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Procura alle liti in lingua straniera: valida senza traduzione Le Sezioni Unite civili hanno stabilito che la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera è valida anche senza traduzione, poiché l’obbligo dell’italiano riguarda solo gli atti processuali

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La procura alle liti in lingua straniera non è nulla

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 17876 del 2025, hanno chiarito un principio di grande rilievo per la tutela del diritto di difesa: la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è pienamente valida, anche se priva di traduzione in italiano e di certificazione traduttiva.

Secondo la Corte, l’obbligo di utilizzare la lingua italiana si applica esclusivamente agli atti processuali in senso stretto e non a quelli prodromici, come la procura con cui si conferiscono i poteri al difensore.

L’ambito di applicazione dell’art. 122 c.p.c.

La Cassazione ha ricordato che l’art. 122, comma 1, c.p.c., impone l’uso della lingua italiana “in tutto il processo”. Tale prescrizione riguarda però solo gli atti che si formano nel processo e per il processo: atti processuali veri e propri, come le comparse, le memorie, i ricorsi e le sentenze.

La procura alle liti, pur strettamente collegata al processo, ha natura meramente strumentale e preparatoria. Per questo motivo, non è soggetta alla regola della redazione obbligatoria in italiano.

La traduzione non è requisito di validità

Imporre la traduzione della procura come condizione di validità integrerebbe un vincolo non previsto dalla legge. La Corte ha evidenziato che un simile obbligo costituirebbe un ostacolo sproporzionato al diritto di azione in giudizio, privo di adeguata giustificazione in termini di interesse pubblico.

In linea con il principio di tassatività delle nullità, sancito dall’art. 156 c.p.c., non è possibile estendere per analogia il requisito della lingua italiana a documenti che non siano atti processuali.

Il ruolo del giudice e l’art. 123 c.p.c.

La Suprema Corte ha chiarito che, se il documento prodotto in giudizio è in lingua straniera, il giudice può applicare l’art. 123 c.p.c.: è dunque sua facoltà, e non un obbligo, disporre la nomina di un traduttore.

Il giudice può decidere di non avvalersi del traduttore se comprende il contenuto dell’atto o se non esistono contestazioni sulla traduzione eventualmente allegata.

Il caso concreto e i principi di diritto affermati

La decisione nasce da un procedimento ereditario in cui una delle parti aveva eccepito la nullità della procura speciale rilasciata negli Stati Uniti e autenticata da un notaio della Florida, proprio per l’assenza della traduzione in italiano.

La Corte di Cassazione ha respinto l’eccezione, stabilendo due principi di diritto fondamentali:

  1. La procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è valida anche senza traduzione né certificazione, perché la disciplina della lingua italiana si riferisce ai soli atti processuali.

  2. Il giudice può eventualmente nominare un traduttore se necessario per comprendere il contenuto dell’atto, ma non è tenuto a farlo in assenza di contestazioni o difficoltà interpretative.