remissione di querela

Remissione di querela: guida e modello Remissione di querela: cos'è, quali sono le conseguenze e la giurisprudenza rilevante in materia

Cos’è la remissione di querela

La remissione di querela, disciplinata dall’art. 152 del Codice Penale, è l’atto con cui la persona offesa revoca la querela sporta per un reato perseguibile a querela di parte, provocando l’estinzione del reato. Questa facoltà è fondamentale nei procedimenti per reati minori, favorendo la composizione bonaria delle controversie.

Quando si può fare la remissione di querela

La remissione è possibile solo per i reati procedibili a querela di parte, come:

  • ingiuria (prima della depenalizzazione), diffamazione, lesioni lievi, violenza privata;
  • danneggiamento semplice, minacce non aggravate.

Essa può essere effettuata:

  • prima dell’inizio del processo o durante il processo, ma prima della condanna, ad eccezione dei casi previsti dalla legge;
  • in sede processuale o extraprocessuale in modo espresso o tacito (se il querelante compie atti incompatibili con la volontà di portare avanti la querela);
  • senza apporre alla stessa termini o condizioni, in essa però si può indicare la rinuncia al diritto di ottenere restituzioni e risarcimento del danno.

Conseguenze della remissione di querela:

  • estinzione del reato: il procedimento penale cessa;
  • impossibilità di riproporre la querela, in quanto l’atto è irrevocabile.

Accettazione della remissione

L’art. 155 c.p. stabilisce che:

  • la remissione non produce effetti se il querelato la ricusa in modo espresso o tacito;
  • se il querelato è un minore o un interdetto, non ha un rappresentante o è in conflitto con lo stesso, la remissione è accettata dal curatore speciale.

Giurisprudenza rilevante sulla remissione di querela

Di seguito alcune massime della Cassazione:

Cassazione n. 16375/2019

La rinuncia alla denuncia, una volta che la persona accusata l’ha formalmente accettata, porta alla chiusura del procedimento penale, annullando il reato. Questo effetto ha la precedenza su qualsiasi altra ragione di chiusura del caso. Se questa rinuncia avviene mentre il caso è in esame presso la Corte di Cassazione, i giudici devono obbligatoriamente dichiarare la fine del processo. La decisione di chiudere il caso per rinuncia alla denuncia cancella automaticamente tutte le condanne civili legate al reato.

Cassazione n. 35539/2021

“integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (Sez. U, n. 31668 del 23/06/2016).

Cassazione n. 31832/2024

“Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.”

Cassazione n. 6031/2025

“ammissibile il ricorso per cassazione proposto anche al solo fine di introdurre nel processo la remissione della querela, ritualmente accettata, intervenuta dopo la sentenza impugnata e prima della scadenza del termine per la presentazione dell’impugnazione.”

Modello di remissione di querela

Oggetto: Remissione di querela
Spett.le Procura della Repubblica presso il Tribunale di [Città]
Io sottoscritto/a [Nome e Cognome], nato/a il [data] a [luogo], C.F. [codice fiscale], residente in [indirizzo], dichiaro di rimettere la querela sporta in data [inserire data] nei confronti del Sig./Sig.ra [Nome dell’imputato], nato/a il [data], per il reato di [indicare il reato] (art. [articolo c.p.]).
Dichiaro di essere consapevole che la remissione è irrevocabile e comporta l’estinzione del reato.
[Luogo, Data]
Firma: _____________________
Allega: copia del documento di identità.

 

 

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polizza condominio

Polizza condominio anche senza unanimità Polizza condominio: la Cassazione sostiene che l'assemblea ha la facoltà di stipulare una polizza assicurativa senza unanimità dei consensi

Polizza condominio: cosa dice la Cassazione

L’assemblea condominiale ha la facoltà di stipulare una polizza assicurativa per la tutela legale senza l’unanimità dei consensi. Ciò perché la spesa rientra tra i costi relativi alla gestione comune dell’edificio e deve essere ripartita tra tutti i condomini. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4340/2025.

Il caso giuridico

Una condomina ha citato in giudizio il condominio per ottenere la dichiarazione di nullità o l’annullamento della delibera condominiale, con la quale veniva approvato l’addebito, nel bilancio condominiale, di un premio di € 1.688,91 per la stipula di una polizza assicurativa di tutela legale.
L’attrice sosteneva che tale spesa era lesiva del diritto individuale dei condomini, regolato dall’art. 1132 c.c., e deduceva che la delibera non rientrava nei poteri assembleari di cui all’art. 1135 c.c. Chiedeva, altresì, la condanna dell’indicato Condominio al risarcimento danni ex art. 96, co. 1 e 3, c.p.c.
Il giudice di pace adito respingeva la domanda che veniva rigettata anche in appello dal tribunale di Forlì, il quale richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11349/2022 e n. 23254/2021), sosteneva che l’assemblea condominiale, nei limiti dell’art. 1135 c.c., può validamente deliberare spese per coprire costi processuali inerenti le parti comuni, senza violare il diritto dei condomini dissenzienti.
La questione approdava quindi in Cassazione.

La decisione della Cassazione

Innanzi al Palazzaccio, la condomina si doleva che la delibera assembleare approvando la stipula di una polizza assicurativa di tutela legale, con addebito del premio a tutti i condomini, avesse violato li diritto dei dissenzienti previsto dall’art. 1132 c.c., che consente loro di estraniarsi dalle conseguenze delle liti deliberate dall’assemblea, eccedendo “i poteri dell’assemblea previsti dall’art. 1135 c.c., in quanto ha imposto un onere generalizzato anche sui condomini non partecipanti alle controversie, incidendo sui diritti individuali e determinando un aggravio economico ingiustificato”.

Per gli Ermellini, tuttavia, la donna ha torto. Richiamando l’orientamento univoco ormai espresso in più pronunce, la S.C. ha ribadito che “l’assemblea condominiale ha li potere di stipulare una polizza per la tutela legale nell’ambito della propria discrezionalità gestionale”.  Inoltre, “l’articolo 1132 del codice civile non può essere invocato per invalidare la stipula della polizza, poiché questa non impone ai condomini dissenzienti di contribuire alle spese processuali di una controversia specifica, ma ha una finalità più generale di tutela del condominio. Questa Corte ha sottolineato che le spese per la stipula della polizza devono essere ripartite tra tutti i condomini in base ai criteri stabiliti dall’articolo 1123 c.c., trattandosi di una spesa relativa alla gestione comune dell’edificio (cfr., per tutte, Cass. n. 23254/2021 e Cass.
п.11891/2024)”.
Il ricorso è quindi inammissibile.

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Giuramento decisorio: le precisazioni della Cassazione Giuramento decisorio: la Cassazione precisa che deve provare fatti, non valutazioni, opinioni o questioni giuridiche

Giuramento decisorio: fatti specifici e concreti

Il giuramento decisorio non può riguardare la conferma o la negazione di rapporti giuridici, situazioni legali o qualifiche giuridiche. Non può essere utilizzato per ottenere giudizi di valore, opinioni o interpretazioni giuridiche. La sua formulazione deve riferirsi a fatti specifici e concreti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 3982/2025 nel rigettare un ricorso finalizzato a contestare l’utilizzo delle prove nei giudizi di merito necessari per risolvere una controversia sul diritto di proprietà di alcuni beni immobili.

Proprietà controversa: giuramento decisorio prova regina

Nell’ambito di una controversia avente a oggetto la proprietà di alcuni beni immobiliari, in sede di Cassazione il ricorrente contesta la violazione della normativa sulla prestazione del giuramento decisorio, prestato e poi revocato. In sede di appello la Corte, nel rispetto della decisione di primo grado ha infatti giustificato il provvedimento di revoca dell’ordinanza che aveva ammesso il giuramento decisorio. Nel caso di specie il giuramento decisorio era stato deferito dall’attrice al convenuto per consentire al giudice di decidere, sulla base dello stesso, la controversia sulla proprietà degli immobili, di cui la stessa riteneva di essere titolare esclusiva.

Il convenuto, aveva infatti prestato giuramento rispondendo precisamente sui singoli punti e negando le circostanze dedotte. Il giudice avrebbe quindi dovuto decidere sulla base delle risposte fornite dal convenuto, che aveva negato la proprietà dell’immobile in capo all’attrice, compresa l’avvenuta acquisizione per usucapione ventennale in favore della stessa. Il Giudice non poteva decidere sulla base dei documenti prodotti in giudizio. Il giuramento decisorio costituisce la prova principale sulla quel il giudice avrebbe dovuto decidere la controversia.

Revocabile l’ordinanza di ammissione del giuramento

La Cassazione però respinge questo motivo e l’intero ricorso, fornendo una complessa motivazione sul giuramento decisorio.

Gli Ermellini ricordano che l’ordinanza che ammette il giuramento decisorio può essere revocata anche dopo la sua prestazione. Il giudice può annullarla se ritiene che non sussistano le condizioni per il suo deferimento. Questo principio vale indipendentemente dal comportamento processuale delle parti, poiché il giuramento è un mezzo istruttorio soggetto a condizioni di ammissibilità inderogabili.

Il giudice deve verificare d’ufficio le condizioni per l’ammissibilità del giuramento, come la formula, la modalità della delazione e l’idoneità alla definizione della lite. Se il giuramento è stato ammesso in primo grado, il giudice dappello può riesaminarne la decisorietà e verificarne la correttezza. Anche se il soccombente lo contesta solo nella fase conclusiva del secondo grado, il giudice può rivedere la decisione.

Nel caso in esame, il ricorrente sostiene che, essendo il giuramento una prova legale, il giudice non possa revocarlo e basare la decisione su prove documentali. Tuttavia, la giurisprudenza afferma che il giudice può sempre riesaminare l’ammissibilità del giuramento. Il potere di controllo non trova ostacolo nell’art. 2738 c.c., poiché le condizioni per la sua validità non dipendono dalla volontà delle parti.

Giuramento decisorio per provare fatti giuridici

Il giuramento decisorio non può riguardare rapporti giuridici, valutazioni od opinioni. Deve vertere su fatti storici percepiti direttamente dal giurante.

Nel caso specifico, i capitoli del giuramento risultavano inammissibili e irrilevanti per la decisione della causa. Il ricorrente riteneva che la causa dovesse essere decisa sulla base del giuramento del convenuto, il quale negava l’usucapione degli immobili. Tuttavia, le affermazioni giurate riguardavano aspetti giuridici e non fatti concreti.

Inoltre, il rapporto tra le parti era già stato accertato con sentenze passate in giudicato, che confermavano l’esistenza di un contratto di locazione e la titolarità del bene. Il giudicato aveva anche stabilito che il ricorrente era un semplice conduttore e non un proprietario.

In conclusione, il giuramento decisorio non può avere a oggetto la determinazione di rapporti giuridici. Il giudice ha il potere di revocarlo anche dopo la sua prestazione, se non ne ricorrono le condizioni di ammissibilità. In questo caso, la decisione di revoca appare giustificata, in quanto il giuramento non era idoneo a definire la lite.

 

Leggi la guida Il Giuramento decisorio

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estinzione del reato

Estinzione del reato per condotte riparatorie anche in Cassazione La Cassazione rammenta che l’estinzione del reato per condotte riparatorie può essere chiesta in qualunque fase del procedimento

Estinzione del reato per condotte riparatorie

L’estinzione del reato per condotte riparatorie può essere richiesta in qualunque fase del procedimento, compreso il giudizio di cassazione, purchè ciò avvenga entro il termine e il giudice di merito abbia valutato la congruità dell’offerta. Questo quanto affermato dalla quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 7263/2025, dando ragione a un imputato per il reato di furto di una bicicletta.

La vicenda

Nella vicenda, l’uomo aveva invocato l’applicazione dell’art. 162-ter cod. pen., sul presupposto che il delitto di furto contestato è punibile a querela di parte e che aveva restituito la bicicletta alla persona offesa prima del giudizio. La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto che la richiesta non potesse trovare accoglimento, «essendo il reato originariamente contestato (ndr ricettazione) procedibile d’ufficio».

Il ricorso

Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 531 cod. proc. pen. e 162-ter cod. pen.

Nel dettaglio, il ricorso denuncia che la Corte d’appello non abbia dichiarato estinto il reato ex art. 162-ter cod. pen. pur avendo l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, riparato interamente il danno cagionato mediante la restituzione della bicicletta al legittimo proprietario.

Tale decisione sarebbe stata motivata sull’erroneo presupposto che il reato originariamente contestato fosse procedibile d’ufficio, ma non considerando che quello risultante dalla riqualificazione era, invece, procedibile a querela.

Estinzione del reato: l’art. 162-ter c.p.

Per la S.C., il ricorso è fondato. Va premesso, affermano i giudici di legittimità, “che l’art. 162-ter cod. pen. prevede, al comma primo, una causa di estinzione del reato che il giudice dichiara, «sentite le parti e la persona offesa», quando, «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione», «l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato». Tale possibilità è data anche nel caso in cui vi sia stata, da parte del giudice, la riqualificazione del reato procedibile d’ufficio in una fattispecie procedibile a querela, a condizione che l’offerta riparatoria o risarcitoria sia tempestivamente formulata, così da consentire al giudice di verificarne la congruità e salva la possibilità di concessione, su richiesta dell’imputato impossibilitato ad adempiervi per causa a lui non addebitabile, di un termine per provvedervi anche ratealmente (Sez: 4, n. 640 del 29/11/2023)”.

Tempi per la richiesta

Inoltre, proseguono i giudici, “l’applicazione della causa estintiva del reato può essere richiesta in qualunque fase del procedimento, ivi compreso il giudizio di cassazione, a condizione che la condotta riparatoria sia intervenuta entro il termine massimo rappresentato dalla suddetta dichiarazione, e che il giudice di merito abbia sentito le parti e valutato la congruità della somma offerta (così Sez. 4, n. 39304 del 14/10/2021)”.

La decisione

Tanto premesso, nel caso in esame, concludono i giudici di piazza Cavour, “il reato di ricettazione originariamente contestato risulta essere stato effettivamente derubricato, nella fattispecie prevista dall’art. 624 cod. pen. In tale situazione, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’originaria contestazione di un delitto procedibile d’ufficio osterebbe all’operatività della fattispecie estintiva e ciò ad onta dell’avvenuta riqualificazione operata dal primo giudice, deve ritenersi non conforme al già richiamato indirizzo interpretativo di legittimità, che il Collegio pienamente condivide e riafferma”.

Su tali premesse, la sentenza impugnata è annullata con rinvio al giudice di merito.

 

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giuramento decisorio

Il giuramento decisorio Il giuramento decisorio: disciplina, effetti e differenze con il giuramento suppletorio ed estimatorio, guida con giurisprudenza

Cos’è il giuramento decisorio

Il giuramento decisorio è un mezzo di prova regolato dagli artt. 2736 e seguenti del Codice Civile e dagli artt. 233 e seguenti del Codice di Procedura Civile. Consiste nella dichiarazione solenne resa da una parte su fatti controversi, vincolando il giudice alla decisione conforme alla risposta ricevuta.

Ammissibilità del giuramento decisorio

Il giuramento decisorio è ammissibile solo su fatti rilevanti, controversi e non altrimenti dimostrabili.

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 1551/2022 ha sancito infatti l’inammissibilità dell’istituto quando, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, la formulazione delle circostanze non conduca all’accoglimento della domanda ma richieda comunque una valutazione dei fatti da parte del giudice di merito.

Effetti del giuramento decisorio

Il giuramento decisorio, una volta reso, produce specifici effetti:

  • se confessato vincola il giudice a decidere in conformità;
  • se rifiutato, il rifiuto equivale a confessione (art. 2738 c.c.) per cui confessa su fatti a se sfavorevoli e favorevoli all’altra parte;
  • se falso: può dar luogo a responsabilità penale (art. 371 c.p.) ed è punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

Giuramento decisorio, suppletorio ed estimatorio

Il nostro ordinamento contempla tre tipi diversi di giuramento, decisorio, suppletorio ed estimatorio.

Vediamo in che cosa si distinguono:

  • Giuramento decisorio: rappresenta la prova principale ed è richiesto dalle parti su fatti controversi, può essere de scientia (o de notizia) e de veritate a seconda che i fatti per i quali viene deferito riguardino personalmente la parte o fatti altrui di cui è a conoscenza;
  • Giuramento suppletorio: viene invece disposto d’ufficio dal giudice per chiarire aspetti residui o incerti sui quali non mancano le prove, ma non risultino nemmeno pienamente provate le domande e le eccezioni delle parti;
  • Giuramento estimatorio: finalizzato a determinare l’ammontare di un credito o un valore economico (art. 2736 comma 2 c.c.). Ad esso si ricorre quando questa prova non può essere raggiunta altrimenti.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza di legittimità in particolare ha fornito negli anni importanti chiarimenti sull’istituto:

 Cassazione n. 3991/2024

“Il giuramento decisorio è una solenne dichiarazione di verità (quando si riferisce ad un fatto proprio del giurante) o di scienza (quando attiene alla conoscenza che il giurante abbia di un fatto altrui) circa lesistenza di un determinato fatto favorevole a chi lo presta, idoneo a far decidere la lite interamente o a definire un punto particolare della causa, nel caso in cui si riferisca ad uno dei momenti necessari delliter da seguire per la decisione e rispetto ai quali esso esaurisca ogni indagine”. 

Cassazione n. 14228/2023

“Il giuramento, decisorio o suppletorio che sia, non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni né, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza (Cass. 25/10/2018, n.27086).”

Cassazione n. 18211/2020

“La valutazione in ordine all’ammissibilità e rilevanza del giuramento suppletorio ed estimatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e la omessa motivazione su tale discrezionale decisione non può essere invocata in sede di legittimità (Cass. n. 16157/2004; n. 9542/20 l 0)”. 

 

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diritto di accesso

L’avvocato ha diritto di accesso alle intercettazioni La Cassazione rammenta che il difensore ha diritto di accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti le intercettazioni telefoniche e ambientali

Diritto di accesso alle intercettazioni

L’avvocato ha il diritto di accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti la registrazione delle conversazioni intercettate, soprattutto quando queste costituiscono la base per l’adozione di una misura cautelare. Questo quanto ribadito dalla sesta sezione penale della Cassazione, nella sentenza n. 6529/2025.

La vicenda giudiziaria

Nel caso in esame, a seguito del rigetto da parte del tribunale di Roma della richiesta di riesame proposta da un imputato avverso l’ordinanza del Gip che aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, il difensore dell’uomo proponeva ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

Il ricorso

In particolare, l’avvocato eccepiva la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen, e la nullità dell’ordinanza impugnata, e della stessa ordinanza genetica, in ragione della lesione del diritto di difesa conseguente all’intempestiva messa a disposizione dei supporti delle intercettazioni telefoniche e ambientali. L’udienza del procedimento di riesame veniva celebrata, infatti, senza che il difensore avesse avuto la possibilità di ascoltare le intercettazioni a causa dell’ingiustificato lasso di tempo decorso tra la concessione dell’autorizzazione da parte del pubblico ministero e l’effettiva messa a disposizione dei supporti.

Ciò, a suo avviso, avrebbe leso il diritto di difesa del ricorrente, pregiudicando l’accesso alla copia dei supporti informatici delle intercettazioni eseguite. La violazione del diritto di difesa comporterebbe, a causa dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, l’integrale caducazione dell’ordinanza cautelare, che, sulle stesse, si fonda.

L’avvocato deduceva, inoltre, la nullità e l’inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto le stesse non erano state tempestivamente messe a disposizione della difesa.

Diritto di accesso alle intercettazioni

La Suprema Corte, esaminando il ricorso, ritiene che vada rigettato. Innanzitutto, dalla S.C. esaminano le norme e la giurisprudenza in materia e affermano che “la Corte costituzionale, con la sentenza n. 36 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, nella parte ni cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate”. In questa pronuncia la Consulta ha affermato che “l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non può essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria – e che – la tutela del diritto di difesa, in relazione ad una misura restrittiva della libertà personale già eseguita, impone che ai difensori sia riconosciuto il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero”.

L’art. 293 comma 3 c.p.p.

L’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., nella formulazione vigente, modificata dall’art. 3, comma 1, lett. g), d.lgs. 29 dicembre 2017 n. 216, continuano gli Ermellini, sancisce che “il difensore ha diritto di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all’articolo 291, comma 1. Ha in ogni caso diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni”. In applicazione di questi principi, la giurisprudenza di legittimità, ha statuito che, “a seguito dell’adozione della misura cautelare, il difensore ha diritto di ottenere l’accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti la registrazione delle conversazioni captate, anche mediante l’ascolto delle tracce foniche, in vista del giudizio di riesame e senza che l’istanza debba essere ulteriormente circoscritta mediante l’indicazione dei RIT di riferimento (Sez. 6, n. 26447 del 14/04/2021; Sez. 3, n. 10951 del 17/01/2019)”.

Nullità a regime intermedio

Invero, “l’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificata omissione o ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore detto ascolto, dà luogo a una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova che, pur non inficiando li risultato probatorio, ne impedisce l’utilizzo in fase cautelare (Sez. U, n. 20300 del 22/4/2010; Sez. 6, n. 26447 del 14/04/2021)”.

La decisione della Cassazione

Nel caso di specie, tuttavia, ritengono da piazza Cavour, il Tribunale del riesame ha fatto corretta applicazione della disposizione di cui all’art. 293 cod. proc. pen., in quanto ha rilevato che il Pubblico Ministero ha autorizzato tempestivamente il difensore ad ottenere copia dei supporti informatici delle intercettazioni eseguite. Il difensore, peraltro, non ha chiarito perché, una volta autorizzato dal PM, non si sia recato prontamente presso la sede dell’ufficio, anche a mezzo di collaboratori delegati per l’incombente, e non già nel primo pomeriggio (atteso che l’udienza di riesame era fissata per il lunedì mattina successivo, il materiale informatico era copioso, e che vi era il rischio della chiusura pomeridiana dell’ufficio).

Infine, quanto alla nullità e inutilizzabilità delle intercettazioni, poiché non sono state tempestivamente messe a disposizione della difesa, anche in tal caso, il motivo è infondato, giacché “non è stato dimostrato il presupposto di tale eccezione, costituito dalla tardiva mesa a disposizione in favore del difensore dei supporti delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite”.

Alla stregua di tali rilievi, il ricorso, pertanto, è rigettato.

 

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giurista risponde

Furto d’uso: connessione internet fraudolenta L’utilizzo di una connessione ad Internet fraudolenta può essere sussunta nella fattispecie di furto d’uso?

Quesito con risposta a cura di Daniela Cazzetta e Vittoria Petrolo

 

Integra furto d’uso la condotta di chi utilizza in modo fraudolento la connessione Internet intestata ad un altro soggetto. Nel momento in cui attraverso l’allaccio abusivo al box telefonico della persona offesa, l’imputato utilizza la connessione Internet che a tale linea fa capo, utilizza detto bene sottraendolo dalla disponibilità del titolare, il quale non riesce difatti a navigare. Pertanto, è evidente, in ragione della non riconducibilità al concetto di energia della connessione Internet, la perfetta corrispondenza del paradigma del furto d’uso di linea telefonica (Cass., sez. I, 15 novembre 2024, n. 42127).

La presente analisi della Corte di legittimità riguarda la sussunzione o meno di un utilizzo fraudolento ad una connessione Internet nelle maglie della fattispecie del furto d’uso (art. 626 c.p.).

Nel confermare la qualifica data dai precedenti gradi di giudizio, la Corte riprende la ricostruzione logico – sistematica fornita dalla Corte d’Appello; in particolare, nell’unico motivo di doglianza presentato dal difensore dell’imputato veniva contestata l’estensione della giurisprudenza in materia di peculato d’uso per l’utilizzo di apparecchiature telefoniche di servizio alla fattispecie in esame. Lo stesso contestava che la connessione Internet, connessione caratterizzata dal pagamento di un canone mensile non legato al consumo effettivo, potesse rientrare nella nozione di energia ex art. 624, comma 2 c.p. e conseguentemente essere oggetto di appropriazione, sottrazione o detenzione.

La Corte confermava la definizione fornita dalla Corte d’Appello di linea telefonica sulla base dei principi forniti nella sentenza Cass. pen., Sez. Un., 2 maggio 2013, n. 19054 (cd. Vattani) in materia di peculato d’uso e utilizzo del telefono d’ufficio per ragioni personali. La connessione Internet, infatti, non risultava per la Corte suscettibile di una condotta appropriativa e non poteva, pertanto, essere oggetto di furto, non rientrando nella nozione di energia, ma solo di furto d’uso. Si evidenziava come, nonostante non si fosse verificato alcun danno economicamente apprezzabile stante i costi in misura fissa, si fossero comunque verificati una serie di disagi, dati dall’impossibilità per la persona offesa di connettersi alla rete. In particolare, nel richiamo tratto dalla sentenza cd. Vattani, le energie suscettibili di condotta appropriativa ex art. 624 c.p. sono solo quelle possedenti una forza misurabile in denaro e che vengono captate dall’uomo mediante l’apprestamento di mezzi idonei, così da essere impiegate a fini pratici. Non è questo il caso: tali energie non possono essere oggetto di appropriazione, non preesistendo, ma vengono prodotte all’attivazione della connessione, propagandosi. Pertanto, è consequenziale la loro rispondenza al requisito previsto. Tali principi sono stati, poi, ripresi in materia di connessione a rete Internet dalle sentenze Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2014, n. 50944 e Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 2013, n. 34524.

Alla luce della perfetta sovrapponibilità tra le due condotte materiali e una differenza solo in merito al soggetto – agente della condotta, i principi fino ad ora descritti in materia di peculato d’uso venivano ritenuti dai giudici di merito estendibili alla fattispecie del furto d’uso. A fortiori, veniva citata testualmente la stessa sentenza Vattani “Quanto in particolare al peculato d’uso, si osserva che tale figura replica strutturalmente lo schema del furto d’uso, mirando, da un lato, ad arginare arbitrarie dilatazioni interpretative del peculato comune e, dall’altro, a reprimere condotte che nel previgente sistema erano irrilevanti, con un temperamento del trattamento sanzionatorio in relazione al minor disvalore del fatto” (Cass. pen., Sez. Un., 2 maggio 2013, n. 19054). Si rammenti, inoltre, che per sua definizione codicistica il furto d’uso si contraddistingue per lo scopo di fare un uso momentaneo della cosa per poi essere immediatamente restituita, condotta perfettamente sovrapponibile a quella del peculato d’uso. Inoltre, le energie che si sviluppano da una connessione Internet non sono suscettibili di sottrazione: ad essere oggetto della condotta materiale è la linea telefonica in quanto mezzo attraverso il quale si realizza la connessione. Per questi motivi, la condotta tenuta dall’imputato veniva ritenuta perfettamente sussumibile nella fattispecie astratta del furto d’uso, considerando anche le modalità di allaccio e le conseguenze di tale condotta.

 

(*Contributo in tema di “Furto d’uso: connessione internet fraudolenta”, a cura di Daniela Cazzetta e Vittoria Petrolo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

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Rimborso spese processuali per chi chiama in giudizio ingiustamente Scatta il rimborso spese processuali per chi chiama in giudizio un soggetto non necessario. Il principio stabilito dalla Cassazione

Rimborso spese processuali

Scatta il rimborso spese processuali per chi chiama in giudizio un soggetto non necessario. Con l’ordinanza n. 28019/2024, la Corte di Cassazione, Sezione III, ha chiarito che l’ingiustificata evocazione in giudizio di un soggetto comporta l’obbligo, per la parte risultata soccombente, di rimborsare le spese sostenute da quest’ultimo per la propria costituzione e difesa.

La vicenda

La vicenda riguardava delle polizze fideiussorie delle quali si contestava la nullità delle appendici di obbligazione accessorie per falsità della firma. Parte attrice citava in giudizio la compagnia assicurativa e tutti i coobbligati, chiedendo accertarsi l’inesistenza dell’obbligazione principale nei confronti della compagnia stessa e di quella eventuale di regresso verso gli altri (asseriti) coobbligati. Si costituiva in giudizio uno dei coobbligati rilevando che le polizze, sebbene contemplassero il suo nominativo, non recavano la sua firma e chiedeva il rigetto delle domande, sollevando eccezione di difetto di legittimazione passiva.

La questione approdava innanzi al Palazzaccio dove si lamentava tra l’altro, violazione del principio di soccombenza e causalità atteso che le spese di lite avrebbero dovuto essere poste a carico di parte attrice e/o della parte convenuta, anche in solido tra di loro.

Disciplina spese processuali

La S.C., per ragioni di ordine logico, esamina prioritariamente tale doglianza ritenendola fondata e meritevole di accoglimento.

In proposito, affermano da piazza Cavour, “va richiamato in tema di disciplina delle spese processuali il principio affermato in via generale, secondo cui la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità in virtù del quale non è esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (in quanto trasgressivo di norme di diritto sostanziale), abbia provocato la necessità del processo”. Essa prescinde, pertanto, “dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbiano determinata e dal fatto che il rigetto della domanda della parte dichiarata soccombente sia dipeso dall’avere il giudice esercitato i suoi poteri officiosi (Cass. n. 21823/2021)”.

Nella stessa prospettiva, è stato altresì evidenziato che “l’ingiustificata o comunque non necessaria evocazione in giudizio di un soggetto, anche se non destinatario di alcuna domanda, impone alla parte che l’abbia effettuata, ove sia risultata soccombente, di rimborsare al chiamato le spese processuali sostenute in funzione della costituzione e difesa nel giudizio medesimo”. Atteso che, “ove questi non scelga di restare contumace (assumendo il rischio di provvedimenti pregiudizievoli nei suoi confronti), la sua costituzione in giudizio a mezzo di un difensore (con i consequenziali oneri economici) trova il proprio presupposto nel fatto stesso di essere stato evocato in giudizio, e non già in quello di essersi vista indirizzare una specifica domanda (Cass. 36182/2022)”.

La decisione

La Corte d’appello, nella decisione impugnata, non si è posta in conformità ai ricordati principi, osserva la S.C.

Invero, “va precisato che a norma dell’art. 91 c.p.c. non rileva, ai fini della pronuncia sulle spese, ‘l’interesse’ ad agire evocato dalla corte di merito nella motivazione sopra riportata, bensì la soccombenza, intesa quale situazione processuale che si determina allorquando le domande proposte in giudizio da una parte non siano state accolte, totalmente o parzialmente, anche per motivi diversi dal merito”.

Pertanto, il vizio denunciato sussiste, “tenuto conto che risultano violati, nel senso sopra ricordato, il principio di soccombenza e quello di causalità, dal momento che è stata la parte attrice e la parte convenuta, attraverso le loro rispettive condotte processuali, a provocare la necessità del giudizio”.

Dall’accoglimento del secondo motivo, discende l’assorbimento del primo motivo. Il ricorso è accolto.

Allegati

orari di silenzio

Orari di silenzio in condominio Orari di silenzio in condominio: cosa prevede la legge e i regolamenti condominiali,  le sanzioni applicabili e la giurisprudenza

Orari di silenzio in condominio: disciplina

Gli orari di silenzio in condominio rappresentano una delle principali cause di controversie tra vicini. Il rispetto della quiete è disciplinato principalmente dai regolamenti condominiali e, in loro assenza, trova fondamento nella normativa generale, in particolare nell’articolo 844 del Codice civile, che regola le immissioni moleste.

Nel tempo, la giurisprudenza ha chiarito i confini tra il diritto al riposo e la tollerabilità dei rumori, stabilendo importanti principi per la convivenza civile all’interno dei condomini. Vediamo quindi quali sono gli orari di silenzio, cosa prevedono i regolamenti condominiali, cosa dice la legge e cosa affermano le sentenze della Cassazione più recenti.

Quali sono gli orari di silenzio in condominio?

Gli orari di riposo non sono stabiliti da una normativa unica nazionale ma derivano:

  • Dai regolamenti condominiali.
  • Dai regolamenti comunali (ordinanze locali).
  • Dalla disciplina generale sulle immissioni sonore contenuta nell’ 844 c.c..

Orari di silenzio comunemente adottati nei regolamenti condominiali:

  • Mattina: dalle 13:00 alle 16:00 (fascia del riposo pomeridiano).
  • Sera: dalle 22:00 alle 08:00 (fascia del riposo notturno).

Questi orari possono variare in base al regolamento comunale o alle delibere dellassemblea condominiale, purché non ledano i diritti fondamentali dei condomini.

Cosa prevedono i regolamenti sugli orari di riposo

I regolamenti condominiali sono il principale strumento per disciplinare la convivenza tra vicini. Possono essere di due tipi:

  1. Regolamento contrattuale: approvato all’unanimità o inserito nell’atto di acquisto dell’immobile, ha valore vincolante per tutti i condomini.
  2. Regolamento assembleare: approvato con la maggioranza prevista dall’ 1136 c.c., può stabilire regole comportamentali come gli orari di riposo.

Cosa può vietare il regolamento condominiale?

  • Luso di elettrodomestici rumorosi (lavatrice, aspirapolvere) negli orari di riposo;
  • lavori di ristrutturazione in fasce orarie sensibili;
  • la musica ad alto volume e feste serali oltre una certa ora;
  • le attività rumorose nei giardini (taglio erba e siepi) o nei terrazzi durante il riposo pomeridiano.

Cosa prevede la legge: l’art. 844 c.c.

In assenza di regole specifiche nel regolamento condominiale, interviene l’art. 844 del Codice civile, che disciplina le immissioni di rumori, fumi, odori e vibrazioni tra fondi confinanti.

L’articolo stabilisce che:

  • le immissioni non devono superare la normale tollerabilità;
  • per valutare la tollerabilità, si tiene conto della situazione locale e delle condizioni ambientali.

Il concetto di normale tollerabilità” è relativo, e la sua valutazione spetta al giudice, che considera il contesto (es. centro città o zona residenziale).

Sanzioni per il mancato rispetto degli orari di silenzio

Il mancato rispetto degli orari di riposo può comportare:

  • Sanzioni pecuniarie fino a 200 euro (art. 70 disposizioni attuative c.c.), aumentabili fino a 800 euro per recidiva.
  • Azione civile per risarcimento danni (art. 2043 c.c.) se il disturbo ha causato danni alla salute o psicofisici.
  • Azione penale per disturbo della quiete pubblica (art. 659 c.p.), se il rumore disturba più persone o l’intero stabile.

Consigli pratici per la convivenza pacifica

  • Conoscere il regolamento condominiale: verificare sempre cosa prevedono le regole del condominio sugli orari di silenzio.
  • Comunicare prima di fare lavori: avvisare i vicini per tempo.
  • Mediazione: prima di procedere legalmente, tentare la via della conciliazione.
  • Limitare il rumore serale: ridurre il volume di TV, musica e conversazioni sul balcone dopo le 22.

Cosa dice la giurisprudenza sugli orari di silenzio

Negli anni, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito l’applicazione dell’art. 844 c.c. in ambito condominiale. Ecco alcune sentenze rilevanti:

Limite di tollerabilità relativo

Cassazione n. 27036/2022: “il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd. criterio comparativo), sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata.”

Disturbo delle occupazioni e del riposo

Cassazione n. 2071/2024: “in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra: A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma 1 dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma 2 dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995.”

Reato di disturbo: non serve la perizia o la consulenza

Cassazione 7717/2024: “perché sussista la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Sez.1,n 45616 del 14/10/2013, Rv.257345 – 01); l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità.”

 

 

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danno da demansionamento

Danno da demansionamento: l’aggiornamento tecnologico incide Danno da demansionamento: è compito del lavoratore dimostrare il danno subito, su cui incide il mancato aggiornamento tecnologico

Danno da demansionamento

La Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 3400/2025, afferma che la mancanza di aggiornamenti tecnologici influisce sul danno da demansionamento. Tale incidenza è maggiore nei settori caratterizzati da rapidi progressi tecnologici. Il giudice, nel calcolare il risarcimento per il danno subito, deve considerare questo aspetto insieme ad altri parametri. Il lavoratore però ha l’onere di provare il danno da demansionamento, anche con elementi indiziari che siano gravi, precisi e coerenti.

Reintegrazione nel livello e risarcimento del danno

Il Tribunale, in qualità di giudice di primo grado, accoglie le richieste di un lavoratore contro la società datrice che lo ha declassato. L’autorità giudiziaria ordina alla società di reintegrare il dipendente nelle mansioni precedenti e risarcirlo per il danno subito alla sua professionalità.

La Corte d’appello conferma la decisione iniziale. In primo grado è stato accertato l’inquadramento al V livello del dipendente, così come le sue elevate competenze, l’autonomia decisionale e la gestione delle risorse assegnate, assenti nelle caratteristiche tipiche dell’operatore specialista in customer care. Il giudice di primo grado quindi ha giustamente valutato e corretto l’inquadramento del dipendente al III livello. Il lavoratore da parte sua ha invece adempiuto all’onere della prova a suo carico. Il demansionamento è durato tre anni, per cui risulta appropriata anche la valutazione equitativa del danno di 1000 euro mensili. La società datrice decide tuttavia di contestare la decisione ricorrendo alla Corte di Cassazione.

Impatto del mancato aggiornamento tecnologico

La Cassazione però respinge il ricorso, ritenendo inammissibili e infondate le obiezioni sollevate. La Corte territoriale ha valutato correttamente le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore senza riscontrare in esse le caratteristiche tipiche del V livello rispetto al III livello. In materia di dequalificazione professionale, la Cassazione respinge anche il secondo motivo d’appello ricordando che “è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti dei lavoratori tutelati costituzionalmente”, valutando anche la persistenza della condotta lesiva, la sua durata e ripetizione delle condizioni di disagio professionale e personale e l’inerzia del datore di lavoro verso le richieste del dipendente, anche senza intenzione deliberata di declassare o svalutare i compiti del dipendente. La prova del danno deve essere fornita dal dipendente anche attraverso indizi gravi, precisi e coerenti capaci di dimostrare aspetti come qualità e quantità del lavoro svolto, tipo di professionalità richiesta, durata del demansionamento o nuova collocazione assunta successivamente.

L’importanza degli aggiornamenti tecnologici

Nel caso specifico, la Cassazione ritiene che la Corte d’appello abbia qualificato correttamente i comportamenti della società datrice e il conseguente danno da demansionamento subito dal lavoratore a causa della condotta reiterata dell’azienda e della privazione degli aggiornamenti tecnologici necessari. Corretta anche la quantificazione equitativa del danno poiché ben motivata, in linea con i criteri applicati e non sproporzionata per eccesso e per difetto. L’importo mensile risarcitorio è stato determinato valutando l’oggettiva differenza tra le mansioni eseguite dal dipendente prima e dopo aprile 2018. Da quel momento infatti il lavoratore è stato effettivamente assegnato a mansioni inferiori dopo aver ottemperato a un ordine giudiziale per riassegnazione delle mansioni.

 

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