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Turbativa ed estorsione Colui che allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private ricorrendo alla violenza o alla minaccia integra solo il reato di turbata libertà agli incanti ex art. 353 c.p. o una pluralità di fattispecie di reato?

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Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

La condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 c.p., può integrare altresì quello di cui all’art. 629 c.p. ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara. Nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2024, n. 30016 – Turbativa ed estorsione).

Il reato di turbata libertà degli incanti, previsto dall’art. 353 c.p., punisce colui che con una condotta vincolata, ovvero con violenza o minaccia, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private oppure ne allontana gli offerenti.

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguarda la possibilità che il medesimo fatto possa configurare un concorso formale con il reato di estorsione nel caso in cui oltre all’allontanamento dalla gara, o ad altra turbativa, venga prodotto un altro evento dannoso che non è previsto dall’art. 353 c.p.: l’ingiusto profitto o l’altrui danno.

Il reato di turbata libertà degli incanti è infatti un reato comune di condotta a dolo generico poiché prescinde dal realizzarsi dell’ingiusto profitto o dall’altrui danno.

Anche il bene giuridico protetto dalla fattispecie cambia in questo caso: nel reato previsto dall’art. 353 c.p. si tutela la libertà di scelta del contraente; nel reato di estorsione il bene tutelato è il patrimonio del soggetto passivo.

Le due fattispecie di reato si pongono in rapporto di specialità reciproca perché sono caratterizzate da elementi costitutivi differenziati, ed è per questo che si è posta dinnanzi alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità di riconoscere il concorso formale con il reato di estorsione quando viene anche cagionato un danno o conseguito un ingiusto profitto.

In particolare, la questione riguarda la possibilità di ravvisare il concorso formale con il reato di estorsione quando il danno corrisponda a una perdita di chance. Le Sezioni Unite risolvono positivamente la questione, affermando che rientra nella nozione di danno di cui all’art. 629 c.p. anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un risultato utile di cui sia provata la sussistenza sulla base di una nozione di causalità propria del diritto penale.

La causalità nel diritto penale è determinata sulla base del criterio di “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre la perdita di chance è una nozione civilistica, in cui la causalità è determinata in base alla regola del “più probabile che non”, quindi potrebbe risultare arduo applicare il criterio penalistico per accertare tale elemento costitutivo.

Un primo e più risalente orientamento riteneva sussistente solo un concorso apparente di norme tra i due reati poiché la fattispecie di turbata libertà agli incanti assorbirebbe in sé l’intero disvalore del fatto criminoso in base al presupposto per cui il danno dell’estorsione coinciderebbe con la lesione della libertà di partecipare o meno ad una gara e influenzarne l’esito, danno già punito alla luce dell’art. 353 c.p.

Un secondo orientamento riteneva invece configurabile il concorso formale tra le due fattispecie criminose evidenziando i differenti elementi costitutivi di entrambe: nell’estorsione l’elemento fondamentale è la coartazione della volontà altrui al fine specifico di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno; il reato di turbata libertà degli incanti invece è integrato nel caso di cosciente e volontario impedimento o turbativa di una gara o dall’allontanamento degli offerenti, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore danno o il conseguimento di un profitto ingiusto.

A questo secondo orientamento aderiscono le Sezioni Unite affermando che nel reato di estorsione l’elemento centrale è costituito dal danno, che deve essere verificato secondo i canoni previsti dal diritto penale, ovvero la regola che impone un accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio”, e che il danno può essere costituito da qualsiasi parte del patrimonio della vittima, compresi i beni immobili e le aspettative di diritto perché il patrimonio non è costituito solo da beni materiali, ma da rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto, così da ricomprendere nel concetto di danno di cui all’art. 629 c.p. qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico dell’individuo, compresa la delusione delle aspettative e le chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi.

Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite concludono affermando che la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico, ovvero la chance, può essere ricondotta nell’ambito di operatività del danno patrimoniale quale elemento costitutivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p.

Infine, si precisa che il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento dannoso corrispondente alla perdita della possibilità di conseguire il risultato favorevole deve essere provato mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale dispone per effettuare le valutazioni probatorie e si considera sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di certezza processuale, ovvero di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta a determinare l’evento dannoso.

 

(*Contributo in tema di “Turbativa ed estorsione”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)