associazioni riconosciute

Associazioni riconosciute Associazioni riconosciute: cosa sono, quali sono e come si distinguono da quelle non riconosciute

Associazioni riconosciute: cosa sono

Le associazioni riconosciute si costituiscono per perseguire finalità comuni non economiche (culturali, religiose, sportive, benefiche, ecc.), dotandosi della personalità giuridica mediante un iter specifico di riconoscimento. A differenza delle associazioni non riconosciute, queste godono di un’autonomia patrimoniale perfetta, ossia il loro patrimonio è distinto da quello degli associati e degli amministratori.

Normativa di riferimento: artt. 14–35 c.c.

Le associazioni, in generale, sono regolate dal titolo II del libro I del codice civile (artt. 14–35 c.c.). Quelle riconosciute si distinguono in quanto acquisiscono personalità giuridica attraverso un atto formale di riconoscimento da parte dello Stato, sulla base di una valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e della conformità dell’atto costitutivo e dello statuto alle norme vigenti.

Il riconoscimento avviene oggi ai sensi del D.P.R. 361/2000 per le persone giuridiche private non appartenenti al Terzo Settore, o tramite il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) per gli enti iscritti.

Associazioni riconosciute: definizione e requisiti

Una associazione riconosciuta è un ente senza scopo di lucro che:

  • persegue una finalità lecita e di pubblica utilità (ad esempio culturale, educativa, sportiva, religiosa);
  • è dotata di atto costitutivo e statuto conformi alle disposizioni di legge;
  • è riconosciuta dallo Stato o da un ente pubblico competente, tramite l’iscrizione in appositi registri;
  • è in possesso di un patrimonio adeguato al perseguimento delle proprie finalità.

Differenza tra associazioni riconosciute e non riconosciute

Aspetto

Associazione riconosciuta

Associazione non riconosciuta

Personalità giuridica

No

Responsabilità patrimoniale

Limitata al patrimonio

Anche personale (degli amministratori)

Requisiti di costituzione

Atto pubblico + riconoscimento

Atto costitutivo anche privato

Controlli pubblici

Sì, anche su bilanci e statuti

Minori obblighi formali

Capacità giuridica piena

Sì, agisce in nome proprio

Agisce per il tramite di rappresentanti

La differenza principale tra queste due figure consiste nella responsabilità: nelle associazioni non riconosciute, in caso di debiti, possono essere chiamati a rispondere personalmente gli amministratori (art. 38 c.c.), mentre le associazioni riconosciute rispondono solo con il proprio patrimonio.

Come si costituisce un’associazione riconosciuta

Per ottenere il riconoscimento giuridico, è necessario:

  1. redigere un atto costitutivo e uno statuto, in forma pubblica;
  2. presentare richiesta all’autorità competente (Prefettura, Regione, RUNTS);
  3. dimostrare di possedere un patrimonio iniziale adeguato, normalmente non inferiore a 15.000 euro (variabile);
  4. attendere il provvedimento formale di riconoscimento e l’iscrizione nei registri previsti.

Nel caso di associazioni del Terzo Settore, l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale (RUNTS) comporta il riconoscimento automatico della personalità giuridica, come stabilito dal D.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo Settore).

Esempi di associazioni riconosciute

  • Associazioni culturali riconosciute (es. accademie, fondazioni artistiche);
  • Associazioni sportive dilettantistiche;
  • Associazioni di volontariato o promozione sociale;
  • Associazioni dei consumatori;
  • Associazioni per la protezione ambientale.

Giurisprudenza

La giurisprudenza civile ha spesso ribadito la distinzione tra soggettività giuridica e responsabilità patrimoniale, sottolineando come la concessione della personalità giuridica non dipenda dalla sola volontà delle parti, ma da un provvedimento amministrativo formale. Inoltre, è frequente l’intervento della Cassazione nei casi in cui si discute della responsabilità personale degli amministratori di associazioni non riconosciute, specie in caso di obbligazioni contratte in nome dell’ente.

 

Leggi anche gli altri articoli di diritto civile

giurista risponde

Azione diretta del terzo trasportato: presupposti In caso di risarcimento corrisposto al terzo trasportato, a norma dell’art. 141 D.Lgs. 209/2005 ai fini dell’esatta proposizione della successiva azione di rivalsa da parte dell’impresa assicuratrice del vettore è necessaria la corresponsabilità di almeno due veicoli e la sussistenza di un valido contratto per la RCA in capo al veicolo responsabile?

Quesito con risposta a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa

 

La liquidazione del danno da parte dell’assicuratore del vettore prescinde da ogni accertamento sulla responsabilità dei conducenti dei mezzi (almeno due) coinvolti nel sinistro, avendo funzione di massima tutela per il trasportato, né potendo consistere il caso fortuito nel fattore umano riferibile all’altro conducente. Inoltre, l’art. 141 cod. ass. può operare anche nelle ipotesi in cui il veicolo del responsabile civile non risulti coperto da assicurazione, in quanto la rivalsa può essere esercitata contro l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada (Cass., sez. III, ord. 7 febbraio 2025, n. 3118 – Azione diretta del terzo trasportato).

Nel caso di specie, la sez. III, a distanza di pochi anni dalla leading case delle Sezioni Unite, torna nuovamente a statuire in materia di azione diretta promossa (L’azione diretta del terzo trasportato a seguito di sinistro stradale) dal terzo trasportato all’indirizzo impresa assicuratrice, nonché sul successivo diritto di rivalsa di quest’ultima nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile.

La vicenda processuale sottesa alla pronuncia in esergo prende le mosse dalla richiesta di liquidazione del danno avanzata da un soggetto terza trasportata su un motociclo nei confronti della società assicuratrice del veicolo. Dopo aver provveduto all’erogazione delle somme come sopra richieste, l’impresa designata citava in giudizio l’impresa di assicurazione del responsabile civile, al fine di esercitare, a mente dell’art. 141, comma 1 C.d.a, il proprio diritto di rivalsa alla restituzione del quantum corrisposto.

Nel corso dei giudizi di merito la domanda attorea veniva rigettata in ragione della constatata assenza dei presupposti fondanti l’azione giudiziaria, ex art. 141 c.d.a.: la presenza di una corresponsabilità tra almeno due veicoli; la sussistenza di un valido contratto per la RCA in capo al veicolo responsabile.

Atteso il mancato accoglimento, l’impresa soccombente proponeva ricorso per cassazione.

Per quanto d’interesse in questa sede, la difesa eccepiva la nullità della sentenza impugnata, in quanto la motivazione resa non consentiva di appurare le valutazioni di infondatezza dei motivi di gravame e porgeva il fianco ad un giudizio di illogicità nella parte in cui richiedeva – operando tra l’altro un rinvio a pronunce di legittimità (Cass., sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4147) – la necessaria corresponsabilità del vettore, al lume di una lettura della nozione di “caso fortuito” comprensiva anche del fattore umano.

La seconda doglianza, invece, lamentava una violazione e falsa applicazione dell’art. 141, comma 4, in quanto la parte motiva della sentenza impugnata ne escludeva l’applicazione nell’ipotesi, come quella oggetto di giudizio, in cui era stata accertata l’inesistenza di un contratto di assicurazione con il responsabile civile, con ciò generando una ingiustificata disparità di trattamento.

Investita del ricorso, la sez. III ha accolto le eccezioni di parte cogliendo, al contempo, l’occasione per sagomare i confini operativi dell’azione diretta prevista dall’art. 141 cit.

Nell’esercitare la propria funzione nomofilattica, i giudici di Piazza Cavour hanno consolidato l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla medesima Corte nella sua più alta composizione (Cass., Sez. Un., 30 novembre 2022, n. 35318), che, superando quello fatto proprio dai giudici di merito, ha precisato che l’art. 141 va letto in maniera unitaria e alla luce della sua ratio. In linea con il designato percorso ermeneutico, l’azione diretta in favore del terzo danneggiato si pone come aggiuntiva rispetto alle altre azioni previste dall’ordinamento e mira ad assicurare una tutela rafforzata, assegnandogli un debitore certo nonché facilmente individuabile e, soprattutto, consentendogli di essere indennizzato senza dover svolgere dispendiose ricerche per stabilire a quale dei conducenti coinvolti, e in quale misura, la responsabilità è addebitabile.

Valorizzando il dato letterale, non residuano margini di incertezza in ordine alla circostanza che il meccanismo designato dall’art. 141 cod. ass. presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli (rectius due imprese assicuratrici), pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi; quella del vettore provvede ad erogare il risarcimento al trasportato danneggiato, sulla base di un accertamento circoscritto all’esistenza e all’entità del danno causalmente correlato al sinistro, salvo poi rivalersi in tutto o in parte nei confronti della diversa compagnia assicuratrice del responsabile civile, previo accertamento delle responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti.

In pratica, per l’accesso all’azione diretta il trasportato ha l’onere di allegare il coinvolgimento di due conducenti e di due imprese, pena il rischio di una lettura “abrogativa” della norma.

Mutatis mutandis, in caso di coinvolgimento di un unico veicolo, l’azione esperibile è esclusivamente quella prevista dall’art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile.

Quanto alla nozione di caso fortuito, viene nuovamente chiarito che è la stessa disposizione in commento che ne esclude una portata applicativa idonea a ricomprendere il fattore umano riferito all’altro conducente, dovendosi intendere circoscritto alle cause naturali e ai danni causati da condotte umane indipendenti dalla circolazione di altri veicoli.

Per quanto attiene alla seconda doglianza, l’ordinanza ribadisce l’altro principio espresso dalla richiamata sentenza pilota della Cassazione, a tenore del quale laddove il veicolo del responsabile civile non risulti coperto da assicurazione, la rivalsa può essere esercitata contro l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, nei limiti quantitativi stabiliti dall’art. 283, commi 2 e 4, del D.Lgs. 209/2005.

La bontà di tale asserzione riposerebbe nella stessa espressione “impresa di assicurazione del responsabile civile” di cui all’art. 141, comma 4, c.d.a., nel cui alveo applicativo non può che rientrare anche l’impresa designata dal FGVS, ove il veicolo dello stesso responsabile sia sprovvisto di copertura assicurativa.

In conformità alle conclusioni rassegnate, la Cassazione – discostandosi dalle motivazioni e dai precedenti giurisprudenziali richiamati dai giudici di merito – ha accolto il ricorso di parte e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi evidenziati in massima.

 

(*Contributo in tema di “L’azione diretta del terzo trasportato ”, a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 84 / Aprile 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

sanzione amministrativa pecuniaria

Sanzione amministrativa pecuniaria Sanzione amministrativa pecuniaria: cos'è, importo, pagamento, normativa e sanzioni accessorie

Cos’è la sanzione amministrativa pecuniaria

La sanzione amministrativa pecuniaria è una misura sanzionatoria di natura non penale, irrogata dalla pubblica amministrazione per la violazione di norme dell’ordinamento giuridico che non integrano reato. Si tratta di uno strumento fondamentale per garantire il rispetto della legalità in ambiti come il diritto amministrativo, commerciale, ambientale, fiscale, tributario e della circolazione stradale.

La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro a favore dello Stato o di un altro ente pubblico, previsto per l’inosservanza di obblighi o divieti previsti da leggi, regolamenti o atti amministrativi.

A differenza delle pene pecuniarie penali (come la multa o l’ammenda), la sanzione amministrativa non comporta conseguenze penali, né è iscritta nel casellario giudiziale. Tuttavia, il mancato pagamento può dare luogo a riscossione coattiva e a sanzioni accessorie.

Sanzione amministrativa pecuniaria: normativa di riferimento

La disciplina generale delle sanzioni amministrative è contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689, intitolata “Modifiche al sistema penale”. Tale legge ha introdotto il principio della depenalizzazione, convertendo molti illeciti penali in illeciti amministrativi.

Le disposizioni di riferimento sono:

  • Art. 1 – Principio di legalità dell’illecito amministrativo.
  • Art. 10 – Determinazione dell’importo della sanzione
  • Art. 14-27 – Procedimento sanzionatorio (accertamento, notificazione, ricorso, pagamento).
  • Art. 16 – Pagamento in misura ridotta.

A tali norme si affiancano disposizioni settoriali, ad esempio nel Codice della strada (D.lgs. n. 285/1992), nel Codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152/2006), nel Codice della privacy (D.lgs. n. 196/2003 e Regolamento UE 2016/679).

Importo della sanzione e criteri di determinazione

L’importo della sanzione amministrativa pecuniaria è stabilito dalla norma che prevede l’illecito e deve rispettare i limiti minimo e massimo indicati. In assenza di specificazioni, il giudice o l’autorità competente applicano la sanzione in base a criteri di proporzionalità, tenendo conto:

  • della gravità della violazione;
  • dell’intenzionalità o colpa dell’autore;
  • della capacità economica del trasgressore;
  • di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.

Il pagamento in misura ridotta, previsto dall’art. 16 della legge n. 689/1981, consente all’autore dell’illecito di estinguere la violazione versando entro 60 giorni dalla notifica una somma pari al  terzo del massimo edittale, se più favorevole una somma pari al doppio minimo edittale.

Tipologie di sanzioni amministrative 

Le sanzioni amministrative possono essere:

  • pecuniarie: sono le più comuni e prevedono il pagamento di una somma di denaro;
  • accessorie: si aggiungono a quella principale e possono consistere:
    • nella sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze;
    • nella confisca dei beni (es. nel caso di strumenti usati per commettere l’illecito);
    • nella chiusura temporanea o definitiva dell’attività;
    • nella inibizione temporanea a contrattare con la pubblica amministrazione.

Queste sanzioni accessorie sono particolarmente rilevanti nel diritto ambientale, sanitario e societario.

Pagamento e riscossione della sanzione amministrativa pecuniaria

Il pagamento della sanzione può avvenire:

  • in misura ridotta, nei termini previsti;
  • dopo l’irrogazione dell’ordinanza ingiunzione, qualora il soggetto non adempia o non presenti opposizione.

Il mancato pagamento determina l’avvio della riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, mediante cartella esattoriale o ingiunzione fiscale.

In caso di opposizione, il trasgressore può proporre ricorso al giudice di pace o al giudice amministrativo, a seconda della natura della sanzione e dell’autorità che l’ha irrogata.

Sanzioni amministrative pecuniarie nel GDPR e nelle normative europee

Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), le sanzioni pecuniarie amministrative in materia di privacy hanno acquisito una rilevanza crescente. Il Garante per la protezione dei dati personali può irrogare sanzioni fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale, nei casi più gravi.

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la Consob, l’IVASS e altre autorità indipendenti possono applicare sanzioni amministrative di elevato impatto.

Considerazioni conclusive

La sanzione amministrativa pecuniaria è uno strumento efficace e flessibile per sanzionare comportamenti illeciti non penali, garantendo un equilibrio tra deterrenza e celerità procedurale. La sua applicazione è vincolata a criteri di proporzionalità e legalità, e può comportare, nei casi più gravi, anche sanzioni accessorie di tipo interdittivo o patrimoniale. Conoscere il funzionamento delle sanzioni amministrative è essenziale per cittadini, imprese e professionisti, soprattutto in settori altamente regolamentati come il commercio, la sicurezza, l’ambiente e la privacy.

 

Leggi anche gli altri articoli di diritto amministrativo

Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici e soglia di anomalia: salva l’invarianza La Consulta ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull'art. 108, comma 12, del nuovo Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici: l’intervento della Consulta

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2025, ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull’art. 108, comma 12, del D.lgs. n. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici), confermando la legittimità della norma che consente l’applicazione del principio di invarianza della soglia di anomalia anche in presenza di inversione procedimentale.

La qlc

La questione era stata sollevata nel contesto di un ricorso proposto al TAR Campania in merito a una procedura di gara aggiudicata secondo il criterio del minor prezzo, nella quale era stata utilizzata l’inversione procedimentale, disciplinata dall’art. 107, comma 3, del Codice. In tale modello procedurale, l’analisi delle offerte economiche precede la verifica del possesso dei requisiti da parte degli operatori economici.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva applicato due volte il calcolo della soglia di anomalia: la prima dopo l’apertura delle offerte economiche e, successivamente, in seguito all’esclusione di taluni concorrenti per documentazione irregolare. Secondo i ricorrenti, questa dinamica violerebbe i principi costituzionali di buon andamento, eguaglianza e libertà di iniziativa economica.

La decisione della Consulta

La Corte ha invece ritenuto infondate tali censure. In particolare, ha precisato che il mantenimento della possibilità di ricalcolare la soglia di anomalia fino all’aggiudicazione definitiva, anche in presenza di inversione procedimentale, non lede il principio di buon andamento dell’amministrazione. Al contrario, garantisce che la graduatoria finale si basi solo su offerte presentate da operatori in possesso dei requisiti, evitando che l’aggiudicazione venga congelata su presupposti ormai superati.

Quanto alla presunta violazione degli altri principi costituzionali, la Corte ha ricordato che le stazioni appaltanti devono predisporre meccanismi idonei a salvaguardare la par condicio tra i partecipanti, come ad esempio il sorteggio per la verifica dei requisiti. Inoltre, eventuali comportamenti collusivi sono già sanzionati dalle normative in materia di concorrenza e penale.

In sintesi, la pronuncia conferma che la disciplina attuale, pur ammettendo l’inversione procedimentale, tutela l’efficienza dell’azione amministrativa e la regolarità della gara, attraverso un corretto bilanciamento tra esigenze di rapidità e garanzie di trasparenza e legalità.

incarichi extra-forensi

Avvocati e incarichi extra-forensi: i “paletti” del CNF Il CNF chiarisce che gli incarichi extra-forensi, ad esempio in associazioni culturali, sono compatibili con la professione, purché nel rispetto delle regole deontologiche

Avvocati e incarichi extra-forensi: compatibilità

Incarichi extra-forensi: il Consiglio nazionale forense, con il parere n. 6 del 13 marzo 2025, pubblicato il 26 maggio sul sito dedicato al Codice deontologico, ha chiarito la compatibilità tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’incarico di Segretario di un’associazione non riconosciuta e senza scopo di lucro, operante nei settori della sicurezza, intelligence, cyber e intelligenza artificiale.

Il quesito del COA di Ferrara

Il quesito è stato posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara, che ha chiesto se la partecipazione attiva in un’associazione scientifico-culturale, priva di fini commerciali, potesse ritenersi compatibile con l’attività forense. L’associazione oggetto del quesito prevede tra i compiti del Segretario, oltre alle funzioni ordinarie (verbalizzazione, gestione dei libri sociali, archivio e relazioni interne), anche rapporti informativi con soggetti esterni, cura del sito web e organizzazione di eventi coerenti con gli scopi statutari.

Nessuna incompatibilità secondo l’art. 18 l. 247/2012

Il CNF ha risposto positivamente, ritenendo che la situazione descritta non integri una causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le attività non compatibili con l’esercizio della professione forense. In particolare, l’attività indicata può rientrare tra quelle culturali, espressamente escluse dal divieto di incompatibilità dalla lettera a) dell’articolo 18 della legge professionale.

Rispettare comunque i canoni deontologici

Tuttavia, il Consiglio nazionale ha richiamato l’attenzione su un punto fondamentale: anche se l’attività svolta in ambito associativo non è qualificabile come esercizio della professione, l’avvocato è comunque tenuto a rispettare i principi deontologici, evitando condotte che possano configurare pubblicità professionale non conforme o forme di accaparramento di clientela. In altri termini, la partecipazione all’associazione – e le modalità con cui essa viene resa nota – non devono trasformarsi in un mezzo indiretto per promuovere la propria attività professionale in violazione del Codice deontologico.

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) Trattamento sanitario obbligatorio (TSO): cos'è, come funziona e quali sono i diritti della persona

Cos’è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un intervento sanitario previsto dall’ordinamento italiano che può essere disposto in modo coercitivo nei confronti di una persona affetta da disturbi mentali, quando essa si rifiuta di sottoporsi volontariamente alle cure necessarie e ricorrono precise condizioni di pericolo per sé o per gli altri.

Trattasi di un misura eccezionale e residuale, finalizzata alla tutela della salute mentale del paziente e alla sicurezza pubblica, ma deve essere sempre esercitata nel pieno rispetto dei diritti costituzionali. La sua applicazione è vincolata a rigidi requisiti normativi e a un rigoroso controllo giudiziario, a garanzia dell’individuo.

La base normativa del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) si trova nella legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e in particolare agli articoli 33, 34 e 35, che ne disciplinano la procedura, i presupposti e le garanzie.

Requisiti per il TSO: quando può essere disposto

Secondo l’art. 34 della legge 833/1978, il TSO può essere adottato esclusivamente quando:

  1. sussistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  2. non è possibile attuare tempestivamente e adeguatamente interventi extraospedalieri;
  3. la persona rifiuta le cure necessarie.

Questi tre presupposti devono coesistere e vanno accertati da almeno due medici, di cui uno deve appartenere alla struttura sanitaria pubblica.

Chi può richiedere il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

La richiesta di TSO parte da un medico, che può essere anche un medico di base o del pronto soccorso, e deve essere convalidata da un secondo medico, appartenente a una struttura pubblica.

La proposta, accompagnata dal certificato medico, viene inviata al Sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale, che può emettere ordinanza motivata di TSO. Successivamente, il provvedimento deve essere convalidato dal Giudice Tutelare entro 48 ore.

Come funziona il TSO: la procedura

  1. Accertamento sanitario: redazione della proposta da parte del medico, convalidata da un secondo sanitario pubblico.
  2. Emissione dell’ordinanza del Sindaco: deve indicare il tipo di trattamento e le sue modalità.
  3. Esecuzione del TSO: normalmente presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).
  4. Convalida del Giudice Tutelare: entro 48 ore dalla comunicazione, il giudice convalida o meno il provvedimento.
  5. Durata: il TSO ha una durata iniziale massima di 7 giorni, prorogabile per ulteriori 7 giorni su proposta medica convalidata.

Tipi di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

  • TSO in regime di ricovero: il più comune, comporta il trasferimento del paziente in un reparto psichiatrico ospedaliero.
  • TSO ambulatoriale (meno diffuso): può consistere in cure somministrate fuori dal contesto ospedaliero, sotto condizioni specifiche.

Diritti della persona sottoposta a TSO

La persona sottoposta a TSO conserva pienamente i propri diritti fondamentali, tra cui:

  • il diritto a essere informata sul trattamento e sui motivi dell’intervento.
  • il diritto alla tutela giurisdizionale, mediante ricorso.
  • il diritto alla riservatezza e al rispetto della dignità personale.
  • il diritto di comunicare con familiari e avvocati durante il trattamento.

Ricorso contro il TSO

L’interessato o chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso al Giudice Tutelare contro la convalida del TSO. Il giudice è tenuto a decidere in tempi rapidi, garantendo il contraddittorio.

È possibile altresì proporre reclamo ex art. 737 c.p.c. o ricorso straordinario al Tribunale civile nei casi in cui emergano profili di violazione dei diritti fondamentali.

Conseguenze del TSO

Il TSO non comporta automaticamente limitazioni permanenti ai diritti civili o alla capacità giuridica, ma può essere valutato ai fini di:

  • provvedimenti di amministrazione di sostegno, interdizione o inabilitazione (oggi superati dalla figura dell’ADS);
  • decisioni in ambito lavorativo o previdenziale, con eventuale riconoscimento di invalidità;
  • limitazioni alla capacità di possesso e uso di armi, ai sensi del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).

Normativa di riferimento

  • Legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 33-35 – Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
  • Codice Civile, artt. 414 ss. (istituti di protezione come interdizione, inabilitazione e incapacità naturale).
  • Legge 180/1978 (cd. Legge Basaglia), abrogata ma integrata nella legge 833/1978.
  • Costituzione italiana, artt. 13 e 32 – Libertà personale e diritto alla salute.
  • Codice Deontologico Medico, in relazione all’obbligo di rispetto della volontà del paziente salvo i casi di TSO.

Leggi anche: TSO: la persona va informata sul trattamento

danno differenziale

Danno differenziale Danno differenziale: cos'è, normativa di riferimento, presupposti, come si calcola, presupposti e risarcimento

Danno differenziale

Il danno differenziale è un istituto fondamentale nella materia del risarcimento del danno derivante da infortuni sul lavoro o malattie professionali. Esso consiste in sostanza nel risarcimento ulteriore, rispetto a quello erogato dall’INAIL, spettante al lavoratore quando il danno effettivo subito supera quanto riconosciuto in via automatica dall’assicurazione obbligatoria. Questo istituto risponde all’esigenza di garantire il risarcimento integrale del danno, tenendo conto della differenza tra quanto ricevuto dall’INAIL e il maggiore pregiudizio effettivamente subito dal lavoratore.

Cos’è il danno differenziale

Il danno differenziale è definito come la parte di danno risarcibile che non trova copertura nell’indennizzo previsto dalla tutela INAIL. Lo stesso può riguardare:

  • il danno patrimoniale, come perdita di capacità lavorativa, mancato guadagno o spese mediche non rimborsate;
  • Il danno non patrimoniale, ossia biologico, morale o esistenziale, nella misura eccedente rispetto a quanto riconosciuto dall’INAIL.

Il principio alla base è che l’indennizzo INAIL ha natura assistenziale, mentre il risarcimento civilistico mira alla riparazione integrale del danno, secondo i criteri dell’art. 2043 c.c.

Normativa di riferimento

Le principali fonti normative sono:

  • Art. 10 del d.P.R. n. 1124/1965 (Testo unico infortuni sul lavoro), che prevede l’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro in caso di responsabilità,;
  • Art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;

Come si calcola il danno differenziale

Semplificando, il danno differenziale si calcola come la differenza tra il risarcimento civilistico integrale (determinato secondo i parametri giurisprudenziali, ad esempio le Tabelle del Tribunale di Milano) e l’importo erogato dall’INAIL, comprensivo di indennità temporanea, rendita, indennizzo in capitale o prestazioni sanitarie.

Esempio pratico:

  • Danno biologico accertato in sede civile: € 100.000
  • Indennizzo INAIL ricevuto: € 40.000
  • Danno differenziale spettante: € 60.000

L’importante è non sommare le due voci, ma dedurre l’indennizzo INAIL dal risarcimento complessivo riconosciuto in sede giudiziaria o stragiudiziale.

Presupposti per ottenere il danno differenziale

Per far valere il diritto al danno differenziale è necessario:

  1. dimostrare la responsabilità datoriale (dolo o colpa, ad esempio per violazione delle norme antinfortunistiche);
  2. accertare l’entità del danno complessivo, patrimoniale e non patrimoniale;
  3. quantificare l’importo già erogato da INAIL;
  4. promuovere un’azione risarcitoria civile, generalmente davanti al tribunale del lavoro.

Come ottenere il risarcimento  

1. Raccolta della documentazione

  • verbale di infortunio o malattia professionale;
  • comunicazioni e certificazioni INAIL (con importi e tipo di prestazione);
  • cartelle cliniche, relazioni mediche e perizie di parte.

2. Valutazione legale

Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto del lavoro e responsabilità civile, per l’analisi della posizione e la quantificazione del danno.

3. Tentativo di conciliazione o trattativa stragiudiziale

In molti casi, è possibile ottenere un risarcimento anche senza causa, mediante trattativa con l’assicurazione del datore di lavoro.

4. Azione giudiziaria

In caso di mancato accordo, si può agire in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale, secondo le regole del processo del lavoro.

Danno differenziale e danno complementare: differenze

Occorre distinguere tra:

  • Danno differenziale: parte del danno già oggetto di indennizzo INAIL, ma non integralmente risarcita;
  • Danno complementare: voci di pregiudizio non coperte in alcun modo dall’INAIL, come il danno morale o esistenziale in determinate ipotesi.

Di recente la Cassazione n. 2008/2025 ha chiarito che il concetto di “danno differenziale” in relazione al danno biologico si riferisce correttamente alla porzione di risarcimento che supera l’ammontare dell’indennizzo previsto dall’assicurazione obbligatoria e che, di conseguenza, rimaneva a carico del datore di lavoro. In quest’ottica, il diritto esercitato dal lavoratore veniva definito in modo appropriato. Distinto da questo istituto è il cosiddetto “danno complementare”. In questa categoria rientrano i danni richiesti che non sono coperti dall’assicurazione e che devono essere risarciti in base alle norme generali della responsabilità civile (come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 166 del 10 aprile 2017). Sembra che il Collegio di merito abbia fatto riferimento proprio a questa nozione di danno complementare per negare in questa sede la tutela al diritto del lavoratore al risarcimento del danno biologico.”

Leggi anche: Infortunio sul lavoro

caso fortuito e rimessione

Caso fortuito e rimessione in termini: la Cassazione chiarisce La Corte di Cassazione definisce i requisiti del caso fortuito ai fini della rimessione in termini nel processo penale

Caso fortuito e rimessione in termini

Con la sentenza n. 18618/2025, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della rimessione in termini per il ricorso per cassazione, specificando i presupposti giuridici che danno rilievo al caso fortuito nel processo penale.

Il fatto processuale

Nel caso di specie, il difensore dell’imputato aveva presentato istanza di rimessione in termini, adducendo il verificarsi di un evento eccezionale che aveva impedito il rispetto del termine per l’impugnazione. Il legale invocava il caso fortuito, chiedendo alla Corte di riconoscerne la sussistenza e di ritenere ammissibile il ricorso presentato oltre il termine ordinario.

La definizione di caso fortuito secondo la Cassazione

La Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito che il caso fortuito si configura come:

“un’accidentalità che opera come causa non conoscibile, ineliminabile con l’uso delle comuni prudenza e diligenza”.

Per essere rilevante ai fini della rimessione in termini, l’evento deve dunque:

  • essere imprevisto e imprevedibile;

  • avere carattere eccezionale e atipico;

  • manifestarsi in modo improvviso;

  • impedire oggettivamente all’agente di conformare tempestivamente la propria condotta alla situazione determinatasi.

Il principio affermato

In applicazione di tali criteri, la Corte ha rigettato la richiesta di rimessione in termini, ritenendo che l’evento dedotto dal difensore non fosse inquadrabile come caso fortuito in senso tecnico-giuridico. La decisione valorizza il profilo dell’esigibilità del comportamento diligente, sottolineando che il caso fortuito deve determinare un impedimento insormontabile e non semplicemente una difficoltà organizzativa o una negligenza, anche se minima.

Allegati

bonus latte artificiale

Bonus latte artificiale  Bonus latte artificiale: cos’è, normativa, a chi spetta, requisiti reddituali e soggettivi, importo e come fare domanda

Cos’è il bonus latte artificiale

Il bonus latte artificiale è un contributo economico previsto per supportare le famiglie nell’acquisto di formule per lattanti in caso di accertata impossibilità dell’allattamento materno. Si tratta di una misura sanitaria e sociale introdotta per garantire pari opportunità di nutrizione ai neonati nei primi mesi di vita, nel rispetto delle linee guida pediatriche.

La normativa di riferimento

Il bonus è stato istituito con l’art. 1, comma 456 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020) e successivamente regolamentato con il Decreto del Ministero della Salute del 31 agosto 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 266 del 8 novembre 2021. L’erogazione del beneficio è subordinata all’individuazione delle risorse disponibili e all’attivazione delle procedure a livello regionale o aziendale (ASL).

A chi spetta il bonus latte artificiale

Il bonus può essere richiesto esclusivamente da madri:

  • residenti in Italia;
  • con indicazione medica di impossibilità all’allattamento al seno per motivi patologici (ad esempio infezioni croniche, terapie farmacologiche incompatibili, ipogalattia severa documentata, interventi chirurgici, patologie metaboliche o infettive, ecc.);
  • con un ISEE minorenni in corso di validità non superiore a 30.000 euro annui.

È importante evidenziare che il beneficio è rivolto a supportare l’alimentazione dei bambini nei primi sei mesi di vita, periodo ritenuto fondamentale per lo sviluppo neonatale.

Importo del contributo

L’importo massimo riconosciuto è di € 400 annui, da riproporzionarsi in base al numero di mesi in cui l’allattamento al seno è impossibile.

L’importo viene concesso una tantum, in relazione al periodo di impossibilità all’allattamento certificato dal medico specialista o dal pediatra di libera scelta.

Modalità di richiesta

Le modalità operative per ottenere il bonus latte artificiale variano leggermente da Regione a Regione. In generale, la domanda va presentata alla propria ASL di appartenenza, entro i primi sei mesi dalla nascita, allegando:

  1. il certificato medico attestante l’impossibilità di allattare per patologia, rilasciato da uno specialista del Servizio Sanitario Nazionale o da un pediatra;
  2. la certificazione ISEE in corso di validità;
  3. il documento di identità della madre richiedente;
  4. il codice fiscale del bambino;
  5. le ricevute fiscali o scontrini parlanti comprovanti l’acquisto del latte artificiale.

La richiesta può essere presentata in modalità cartacea o telematica, secondo le indicazioni fornite dalla ASL o Regione di appartenenza (come ASL Pescara, Regione Puglia, Regione Lazio ecc.).

Modalità di erogazione del bonus latte artificiale

L’ASL competente provvede a verificare la documentazione e ad autorizzare l’erogazione del contributo tramite:

  • rimborso delle spese già sostenute, su presentazione delle ricevute;
  • in alcuni casi, voucher o contributi diretti da utilizzare presso farmacie o punti vendita convenzionati.

Leggi anche gli articoli dedicati agli altri bonus

sovraindebitamento

Sovraindebitamento: guida alla legge salva suicidi Sovraindebitamento: cos’è, quali leggi lo prevedono e lo regolamentano, destinatari, procedure, esdebitazione

Sovraindebitamento: definizione

Il termine giuridico “sovraindebitamento” descrive la situazione in cui un soggetto non è più in grado di far fronte ai propri debiti. La situazione di sovraindebitamento si verifica nello specifico quando lo squilibrio tra entrate e uscite rende impossibile al debitore onorare gli impegni finanziari assunti con banche, finanziarie, fornitori e altri creditori.

Riferimenti normativi

La normativa sul sovraindebitamento rappresenta un’opportunità per individui, famiglie, professionisti e piccole imprese.

I debitori hanno infatti la possibilità di rinegoziare i debiti in base alle loro reali capacità economiche, con la prospettiva di vedersi cancellata la parte del debito che non riusciranno mai a saldare. Questo processo non deve essere considerato una  sanatoria generalizzata. Si tratta piuttosto di un meccanismo per consentire a chi è oberato dai debiti di pagare ciò che può effettivamente sostenere, conservando nello stesso tempo una vita dignitosa.

Legge salva suicidi n. 3/2012

Il sovraindebitamento è stato formalmente riconosciuto dalla Legge 3/2012, contenente  “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, meglio nota come “legge salva suicidi.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Nel 2022 il sovraindebitamento è stato riformato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Sebbene i principi fondamentali dell’istituto introdotti dalla Legge 3/2012 rimangano validi,  il Codice della Crisi rappresenta, al momento, il riferimento normativo principale.

Obbiettivi della procedura

Le disposizioni sul sovraindebitamento mirano a perseguire un duplice obiettivo:

  • consentire al debitore di pagare i debiti in base alle proprie effettive possibilità economiche, tenendo conto del reddito, del patrimonio e del nucleo familiare;
  • concedere l'”esdebitazione, ovvero la cancellazione di quella parte dei debiti che non può essere in alcun modo onorata, offrendo così un nuovo inizio finanziario.

Alle procedure di sovraindebitamento possono accedere però  solo coloro che si trovano in una reale situazione di difficoltà economica e che dimostrano di non aver agito in modo fraudolento o con colpa grave nella creazione del proprio indebitamento.

Codice crisi d’impresa: novità sovraindebitamento

Il Codice della Crisi ha previsto diverse novità, a tutto vantaggio del debitore.

  • Procedure familiari: i membri della stessa famiglia conviventi, con un’origine comune del sovraindebitamento, possono avviare un’unica procedura, con conseguente riduzione di costi e tempi rispetto all’obbligo di procedure individuali previsto dalla precedente normativa.
  • Meritevolezza: il debitore deve dimostrare di non aver compiuto atti di frode verso i creditori (ad esempio, sottrazione di patrimonio) e che il sovraindebitamento non è frutto di dolo o comportamenti gravemente imprudenti.
  • Merito creditizio: il codice ha introdotto un elemento di “responsabilità” per gli istituti di credito che hanno concesso finanziamenti pur essendo consapevoli della precaria situazione finanziaria del richiedente. Questo è un aspetto che può influenzare le decisioni del giudice in merito all’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente o “esdebitazione senza utilità”: è consentito  cancellare tutti i debiti anche a coloro che non possiedono alcun bene o reddito da destinare al pagamento, purché”meritevoli”.
  • Cessione del quinto dello stipendio: i prestiti con cessione del quinto sono equiparati agli altri debiti e possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento.
  • Riabilitazione del richiedente: la liquidazione del patrimonio ha una durata massima e l’esdebitazione diventa automatica alla fine di questo periodo (in assenza di motivi ostativi), senza bisogno di una specifica domanda.

Debiti rientranti nel sovraindebitamento

La normativa sul sovraindebitamento può includere una vasta gamma di debiti, tra cui quelli verso le verso banche e le finanziarie, le spese per il condominio, le tasse degli enti locali; i debiti verso privati, fornitori e l’Agenzia delle Entrate. Non vi rientrano invece i debiti per alimenti dovuti al coniuge.

Destinatari procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, ovvero a coloro che non superano determinate soglie dimensionali e di indebitamento previste dalla legge fallimentare. Queste categorie includono i consumatori, ossia le persone fisiche senza Partita IVA, i lavoratori autonomi, i professionisti iscritti ad albi, le piccole imprese sotto le soglie di fallibilità (debiti totali inferiori a 500.000euro; ricavi lordi inferiori a 200.000 euro e attivo patrimoniale inferiore a 300.000 euro), le aziende agricole, le Start-up innovative, gli enti no profit, enti pubblici con certe caratteristiche, i familiari del soggetto sovraindebitato (coniugi, conviventi, parenti entro il 4° grado e affini entro il 2° grado conviventi e con origine comune del debito) e i soci illimitatamente responsabili delle SNC, delle SAS e delle SPA.

Le procedure di sovraindebitamento 

Il Codice della Crisi prevede diverse procedure per affrontare il sovraindebitamento.

  1. Liquidazione controllata del sovraindebitato: questa procedura, simile alla precedente “liquidazione del patrimonio” della Legge 3/2012, prevede la liquidazione dei beni del debitore per soddisfare i creditori. Se il ricavato non copre interamente i debiti, la parte residua può essere pagata ratealmente per un periodo limitato. Il giudice ha l’ultima parola sull’esito della procedura.
  2. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: rivolto a persone fisiche con reddito stabile (dipendenti, pensionati, ecc.) e debiti prevalentemente di natura personale, questo piano prevede una proposta di pagamento sostenibile presentata ai creditori e soggetta all’approvazione del giudice. Non è soggetto al voto dei creditori.
  3. Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi): destinato a imprese e professionisti non fallibili, prevede una proposta di pagamento ai creditori che diventa efficace se approvata da almeno il 50% dei crediti. Permette, in alcuni casi, la continuità aziendale.

Esdebitazione: cancellazione dei debiti

Anche nel caso di liquidazione del patrimonio, se il ricavato non copre l’intero ammontare dei debiti, il debitore può essere esdebitato per la parte residua. L’esdebitazione può essere richiesta anche da soggetti falliti, che hanno la possibilità di ricominciare, liberandosi dalle pendenze pregresse.

Esdebitazione senza utilità o “del debitore incapiente”

Questa forma di esdebitazione, introdotta dal Codice della Crisi, permette ai debitori “meritevoli” che non hanno alcun bene o reddito di ottenere la cancellazione di tutti i loro debiti una sola volta nella vita. Il beneficiario ha però l’obbligo di informare i creditori qualora, nei quattro anni successivi, dovesse entrare in possesso di risorse tali da consentire il pagamento di una percentuale del debito.

Procedura di sovraindebitamento in breve

La procedura di sovraindebitamento, molto brevemente, si articola nelle seguenti fasi:

  1. verifica preliminare: valutazione dell’ammissibilità alla legge e della convenienza della procedura;
  2. raccolta della documentazione: preparazione di tutti i documenti relativi alla situazione economica e patrimoniale;
  3. nomina dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC): un organismo terzo e indipendente che assiste il debitore;
  4. istanza al Giudice: presentazione della domanda di avvio della procedura;
  5. omologazione del Giudice: approvazione del piano o della liquidazione da parte del Tribunale, in cui è prevista l’adozione possibile di misure cautelari;
  6. attuazione del piano: esecuzione dei pagamenti previsti o liquidazione del patrimonio;
  7. esdebitazione e riabilitazione: al termine della liquidazione, avviene la cancellazione dei debiti non pagati.