tirocini alla corte europea

Tirocini alla Corte Europea Come funzionano e a chi sono rivolti i tirocini alla Corte Europea e come fare domanda per partecipare

Tirocini alla Corte Europea: come funzionano

I neolaureati o i magistrati nazionali hanno l’opportunità di svolgere un programma di tirocinio (stage) presso la Corte di giustizia dell’Unione europea, l’istituzione giudiziaria dell’UE che garantisce il rispetto del diritto dell’Unione per 450 milioni di cittadini. Si tratta di un programma che consente di arricchire la propria formazione, contribuendo altresì alle attività della Corte, in un contesto stimolante, europeo e multilingue. Inoltre, si legge sul sito della Curia, “sarà possibile conoscere altri neolaureati tirocinanti o magistrati, condividendo i valori comuni dell’Unione fondati sulla democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali”.

Tirocini per neolaureati

L’obiettivo dei tirocini per neolaureati è la formazione del tirocinante alle attività dell’istituzione e lo svolgimento da parte del tirocinante di compiti a beneficio di quest’ultima.

È offerto un numero limitato di tirocini, circa 200 all’anno. Essi possono essere svolti nei gabinetti dei Membri (giudici e avvocati generali) e hanno una durata dai 3 ai 5 mesi, oppure nei servizi dell’istituzione, avendo una durata di 5 mesi.

Il tirocinante è soggetto a un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito ai fatti e ai documenti interni dell’istituzione di cui ha avuto conoscenza.

Tirocini nei gabinetti dei giudici e avvocati generali

I tirocini nei gabinetti si rivolgono in particolare ai neolaureati in giurisprudenza che dispongono idealmente di una formazione in diritto dell’Unione. Nell’ambito delle sue funzioni, il tirocinante sarà chiamato a partecipare all’attività del gabinetto, svolgendo compiti diversi in relazione alle cause seguite dal Membro presso il cui gabinetto il tirocinante è stato assegnato e che non sono ancora in fase di deliberazione.

Tirocini nei servizi

Presso i servizi dell’Istituzione che accolgono tirocinanti, come la direzione delle risorse umane, del bilancio (ecc.), questi ultimi hanno la possibilità di scoprire le particolari funzioni svolte in essi e di applicare le conoscenze acquisite nel corso dei loro studi. Essi partecipano attivamente allo svolgimento dei compiti che sono loro assegnati in tale contesto, sotto la supervisione di funzionari esperti.

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione, della durata da dieci a dodici settimane, si rivolgono in particolare ai neolaureati in interpretazione di conferenza. L’obiettivo è quello di consentire ai giovani interpreti di essere seguiti nel loro perfezionamento nell’interpretazione, segnatamente di contenuti giuridici, che implica, nel contempo, la preparazione dei fascicoli, un lavoro di ricerca terminologica ed esercitazioni pratiche in «cabina muta». I candidati devono possedere almeno la conoscenza di due lingue passive o di una seconda lingua attiva. Si richiede la conoscenza del francese letto. La selezione dei candidati viene effettuata una volta all’anno per l’intero anno giudiziario (deposito delle candidature dal 1º luglio al 15 settembre di ogni anno).

Requisiti di ammissione

Tra i requisiti di ammissione è indispensabile:

– Essere cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, fatte salve deroghe debitamente giustificate.

– Essere in possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza, in scienze politiche o in economia o in un settore affine (o, in ipotesi eccezionali, di una formazione equivalente).

– Avere una conoscenza approfondita di una lingua ufficiale dell’Unione europea e una buona conoscenza di un’altra lingua ufficiale dell’Unione europea. Per ragioni di servizio, è auspicabile una buona conoscenza del francese.

– Non aver già beneficiato di un tirocinio (retribuito oppure no) presso un’istituzione o un organo dell’Unione.

Retribuzione

L’importo netto della borsa riconosciuta ammonta ad euro 1554,00 al mese. Esso non è sottoposto al regime fiscale applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione europea. Ai tirocinanti il cui luogo di residenza è situato a una distanza geografica di 200 km o più dalla sede della Corte di giustizia dell’Unione europea viene corrisposto un contributo alle spese di viaggio pari ad EUR 150,00.

Come candidarsi

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 1º marzo e il 31 luglio, le candidature devono essere depositate dal 1º luglio al 15 settembre dell’anno precedente.

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 16 settembre e il 15 febbraio (per i tirocini nei gabinetti) o dal 1º ottobre a fine febbraio (per i tirocini nei servizi), le candidature devono essere depositate dal 1º febbraio al 15 aprile dello stesso anno.

Le candidature devono essere presentate tramite l’applicazione EU CV Online ed essere corredate di un curriculum vitae dettagliato.

Tirocini per i magistrati nazionali

La Corte accoglie, in qualità di tirocinanti, magistrati nazionali nell’ambito del programma di scambi organizzato dalla Rete europea di formazione giudiziaria (European Judicial Training Network; EJTN), entro un massimo di 15 magistrati all’anno.

I tirocini dei magistrati nazionali si svolgono nei gabinetti dei Membri della Corte di giustizia e del Tribunale o presso la Direzione della Ricerca e della documentazione (DRD). Essi hanno una durata di 6 o 12 mesi. I magistrati nazionali sono chiamati a svolgere le stesse funzioni esercitate, a seconda del contesto del tirocinio, dai referendari o dagli amministratori della DRD.

Il magistrato nazionale è soggetto ad un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito a tutti i fatti e documenti interni di cui ha avuto conoscenza. Egli si impegna a non pubblicare né a far pubblicare alcun documento in relazione al suo tirocinio.

Requisiti di ammissione

I requisiti di ammissione necessari sono i seguenti:

– Aver svolto le funzioni di magistrato (giudice o pubblico ministero) in uno Stato membro dell’Unione europea per almeno un anno.

– Avere una certa conoscenza del diritto dell’Unione.

– Avere una perfetta conoscenza di una lingua ufficiale dell’Unione europea e un livello adeguato di conoscenza della lingua francese al fine di essere in grado di collaborare con i Membri della Corte di giustizia e del Tribunale nel trattamento dei fascicoli e nella redazione delle decisioni.

Retribuzione

Il magistrato nazionale scelto per un tirocinio non è retribuito né indennizzato da parte della Corte. Egli percepisce un’indennità giornaliera finanziata dall’EJTN.

Come presentare la propria candidatura

Le candidature devono essere presentate presso l’EJTN – tirocini di lunga durata

piattaforma send

Piattaforma Send per le notifiche digitali L'Inps ha reso nota l'adesione alla Piattaforma Send per le notifiche digitali degli atti della Pubblica amministrazione

Piattaforma Send per le notifiche

L’Inps con il messaggio n. 4121 del 5 dicembre 2024 ha reso nota l’adesione alla Piattaforma Send per la notificazione degli atti della pubblicazione amministrazione.

La piattaforma, prevista dall’art. 1 comma 402 della legge finanziaria 2020, è stata prevista dal decreto Semplificazioni (dl n., 76/2020) ed è accessibile dai destinatari direttamente (tramite Spid) o App IO,
Attraverso Send si garantisce, spiega l’Inps, la “certezza degli effetti giuridici della notifica anche se è stato depositato in piattaforma il relativo avviso di mancato recapito o in caso di irreperibilità assoluta del destinatario”.

Le prime notifiche tramite SEND sono effettuate a partire da dicembre 2024 relative ai provvedimenti di Riscatti, Ricongiunzioni e Rendite della gestione privata; a seguire, di rinuncia, rigetto, decadenza, revoca ADI/SFL 2024 e recuperi di somme non dovute quali bonus indennità una tantum Area Pensioni.

notifica al difensore

Notifica al difensore e non al detenuto: nullità sanabile La notifica al difensore è possibile ex art. 161 comma 4 c.p.p. se la notifica al domicilio dichiarato è impossibile

Notifica al difensore e non al detenuto

La notifica effettuata al difensore non al detenuto integra una nullità sanabile (cfr. art. 161 comma 4 c.p.p.). Questo si ricava dalla sentenza n. 35786/2024 della sesta sezione penale della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Potenza confermava la condanna emessa a carico del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., commesso mediante l’omesso versamento dell’assegno mensile di mantenimento disposto in favore del figlio minore.
Avverso tale sentenza, il ricorrente adiva il Palazzaccio lamentando tra le altre cose, oltre allo stato di disoccupazione, l’omesso riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in relazione alla quale era positivamente valutabile il suo stato di indigenza, nonchè l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, posto che la notifica presso il domicilio eletto non si perfezionava, né andava a buon fine la notifica agli ulteriori indizi presso i quali si riteneva che l’imputato potesse essere rintracciato.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è manifestamente infondato. Rigettate tutte le doglianze correttamente valutate dalla Corte di merito, sul fronte della corretta vocatio in iudicium per il giudizio di appello, i giudici della S.C. evidenziano che la doglianza, tuttavia, risulta del tutto generica e non si confronta con la puntuale specificazione contenuta nella sentenza d’appello, dove si dà atto che il tentativo di notifica del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato è risultato impossibile. A fronte dell’inidoneità del domicilio dichiarato, pertanto, la notifica è stata correttamente eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod, proc. pen.

Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile e il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Allegati

spese sanità

Spese sanità: prima vanno sacrificate le altre spese Prima di sacrificare le spese per la sanità, afferma la Consulta vanno prioritariamente ridotte le altre spese indistinte

Spese sanità: l’intervento della Consulta

Spese sanità: prima di sacrificarle devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte. In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket». È quanto si legge nella sentenza n. 195/2024, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania avverso l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026).

Spese sanità: le questioni

La Corte ha dichiarato non fondate diverse questioni, che riguardavano la legittimità della misura, le modalità e la durata del concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica, stabilite dalla legge di bilancio 2024 nelle more della nuova governance economica europea, che, peraltro, mostrano la volontà del legislatore statale di non far gravare il suddetto contributo sulle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute.

La sentenza ha però sollecitato il legislatore, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”», ad «acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto» e a non trascurare, per garantire maggiore effettività al principio di leale collaborazione, il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

Illegittimità costituzionale art. 1, co. 527, legge bilancio 2024

La sentenza ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, quinto periodo, della legge di bilancio per il 2024, ma solo nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre, a seguito del mancato versamento del contributo dovuto da parte delle regioni, quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia e, in particolare, della tutela della salute.

Ciò in quanto, «nemmeno nel caso in cui la regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere»: il diritto alla salute, infatti, «coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità».

Illegittimità costituzionale art. 1 comma 557 l. 213/2023

Da ultimo, la sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, diretto a individuare i criteri e le modalità di riparto, nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme, del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

pignoramento della pensione

Pignoramento della pensione: limiti Il pignoramento della pensione è soggetto a specifici limiti per garantire al titolare il minimo vitale per il suo sostentamento

Cos’è il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è un argomento di grande interesse per molti pensionati italiani, soprattutto per coloro che si trovano in difficoltà economiche e rischiano di vedere una parte della propria pensione decurtata per estinguere alcuni debiti.

In questo contesto, l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile stabilisce i limiti e le modalità con cui è possibile procedere al pignoramento delle somme erogate come pensione.

Cosa dice l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile

L’articolo 545 del Codice di procedura civile regola il pignoramento dei crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi, tra i quali rientrano anche le pensioni. Questo articolo prevede specifiche limitazioni per tutelare il diritto alla sussistenza del debitore, affinché non si vedano compromessi i mezzi di sostentamento minimo necessari per vivere dignitosamente.

La legge cerca infatti di bilanciare la necessità di soddisfare i crediti con il diritto del debitore a conservare una parte delle proprie entrate, soprattutto quando queste derivano dai trattamenti pensionistici.

La pensione, infatti, può essere pignorata solo in parte. Il comma 7 statuisce che: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dellassegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”. 

Pignoramento della pensione: il minimo “vitale”

Il minimo vitale è un concetto fondamentale nella regolamentazione del pignoramento della pensione. L’articolo 545 stabilisce infatti che una parte della pensione debba sempre rimanere intoccabile, per garantire che il pensionato non resti senza i mezzi necessari per il suo sostentamento.

Se l’importo della pensione è già basso e il pignoramento ridurrebbe eccessivamente la somma disponibile per il mantenimento, il giudice può intervenire per ridurre l’ammontare pignorabile, sempre tenendo conto delle esigenze di vita del pensionato.

Dal 2022 il minimo della pensione impignorabile è di euro 1.000,00. Questo significa che le pensioni inferiori a 1.000,00 mensili non possono essere pignorate; le pensioni di importo superiore possono essere pignorate, ma solo per la parte eccedente.

Ad ogni modo, per limporto eccedente il minimo vitale, il pignoramento è possibile solo per un quinto delleccedenza (e non per l’intera eccedenza).

I crediti impignorabili

L’art. 545 del Codice di procedura civile “elenca” i crediti impignorabili, stabilendo al comma 1, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con lautorizzazione del presidente del Tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”, e al successivo comma 2 che “Non possono essere pignorati crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nellelenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattia o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. 

Inoltre, alcuni tipi di pensione sono esenti da pignoramento in determinati casi. Per esempio, le pensioni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento e le altre prestazioni assistenziali non possono essere pignorate, poiché sono destinate a garantire la sussistenza del beneficiario in situazioni di difficoltà o invalidità. Queste indennità sono, infatti, tutelate da leggi specifiche che le rendono impignorabili, a prescindere dall’importo.

Pignoramento Agenzia delle Entrate

Qualora il pignoramento sia effettuato dall’agente della riscossione, la vigente normativa prevede ulteriori limiti: la quota pignorabile non deve superare un decimo se la pensione è inferiore o pari a euro 2.500, un settimo se è compresa tra 2.500 e 5.000 euro e un quinto se è maggiore di 5.000 euro.

Nel caso in cui i creditori pignoranti sono più di uno e i crediti eterogenei, si può pignorare fino al doppio quinto della pensione: quindi si può arrivare sino al 40% della parte eccedente il minimo vitale.

 

Leggi anche: Pignoramento pensioni

giurista risponde

Appropriazione indebita: quando si consuma il reato Ai fini della individuazione del tempus commissi delicti con riferimento al reato di appropriazione indebita, a rilevare è il momento in cui viene realizzata la prima condotta appropriativa o il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito?

Quesito con risposta a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti

 

Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Cass., sez. II, 27 settembre 2024 n. 36177).

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se il reato ascritto all’imputato si fosse estinto, prima dell’emanazione della sentenza di primo grado, per intervenuta prescrizione.

In primo e secondo grado i giudici di merito avevano considerato il reato non estinto per prescrizione, individuando quale data di commissione del medesimo quella in cui l’imputato aveva negato alle parti civili la restituzione delle somme di denaro richiestegli, ritenendo inoltre, alla luce di tale data, tempestiva la proposizione della querela.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando l’erronea individuazione del tempus commissi delicti, nonché la tardività nella proposizione della querela.

In particolare, si obiettava che il reato di appropriazione indebita doveva considerarsi perfezionato alla data della scadenza del contratto di deposito irregolare, dovendo ritenersi, in primo luogo, tardiva la proposizione della querela da parte dei titolari delle somme di denaro di cui si chiedeva la restituzione e, in secondo luogo, il reato estinto per intervenuta prescrizione, già prima della emanazione della sentenza di primo grado.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, dichiarando inammissibile il ricorso alla luce della manifesta infondatezza delle censure proposte, ha ricordato quando stabilito da una risalente ma sempre attuale pronunzia di legittimità (Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 1972, n. 6872), secondo cui l’inutile scadenza del termine di adempimento di una obbligazione civilistica che imponga la restituzione di una cosa altrui non determina, né prova, di per sé, la consumazione del reato di appropriazione indebita; perché ciò avvenga è necessario che, in base a concludenti circostanze di fatto (che possono anche essere diverse dal dare alla cosa una destinazione incompatibile con il titolo del suo precedente e legittimo possesso, e possono consistere anche nel rifiuto ingiustificato della restituzione), sia rivelato il carattere intenzionale (caratterizzante l’elemento soggettivo del reato) della omessa restituzione, nel senso che in quest’ultima coincida, in uno con l’elemento materiale del reato (intrinsecamente inerente alla protrazione non più giustificata del possesso nella persona dell’agente), anche l’elemento soggettivo, inerente alla volontà di invertire il titolo del possesso medesimo appropriandosi della cosa al fine di trarne ingiusto profitto.

Nel caso di specie, il tempus commissi delicti, come correttamente valutato dai giudici di merito, era coinciso con la data in cui l’imputato aveva spedito una lettera raccomandata alle parti civili, ricusando la loro richiesta di restituzione degli importi detenuti e con la quale veniva di fatto esteriorizzato l’animus domini dell’odierno imputato in merito alle somme di denaro detenute, restando del tutto irrilevante, ai fini penalistici, la scadenza del termine entro la quale andava adempiuta l’obbligazione civilistica restitutoria.

Ritenendo quindi corrette le valutazioni operate dai giudici di merito, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e infondate le censure prospettate.

(*Contributo in tema di “Appropriazione indebita: quando si consuma il reato”, a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

inps sui social

Inps sui social: ecco i canali dell’istituto Disponibili i canali Inps sui social: Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn, un ponte tra istituzione e cittadini

Inps sui social

Disponibili i canali social INPS su Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn. Lo rende noto l’Inps con un comunicato sul proprio sito.

L’Istituto si è impegnato, infatti, a utilizzare i social network per avvicinarsi ai cittadini, semplificando l’accesso ai propri servizi e rafforzando la fiducia attraverso una comunicazione chiara e immediata.

Questo approccio mira a fornire informazioni accurate e complete in un contesto sempre più vulnerabile alla disinformazione.

Ecco le pagine tematiche e come funzionano:

Facebook

A partire dal 2025, l’INPS sarà presente su Facebook con due pagine tematiche:

  • INPS per la Famiglia;
  • INPS – Credito e Welfare Dipendenti Pubblici.

Questi profili offriranno notizie aggiornate sui servizi, le prestazioni e, in generale, sul mondo del welfare.Per garantire una comunicazione più efficace e contrastare la diffusione di profili non ufficiali, le precedenti pagine INPS per i Lavoratori Migranti e INPS Giovani saranno integrate nelle pagine verificate.

WhatsApp

Da circa un anno, l’INPS è attivo su WhatsApp con il canale ufficiale INPS per tutti, dedicato a imprese, pensionati, lavoratori, famiglie e cittadini.

Questo canale consente di ricevere informazioni tempestive su temi attuali e rilevanti.

Instagram

Il profilo Instagram inps_social racconta l’Istituto principalmente attraverso immagini.

Grazie a visual tematici, fotografie, storie e quiz, l’account si propone di rendere la cultura previdenziale accessibile anche alle generazioni più giovani.

X

Il canale X @INPS_it offre aggiornamenti e notizie in tempo reale sui servizi e le iniziative dell’Istituto.

LinkedIn

I profili LinkedIn INPS_official e Ufficio Stampa INPS pubblicano aggiornamenti sui servizi dell’Istituto e promuovono iniziative di studio e ricerca, come il progetto VisitINPS, oltre a opportunità di lavoro tramite bandi di concorso pubblico.

Canali ufficiali

Questi sono i canali e i profili social ufficiali gestiti dalla comunicazione dell’Istituto. Qualsiasi altro profilo che utilizzi il nome o il logo dell’INPS, avvisa l’istituto, potrebbe fornire informazioni errate, incomplete o inaffidabili.

cessione case prefabbricate

Cessione case prefabbricate: quale aliquota Iva L'Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sull'aliquota Iva applicabile alla cessione delle case prefabbricate

Aliquota IVA cessione case prefabbricate

Cessione case prefabbricate: l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 246/2024 del 5 dicembre scorso, ha fornito chiarimenti in merito all’aliquota Iva applicabile.
Nel caso di specie l’Amministrazione ha risposto all’interpello di una società che chiedeva delucidazioni sulla possibilità di assoggettare la cessione della casa prefabbricata alle aliquote  ridotte del 4 e del 10% nel caso di presentazione, da parte del cliente,  di una dichiarazione per l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata.

Soluzione prospettata dal contribuente

A  parere  della  Società  le  aliquote  agevolate  saranno  applicabili  sulla  base  della dichiarazione  resa dal cliente a  seguito della quale è tenuta ad emettere  fattura,  che  registrerà  attraverso  il  sistema  di  dichiarazione  elettronica  (OSS)  nello  Stato  di  appartenenza.

L’Istante indica la transazione nella Dichiarazione IVA nel sistema OSS come operazione effettuata in Italia e paga l’IVA ricevuta a saldo della fattura nel proprio Stato, che poi la riverserà all’Italia.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

“L’One Stop Shop (OSS o Sportello Unico) è un regime opzionale IVA che consente a un soggetto passivo di dichiarare e pagare l’IVA in un unico Stato membro, quello dove è identificato ai fini IVA, a fronte di operazioni dallo stesso effettuate a favore  di  privati consumatori UE,  siano esse cessioni  di  beni  o  prestazioni  di  servizi (B2C).

OSS

Lo Stato UE di identificazione provvederà poi alla ripartizione dell’imposta così  raccolta  tra  i  vari  Stati  UE  di  consumo  di  beni  e  servizi,  in  base  agli  importi  delle  transazioni ivi effettuate, rilevanti ai fini IVA”. Queste le premesse dell’Agenzia delle Entrate. “Si tratta dunque di una misura di semplificazione in quanto i soggetti passivi IVA che optano per tale regime, anziché identificarsi in tutti gli Stati UE per l’assolvimento  degli  obblighi  di  dichiarazione  e  di  versamento  dell’imposta  dovuta  a  fronte  delle  cessioni di beni e/o prestazioni di servizi ivi effettuate, dichiarano e versano l’IVA nel solo Stato membro di registrazione/identificazione per l’imposta dovuta sulle forniture  transfrontaliere di beni e/o servizi” proseguono le Entrate.

Nella fattispecie in esame, la Società afferma di essere un soggetto passivo IVA registrato in uno Stato dell’UE, dove ha optato per il regime in commento e pertanto alla  stessa si applicano le disposizioni di cui articolo 74­ septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Decreto IVA) quando effettua, nel territorio dello Stato, le operazioni ivi riportate.

In relazione a dette operazioni (i.e. B2C, effettuate nel territorio dello Stato), oltre a  dichiarare e  versare  nel  proprio Stato la  relativa imposta  dovuta in  Italia, la  norma  appena richiamata dispensa l’Istante anche dagli obblighi di cui al Titolo II del Decreto IVA, tra cui quelli di fatturazione, registrazione, tenuta dei registri contabili, ecc. (cfr. articolo 74­septies, comma 4, del Decreto IVA).

Cessioni di case prefabbricate in legno

In merito alle cessioni di case prefabbricate in legno, la Risoluzione Ministeriale  503351 del 12 marzo 1974 chiarisce che:

1. si applica l’aliquota IVA ordinaria al 22 per cento quando il cliente ”acquista i  pezzi della casa prefabbricata e li fa montare e mettere in opera dalla stessa impresa che li produce o da terzi”. In questo caso, ”il contratto ha per oggetto il semplice acquisto  dei singoli pezzi e poiché tali pezzi costituiscono l’oggetto della ordinaria produzione dell’impresa che li fabbrica…”, è da ritenere ”che il negozio giuridico si debba qualificare come una compravendita e, pertanto, il corrispettivo relativo vada assoggettato all’I.V.A. con l’aliquota ordinaria…”;

2. si applica l’aliquota IVA del 4% o del 10% quando ”il committente affida ad  un’impresa la costruzione di una casa, da effettuare con i pezzi fabbricati dall’impresa stessa”.

La fattispecie

Nel caso di specie, dalle informazioni fornite, la  fattispecie  prospettata dalla società è riconducibile all’ipotesi 1 della citata risoluzione: il cliente italiano in realtà non sta acquistando  una casa, come affermato dall’Istante, bensì pezzi di una casa (precisamente le pareti).

La Società offre anche opzioni supplementari, quali infissi, scale e pavimenti, che, tuttavia, anche considerandole unitamente alle pareti, non permettono di affermare che oggetto della  transazione  sia  una  casa/immobile.

All’operazione prospettata, per come così ricostruita, si rende dunque applicabile  l’aliquota IVA ordinaria del 22 per cento. A diverse conclusioni potrebbe giungersi nell’ipotesi in cui la fornitura in oggetto  avvenga nell’ambito di un contratto di appalto che abbia per oggetto la costruzione e la  consegna di una casa ”chiavi in mano” a cui, al ricorrere dei relativi presupposti, può  essere riconosciuta l’aliquota IVA del 4 o del 10 per cento.

perenzione

Perenzione: la guida Perenzione: istituto che determina l’estinzione del processo amministrativo se le parti restano inattive per un periodo determinato

Perenzione nel processo amministrativo

La perenzione è un istituto giuridico che regola la scadenza di certi termini processuali. Essa determina infatti la cessazione automatica di un’azione legale se la stessa non viene svolta entro il periodo previsto dalla legge. Questo concetto ha un’importanza fondamentale per garantire l’efficienza e la certezza dei processi amministrativi. In Italia, la perenzione è disciplinata dal DLgs n. 104/2010, noto come Codice del Processo Amministrativo, che ha introdotto diverse norme in materia di scadenze processuali e decadenze dei ricorsi.

In questo articolo, esamineremo gli articoli 81-85 del DLgs n. 104/2010, che regolano la perenzione nel processo amministrativo, approfondendo la sua applicazione pratica e le principali pronunce giuridiche che hanno contribuito a chiarire l’ambito di operatività di questo istituto.

Cos’è la perenzione?

La perenzione si verifica quando un’azione legale, che non venga portata avanti nel tempo previsto dalla legge, perde efficacia, determinando la decadenza del ricorso.

Nel contesto del processo amministrativo, la perenzione si applica principalmente ai ricorsi giurisdizionali amministrativi, che, se non attivati o non seguiti con le necessarie attività procedurali (come il deposito di documenti o l’avanzamento della causa), cadono in perenzione, estinguendosi automaticamente.

La perenzione ha quindi lo scopo di velocizzare i processi ed evitare l’accumulo di cause non attuali, ottimizzando il lavoro dei tribunali amministrativi e delle autorità competenti.

Codice del processo amministrativo: artt. 81-85

Come anticipato, la perenzione trova la sua disciplina negli articoli 81, 82. 83, 84 e 85 del decreto legislativo n. 104/2010, che ha disposto il riordino del processo amministrativo. Analizziamo singolarmente queste norme.

Articolo 81 – Perenzione: un ricorso è considerato perento se non viene compiuto alcun atto di procedura per un anno. Il termine di un anno non decorre dal momento della presentazione di un’istanza per la fissazione dell’udienza, fino a quando non vi sia una decisione su di essa, salvo eccezioni.

Articolo 82 – Perenzione dei ricorsi ultraquinquennali: se un ricorso rimane pendente per più di cinque anni dalla sua presentazione, la segreteria notifica alle parti l’obbligo per il ricorrente di presentare una nuova istanza di fissazione dell’udienza entro 120 giorni. Tale istanza deve essere firmata dal ricorrente e dal suo avvocato. In mancanza di questa istanza, il ricorso è dichiarato perento. Se invece viene comunicata la fissazione dell’udienza senza la notifica precedente, il ricorso può essere deciso solo se il ricorrente dichiara interesse alla decisione, altrimenti è dichiarato perento con decreto.

Articolo 83 – Effetti della perenzione: La perenzione si applica automaticamente (di diritto) e può essere rilevata anche d’ufficio. Ogni parte sopporta le proprie spese processuali.

Articolo 84 – Rinuncia: Una parte può rinunciare al ricorso in qualsiasi fase del processo attraverso: 1. una dichiarazione scritta firmata dalla parte stessa o dall’avvocato con mandato speciale, da depositare presso la segreteria; 2. una dichiarazione resa in udienza e registrata nel verbale. Il rinunciante deve sostenere le spese degli atti compiuti, salvo diversa decisione del collegio. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno 10 giorni prima dell’udienza. Se non vi è opposizione, il processo si estingue. Il giudice può comunque dedurre la perdita di interesse alla causa da fatti o comportamenti delle parti.

Articolo 85 – Procedura per lestinzione e limprocedibilità: l’estinzione e l’improcedibilità possono essere dichiarate con un decreto del presidente o di un magistrato delegato. Il decreto è comunicato alle parti dalla segreteria. Le parti hanno 60 giorni dalla comunicazione per opporsi al collegio mediante atto notificato a tutte le altre parti. Il giudizio di opposizione è deciso con un’ordinanza che, se accoglie l’opposizione, fissa una nuova udienza. In caso di rigetto, le spese sono a carico dell’opponente senza possibilità di compensazione. L’ordinanza è comunicata alle parti e può essere impugnata in appello. Se l’estinzione o l’improcedibilità si verificano durante l’udienza di discussione, vengono dichiarate con sentenza.

Giurisprudenza sulla perenzione

La giurisprudenza ha avuto un ruolo cruciale nell’interpretare e applicare i principi della perenzione, cercando di chiarire i contorni di questa disciplina e di bilanciare le esigenze di celerità dei processi con la tutela dei diritti degli utenti del processo amministrativo.

Consiglio di Stato sentenza n. 4318/2017

Nel processo amministrativo, il termine di perenzione previsto dall’art. 81, comma 1, del D.Lgs. n. 104/2010 (Codice del Processo Amministrativo) non decorre se la mancata fissazione dell’udienza da parte della Segreteria dipende da un’omissione di quest’ultima. In tali circostanze, l’inerzia del procedimento non può essere attribuita alle parti, che non hanno la possibilità di intervenire in un’attività procedurale demandata esclusivamente all’ufficio. Le parti hanno quindi il diritto di fare affidamento sull’obbligo della Segreteria di fissare l’udienza d’ufficio.

Consiglio di  Stato sentenza n. 3017/2018

La perenzione nel processo amministrativo ha una duplice natura: privatistica, perché presuppone una tacita rinuncia delle parti alla prosecuzione del giudizio; pubblicistica, in quanto mira a soddisfare l’interesse pubblico a una rapida definizione delle controversie relative all’esercizio del potere amministrativo. Questo istituto risponde quindi all’esigenza di garantire la chiusura delle situazioni giuridiche coinvolgenti la Pubblica Amministrazione entro un termine ragionevole. 

Consiglio di Stato sentenza n. 3426/2019

Nel giudizio amministrativo, il giudice può rilevare una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa anche in assenza delle formalità previste dall’art. 84 del D.Lgs. n. 104/2010. Tale valutazione può basarsi su fatti o atti univoci intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, nonché sul comportamento delle parti, che possono fornire elementi utili a dimostrare la perdita di interesse alla prosecuzione del giudizio.

Effetti della perenzione

La perenzione ha effetti rilevanti sul processo amministrativo. Quando si applica la perenzione, il ricorso diventa inefficace, e il procedimento legale si estingue senza che sia necessaria una pronuncia di merito. Ciò significa che il ricorrente perde la possibilità di far valere i propri diritti in quel determinato processo, e il ricorso non potrà più essere ripreso nemmeno su richiesta della parte. I termini di perenzione sono dunque strumenti utilizzati per accelerare i procedimenti amministrativi e per evitare l’accumulo di ricorsi inerti. Tuttavia, la legge consente alcune deroghe, soprattutto nei casi in cui vi siano impedimenti giustificati che impediscono al ricorrente di proseguire l’azione.

 

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cassa integrazione guadagni

Cassa Integrazione Guadagni Cassa Integrazione guadagni: cos'è, come funziona e quale impatto ha avuto sull'istituto decreto legislativo n. 148/2015

Cassa Integrazione Guadagni: come funziona

La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è uno strumento fondamentale per il sostegno dei lavoratori in Italia durante periodi di crisi aziendali o difficoltà economiche.

Consente di garantire una parte della retribuzione ai dipendenti, evitando licenziamenti di massa e favorendo la continuità lavorativa. Un aspetto fondamentale del sistema di CIG è la sua regolamentazione, che nel corso degli anni ha subito importanti modifiche.

Da segnalare quelle introdotte dal Decreto Legislativo 148/2015, che ha modernizzato il quadro normativo della Cassa Integrazione.

In questo articolo esploreremo cos’è la Cassa Integrazione, le principali tipologie, e come il Decreto 148/2015 abbia influenzato il sistema, introducendo importanti novità sia per le imprese che per i lavoratori.

Cos’è la CIG

La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è una misura di sostegno al reddito che interviene quando un’impresa, per motivi economici, temporaneamente non può garantire ai propri dipendenti il normale orario di lavoro. Grazie alla CIG, l’azienda ha la possibilità di sospendere o ridurre l’attività lavorativa, mentre i dipendenti ricevono una parte del loro stipendio grazie all’intervento dello Stato.

La Cassa Integrazione può essere richiesta in diversi casi, come ad esempio in seguito a una crisi aziendale, a situazioni di mercato difficili, o a eventi straordinari come calamità naturali o pandemie.

Tipologie di Cassa Integrazione

Esistono principalmente tre tipologie di Cassa Integrazione:

Cassa Integrazione Ordinaria (CIGO)

Si applica alle aziende non editi e a quelle industriali e artigiani dell’edilizia che affrontano una temporanea difficoltà economica o organizzativa. La CIGO è concessa per 13 settimane, fatte salve eventuali proroghe, che in certe zone possono elevare il limite a 24 mesi.

Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS)

È utilizzata da aziende in difficoltà più gravi, come quelle in ristrutturazione, riorganizzazione o in crisi aziendale. La CIGS è destinata a grandi imprese e a determinati settori, ed è regolamentata da norme più stringenti rispetto alla CIGO.

Cassa Integrazione in Deroga (CIGD)

È una misura di sostegno speciale che può essere attivata in situazioni straordinarie, come crisi aziendali che non rientrano nei criteri delle altre forme di CIG. Viene applicata anche in caso di difficoltà di piccole e medie imprese o in settori non coperti da altre misure.

Decreto Legislativo 148/2015: novità e conseguenze

Il Decreto Legislativo 148 del 14 settembre 2015 ha rappresentato una pietra miliare per la riforma degli ammortizzatori sociali in Italia, modificando e migliorando il sistema di Cassa Integrazione. Questo decreto ha avuto un impatto significativo su come la CIG viene concessa e gestita, introducendo una serie di innovazioni a favore sia delle imprese che dei lavoratori. Vediamo le principali modifiche.

  1. Razionalizzazione e unificazione ammortizzatori sociali

Prima del Decreto 148/2015, esistevano diverse forme di ammortizzatori sociali, ma con criteri e modalità di accesso differenti, a seconda delle dimensioni dell’impresa e delle specifiche situazioni. Il decreto ha introdotto una razionalizzazione del sistema, cercando di semplificare le procedure e di rendere più uniforme l’accesso agli ammortizzatori.

Il decreto ha, infatti, unificato il trattamento di integrazione salariale per tutte le tipologie di CIG, anche per le imprese di piccole dimensioni. Ha creato maggiore uniformità e maggiore accessibilità alla Cassa Integrazione, estendendo la possibilità di utilizzare gli ammortizzatori sociali anche alle aziende più piccole, che prima avevano difficoltà a beneficiare di questi strumenti.

  1. Durata e utilizzo della CIG

Il Decreto ha anche modificato la durata del trattamento di CIG, introducendo una maggiore flessibilità. In particolare, ha previsto che le agevolazioni per la CIGO vengano concesse solo per periodi determinati (a seconda della gravità della crisi aziendale). Questo permette di ridurre il rischio di abuso di questo strumento da parte delle imprese, incentivando l’adozione di soluzioni più durature e strutturali per uscire dalla crisi.

Inoltre, il decreto ha limitato l’utilizzo della CIG in deroga, che viene concessa solo per situazioni eccezionali. L’idea è quella di incentivare il ricorso a forme ordinarie di integrazione salariale, garantendo al contempo maggiore equità tra le aziende di diverse dimensioni e settori.

  1. Maggiore controllo e trasparenza

Una delle innovazioni più importanti introdotte dal Decreto 148/2015 è l’aumento dei controlli sulle modalità di accesso agli ammortizzatori sociali. Le aziende sono tenute a fornire una documentazione dettagliata riguardo le motivazioni che giustificano il ricorso alla CIG. In questo modo, il governo intende prevenire eventuali abusi e garantire che le risorse vengano utilizzate esclusivamente per aiutare le imprese in difficoltà reali.

  1. Sostegno a settori strategici e a imprese

Il Decreto ha esteso anche l’ambito di applicazione della CIGS per le imprese in crisi e per quelle che devono affrontare ristrutturazioni aziendali. Inoltre, ha previsto misure di sostegno specifico per i settori in difficoltà, come il settore industriale e quello agricolo, attraverso una maggiore personalizzazione delle forme di ammortizzatore sociale.

Come richiedere la Cassa Integrazione Guadagni

La procedura per richiedere la Cassa Integrazione varia a seconda della tipologia, ma in generale le imprese devono inviare una richiesta formale all’INPS, accompagnata dalla documentazione che giustifica la necessità di ricorrere alla CIG. L’INPS, a sua volta, valuta la richiesta e decide se concedere l’ammortizzatore. La durata e l’importo del trattamento dipendono dalle specifiche condizioni aziendali e dalla tipologia di CIG richiesta.

 

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