice infatti può concedere il perdono giudiziale, se dalla valutazione di questi elementi presume che il minore non commetterà in futuro ulteriori reati.

Occorre però che il Giudice motivi la sua decisione, sia in caso di rigetto che di concessione della misura. Lo ha specificato nei seguenti termini la Cassazione nella sentenza n. 26025/2022 “perdono giudiziale e sospensione condizionale costituiscono istituti che comportano l’estinzione del reato… la finalità di recupero del minore, coessenziale alla stessa natura del procedimento minorile impone che ogni volta che, anche in corso di causa … possa prospettarsi la presenza dei presupposti applicativi del perdono giudiziale, sussiste in capo al giudice l’onere di esplicitare le ragioni sottese alla concessione o mancata concessione del beneficio.” 

Limiti applicativi

Nel concedere il perdono giudiziale il giudice si scontra inoltre con due limiti, previsti rispettivamente dai commi 3 e 4 dell’art. 169 c.p.

  1. Il primo limite è indicato dal comma 3 dell’ 169 c.p. L’istituto non può essere applicato nei casi previsti dal n. 1, primo capoverso dell’art. 164 c.p ossia se il minore è già stato condannato a pena detentiva per un delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione o se il minore è un delinquente o contravventore abituale o professionale.
  2. Il secondo limite invece prevede che il perdono giudiziale non possa essere concesso per più di una volta, salvo eccezioni particolari. 

Effetti e conseguenze eventuali

Il perdono giudiziale determina l’estinzione del reato, ma il minore, fino a 21 anni di età, resta iscritto nel casellario giudiziale. L’intervenuta sentenza di perdono giudiziale non impedisce in ogni caso alla vittima del reato di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno subito a causa della condotta del minore.

 

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tfr nei fondi pensione

TFR nei fondi pensione Al vaglio la proposta di legge che prevede il versamento obbligatorio di 1/4 del trattamento di fine rapporto  

TFR nei fondi pensione: la proposta di legge

Il passaggio del TFR nei fondi pensione è in sintesi il contenuto di una proposta di legge al vaglio del Governo. La proposta è il frutto di alcune considerazioni sui fondi pensionistici integrativi e sui loro indiscutibili vantaggi. I fondi pensione infatti offrono al lavoratore la possibilità di beneficiare di un’entrata aggiuntiva rispetto alla pensione ordinaria nel momento in cui smetterà di lavorare.

Al fine di incoraggiare l’adesione ai fondi pensione sono previste delle detrazioni fiscali molto interessanti sui contributi versati.

Occorre poi ricordare che chi aderisce a un piano pensionistico integrativo ha la possibilità di cessare l’attività lavorativa con un anticipo di diversi anni rispetto all’età prevista in via ordinaria per andare in pensione.

I vantaggi fiscali previsti per chi aderisce ai fondi pensione non riescono tuttavia a essere sufficientemente attrattivi. Lo dicono i numeri. I lavoratori che attualmente aderiscono a fondi pensione integrativi sono poco più di 1/3 del totale.

TFR nei fondi pensione obbligatorio

Da qui la proposta del leghista e sottosegretario del Ministero del lavoro Claudio Durino. La sua idea si traduce nell’introduzione dell’obbligo di far confluire il 25% del TFR nei fondi previdenziali integrativi. Il Governo è già al lavoro per introdurre queste novità nella legge di bilancio relativa al prossimo anno.

TFR nei fondi: semestre di silenzio assenso

La Ministra Calderone sta lavorando a una proposta similare, che prevede però una nuova gestione del TFR maturato attraverso il meccanismo del “semestre di silenzio assenso”. L’idea prevede che, qualora il lavoratore non comunichi espressamente nel termine di sei mesi la volontà di conservare il proprio TFR presso l’azienda, l’importo maturato debba essere trasferito automaticamente a un fondo pensione.

Conseguenze della riforma

La riforma, che potrebbe essere inserita e regolamentata nella legge di Bilancio 2025, potrebbe essere ostacolata dai datori di lavoro. Le somme che vengono accantonate per i TFR dei dipendenti costituisce infatti una risorsa per l’azienda, soprattutto se di piccole dimensioni. Nessuna controindicazione invece per le imprese più grandi, perché queste hanno l’obbligo di versare le somme accantonate per il TFR nel fondo INPS.

 

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patente a crediti

Patente a crediti: il parere del Consiglio di Stato Patente a crediti: il parere n. 010190 del CdS sullo schema di decreto che contiene il regolamento per cantieri mobili e temporanei

Patente a crediti: parere n. 01090 del CdS sullo schema di decreto

Il Consiglio di Stato, con il parere 01090 del 27 agosto 2024, si è espresso sullo schema di decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che contiene il regolamento che consente alle imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di presentare la domanda per acquisire la patente a crediti.

Patente a crediti: obbligo dal 1° ottobre 2024

L’obbligo del possesso della patente a crediti in materia di sicurezza è previsto a partire dal 1° ottobre 2024. Solo chi è in possesso di almeno 15 crediti può svolgere l’attività nei cantieri.

A tal fine il decreto stabilisce i requisiti per il rilascio, le sanzioni che comportano la decurtazione dei crediti, le modalità di recupero, gli infortuni che determinano la sospensione della patente e i criteri di attribuzione di ulteriori crediti.

Il parere di palazzo Spada

Il regolamento contenuto allo schema di decreto completa la disciplina contenuta nell’art. 27  decreto legislativo n. 81/2008.

Niente ripetizioni e duplicazioni

Per evitare ripetizioni e duplicazioni inutili per il CdS sarebbe opportuno:

  • inserire nelle premesse del decreto un riferimento all’articolo 17 comma 3 della legge n. 400/1988;
  • evitare di disciplinare i requisiti necessari per il rilascio della patente, riproducendo il contenuto della seconda parte del comma 1 dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
  • non riproporre nell’articolo 1 il primo periodo del comma 1 dello stesso articolo 27, al quale fa rinvio anche il comma 1 dell’articolo 1;
  • eliminare il comma 7 dell’articolo 1 perché riproduce il secondo periodo del comma 2 dell’ 27;
  • riformulare il comma 8 dell’ 1 in materia di revoca della patente, che riproduce il primo periodo della comma 4 dell’art. 27;
  • sopprimere il comma 9 dell’articolo 1 perché riproduce il comma 4 secondo periodo, sempre dell’articolo 27.

Sospensione della patente: norma del regolamento legittima

Lo schema di decreto prevede al comma 2 dell’articolo 3 che, se nei più cantieri si verifica la morte di uno o più lavoratori imputabile al datore o ai suoi stretti collaboratori, almeno a titolo di colpa grave, il provvedimento di sospensione della patente è obbligatorio. Il comma 8 dell’articolo 27 della legge n. 81/2008 prevede invece come facoltativa la sospensione della patente. Per il CdS la fonte regolamentare che prevede l’obbligo della sospensione solo in presenza di colpa grave è del tutto legittima.

Criteri di attribuzione crediti patente: meglio non rinviare

Il comma 5 dell’art. 27 chiede al regolamento di individuare i criteri di attribuzione di crediti ulteriori. Gli articoli 4, 5 e 6 dello schema di regolamento reca disposizioni specifiche in cui contempla i vari criteri e poi opera tutta una serie di rinvii. Per non fare confusione sarebbe opportuno evitare rinvii agli articoli e disciplinare in un articolo unico i crediti in questione per rendere più chiara la ricostruzione della disciplina.

Entrata in vigore: necessaria la pubblicazione sulla GU

La data di entrata in vigore dell’obbligo del possesso della patente fissata dallo schema di regolamento per il 1° ottobre 2024 rende incerto il termine della vacatio legis di 15 giorni decorrente dalla pubblicazione per consentirne la conoscibilità.

Per il CdS “La circostanza che il legislatore abbia indicato il 1°ottobre come data dalla quale decorre lobbligo per i soggetti interessati di dotarti della patente di cui allo schema di decreto in esame, sembra a tal fine poter costituire un valido fondamento della scelta dellAmministrazione di incidere sulla vacatio legis. La Sezione ritiene pertanto che la previsione dellentrata in vigore il 1° ottobre 2024 possa essere mantenuta solo a condizione che il regolamento in esame venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale quanto meno entro il giorno precedente.”

 

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mediazione familiare

Mediazione familiare: cos’è e chi la conduce La mediazione familiare è un percorso finalizzato al raggiungimento di un accordo in presenza di una crisi familiare

Mediazione familiare: definizione e finalità

La mediazione familiare consiste in una procedura rivolta alle coppie in crisi al fine di risolvere situazioni conflittuali che vengono manifestate con la volontà di procedere a una separazione o un divorzio.

La mediazione familiare prevede la collaborazione delle parti coinvolte per la risoluzione del conflitto. In questo percorso la coppia è assistita da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore familiare. Il suo ruolo è quello di comunicare con le parti per aiutarle a trovare una soluzione positiva per entrambe.

Uno degli obiettivi principali nel processo di mediazione è la realizzazione della cogenitorialità per tutelare la responsabilità genitoriale di ciascun genitore nei confronti dei figli, soprattutto se minori di età.

Mediazione familiare e mediazione civile

Le differenze con la mediazione civile sono evidenti. La mediazione familiare è finalizzata a favorire gli accordi tra coniugi per risolvere problematiche soprattutto di carattere “emotivo” che possono riguardare anche il rapporto con i figli. La mediazione civile invece è finalizzata al raggiungimento di un accordo tra parti in conflitto in relazione a una controversia insorta in materia di diritti disponibili.

Mediazione familiare: l’art. 473 bis 10 c.c.

La Riforma Cartabia ha valorizzato la mediazione familiare, dedicandole un articolo specifico del codice di procedura civile nella parte dedicata ai procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473 bis 10 prevede che il giudice, durante il procedimento, possa informare le parti, della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore familiare. Questo soggetto, che le parti possono scegliere liberamente, deve spiegare alle parti finalità, contenuto e modalità di svolgimento del percorso per consentire loro di decidere se intraprenderlo o meno.

Il giudice può decidere anche di rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti se, ottenuto il consenso dei coniugi, ritiene che la mediazione familiare possa essere utile alle parti per trovare un accordo, soprattutto nell’interesse materiale e morale dei figli.

Il mediatore familiare: disciplina

La Riforma Cartabia ha anche regolato la disciplina professionale del mediatore familiare. Il DM n. 151/2023 contenente il regolamento sulla disciplina professionale del mediatore familiare compie l’attuazione del decreto legislativo n. 149/2022, che a sua volta ha attuato la legge delega n. 206/2021.

Alla luce di questa regolamentazione il soggetto che vuole esercitare la professione di mediatore familiare deve richiedere l’iscrizione in un elenco apposito. All’elenco si possono iscrive i mediatori familiari che sono iscritti da almeno 5 anni a una delle associazioni professionali, che a loro volta, devono essere inserite nell’elenco del Ministero dello sviluppo economico.

Mediatore familiare: definizione normativa

L’articolo 2 del DM n. 151/2023 definisce il mediatore familiare come: la figura  professionale  terza  e imparziale, con una formazione specifica, che interviene nei casi  di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l’evento separativo. Il mediatore opera al fine di facilitare i soggetti coinvolti nell’elaborazione di un percorso di riorganizzazione di  una  relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo   direttamente e responsabilmente negoziato e con riferimento alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove presente.”

Competenze

Il mediatore familiare deve essere in possesso di conoscenze specifiche in materia di diritto di famiglia, tutela dei minori, violenza domestica e violenza di genere.

Il mediatore acquisisce queste competenze attraverso la frequentazione di un percorso di formazione iniziale a cui ne segue uno continuo nel tempo con acquisizione dei relativi crediti formativi periodici.

Requisiti morali

Il mediatore familiare per esercitare la professione deve possedere anche precisi requisiti di onorabilità. Non deve aver subito condanne penali e non deve essere stato sottoposto a specifiche misure di prevenzione e di sicurezza personali.

Deontologia

Il mediatore familiare è tenuto al rispetto anche di precise regole deontologiche, la cui violazione comporta   relative sanzioni.

Ai sensi dell’art. 6 del DM n 151/2023 il mediatore familiare deve esercitare la professione con libertà, autonomia, indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico, buona fede,  affidamento della clientela, correttezza, responsabilità e riservatezza.

Il mediatore familiare esercita l’attività di  mediazione  con imparzialità, neutralità e assenza di giudizio  nei  confronti  dei mediandi, promuovendo fra loro un processo equilibrato e incoraggiandoli a confrontarsi in modo costruttivo.”

mediazione civile

Mediazione civile: cos’è e come funziona La mediazione civile è una procedura stragiudiziale delle controversie disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010

Mediazione civile: che cos’è

La mediazione civile è una procedura stragiudiziale definita dalla lettera a) dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 28/2010. Si tratta nello specifico in un’attività, che viene svolta da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore. Il mediatore nell’assistere due o più soggetti in contrasto tra di loro, si pone l’obiettivo di ricercare una soluzione amichevole per comporre la controversia, con la possibilità di formulare una proposta di accordo.

Mediazione obbligatoria e facoltativa

La mediazione può essere obbligatoria o facoltativa. La mediazione è obbligatoria nei casi previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ossia quando il preventivo svolgimento di questa procedura rappresenta la condizione per poter procedere in giudizio.

La mediazione è facoltativa quando le parti non sono vincolate ad avviare la mediazione per poter  avviare eventualmente una causa giudiziaria, ma decidono volontariamente di farsi assistere da un mediatore per risolvere una controversia.

Domanda riconvenzionale

La condizione di procedibilità appena vista per la mediazione obbligatoria riguarda solo la domanda principale, non quella riconvenzionale. Lo hanno precisato le SU della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3452/2024, dopo aver spiegato la differenza tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale “eccentrica”, non subordinata cioè alla comunanza del titolo della domanda attorea. In presenza di questo tipo di domanda riconvenzionale, che allarga   l’oggetto del giudizio, la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione non contemplato. La condizione di procedibilità della mediazione nelle materie obbligatorie vale quindi solo per gli atti introduttivi e non per le domande riconvenzionali, che tuttavia devono essere discusse in sede di mediazione.

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Materie mediazione civile obbligatoria

Tornando alla mediazione obbligatoria essa è contemplata dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 quando le controversie vertono su determinate materie.

Chi vuole esercitare in giudizio un’azione per risolvere una controversia in una delle materie indicate dalla norma, deve quindi avviare, in via preliminare, la procedura di mediazione.

Queste le materie che richiedono il preventivo esperimento della mediazione se si vuole poi agire in giudizio:

  • condominio;
  • diritti reali;
  • divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari;
  • associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

Procedimento di mediazione

Il procedimento di mediazione presenta il primario vantaggio della durata. Essa non può superare la durata complessiva di tre mesi prorogabili di altri tre se le parti si accordano in forma scritta.

Per avviare la procedura è necessario fare domanda presso un organismo di mediazione, che provvede a fissare la data del primo incontro. Il procedimento richiede la partecipazione personale delle parti (e dei loro avvocati se la mediazione è obbligatoria o domandata dal giudice). In presenza di giustificati motivi tuttavia le parti possono delegare un rappresentante purché munito di procura e a conoscenza dei fatti. La  partecipazione personale è molto importante, il mancato rispetto di questa regola produce  effetti processuali negativi per le parti.

Del primo, così come degli incontri successivi, il mediatore redige apposito verbale.

Alla mediazione possono prendere parte anche degli esperti se la materia da trattare è moto tecnica.

La Riforma Cartabia ha previsto la possibilità di svolgere il procedimento di mediazione anche in modalità telematica. La disciplina di questa procedura particolare è contenuta nell’articolo 8 bis del decreto legislativo n. 28/2010.

Possibili esiti della mediazione civile

La  procedura di mediazione civile può avere diversi esiti. Se le parti raggiungono un accordo il mediatore ne da atto nel verbale. L’accordo è quindi redatto in formato analogico o digitale in tanti originali quanti sono le parti, a cui si aggiunge un originale da depositare presso l’organismo. Se con l’accordo le parti compiono uno degli atti contemplati dall’art. 2643 c.c. lo stesso va trascritto, ma un notaio deve prima autenticare le firme dell’accordo. Il verbale che contiene l’accordo inoltre, nei casi e nei modi previsti dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 28/2010, costituisce un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata.

La mediazione ha invece un esito negativo se le parti non raggiungono l’accordo. Anche in questo caso il mediatore deve darne atto nel verbale.

Costi della mediazione

La mediazione civile presenta un ulteriore vantaggio rispetto alla durata ridotta. Si tratta di una procedura che comporta costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per avviare e proseguire una causa giudiziale.

Se si avvia ad esempio una mediazione in una controversia che presenta un valore non superiore ai 5000 euro la partecipazione al primo incontro e il raggiungimento dell’accordo comportano un esborso di poche centinaia di euro. Ovviamente se il valore della controversia sale salirà anche il costo della mediazione. In ogni caso il risparmio rispetto a un procedimento giudiziale è notevole, grazie anche ai numerosi benefici fiscali rappresentati dai crediti di imposta descritti nell’articolo 20 del decreto legislativo n. 28/2010.

Negoziazione assistita e mediazione: differenze

La mediazione civile, così come la negoziazione, rappresenta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto ai processi. Nella mediazione però le parti, assistite dai loro avvocati, devono negoziare direttamente tra loro. Nella mediazione invece è il mediatore che aiuta le parti, eventualmente assistite dai loro avvocati, per fargli raggiungere un accordo.

Diverse sono anche le materie nelle quali si deve avviare una negoziazione o una mediazione così come è diversa la procedura, il rapporto con il processo, i costi e i benefici fiscali.

pratica forense

Pratica forense: linee guida del CNF Pratica forense: dal CNF importanti chiarimenti sul tirocinio degli aspiranti avvocati, informazioni di dettaglio sul tirocinio alternativo

Linee guida sulla pratica forense del CNF

Pratica forense, arrivano le linee guida del CNF. Dopo le numerose richieste di chiarimenti sulle norme in materia di tirocini formativi previsti per gli aspiranti avvocati, il CNF ha elaborato le linee guide sulla pratica forense.

L’obiettivo finale è di rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale il percorso formativo di coloro che si vogliono dedicare alla professione forense. Nelle linee guide il CNF dedica un’attenzione particolare al tirocinio alternativo. Per rendere tutto più chiaro il documento è corredato da schede e tabelle.

Definizione normativa di tirocinio professionale

L’articolo 41 della legge n. 247/2012 definisce il tirocinio professionale come l’addestramento teorico e pratico previsto per il praticante avvocato per consentigli di acquisire le capacità  necessarie, esercitare la professione di avvocato, gestire uno studio legale e fargli acquisire il contenuto dei principi etici e delle regole deontologiche della professione.

Formazione teorica

L’articolo 43 della legge n. 247/2012 stabilisce che la formazione teorica dell’aspirante avvocato è soddisfatta se il praticante frequenta con profitto i corsi di formazione ad indirizzo professionale organizzati dai consigli dell’ordine, dalle associazioni e dagli altri soggetti contemplati dalla legge per una durata non inferiore a 18 mesi.

Addestramento pratico ordinario all’esercizio della professione

Il praticante avvocato può soddisfare l’obbligo della pratica forense svolgendo il tirocinio:

  • nello studio di un avvocato che sia iscritto all’albo da non meno di 5 anni;
  • presso l’Avvocatura di Stato o in alternativa presso l’ufficio legale di un ente pubblico o un ufficio giudiziario per un periodo non superiore a 12 mesi;
  • presso lo studio di professionisti in possesso di un titolo equivalente a quello di avvocato e abilitati allo svolgimento della professione in un Paese UE diverso dall’Italia per una durata non superiore a sei mesi;
  • contestualmente all’iscrizione all’ultimo anno di corso di studio per conseguire il diploma di laurea in giurisprudenza e per non più di sei mesi nell’ipotesi contemplata dall’ 40 ossia in presenza di un accordo specifico tra università e ordine forense.

Tirocinio “alternativo”: tipologie

A quello ordinario si affiancano le seguenti tipologie di tirocinio alternativo:

Frequenza di uffici giudiziari e scuole di specializzazione

Dopo queste premesse di carattere generale il CNF procede alle necessarie distinzioni di funzionamento tra il tirocinio presso gli uffici giudiziari di cui all’art. 73 del n. 69/2013 e la frequentazione delle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 del Dlgs. 398/1997.

Pratica forense presso gli uffici giudiziari

I praticanti che svolgono il tirocinio presso gli uffici giudiziari possono convalidare il periodo di formazione necessario al compimento di un anno di tirocinio e svolgere il semestre residuo presso lo studio di un avvocato.

Chi ha iniziato questo tirocinio prima dell’entrata in vigore del dm 17/2018 non è obbligato a frequentare un corso di formazione.

Chi, al contrario, ha iniziato il tirocinio presso un ufficio giudiziario dopo l’entrata in vigore del dm del 2018, come ogni altro tirocinante che svolga il tirocinio nei modi ordinari, deve frequentare un corso di formazione.

Pratica forense e scuole di specializzazione

I tirocinanti che frequentano invece le scuole di specializzazione soddisfano solo la richiesta preparazione teorica. In questo caso il praticante deve svolgere quindi anche la pratica professionale nei modi contemplati dall’articolo 41, comma 6, della l. 247/2012.

Anche in questo caso operano le distinzioni necessarie per chi ha conseguito o iniziato il percorso per il diploma di specializzazione prima  o dopo il 1° aprile 2022.I primi non hanno l’obbligo di frequentare il semestre integrativo di corso di formazione per l’accesso”; i secondi invece sì.

L’iscrizione nel registro dei praticanti infine, a prescindere dal momento in cui venga effettuata , impone al laureato che ha frequentato una scuola di specializzazione di svolgere il periodo di pratica nelle modalità ordinarie o alternative.

 

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rifiuto ricovero

Rifiuto ricovero: il medico è libero se ha informato la paziente Il rifiuto al ricovero della paziente libera il medico da responsabilità se la informa adeguatamente sulle sue condizioni e sui rischi

Rifiuto ricovero e responsabilità medica

Il rifiuto al ricovero della paziente che poi muore, di regola, libera i sanitari da eventuali responsabilità, solo se gli stessi la hanno informata sulle sue reali condizioni di salute e sui rischi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21362/2024.

Concorso di colpa della paziente

Una donna si reca al Pronto Soccorso e viene sottoposta ad alcuni esami. I medici però non le  diagnosticano un’ischemia cerebrale. La patologia viene individuata in ritardo in un altro ospedale dopo una Tac. La struttura a cui la donna si è rivolta inizialmente e sicuramente responsabile. I giudici di merito però ritengono che il rifiuto della paziente al ricovero comporti a suo carico un concorso di colpa. La Corte d’appello infatti riduce il risarcimento del danno quantificato in primo grado.

Rifiuto al ricovero non accertato

I familiari della de cuius impugnano la sentenza d’appello  e contestano il concorso di colpa attribuito all’estinta. I congiunti della vittima ritengono errata la decisione di merito per l’erronea applicazione dell’articolo 1227 c.c. La norma stabilisce infatti la diminuzione del risarcimento se il fatto colposo concorre a cagionare il danno. Nel caso di specie però non sussisterebbe un fatto colposo del creditore causante danno, in quanto la …. non ha posto in essere alcun fatto colposo perché non ha firmato alcun rifiuto di ricovero”.

Nonostante ciò la Corte rigetta il motivo d’appello, affermando che “Il rifiuto del ricovero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima”, dando per scontato l’accertamento della sua esistenza.”

I consulenti comunque hanno concluso che, anche in presenza del rifiuto al ricovero, la corretta terapia anticoagulante sarebbe stata somministrata solo con due giorni di anticipo. Il danno oramai si era prodotto e tale danno deve imputarsi ai medici.

Motivazione apparente e concorso di colpa

La Cassazione si pronuncia sul ricorso principale accogliendo il secondo e terzo motivo, tra loro  collegati.

Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la motivazione apparente della sentenza nel capo che ripartisce la responsabilità tra medico e paziente. Con il terzo invece denunciano l’omessa decisione sul concorso di colpa della vittima nella misura del 50%. Una percentuale così alta è del tutto irragionevole, visto che il medico è stato ritenuto responsabile al 100%.

Mancata informazione sulle condizioni e sui rischi

Gli Ermellini ripercorrono gli atti di causa e rilevano come il secondo motivo in relazione al terzo siano fondati e quindi meritino di essere accolti.

I consulenti tecnici d’ufficio hanno evidenziato che se la paziente non avesse rifiutato il ricovero …….la diagnostica radiologica positiva del ….. sarebbe stata anticipata di due giorni con la possibilità di anticipare la protezione con gli anticoagulanti e di contenere e, ancorché con poco verosimile efficacia, gli insulti embolici … nei due emisferi.”

I familiari però, già in sede di appello, avevano contestato che “il rifiuto del ricovero ospedaliero non vi sarebbe stato, che comunque “né la … né i di lei famigliari che l’accompagnavano furono edotti – in modo conveniente – del reale quadro clinico della paziente e della conseguente necessità di disporre l’immediato ricovero” (che “gli stessi medici del Pronto Soccorso avrebbero dovuto loro stessi disporre”), e che dalla ricostruzione del fatto sarebbe emersa la responsabilità esclusiva del Ca.Sa. che avrebbe “palesemente” disatteso “le prescrizioni e i dettami dei “protocolli medici”. 

Da motivare la percentuale di colpa attribuita alla vittima

Dai rilievi sollevati dagli odierni ricorrenti però, compresa l’assenza di informazioni sul quadro clinico della de cuius, la corte d’appello non si è occupata. Essa si è limitata ad attribuire la colpa alla vittima nella misura del 50% senza motivare. La stessa si è limitata ad affermare che Il rifiuto di ricovero ospedaliero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima dato che, in ambiente ospedaliero, il paziente – che può essere seguito da una equipe di medici – è molto più tutelato per cui è normale pensare che il danno procurato dall’errore terapeutico del ….. avrebbe potuto essere attenuato”. 

La fondatezza di questo secondo motivo conduce alla fondatezza e all’accoglimento del terzo. La Corte avrebbe dovuto motivare con argomenti più chiari e specifici la misura percentuale della colpa attribuita alla vittima.

 

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Allegati

lavoro nero

Lavoro nero: come funzionano le sanzioni Lavoro nero: il vademecum dell’Ispettorato del Lavoro n. 1556/2024 spiega i meccanismi di applicazione delle sanzioni

Lavoro nero: il vademecum INL

Sul lavoro nero arriva la nota dell’Ispettorato del Lavoro n. 1556/2024. Il documento  chiarisce le modalità applicative della maxi sanzione contemplata dall’articolo 3 (commi 3 e 3 tre) del Decreto legge n. 12/2002 nelle ipotesi di lavoro sommerso.

Il tutto alla luce delle ultime novità introdotte da leggi e sentenze, soprattutto della Corte  di Cassazione.

Con questa nota l’Ispettorato del lavoro aggiorna il Vademecum  sulla maxi -sanzione da applicare in caso di lavoro nero ai datori di lavoro privati (esclusi quelli domestici o nell’ambito dei rapporti societari e familiari) e compresi gli enti pubblici economici tenuti a comunicare  il rapporto di lavoro.

Assunzione irregolare di lavoratori: illecito omissivo istantaneo

Il datore che impiega lavoratori con vincolo di subordinazione e omette la comunicazione preventiva di assunzione entro le 24 ore del giorno antecedente a quello in cui il rapporto si instaura, commette un illecito omissivo istantaneo ad effetti permanenti. Esso si consuma quando, trascorso il tempo richiesto dalla legge per comunicare l’avvenuta assunzione, la comunicazione non viene effettuata.

Per integrare l’illecito soggetto ala maxi sanzione occorre urini l’omessa comunicazione dell’assunzione in  relazione  al rapporto di lavoro subordinato.

Sanzioni: normativa applicabile

Dal punto di vista degli importi delle sanzioni, data la natura dell’ illecito, la normativa da applicare è quella vigente nel momento in cui il rapporto di lavoro irregolare si costituisce.

Per quanto riguarda invece la competenza ad emettere l’ordinanza ingiunzione per il pagamento della sanzione se il luogo in cui si consuma il reato non coincide con quello in cui viene accertato, il personale addetto deve trasmettere il rapporto all’Ispettorato che ha la competenza ad operare nel luogo in cui si trova la sede legale del responsabile per adottare poi l’ordinanza ingiunzione.

Lavoro nero: le sanzioni

Gli importi delle sanzioni variano in base alla durata dell’’illecito che coincide con l’impiego irregolare del lavoratore.

Al momento gli importi delle sanzioni sono i seguenti:

– da Euro 1.950,00 a Euro 11.700,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato fino a 30 giorni;

  • da Euro 3900,00 a Euro 23.400,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato da 31 a 60 giorni;
  • da Euro 7.800,00 a Euro 46.800,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato per più di 60 giorni.

Sanzioni aumentate: casi particolari

Il comma 3 quater dell’articolo 3 prevede un aumento degli importi delle sanzioni nella misura del 20% se vengono impiegati:

  • lavoratori stranieri;
  • minori che non possono lavorare perchè non hanno alle spalle 10 anni di scuola dell’obbligo e che non hanno compiuto i 16 anni di età;
  • beneficiari de reddito di cittadinanza;
  • beneficiari dell’assegno di inclusione o del supporto per a formazione e lavoro.

Sanzioni maggiorate per recidiva

Previste inoltre maggiorazioni nella misura del 60% per i datori di lavoro che nei tre anni precedenti l’illecito siano stati raggiunti da sanzioni penali o amministrative.

La recidiva sussiste nei seguenti casi:

  • se il soggetto sanzionato è la stessa persona fisica che ha trasgredito;
  • se il trasgressore è il destinatario delle sanzioni irrogate con provvedimenti definitivi nei tre anni anteriori alla commissione del nuovo illecito.

La maggiorazione per recidiva è esclusa nei seguenti casi:

  • estinzione degli illeciti amministrativi in presenza di un pagamento in misura ridotta;
  • in relazione a illeciti per i quali il trasgressore abbia provveduto ad effettuare i pagamenti previsti in adempimento alla prescrizione.

Maxi sanzione: casi di non applicazione

Tra i vari casi contemplati, la maxi sanzione non si applica nei seguenti casi:

  • se prima dell’accertamento il datore regolarizza spontaneamente il rapporto di lavoro in nero;
  • se il rapporto di lavoro è qualificato in modo diverso.

Maxi sanzione: ipotesi particolari di lavoro nero

Il vademecum contempla poi casi particolari di applicazione  della maxi sanzione nelle seguenti ipotesi:

  • prestazioni di lavoro che perseguono oltre il termine concordato dalle parti relativo ai contratti di lavoro a tempo determinato;
  • contratto di prestazione occasionale ai sensi dell’articolo 54 bis, comma 6 del DL n. 50/2017;
  • lavoro nero relativo ad appalto, distacco e somministrazione;
  • distacco transnazionale;
  • caporalato;
  • tirocinio extracurricolare;
  • lavoratori irregolari impiegati dagli enti del terzo settore;
  • lavoro occasionale in agricoltura;
  • collaborazioni occasionali art. 222 c.c.

 

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intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: divieti e sanzioni Intelligenza artificiale: le disposizioni del Regolamento UE 2024/1689 prevedono anche divieti e sanzioni non allineati dal punto di vista temporale

Intelligenza Artificiale: i divieti del regolamento UE

Divieti e sanzioni in materia di intelligenza artificiale. Il regolamento UE 2024/1689 che stabilisce le regole di armonizzazione sull’intelligenza artificiale contiene anche disposizioni dedicate alle pratiche vietate e alle sanzioni. Occorre tuttavia segnalare un certo disallineamento temporale tra i sistemi AI vietati e le sanzioni amministrative. I divieti dei sistemi di intelligenza artificiale più pericolosi sono infatti vietati a partire dal 2 febbraio del 2025, mentre le sanzioni potranno essere applicate dal 5 agosto 2025.

Pratiche di intelligenza artificiale vietate

I divieti relativi alle pratiche di intelligenza artificiale sono contenuti nell’articolo 5 del Regolamento.

Tutela dei diritti fondamentali

I divieti sono finalizzati a tutelare tutte quelle pratiche che possono ledere i diritti fondamentali delle persone.

  • È vietato utilizzare l’IA per manipolare le persone a loro insaputa, influenzando le loro decisioni in modo da causare danni significativi.
  • Non è permesso sfruttare le vulnerabilità di alcuni gruppi specifici (anziani, disabili o persone in situazioni economiche difficili) per manipolarne il comportamento.
  • È proibito creare sistemi che assegnano punteggi sociali alle persone. Questo potrebbe dare vita a discriminazioni.
  • Non si può utilizzare l’IA per predire la commissione di un reato basandosi solo su un profilo personale.
  • È fatto divieto di creare o ampliare banche dati di riconoscimento facciale tramite la raccolta indiscriminata di immagini da internet.
  • Non è consentito utilizzare l’IA per inferire le emozioni delle persone in ambienti lavorativi o scolastici. Le uniche eccezioni sono rappresentate da motivi medici o di sicurezza.
  • È proibito classificare le persone in base ai dati biometrici per trarre conclusioni su caratteristiche sensibili come la razza, le opinioni politiche o la sessualità.
  • L’impiego della biometria in tempo reale in spazi pubblici per finalità di sorveglianza è in genere vietato. Poche le eccezioni specifiche, come la ricerca di persone scomparse o la prevenzione di attacchi di stampo terroristico.

In base a quanto sancito dall’articolo 113 del Regolamento il capo II del Regolamento, che contiene anche il suddetto articolo 5 sulle pratiche vietate, si applica a partire dal 2 febbraio 2025.

Sanzioni amministrative

Il regolamento prevede l’applicazione di sanzioni amministrative qualora vengano violate le pratiche di AI vietate dall’articolo 5 appena analizzato, all’articolo 99 paragrafo 3.

La disposizione prevede nello specifico l’applicazione di sanzioni amministrative di importo fino a 35.000 euro. Qualora il responsabile del reato sia un’impresa, la sanzione viene applicata nella misura fino al 7% del fatturato annuo mondiale relativo all’anno precedente, se superiore.

In base a quanto previsto dall’articolo 113 del Regolamento l’articolo 99, compreso nel capo XII e dedicato appunto alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle pratiche vietate, è applicabile a partire dal 2 agosto 2025.

 

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radiato l'avvocato

Radiato l’avvocato che esercita anche se sospeso Radiato l’avvocato che esercita la professione forense anche se raggiunto dalla sanzione disciplinare della sospensione

Radiazione avvocato

Radiato l’avvocato responsabile di essersi appropriato di somme di denaro detenute per svolgere i suoi incarichi e che ha esercitato la professione abusivamente dopo che era stato sospeso dall’esercizio della professione a causa degli illeciti deontologici commessi. Con la pronuncia a SU n. 22986/2024 la Cassazione conferma le conclusioni del Consiglio Nazionale Forense, che ha sancito la definitività del provvedimento di radiazione.

Appropriazione di somme ed esercizio abusivo della professione

Alcuni clienti citano in giudizio un avvocato, per contestargli diverse violazioni del Codice deontologico. L’avvocato è ritenuto responsabile di essersi appropriato di somme di denaro detenute in virtù del mandato difensivo. Lo stesso inoltre ha esercitato la professione abusivamente nonostante il provvedimento di sospensione dell’Ordine degli Avvocati del 25 febbraio 2013. L’avvocato infine è accusato di aver trascurato gli interessi di una parte assistita e di non aver fornito alla stessa le informazioni necessarie, in violazione di precisi obblighi previsti dal Codice deontologico.

Radiazione definitiva e nullità procedimento disciplinare

L’avvocato contesta il provvedimento di radiazione innanzi al Consiglio Nazionale Forense, che con la sentenza del 3 ottobre 2023 statuisce “la definitività dei provvedimenti di radiazione dallalbo degli avvocati dellAvv. …. e per leffetto dichiara la nullità del procedimento disciplinare svoltosi a carico dello stesso avvocato innanzi al C.D.D di Cagliari, definito con provvedimento del 13/05/2022, depositato il 24/06/2022 e notificato in pari data.”

Processo estinto, radiazione illegittima

L’avvocato impugna la decisione in sede di Cassazione, contestando con il primo motivo la pronuncia di nullità del procedimento disciplinare. Il CNF avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del processo e la conseguente illegittimità della pronuncia con cui ha dichiarato lareviviscenza della sanzione irrogata in precedenza dal C.O.A.”.

Con il secondo motivo invece contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c. Il giudice di merito si sarebbe infatti pronunciato oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere in giudizio.” 

Sanzione efficace dalla definitività del provvedimento

Per la Cassazione entrambi i motivi sollevati presentano profili di inammissibilità legati a questioni di natura procedurale. Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

Tra le questioni fatte valere dall’avvocato merita però particolare attenzione l’eccepita prescrizione della sanzione disciplinare della radiazione. Per gli Ermellini infatti tale eccezione non è stata eccepita in relazione all’illecito disciplinare, ma alla sanzione irrogata.

L’avvocato sostiene infatti che la radiazione non sarebbe stata tempestivamente eseguita.”

Le deduzioni svolte però, come precisato dalla Cassazione, non tengono conto del fatto che la sanzione disciplinare della radiazione, tendenzialmente definitiva, produce i suoi effetti ex art. 62, comma 2, della legge n. 247/2012 dalla data in cui il provvedimento diviene definitivo (e, quindi, in caso di estinzione del processo ex art. 393 cod. proc. civ. dallo spirare del termine concesso per la riassunzione), tanto che è da quel momento che l’incolpato è tenuto ad astenersi dall’esercizio della professione o dal tirocinio senza necessità di alcun ulteriore avviso». La sanzione, quindi, è immediatamente efficace ex lege sicché, non dipendendo la sua esecuzione dall’attività successiva che li C.O.A. è chiamato a svolgere.”

 

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