affitti brevi decreto turismo

Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto Emanato il decreto del ministero del Turismo sulla interoperabilità tra banche dati turistiche e strutture ricettive

Decreto del ministero del turismo

Il 6 giugno 2024, il Ministero del Turismo ha emanato il decreto ministeriale che mette in pratica le disposizioni dell’articolo 13-ter, comma 13, del Decreto legge del 18 ottobre 2023, n. 145, trasformato in Legge con modifiche il 15 dicembre 2023, n. 191. Questo provvedimento definisce le modalità di coordinamento tra le banche dati nazionali delle strutture turistico-ricettive e delle unità immobiliari affittate per brevi periodi o scopi turistici con quelle delle regioni e delle Province autonome.

Il Decreto ministeriale del 6 giugno 2024 segna un passo significativo verso una maggiore trasparenza e coordinamento nel settore turistico italiano. La BDSR e il CIN rappresentano strumenti cruciali per garantire la correttezza e la legalità delle attività ricettive, tutelando al contempo consumatori e operatori del settore.

Dettagli del decreto: Allegati A e B

Le specifiche tecniche per l’interoperabilità tra queste banche dati sono descritte negli allegati A e B del decreto, che ne costituiscono parte integrante.

BDSR e CIN: novità 2024

La Banca Dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili per locazioni brevi o scopi turistici (BDSR), istituita dall’articolo 13-quater, comma 4, del Decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modifiche nella legge del 28 giugno 2019, n. 58, è un elemento chiave per garantire la protezione dei consumatori, la concorrenza leale e la trasparenza nel mercato turistico.

Funzionalità della BDSR

La BDSR facilita il coordinamento delle informazioni tra amministrazioni statali e locali, offrendo una mappatura dettagliata delle strutture ricettive a livello nazionale e contribuendo a combattere l’ospitalità irregolare. I dati raccolti includono:

  • la tipologia tipo di alloggio;
  • l’ubicazione;
  • la capacità di accoglienza;
  • il gestore dell’alloggio;
  • il codice identificativo regionale, se presente, o codice alfanumerico unico.

La BDSR permette anche l’emissione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), come previsto dalla normativa sulle locazioni turistiche e brevi.

Interoperabilità banche dati nazionali, regionali e province

Il Decreto del 6 giugno 2024 definisce due fasi principali per l’attivazione e il funzionamento della BDSR.

Fase 1: Pilota

Durante la fase “Pilota”, il Ministero del Turismo, in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, prepara la BDSR per il funzionamento completo. I dati essenziali sono trasmessi entro 15 giorni dalla pubblicazione del decreto tramite un file CSV standardizzato e il Ministero fornisce supporto tecnico per risolvere eventuali criticità. In questa fase viene assegnato un Codice Identificativo Nazionale provvisorio (CIN 1).

Fase 2: Messa in esercizio

La Fase 2 prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, entro il 1° settembre 2024, di un avviso che conferma l’attivazione della BDSR e del portale telematico del Ministero del Turismo per l’assegnazione del CIN.

Procedura di integrazione dati obbligatori

Una volta attivata la BDSR, i titolari e i gestori delle strutture ricettive, nonché i locatori, devono completare e aggiornare le informazioni relative alle loro proprietà per avere il CIN. L’accesso alla piattaforma avviene tramite SPID, e il sistema riconosce automaticamente le strutture associate all’utente, permettendo l’inserimento o la correzione dei dati mancanti.

Gestione delle anomalie

Se una struttura non è presente nella BDSR o se non si riesce ad accedere al database, è necessario segnalare il problema alle Regioni e Province autonome competenti tramite una procedura telematica. Le autorità hanno 30 giorni per verificare la conformità della struttura alle normative. Se la verifica è positiva, il dato viene aggiornato e il CIN verificato rilasciato. In caso contrario, il CIN non sarà rilasciato o sarà revocato se successivamente risulta non conforme.

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ragionevole durata procedimento amministrativo

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo Principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo: se il procedimento è ablatorio o sanzionatorio  il termine non deve superare i 10 anni

Termini del procedimento amministrativo: legge 241/1990

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo è sancito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’azione della PA deve essere infatti improntata ai criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza e ai sensi dell’articolo 2, in base alla tipologia di provvedimento da adottare,  il procedimento deve concludersi entro il termine di 30 giorni, 90 giorni, 180 giorni, che decorrono “dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.   

Ragionevole durata dei procedimenti ablatori e sanzionatori

Come ricordato però dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 408/2022 anche “lart. 97 Cost. contiene in sé limplicita valorizzazione (o addirittura formulazione) del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo; principio operante nellordinamento quale diritto vivente, soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori e/o di procedimenti di controllo volti alladozione di atti di ritiro.” 

Questo perché il rispetto dei termini assicura  anche il rispetto del principio di certezza del diritto in quando il decorso eccessivo del tempo crea incertezza e incide  sulle scelte di vita delle persone e delle imprese.

Termine decennale

Sul principio di ragionevole durata del processo amministrativo in presenza di un atto di revoca della PA si è espresso di recente il TAR della Campania, nella sentenza n. 1876/2024. La decisione ha posto fine alla controversia avente ad oggetto la revoca del beneficio amministrativo, affermando che il procedimento è stato eccessivamente lungo. La concessione provvisoria del beneficio è avvenuta nel 2004, mentre la procedura di revoca è iniziata solo nel 2018, concludendosi definitivamente nel 2019. Questo lungo intervallo di tempo è stato ritenuto in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo.

Secondo la giurisprudenza, l’amministrazione deve rispettare la durata ragionevole del procedimento, soprattutto quando si tratta di procedimenti sanzionatori o ablatori che incidono sui diritti dei privati. La legge prevede che ogni procedimento amministrativo debba concludersi entro un termine prefissato, con conseguenze per la responsabilità dell’amministrazione in caso di ritardo.

La riforma Madia del 2014 e il Decreto Semplificazioni del 2020 hanno ulteriormente rafforzato questo principio, stabilendo termini perentori per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado e prevedendo l’inefficacia di provvedimenti tardivi in determinate ipotesi.

In questo caso, la clausola di provvisorietà del provvedimento che aveva accordato la concessione del contributo va interpretata come una condizione risolutiva, che permette all’amministrazione di recuperare le somme erogate in caso di esito negativo del controllo. Tuttavia, tale clausola non può essere utilizzata per procrastinare sine die il potere di controllo dell’amministrazione, in quanto contraria ai principi di buona fede, correttezza e ragionevole durata del procedimento. Di conseguenza, la clausola in questione deve essere considerata illegittima nella parte in cui consente una durata indefinita del procedimento di verifica.

La giurisprudenza

Il TAR esamina varie possibili soluzioni per determinare un termine ragionevole per la conclusione del procedimento di controllo:

  1. applicare il termine generale di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990;
  2. applicare l’art. 21 quinquies della stessa legge, che consente la revoca dei provvedimenti senza limiti di tempo, ma con obbligo di indennizzo;
  3. applicare l’art. 21 nonies, che prevede un termine massimo di 12 mesi per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti;
  4. applicare il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 per i procedimenti sanzionatori.

Il Collegio ritiene che né l’art. 21 quinquies né l’art. 21 nonies siano applicabili in questo caso, poiché il provvedimento revocato non era illegittimo. Neanche il termine generale di 30 giorni è ritenuto applicabile, poiché non è perentorio.

Pertanto, la durata ragionevole del procedimento deve essere determinata considerando altri parametri, come il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione di indebito o il termine quinquennale per i procedimenti sanzionatori.

La giurisprudenza europea sottolinea che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle decisioni amministrative solo se pregiudica i diritti della difesa.

Inoltre, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che la durata del procedimento deve essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli per garantire la certezza giuridica e l’effettività del diritto di difesa.

Al termine delle suddette considerazioni il Collegio stabilisce che per i procedimenti afflittivi, come quello di revoca del caso di specie, il termine ragionevole può essere il termine decennale, che corrisponde al termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di indebito.

adempimento collaborativo riforma fiscale

Adempimento collaborativo: il nuovo codice di condotta In Gazzetta Ufficiale i decreti del ministero dell'economia e delle finanze che, nell'ambito della riforma fiscale, modificano il regime dell'adempimento collaborativo

Decreti adempimento collaborativo

Nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 7 giugno 2024 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, incentrati sull’adempimento collaborativo:

  • il Decreto del 29 aprile 2024, intitolato “Approvazione del codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo”;
  • il Decreto del 20 maggio 2024, che introduce modifiche significative al decreto del 15 giugno 2016 sull’interpello per i contribuenti che aderiscono a questo regime.

Le nuove disposizioni mirano a rafforzare la trasparenza e la collaborazione tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, favorendo un ambiente fiscale basato sulla fiducia reciproca e sulla certezza del diritto. Questi cambiamenti rappresentano un passo significativo verso un sistema fiscale più equo e trasparente, promuovendo una cultura di compliance responsabile e proattiva.

Adempimento collaborativo e riforma fiscale

Il Decreto Legislativo n. 221/2023, in vigore dal 18 gennaio 2024, ha riformulato il Decreto Legislativo n. 128/2015, ridefinendo il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance). Questo regime, riservato ai contribuenti con un volume di affari o ricavi non inferiore a 750 milioni di euro per l’anno 2024, vedrà una progressiva riduzione della soglia fino a 100 milioni di euro entro il 2028.

Questi cambiamenti, introdotti dall’articolo 17 della Legge 9 agosto 2023, n. 111, mirano a consolidare un rapporto di fiducia e collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Il nuovo regime enfatizza un dialogo costante e preventivo con l’Agenzia delle Entrate, promuovendo un ambiente di maggiore trasparenza e certezza del diritto.

Nuovo Codice di condotta contribuenti

Il Decreto Ministeriale del 29 aprile 2024 introduce il nuovo Codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo. Questo codice, conforme al Decreto Legislativo n. 221/2023, stabilisce gli impegni reciproci tra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria. La sottoscrizione del Codice avviene al momento dell’ammissione al regime e vincola le parti dal periodo d’imposta in cui viene inviata la domanda di adesione.

I principali impegni includono:

  • cessazione delle politiche di riduzione del carico fiscale: i contribuenti devono abbandonare pratiche aziendali finalizzate principalmente alla minimizzazione delle imposte;
  • adozione di pratiche di trasparenza e cooperazione: le aziende devono promuovere una cultura di trasparenza e cooperazione con l’Amministrazione finanziaria.

Le società già aderenti al regime devono conformarsi al Codice entro il 5 ottobre 2024, come previsto dalle disposizioni transitorie del decreto.

Doveri dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nel contesto del regime di adempimento collaborativo, deve rispettare rigorosi obblighi di riservatezza. Le informazioni raccolte nel corso del rapporto con i contribuenti sono protette dal segreto d’ufficio e trattate con la massima cautela.

L’Agenzia si impegna a collaborare in modo trasparente, proteggere i dati acquisiti e utilizzare le informazioni sui rischi fiscali solo per le verifiche relative al regime collaborativo. Inoltre, evita di avviare controlli basati su informazioni acquisite per periodi antecedenti all’ingresso nel regime.

Impegni dei contribuenti

I contribuenti che vengono ammessi al regime di adempimento collaborativo devono aderire a standard elevati di legalità e di trasparenza, includendo:

  • trasparenza fiscale e comportamento etico: promuovere una cultura aziendale fondata sul rispetto delle regole in materia fiscale;
  • bassa propensione al rischio fiscale: rispettare le regole fiscali, della trasparenza e prevenzione della frode fiscale;
  • gestione efficace del rischio fiscale e della Tax compliance: implementare sistemi di controllo del rischio fiscale integrati nella governance aziendale;
  • rapporto trasparente con le autorità fiscali: favorire un dialogo costruttivo e trasparente con l’Amministrazione finanziaria.

Interpello: le novità

Il Decreto Ministeriale del 20 maggio 2024 apporta importanti novità al procedimento di interpello, rafforzando il contraddittorio e assicurando maggiore trasparenza.

Esso introduce ex novo l’articolo 9-bis, che prevede una procedura dettagliata per l’invito al contraddittorio in caso di risposta sfavorevole all’istanza di interpello.Prima di procedere alla notifica di una decisione sfavorevole, l’ufficio deve comunicare al contribuente una sorta di schema di risposta preliminare, concedendo al contribuente almeno 30 giorni per presentare osservazioni.

Il nuovo articolo 9-ter regola infine il contraddittorio nelle comunicazioni di rischio fiscale, garantendo al contribuente un termine di trenta giorni per le osservazioni.

autovelox tutor telelaser decreto

Autovelox, tutor e telelaser: cosa cambia  Il decreto sulle modalità e la collocazione degli autovelox e dei dispositivi di rilevazione della velocità assicura sicurezza e trasparenza

Decreto autovelox: trasparenza e sicurezza

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dell’11 aprile 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2024, introduce importanti cambiamenti per autovelox, tutor e telelaser, a tutela degli automobilisti.

Il provvedimento si occupa della segnalazione preventiva dei sistemi di rilevazione della velocità e dei luoghi di installazione di queste apparecchiature. Queste modifiche mirano a migliorare la sicurezza stradale e a garantire una maggiore trasparenza e correttezza nell’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità, al fine di accertare le violazioni di cui all’articolo 142 del Codice della Strada.

La normativa rappresenta un passo avanti significativo nel controllo della velocità sulle strade italiane, limitando gli abusi e focalizzando l’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità in aree veramente critiche.

Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento.

Autovelox: uso limitato

Gli autovelox non possono essere installati sulle strade urbane che presentano limiti di velocità inferiori a 50 km/h, tranne il caso in cui non sia prevista la contestazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine. Questo per evitare sanzioni ingiuste in aree urbane caratterizzate da un andamento a bassa velocità.

Sotto i 50 km contestazione immediata

Per velocità inferiori ai 50 km/h, è prevista la contestazione immediatamente per mezzo di dispositivi mobili nei contesti urbani. Qualora non sia  possibile collocare postazioni fisse o mobili visibili, si possono impiegare dispositivi a bordo di veicoli in movimento. Questo cambiamento assicura che le sanzioni siano immediate e verificabili sul posto.

Collocazione: parola ai Prefetti

Le decisioni relative alla collocazione degli autovelox spetta ai dai prefetti, non ai comuni come prima della riforma. Questo sposta il potere decisionale a un livello superiore, limitando l’installazione degli autovelox in quei tratti di strada ad alto tasso di incidenti o nei quali è problematico eseguire contestazioni immediate. Questa centralizzazione mira a ridurre gli abusi da parte dei comuni.

Misurazione media

Per le strade extraurbane, ove possibile, si predilige la misurazione della velocità media su un tratto di strada prestabilito, anziché quella istantanea.

Dispositivi a bordo dei veicoli

L’utilizzo di autovelox a bordo di veicoli in movimento è consentito solo su strade o tratti di strada dove non sia possibile installare postazioni fisse o mobili. In tal caso, la segnaletica di preavviso deve essere integrata da un pannello luminoso con la scritta “Autovelox mobile in servizio”.

Segnalazione

I limiti di velocità devono essere segnalati a una distanza non inferiore a 1 km, prima della postazione dell’autovelox. Questa misura, che ribadisce una normativa già esistente, garantisce agli automobilisti il tempo sufficiente per adeguare la velocità prima di incontrare un dispositivo di rilevazione. Il dispositivo deve essere posizionato inoltre in modo tale da essere ben visibile agli automobilisti, anche in condizioni di scarsa illuminazione.

Omologazione

Il decreto non risolve completamente la questione dell’omologazione degli autovelox, anche se ribadisce l’importanza di avere dispositivi omologati per evitare controversie legali. Gli autovelox dovranno infatti essere omologati, e i Comuni e le Province avranno 12 mesi per disinstallare quelli non conformi. I dispositivi devono essere sottoposti inoltre a taratura periodica con cadenza stabilita dal Ministero.

Distanze minime di segnalazione

Previste distanze minime da rispettare tra il cartello di segnalazione del limite di velocità e il dispositivo di rilevazione della velocità:

  • 200 metri nelle strade di scorrimento urbane.
  • 75 metri nelle altre strade urbane.
  • 1 chilometro nelle strade extraurbane.

Gli automobilisti possono contare in questo modo su una segnalazione posta a una distanza adeguata e avere il tempo necessario per adottare la condotta più corretta, riducendo sia il rischio di sinistri che di sanzioni amministrative.

Multa unica per infrazioni ravvicinate

Se un automobilista viene multato da più autovelox entro un’ora sullo stesso tratto di strada gestito da un unico ente, deve pagare una sola multa, quella più severa. Questo evita la sovrapposizione delle sanzioni in brevi intervalli di tempo.

Gestione alle Forze di polizia

Le spese di accertamento devono essere documentabili e includere solo i costi per l’individuazione del trasgressore nelle banche dati pubbliche. La gestione delle apparecchiature è riservata alle forze di polizia, con attività minori affidate ai privati.

Rispetto della privacy

I dispositivi di autovelox devono rispettare la normativa sulla privacy (GDPR e Codice Privacy). Il titolare del trattamento (es. la Polizia Stradale) deve adottare misure di sicurezza per proteggere i dati personali. I dati devono essere trattati solo per l’accertamento delle infrazioni stradali e conservati per il tempo strettamente necessario.

Le immagini che costituiscono prove di infrazione non devono essere inviate al domicilio del proprietario del veicolo con il verbale. Il proprietario del veicolo può richiedere di visionare le immagini per conoscere l’effettivo autore della violazione. In tal caso, i volti e le targhe di altri veicoli ripresi saranno oscurati.

I dati personali possono essere trattati solo per le finalità previste dalla legge e nel rispetto dei principi di minimizzazione e riservatezza.

È vietato l’utilizzo di autovelox che effettuino la ripresa frontale del veicolo se l’apparecchiatura memorizza immagini delle persone a bordo. Sono consentiti solo dispositivi che oscurano automaticamente i volti.

 

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quota tfr

Quota TFR coniuge divorziato: quando spetta La quota al TFR del coniuge lavoratore spetta al coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e sia titolare dell’assegno di divorzio

Quota TFR coniuge divorziato: la norma

L’articolo 12 bis della legge n. 898 del 1970 stabilisce che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto (TFR) percepita dall’altro coniuge. Tuttavia, questo diritto è soggetto a specifici requisiti. Vediamo insieme cosa prevede la legge e quali sono i dettagli cruciali per ottenere questa quota.

Requisiti per il diritto alla quota TFR

Affinché il coniuge divorziato abbia diritto a una percentuale del TFR lo stesso non deve essere passato a nuove nozze. Questo è il primo requisito fondamentale previsto dalla normativa.

Il secondo requisito che la legge richiede per avere diritto a una quota del TFR, è la titolarità dell’assegno di divorzio. Il coniuge divorziato deve essere cioè titolare di un assegno divorzile ai sensi dell’articolo 5 della stessa legge. Senza l’assegno divorzile, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

La misura della quota TFR

La quota percentuale della quota TFR spettante al coniuge divorziato è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Questo significa che la quota viene calcolata solo per gli anni di lavoro in cui i coniugi sono rimasti sposati.

Tempi della richiesta

Un aspetto che spesso è fonte di confusione è la tempistica della richiesta di divorzio in relazione al diritto al TFR.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5553/1999 ha chiarito che affinché il coniuge divorato possa avere diritto alla quota del TFR, è necessario che la domanda di divorzio sia stata presentata prima che, in capo al lavoratore, sorga il diritto al percepimento del TFR.

Con la sentenza n. 4360/2023, la Cassazione ha ulteriormente chiarito due aspetti cruciali:

  • il diritto del lavoratore al TFR sorge quando cessa il rapporto di lavoro, senza che assuma rilievo la data in cui il TFR viene materialmente incassato. Dalla cessazione del rapporto decorre anche la prescrizione del diritto a chiedere il pagamento del TFR;
  • il momento invece in cui la domanda di divorzio deve intendersi presentata coincide con la data del deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale competente. Se il ricorso viene depositato dopo la cessazione del rapporto di lavoro del coniuge, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

Consideriamo un caso specifico per comprendere meglio. Se il rapporto di lavoro del coniuge viene a cessare il 10 giungo 2024 luglio 2024, l’altro coniuge non avrà diritto a una percentuale del TFR se il ricorso per il divorzio viene depositato in cancelleria dopo questa data.

Quando non spetta la quota di TFR

Alla luce di quanto sopra detto si può concludere che la quota TFR del coniuge lavoratore non spetta al coniuge divorziato a cui non sia stato riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio e al coniuge che, dopo il divorzio, sia passato a nuove nozze. La quota inoltre non spetta se la domanda di divorzio viene presentata dopo che, in capo al coniuge lavoratore, sia maturato il diritto al TFR.

decreto caivano

Decreto Caivano Il decreto Caivano contiene misure di contrasto alla criminalità giovanile, all’abbandono scolastico e al degrado urbano nelle aree più esposte del territorio

Decreto Caivano: la ratio

Il “Decreto Caivano” è stato emanato dal governo italiano come risposta urgente a una serie di episodi di criminalità giovanile e degrado urbano che hanno colpito alcune zone del paese, tra cui il comune di Caivano, in provincia di Napoli. Il decreto n. 123/2023, convertito in legge con modifiche, rappresenta un tentativo di affrontare problematiche sociali e di sicurezza in modo strutturato. Esso mira a contrastare fenomeni di criminalità minorile, degrado urbano e sociale in aree particolarmente colpite da questi problemi. L’obiettivo principale è ripristinare la sicurezza e promuovere la riqualificazione sociale ed economica attraverso interventi mirati.

Principali misure del decreto Caivano

Il decreto contempla una serie di misure multidimensionali, tra le quali assumono un particolare rilievo quelle dedicate ai minori.

Daspo urbano: il provvedimento lo estende a coloro che hanno compiuto gli anni 14. Viene introdotto anche il Daspo Willy per contrastare i fenomeni di movida violenta.

Lotta ai reati in materia di sostanze stupefacenti e di armi. Più elevate le sanzioni per il porto d’armi e lo spaccio di sostanze stupefacenti, per il quale la pena massima sale a cinque anni. Introdotto il reato di pubblica intimidazione attraverso luso delle armi, che viene punito con il carcere da tre a otto anni.

Prevenzione della violenza giovanile anche tramite l’avviso orale, che vale per i minori maggiori di 14 anni.

Divieti per dispositivi di telecomunicazioni e sistemi informatici: per chi ha violato l’avviso orale viene previsto il divieto di utilizzo di dispositivi di comunicazione.

Ammonimento per i minori di età compresa tra i 12e i 14 anni qualora commettano gravi reati.

Il processo penale minorile viene riformato. Previste nuove misure di natura cautelare e percorsi di rieducazione.

Regole nuove per i minori coinvolti in reati di particolare gravità come quelli relativi al traffico di sostanze stupefacenti o mafia. Rafforzata nel contempo la sicurezza all’interno degli istituti penali per i minorenni.

Viene ampliata lofferta educativa all’interno delle scuole meridionali e vengono adottate nuove misure al fine di contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico.

A tutela dei minori che utilizzano dispositivi informatici viene introdotto l’obbligo, a carico dei siti pornografici, di adottare i sistemi che consentano di accertare la maggiore età dell’utente.

Durante il processo di conversione in legge, il testo originario del Decreto Caivano è stato modificato per migliorare l’efficacia delle misure proposte e rispondere alle critiche e ai suggerimenti emersi dal dibattito pubblico e parlamentare.

Il decreto, nella sua versione convertita in legge con modifiche, rappresenta un tentativo significativo di affrontare problemi complessi di criminalità e degrado urbano attraverso un approccio integrato e multidimensionale. Le modifiche apportate durante il processo legislativo hanno migliorato il testo originale.

Sono stati introdotti meccanismi di partecipazione attiva delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi.

È stata rafforzata la tutela dei diritti civili dei residenti, con l’introduzione di garanzie per evitare abusi.

Viene previsto un potenziamento del supporto psicologico e sociale per le vittime di reati e per i minori coinvolti in situazioni di rischio.

Implicazioni per le comunità interessate

La versione definitiva del Decreto Caivano ha indubbie e significative implicazioni per le comunità coinvolte.

Le misure adottate mirano a migliorare la sicurezza pubblica e a ridurre il crimine nelle aree colpite. L’aumento della presenza delle forze dell’ordine e l’uso di tecnologie avanzate contribuiscono a un controllo più efficace del territorio.

Gli interventi di riqualificazione urbana e i progetti educativi e formativi sono volti a migliorare le condizioni sociali ed economiche, offrendo nuove opportunità ai giovani e alle famiglie.

Il coinvolgimento attivo delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi favorisce un approccio più inclusivo e partecipativo, aumentando la coesione sociale e il senso di appartenenza.

La legge prevede infine  meccanismi di monitoraggio e valutazione che garantiranno l’adattamento delle misure alle esigenze reali delle comunità, promuovendo una sostenibilità a lungo termine degli interventi.

Allegati

tabelle milanesi 2024

Danno non patrimoniale: le tabelle milanesi 2024 Aggiornate le Tabelle milanesi 2024 per il risarcimento del danno alla persona, novità anche sul danno biologico e la capitalizzazione anticipata della rendita

Tabelle milanesi: liquidazione del danno alla persona

Con l’entrata in vigore delle Tabelle milanesi 2024, il panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia subisce un importante aggiornamento.

Le nuove tabelle, elaborate dall’Ordine degli Avvocati di Milano, rappresentano un punto di riferimento fondamentale per la liquidazione dei danni non patrimoniali derivanti da lesioni fisiche o psichiche. A stabilirlo era stata la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011, che ha avuto un impatto significativo nella giurisprudenza italiana in materia di risarcimento del danno alla persona.

La sentenza ha stabilito infatti che i valori di riferimento per la liquidazione del danno adottati dal Tribunale di Milano rappresentano il parametro equo da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti elementi particolari che giustifichino un aumento o una diminuzione del risarcimento. Ciò significa che i giudici, nel determinare il risarcimento del danno alla persona, in primis devono fare riferimento ai valori indicati nelle tabelle milanesi. Tali valori rappresentano un riferimento oggettivo e uniforme per la valutazione del danno, che garantisce parità di trattamento a tutti i danneggiati. Le novità introdotte dalle Tabelle Milanesi 2024 riguardano in particolare il danno biologico, il danno morale e la capitalizzazione anticipata della rendita.

Tabelle di Milano aggiornate al costo della vita

Le Tabelle Milanesi 2024 confermano il metodo di valutazione del danno biologico basato su punti di invalidità ed età del danneggiato. I valori monetari assegnati a ciascun punto di invalidità sono stati rivalutati del 16,2268%, in linea con l’aumento del costo della vita registrato dall’ISTAT. Il valore del punto del danno biologico per un’invalidità dell’1% sale a 1.393,28 euro.

In relazione al danno permanente le tabelle contemplano una liquidazione del danno congiunta, che comprende:

  • le lesioni permanenti, che possono essere accertate dal medico legale;
  • la sofferenza soggettiva presunta, che dipende dal tipo di lesione subita.

Per le lesioni comuni le tabelle prevedono valori medi, ma il danno può essere personalizzato in misura percentuale fino al 50%, tenendo conto di particolari situazioni soggettive del danneggiato. In questo modo è possibile valutare equamente e adeguatamente il danno, valutando tutte le peculiarità del caso concreto.

Le tabelle relative al danno temporaneo, al pari di quelle delle lesioni permanenti, prevedo valori medi giornalieri, aumentabili anch’essi fino al 50%, in base alle circostanze specifiche del caso concreto. Il valore per la liquidazione del danno non patrimoniale relativa a un giorno di inabilità temporanea assoluta sale a 115,00 euro.

Per  entrambe le tipologie di danno il vengono presi in considerazione l’aspetto dinamico relazionale e la sofferenza soggettiva.

Capitalizzazione anticipata della rendita

Le Tabelle Milanesi 2024 aggiornano anche i criteri per la capitalizzazione anticipata della rendita indennitaria, ovvero la conversione in un capitale di una somma da erogarsi periodicamente alla vittima. I nuovi valori tengono conto dell’andamento dei tassi d’interesse e dei coefficienti di mortalità.

Restyling grafico

Rivisitata anche la veste grafica delle tabelle al fine di agevolare il lavoro degli operatori grazie alla esplicitazione degli addendi monetari delle varie componenti del danno non patrimoniale già inclusi nel totale della colonna 5 e calcolabili in precedenza attraverso una semplice operazione aritmetica.

In questo modo si vuole scongiurare l’utilizzo della tabella come una scorciatoia, considerato che spesso che i giudici la utilizzavano senza tenere conto delle necessarie personalizzazioni relative agli aspetti dinamico relazionali e alle sofferenze morali.

Come chiarito dall’Osservatorio “l’applicazione della tabella non esonera affatto il giudice dallobbligo di motivazione in ordine al preventivo è necessario accertamento dellan debeatur ed in ordine alla congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegati trovate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della ctu”. 

Flessibilità e personalizzazione del risarcimento

L’aggiornamento delle Tabelle Milanesi 2024 rappresenta un passo avanti importante nel panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia. L’aumento dei valori del danno biologico e la maggiore flessibilità nella personalizzazione del risarcimento consentono alle vittime di ottenere un ristoro più equo e adeguato ai danni subiti.

Allegati

veranda abusiva condono

Veranda abusiva: si può sanare? Ecco quali sono le verande che possono essere condonate grazie alle nuove regole del decreto Salva casa

Sanatoria verande abusive

Con l’entrata in vigore del decreto “Salva Casa” n. 69/2024, pubblicato sulla GU del 29.05.2024, molti italiani si chiedono se sia possibile sanare una veranda abusiva, specialmente se chiusa e arredata. Tali verande sono comuni e spesso vengono realizzate per chiudere porticati o balconi, trasformandoli in cucine o bagni, completi di impianti idrici e sanitari.

Questi abusi edilizi, se non regolarizzati, possono complicare la vendita degli immobili. Per evitare queste complicazioni il decreto “Salva casa”consente ai proprietari di immobili di regolarizzare le piccoli difformità edilizie, al fine di tutelare l’interesse pubblico alla circolazione dei beni immobili.

Vetrate panoramiche amovibili: non occorrono permessi

Attenzione però, le verande non sono tutte uguali. Alcuni tipi non richiedono permessi particolari o autorizzazioni preventive per la loro installazione perché rientranti nella categoria delle opere di edilizia libera. Ne sono un esempio le VEPA, ossia le verande panoramiche amovibili, strutture trasparenti e scorrevoli che proteggono dal sole e dagli agenti atmosferici.

Il Decreto Aiuti del 2022 le aveva liberalizzate, permettono infatti l’installazione permessi, a condizione di non creare nuovi volumi stabili.

Verande chiuse: quali autorizzazioni

Occorre premettere che il Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) richiede il permesso di costruire per nuove strutture e la Cila o Scia per interventi di manutenzione straordinaria. La creazione di una nuova veranda chiusa richiede, di regola, uno di questi permessi, se aumenta il volume abitabile dell’unità immobiliare e se modifica la forma dell’edificio.

Verande sanabili con il “Salva casa”

Il decreto “Salva Casa”, interviene proprio su questo tipo di opere, per cui le verande chiuse, arredate e attrezzate possono essere sanate, a condizione però che non abbiano alterato significativamente la volumetria dell’immobile.

Per consentire questa “sanatoria” però il decreto “Salva casa” ha ampliato i limiti di tolleranza delle difformità edilizia, rispetto a quelli previsti dal Decreto Semplificazioni, stabilendo le seguenti misure percentuali:

  • 5% per unità con superficie utile inferiore a 100 mq;
  • 4% per superfici tra 100 e 300 mq;
  • 3% per superfici tra 300 e 500 mq;
  • 2% per superfici superiori a 500 mq.

In relazione a un appartamento di 100 mq quindi il proprietario può sanare una veranda di 5 mq sfruttando la tolleranza del 5%.

Doppia conformità: non serve dopo il Salva casa

Qualora le opere realizzate superino i limiti di tolleranza stabiliti dal “Salva casa”  è comunque possibile procedere alla loro sanatoria, ma con il permesso di costruire, la Scia in sanatoria (articoli 36 e 37 del Tu dell’Edilizia) e sostenendo il costo della sanzione amministrativa prevista.

In questi casi però è richiesto il rispetto della doppia conforme. Le opere devono essere cioè conformi alla disciplina vigente nel momento in cui l’opera è stata realizzata e a quella vigente al tempo della presentazione della domanda in sanatoria, regola che il decreto “Salva Casa” non richiede. Grazie a questo provvedimento è infatti possibile sanare le opere solo in base alla normativa vigente al momento della realizzazione, sempre ovviamente, nel rispetto delle soglie di tolleranza previste dal “Salva casa”.

Procedura di sanatoria

Dopo tanta teoria, cosa si deve fare se si vuole sanare una veranda abusiva? Prima di tutto bisogna presentare una domanda al Comune con un progetto descrittivo e una relazione tecnica asseverata. Fatto questo si deve procedere al pagamento di una sanzione, il cui importo varia dai 1.032 ai 30.984 euro, in base all’aumento di valore dell’immobile.

Verande in condominio

Chi vuole realizzare una veranda in una proprietà compresa all’interno di un edificio condominiale   deve prestare un’attenzione particolare. In questo caso occorre infatti rispettare sia le norme edilizie che il regolamento condominiale per assicurarsi che la veranda non danneggi il decoro architettonico dell’edificio.

condizionatori condominio

Condizionatori in condominio: vanno rimossi se non autorizzati I motori dei condizionatori presenti nella facciata condominiale sono innovazioni che ledono il decoro del condominio e vanno rimossi se non autorizzati

Motori dei condizionatori in facciata: innovazione lesiva

I motori esterni dei condizionatori posizionati nella facciata del Condominio rappresentano un’innovazione che richiede la preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale. Vanno quindi rimossi i motori dei condizionatori dismessi e inutilizzati sorretti dai loro supporti e posizionati in facciata perché ledono l’estetica del Condominio e sono comunque suscettibili di recare molestia e danni diretti o indiretti. Questa in sintesi la decisione del Tribunale di Milano contenuta nella sentenza n. 4074-2024.

Rimozione motori dei condizionatori in condominio

Un condominio agisce in giudizio per ottenere la rimozione dei motori esterni dei condizionatori posizionati da un condomino sul muro condominiale, ma oramai dismessi sui supporti che li sorreggono. Per il condominio i motori dei condizionatori sono stati apposti illegittimamente, in violazione dell’art. 29 del regolamento condominiale. Chiede quindi il ripristino dello stato dei luoghi.

Innovazione o opera per miglior godimento delle parti comuni?

Il Tribunale rileva che la presenza dei motori è stata in effetti confermata da un teste e da alla dettagliata documentazione fotografica prodotta. Per il Tribunale, ai fini del decidere, è necessario stabilire se l’installazione dei motori dei condizionatori configurino una violazione del regolamento condominiale perché innovazione non autorizzata o se debbano essere qualificate piuttosto come opere finalizzate semplicemente al migliore godimento delle parti comuni del condominio.

Per arrivare alla decisione il Tribunale ricorda, prima di tutto che, la decisione n. 2846/1982 della Corte di Cassazione ha chiarito che: devono intendersi per innovazioni della cosa comune… le modificazioni materiali di essa che ne importino l’alterazione dell’entità sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione. Pertanto, non costituiscono innovazioni… le modificazioni della cosa comune dirette a potenziare o a rendere più comodo il godimento della medesima, che ne lascino tuttavia immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l’equilibrio tra i concorrenti interessi tra condomini.” 

Il termine “innovazione” va quindi interpretato nel senso che deve trattarsi di un’opera nuova, anche se non tutte le opere nuove sono innovazioni. Non sono innovazioni infatti le opere finalizzate a migliorare e potenziare un bene o un servizio preesistenti.

Analizzando il caso di specie il Tribunale giunge alla conclusione che l’installazione dei condizionatori e dei relativi motori ha comportato sicuramente un’innovazione e che pertanto avrebbe necessitato della preventiva autorizzazione dell’assemblea. L’articolo 29 del regolamento condominiale sancisce infatti il divieto di eseguire opere o varianti all’immobile se danneggiano la stabilità e l’estetica e se recano molestia, danni diretti o indiretti e per la loro realizzazione richiede la preventiva autorizzazione dell’amministratore in forma scritta. Poiché nel caso di specie non è stata fornita alcuna prova dell’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea condominiale, il Tribunale dispone che i condizionatori, dimessi e inutilizzati, vengano rimossi a spese e cura del convenuto perché installati in violazione dell’articolo 29 del regolamento condominiale.

body shaming

Body shaming Cos'è il body shaming e cosa prevede la proposta di legge che vuole istituire la giornata nazionale contro la denigrazione dell'aspetto fisico

Cos’è il body shaming

Il body shaming è l’atto di deridere o discriminare una persona per il suo aspetto fisico. Questo comportamento prende di mira qualsiasi caratteristica fisica, colpendo chiunque non aderisca ai canoni estetici della società. Questi standard estetici, spesso irrealistici e non rappresentativi della maggioranza, possono indurre vergogna e colpevolizzazione nelle vittime, causando problemi di autostima, ansia, depressione, disturbi alimentari e, in casi estremi, suicidio. Il fenomeno colpisce soprattutto gli adolescenti, le ragazze in particolare, ma non sono immuni da derisioni e offese neppure gli adulti. I canali più utilizzati sono i social network, che hanno un impatto considerevole a causa della potenziale capacità diffusiva dei messaggi denigratori.

Body shaming: giornata nazionale per la sensibilizzazione

La proposta di legge A.C. 1049, presentata dalla parlamentare Martina Semenzato, mira a istituire una Giornata Nazionale contro la denigrazione dell’aspetto fisico 16 maggio di ogni anno. Questa iniziativa si propone di sensibilizzare il pubblico sui danni del body shaming, un fenomeno odioso di derisione e discriminazione basato sull’aspetto fisico delle persone.

Il testo della proposta, presentata il 28 marzo 2023, è in corso di esame alla Commissione Affari sociali in sede referente.

Proposta di legge: cosa prevede

La proposta di legge si articola in sei punti principali:

  • Istituire una Giornata Nazionale contro il body shaming il 16 maggio con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui comportamenti offensivi e promuovere le iniziative necessarie per prevenirli.
  • Invitare le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile e le associazioni a promuovere eventi e campagne informative per contrastare il body shaming nella giornata dedicata, favorendo l’accettazione del proprio corpo e il rispetto per gli altri.
  • Dare le disposizioni necessarie alle scuole di ogni ordine e grado affinché organizzino iniziative didattiche e momenti di riflessione sul fenomeno del body shaming e le sue conseguenze in occasione della celebrazione della Giornata Nazionale.
  • Rimettere alle istituzioni pubbliche e alle associazioni la promozione di campagne di sensibilizzazione sui media, informando il pubblico sulle gravi conseguenze del body shaming e incoraggiando un uso consapevole del linguaggio e delle tecnologie digitali.
  • Assicurare che il servizio pubblico radiotelevisivo dedichi spazio adeguato ai temi legati alla Giornata Nazionale, sensibilizzando il pubblico attraverso la programmazione nazionale e regionale.

L’importanza della sensibilizzazione

La proposta di legge sottolinea l’importanza di una disciplina unitaria a livello nazionale per affrontare il body shaming. La sensibilizzazione attraverso campagne informative, eventi nelle scuole e l’uso responsabile dei media e delle tecnologie digitali rappresenta un passo cruciale per combattere questo fenomeno e promuovere una cultura del rispetto e dell’inclusione.