canone Rai

Canone RAI Canone RAI : imposta sul possesso di apparecchi televisivi, chi deve pagarlo, come funziona l’esenzione, conseguenze per il mancato pagamento

Cos’è il canone RAI

Il canone RAI è un’imposta sul possesso di un apparecchio televisivo, prevista dalla legge italiana per finanziare il servizio pubblico radiotelevisivo. Non è quindi un abbonamento, ma un tributo obbligatorio, dovuto anche da chi non guarda i canali RAI ma possiede una TV o un dispositivo in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare.

Normativa di riferimento

La disciplina del canone RAI è contenuta in diverse fonti, tra le quali si segnalano le seguenti:

  • R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, convertito in L. 4 giugno 1938, n. 880;
  • legge di Stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 152-159);
  • provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate, che gestisce l’esonero e il pagamento.

Chi è obbligato a pagare il canone RAI

Sono tenuti al pagamento del canone:

  • tutti coloro che possiedono uno o più apparecchi televisivi in un’abitazione privata;
  • anche chi non guarda i programmi RAI, se il dispositivo è idoneo alla ricezione.

L’obbligo ricade per ciascuna famiglia anagrafica, anche se ci sono più apparecchi e più immobili.

Quando si ha diritto all’esenzione

È possibile richiedere l’esenzione in alcuni casi specifici:

  • assenza totale di televisori in casa;
  • anziani over 75 con reddito annuo non superiore a 8.000 euro, senza conviventi con redditi propri (eccetto colf e badanti);
  • diplomatici e militari stranieri secondo convenzioni internazionali;
  • residenti all’estero per immobili non occupati.

L’esonero va richiesto ogni anno con apposita dichiarazione all’Agenzia delle Entrate.

Come si paga il Canone RAI

Dal 2016, il canone viene addebitato automaticamente nella bolletta elettrica, suddiviso in 10 rate mensili da gennaio a ottobre. Per chi non ha utenze elettriche residenziali, il pagamento avviene tramite modello F24.

L’importo per il 2025 è di 90 euro annui.

Conseguenze per chi non paga

Il mancato pagamento del canone può comportare:

  • l’applicazione di una sanzione amministrativa;
  • il recupero dell’imposta non versata;
  • un possibile accertamento fiscale.

Chi dichiara falsamente di non possedere un TV rischia anche responsabilità penale per dichiarazione mendace.

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spese straordinarie figli

Spese straordinarie figli, le linee guida del tribunale di Milano Il Tribunale di Milano aggiorna le regole sulle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Cosa include l’assegno di mantenimento, quando serve l’accordo tra genitori e le novità per i figli con disabilità

Spese straordinarie figli: nuove regole

Il Tribunale di Milano, in collaborazione con la Corte d’appello, l’Ordine degli avvocati e l’Osservatorio sulla giustizia civile, ha aggiornato nel 2025 le linee guida per la gestione delle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Le indicazioni riguardano i figli minori, i maggiorenni non economicamente autosufficienti e quelli con disabilità, e hanno lo scopo di ridurre i conflitti tra genitori, promuovendo chiarezza e uniformità.

Le nuove regole definiscono cosa è incluso nell’assegno di mantenimento e quali spese richiedono l’accordo tra genitori separati. Previsti chiarimenti per le spese relative ai figli con disabilità e tempi certi per il rimborso. Obiettivo: ridurre i conflitti familiari e tutelare meglio i figli.

Vediamo nel dettaglio:

Cosa copre l’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento comprende tutte le spese ordinarie, quali:

  • vitto;

  • abbigliamento ordinario (inclusi i cambi stagione);

  • spese per la casa (affitto, utenze, condominio);

  • materiale scolastico ricorrente;

  • medicinali da banco.

Quando è difficile per il genitore convivente ottenere il consenso dell’altro o il rimborso delle spese, l’assegno può comprendere anche voci normalmente considerate straordinarie.

Spese straordinarie: quando serve il consenso

Le spese che richiedono l’accordo preventivo tra i genitori devono essere documentate e riguardano, ad esempio:

  • cure dentistiche, oculistiche, omeopatiche e psicologiche private;

  • tasse scolastiche per istituti privati, corsi extra universitari e master;

  • attività extrascolastiche (lingue, sport, musica, viaggi di studio, patente, cellulare).

Spese straordinarie senza necessità di accordo

Sono ammesse senza consenso preventivo, ma sempre documentate:

  • visite specialistiche prescritte dal medico;

  • ticket e farmaci prescritti;

  • tasse scolastiche pubbliche, libri, dotazione informatica;

  • mensa scolastica, trasporti pubblici;

  • baby sitter fino alla scuola media, doposcuola, centri estivi.

Disposizioni specifiche per i figli con disabilità

Le nuove linee guida si adeguano al D.Lgs. n. 62/2024, prevedendo che non richiedano accordo spese come:

  • presidi sanitari, ausili per la deambulazione;

  • supporti nutrizionali o abbigliamento su misura;

  • assistenza domiciliare;

  • attività sportive e centri diurni;

  • veicoli adattati, patente e assicurazione;

  • cani guida.

Procedura per la richiesta e il rimborso

Il genitore che richiede una spesa straordinaria soggetta ad accordo deve ricevere eventuale dissenso motivato per iscritto entro 10 giorni; in assenza, si presume il consenso.

Le spese anticipate devono essere documentate e trasmesse all’altro genitore entro 30 giorni, il quale è tenuto al rimborso entro i successivi 15 giorni.

Quando una spesa supera il 10% del reddito netto mensile di uno dei genitori, essa va sostenuta da entrambi, secondo le percentuali previste dall’accordo o stabilite dal giudice.

interdizione

Interdizione: la guida Interdizione: cos'è, normativa, chi può essere interdetto e chi può chiedere l'interdizione, effetti e differenze con l'inabilitazione

Cos’è l’interdizione

L’interdizione è un istituto giuridico previsto dal Codice Civile che tutela le persone affette da gravi patologie psichiche, impedendo loro di compiere atti giuridicamente rilevanti. L’interdetto, infatti, viene privato della capacità di agire e sottoposto alla tutela di un tutore legale, che ne gestisce gli interessi.

Normativa di riferimento

L’istituto è disciplinato dagli articoli 414 e seguenti del Codice Civile, che stabiliscono:

  • chi può essere interdetto;
  • la procedura per ottenere l’interdizione;
  • gli effetti giuridici che ne derivano.

Chi può essere interdetto?

Possono essere dichiarate interdette le persone che:

  • sono affette da grave infermità mentale;
  • non sono in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi;
  • possono arrecare danni a sé stessi o al proprio patrimonio.

Soggetti legittimati a richiedere l’interdizione

La richiesta di interdizione può essere presentata:

  • dal coniuge o dal convivente;
  • dai parenti entro il quarto grado;
  • dagli affini entro il secondo grado
  • dal Pubblico Ministero, quando la situazione lo richieda;
  • dal tutore o dal curatore in caso di necessità.

Procedura di interdizione

L’istituto segue una procedura giudiziaria ben definita.

  1. Presentazione del ricorso

    • il soggetto legittimato presenta il ricorso al Tribunale del luogo di residenza o domicilio della persona da interdire;
    • al ricorso è necessario allegare la documentazione medica che attesti la patologia del soggetto.
  1. Ascolto dell’interdicendo e valutazione delle condizioni

    • il giudice tutelare valuta lo stato mentale dell’interdicendo con l’intervento del Pubblico Ministero e se lo ritiene opportuno può nominare un consulente tecnico;
    • l’interessato viene quindi ascoltato per accertare le sue condizioni;
    • dopo l’esame il giudice può nominare un tutore provvisorio.
  1. Sentenza di interdizione

    • se il Tribunale accoglie la richiesta, dichiara l’interdizione con una sentenza, nominando un tutore legale;
    • la sentenza viene quindi annotata nei registri dello stato civile.

Cosa comporta l’interdizione?

L’interdizione ha effetti significativi sulla capacità giuridica del soggetto:

  • perdita della capacità di agire: l’interdetto non può compiere atti giuridici, come firmare contratti o amministrare il proprio patrimonio;
  • nomina di un tutore: il Tribunale assegna un tutore, che prende decisioni in nome e per conto dell’interdetto;
  • possibilità di revoca: se le condizioni dell’interdetto migliorano, è possibile chiedere la revoca dell’interdizione tramite apposito procedimento giudiziario.

Differenze tra interdizione e inabilitazione

Caratteristica Interdizione Inabilitazione
Requisito Grave infermità mentale Incapacità parziale di gestire i propri affari
Capacità di agire Completamente revocata Limitata agli atti di ordinaria amministrazione
Nomina di un tutore No, nomina di un curatore
Atti che può compiere Nessuno senza il tutore Può compiere atti quotidiani senza autorizzazione

Giurisprudenza

Cassazione n. 27691/2023: data la marcata differenza tra l’amministrazione di sostegno, che mira a rafforzare le capacità residue del soggetto vulnerabile, e l’interdizione, che invece limita l’autonomia per tutelare il patrimonio familiare, il divieto di sposarsi previsto dall’articolo 85 del codice civile per l’interdetto non si applica generalmente al beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Tuttavia, il giudice tutelare può imporre tale divieto solo in casi di eccezionale gravità e se ciò è nell’esclusivo interesse del beneficiario.

Cassazione n. 34216/2022: il decreto con cui il giudice istruttore nomina un tutore o curatore provvisorio nell’ambito di un procedimento di interdizione o inabilitazione non è equiparabile a una sentenza. Questo perché si tratta di un provvedimento interinale e provvisorio, che può essere revocato dallo stesso giudice e perde la sua efficacia una volta che viene emessa la sentenza definitiva. Di conseguenza, non è possibile presentare ricorso per cassazione contro tale decreto ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione.

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regolamento condominiale

Regolamento condominiale: la guida Regolamento condominiale: cos'è, normativa di riferimento, quando è obbligatorio, tipologie, contenuto e giurisprudenza

Cos’è il regolamento di condominiale

Il regolamento condominiale è l’insieme di norme che disciplinano la convivenza tra i condomini all’interno di un edificio. Esso ha lo scopo di garantire l’uso corretto delle parti comuni, regolare i diritti e i doveri dei condomini e assicurare l’ordine nella gestione del fabbricato. La sua adozione è prevista dall’art. 1138 del Codice civile.

Normativa di riferimento

La disciplina sul regolamento condominiale si trova principalmente:

  • nel Codice civile, artt. 1100 ss. e 1138;
  • nelle disposizioni di attuazione al c.c., artt. 61 ss.;
  • nelle sentenze della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito i limiti e gli effetti della trascrizione.

Regolamento obbligatorio o facoltativo?

Secondo la legge, il regolamento condominiale è obbligatorio quando il numero dei condomini supera il numero di dieci. In tal caso, deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale dell’edificio (art. 1136 c.c.).

Tuttavia, anche nei condomìni con meno di undici proprietari, è sempre possibile adottarlo su base volontaria per regolare gli aspetti pratici della gestione.

Tipi di regolamento condominiale

Esistono due tipologie principali di regolamento:

  • contrattuale: è quello che viene predisposto dall’originario costruttore o da tutti i condomini per accordo unanime. Può limitare anche l’uso delle proprietà esclusive (es. divieto di destinare un appartamento a uso professionale);
  • assembleare: viene approvato a maggioranza dai condomini, regola solo l’uso delle parti comuni, senza incidere sui diritti individuali.

Solo il regolamento contrattuale può contenere clausole limitative delle proprietà private.

Cosa deve contenere il regolamento condominiale

Il contenuto minimo del regolamento, ai sensi dell’art. 1138 c.c., deve includere:

  • regole sull’uso delle parti comuni (scale, cortili, ascensore, ecc.);
  • criteri di ripartizione delle spese condominiali;
  • modalità di convocazione e funzionamento dell’assemblea;
  • attribuzioni e obblighi dell’amministratore;
  • eventuali sanzioni disciplinari per violazioni (fino a 200 euro, elevabili a 800 per recidiva).

Può essere integrato con norme personalizzate, purché non contrarie alla legge o ai diritti inviolabili dei condomini.

Come si applica e cosa accade in caso di violazione

Il regolamento è vincolante per tutti i condomini, presenti e futuri, se:

  • è stato approvato regolarmente;
  • è conosciuto al momento dell’acquisto;
  • per quello contrattuale, se è espressamente accettato.

La violazione delle norme può comportare sanzioni pecuniarie, l’intervento dell’amministratore, o l’azione giudiziaria da parte degli altri condomini. Le clausole che limitano l’uso della proprietà individuale, se non hanno contrattuale, non sono opponibili ai nuovi acquirenti.

Giurisprudenza di legittimità sul regolamento condominiale

Cassazione n. 23582/2023: le clausole dei regolamenti condominiali possono avere natura contrattuale o regolamentare. Hanno natura contrattuale solo se limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, o se attribuiscono a certi condomini diritti maggiori rispetto ad altri. Queste clausole contrattuali, essendo parte integrante dei contratti di acquisto o formate con consenso unanime, possono essere modificate solo con l’unanimità di tutti i condomini.

Al contrario, le clausole che si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni hanno natura regolamentare. Per queste ultime è sufficiente una deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice Civile per la loro modifica.

Cassazione n. 21478/2021: il regolamento di condominio ha valore contrattuale per il proprietario se richiamato nell’atto di acquisto dell’immobile, anche se non trascritto. Tuttavia, le clausole che limitano le facoltà o i diritti sulla proprietà esclusiva o condominiale devono essere esplicitamente indicate nell’atto di compravendita, altrimenti saranno considerate invalide.

Sezioni Unite Cassazione n. 943/1999: Un regolamento di condominio deve essere necessariamente redatto in forma scritta, poiché senza un documento di riferimento sarebbe impossibile applicarne le disposizioni, spesso di difficile interpretazione, e impugnarlo. La tesi che la forma scritta sia richiesta solo “ad probationem” (per fini probatori) non è accettabile. Una volta stabilito che il regolamento deve essere contenuto in un documento, la scrittura diventa un elemento essenziale per la sua validità, a meno che non vi sia una disposizione specifica che ne preveda una rilevanza meramente probatoria, ma tale eccezione non esiste in questo caso. Infine, per i regolamenti di natura contrattuale, la forma scritta è indiscutibilmente necessaria, dato che le loro clausole influenzano i diritti dei condomini sia sulle proprietà esclusive che su quelle comuni.

 

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metodo d'hondt

Caccia: è legittimo il metodo D’Hondt per i comitati di gestione La Consulta conferma la legittimità del metodo D’Hondt nella composizione dei comitati venatori. Nessuna violazione del principio di rappresentatività ambientale

La Consulta promuove il metodo D’Hondt

Con la sentenza n. 82/2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sull’articolo 3, comma 3, della legge regionale abruzzese n. 11/2023. La norma in esame introduce l’uso del sistema proporzionale con metodo D’Hondt per l’assegnazione dei seggi nei comitati di gestione della caccia.

Come funziona il metodo D’Hondt

Il metodo D’Hondt è un sistema di calcolo proporzionale che prevede la divisione dei voti di ogni lista – in questo caso il numero di iscritti a ciascuna associazione venatoria – per numeri progressivi, fino a coprire il totale dei seggi disponibili. Questo modello è ampiamente utilizzato anche in altri ambiti elettorali per assicurare una rappresentanza proporzionale.

Le critiche del TAR Abruzzo

Il TAR Abruzzo aveva sollevato dubbi di costituzionalità, ritenendo che il meccanismo penalizzasse alcune associazioni venatorie locali, contravvenendo a quanto disposto dall’articolo 14, comma 10, della legge statale n. 157/1992, a tutela della fauna. Secondo il giudice amministrativo, la norma nazionale garantirebbe una rappresentanza paritaria, considerata parte integrante della tutela ambientale ex articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione. Secondo i giudici, la norma statale richiamata non impone una rappresentanza proporzionale per ogni singola associazione, ma richiede la presenza, all’interno dei comitati, delle tre principali categorie di soggetti interessati: associazioni venatorie, associazioni di protezione ambientale e organizzazioni agricole.

Una volta garantita tale composizione tripartita, spetta alle Regioni stabilire, con ampio margine di discrezionalità, la formula elettorale più adeguata.

Ampia autonomia normativa per le Regioni

La Consulta ha ribadito che il meccanismo di ripartizione dei seggi rientra nella libertà di scelta del legislatore regionale. Il sistema D’Hondt, in questo contesto, è stato ritenuto una modalità legittima di distribuzione dei posti all’interno delle categorie rappresentate, senza ledere i principi costituzionali o gli obblighi di tutela ambientale.

giurista risponde

Titolo di “professore emerito” all’università: i presupposti Alla luce del combinato disposto dell’art. 15 della L. 18 marzo 1958, n. 311 in relazione all’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il periodo di servizio trascorso rivestendo la qualifica di professore associato può essere riconosciuto ai fini del raggiungimento della soglia dei venti anni di servizio, indispensabile per l’attribuzione della qualifica di professore emerito?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima, Anna Libraro, Michela Pignatelli

 

Ai sensi dell’art. 15, comma 2, della L. 18 marzo 1958, n. 311, e dell’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, al fine del conferimento della onorificenza di professore emerito, rileva unicamente l’attività svolta nella qualità di professore ordinario per almeno venti anni e non anche il periodo di servizio prestato quale professore associato (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 gennaio 2025, n. 1 – titolo di “Professore emerito”).

La sez. VII ha rimesso all’ Adunanza Plenaria la seguente questione di diritto: “Se alla luce del combinato disposto dell’art. 15 della L. 18 marzo 1958, n. 311, in relazione all’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il periodo di servizio trascorso rivestendo la qualifica di professore associato possa essere riconosciuto ai fini del raggiungimento della soglia dei venti anni di servizio, indispensabile per l’attribuzione della qualifica di professore emerito”.

L’Adunanza ritiene condivisibile la ricostruzione della Sezione, evidenziando che, come è stato correttamente sottolineato, l’art. 15, comma 2, della L. 311/1958 contiene un espresso richiamo all’art. 111 del R.D. 1592/1933 che, a sua volta, individua la qualifica di “professore emerito” e i requisiti per il suo conferimento. Ad avviso del Collegio, tale rinvio ha ribadito, dunque, il perdurante vigore della suddetta disposizione e dei requisiti ivi indicati.

Il dato letterale, ad avviso dei Giudici, è chiaro e insuperabile e comporta la non condivisibilità della ricostruzione effettuata da questo Consiglio di Stato con il parere della sez. II, 2203/2015 e con la sentenza della sez. VI, 1506/2021.

Entrambe queste pronunce, infatti, hanno dato preminente rilievo alla prima frase del secondo comma del citato art. 15, mentre avrebbero dovuto rilevare il significativo richiamo contenuto nella frase successiva (“ai sensi dell’art. 111 del testo unico delle leggi sulla istruzione superiore approvato con R.D. 31 agosto 1933, n. 1592”).

L’Adunanza Plenaria rileva come il primario criterio di interpretazione della legge sia quello letterale.

Infatti, l’art. 12 (rubricato ‘Interpretazione della legge’) delle “disposizioni sulla legge in generale’ allegate al codice civile dispone che: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

La rilevanza del dato testuale della legge, evidenzia l’Adunanza Plenaria, è desumibile anche dall’art. 101 della Costituzione, il quale – nel prevedere che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” – dispone il dovere del giudice di darne applicazione, salve le possibilità, consentite da altre disposizioni costituzionali, di emanare una ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale o di dare applicazione a prevalenti regole dell’Unione europea.

Gli altri criteri di interpretazione rilevano solo quando risulti equivoca la formulazione linguistica dell’enunciato normativo e la disposizione presenti ambiguità e si presti a possibili differenti o alternative interpretazioni (per tutte, Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2024, n. 6440).

Nel caso di specie, sostiene il Collegio, la formulazione linguistica risulta univoca e non si presta a dubbi interpretativi, atteso che occorre tenere conto anche dell’ultima frase contenuta nel sopra riportato comma 2 dell’art. 15.

Inoltre, i Giudici ritengono di non condividere la tesi dell’appellante anche sulla base dei criteri della interpretazione storico-sistematica e dell’interpretazione teleologica.

Innanzitutto, il Collegio disattende la tesi secondo cui vi sarebbe stata la “implicita abrogazione” dell’art. 15, comma 2, cit., in quanto tale disposizione va letta in modo sistematico in relazione alle altre disposizioni della L. 311/1958, e in particolare al suo art. 3, secondo cui: “I professori di ruolo sono straordinari e ordinari”; la portata innovativa di tale disposizione è consistita nell’estendere la valutabilità del servizio come professore di ruolo non solo nella qualità di professore ordinario (come previsto dall’art. 111, cit.), ma anche in quella di professore straordinario.

Rimarca il Collegio che la tesi dell’appellante neppure è supportata dalle considerazioni riguardanti la portata applicativa delle riforme universitarie, disposte dapprima con il D.P.R. 381/1980 (avente il rango di decreto legislativo) e poi dalla L. 240/2010, in quanto hanno sì previsto l’unicità del ruolo dei professori ordinari e di quelli associati, ma li hanno distinti per diversi aspetti.

L’art. 1 del D.P.R. 382/1980, pur prevedendo l’unicità del ruolo, ha distinto i compiti e le responsabilità degli uni e degli altri, inquadrandoli in due fasce funzionali.

Le perduranti differenze tra le due qualifiche riguardano: – le regole sul reclutamento, poiché per accedere alla qualifica di professore ordinario occorre l’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, che dimostra il raggiungimento della piena maturità scientifica, mentre per accedere alla qualifica di professore associato occorre l’abilitazione scientifica nazionale; – i presupposti per potere accedere alle due qualifiche, poiché alla qualifica di professore ordinario si accede a seguito del raggiungimento della “piena maturità scientifica”; – le regole sul conferimento degli incarichi direttivi (Direttore di dipartimento, rettore, prorettore), riservati ai professori ordinari, con l’eccezione delle Università nelle quali essi non vi siano), con un regime diverso anche sull’elettorato attivo.

Dunque, anche dopo la riforma universitaria non si può ravvisare l’equiparazione tra la qualifica del professore ordinario e quella di quello associato.

Oltre alla persistente differenza sostanziale delle qualifiche di professore ordinario e di professore associato, in sede di interpretazione del secondo comma dell’art. 15, il Collegio afferma che occorre tenere conto della sua specifica ratio.

Sulla base di una specifica valutazione del legislatore, l’onorificenza può essere conferita al professore ordinario in considerazione della perduranza nel tempo – fissato in venti anni – dello svolgimento dell’attività lavorativa nella posizione apicale della docenza universitaria.

Tale perduranza, evidenzia la Plenaria, è stata considerata decisiva dal legislatore, affinché possa essere valutata la eccezionalità della carriera accademica, giustificativa dell’onorificenza.

Rileva, dunque, anche il dato testuale dell’art. 22 del D.P.R. 382/1980, per il quale sussiste l’equiparazione dello stato giuridico dei professori ordinari e di quello dei professori associati, “salvo che non sia diversamente disposto”: in materia di conferimento dell’onorificenza, il legislatore ha sempre attribuito rilievo esclusivamente alla qualifica di professore ordinario.

L’Adunanza Plenaria, pertanto, condivide e fa proprie le considerazioni poste a base della sentenza della Corte cost. 990/1988, per la quale “l’unitarietà della funzione docente non equivale all’unicità del ruolo dei professori universitari. Il sistema normativo del 1980 stabilisce una gerarchia di valori e delle funzioni tra le due fasce del ruolo dei professori, riservando compiti direttivi, organizzativi e di coordinamento all’ordinario, acquisito all’istruzione universitaria attraverso più severa selezione concorsuale mirante ad individuare una personalità scientifica compiutamente matura, mentre le diverse modalità del reclutamento dell’associato è preordinata soltanto ad accertarne l’idoneità scientifica e didattica.

Non hanno pertanto rilievo gli indiscussi principi relativi alla unitarietà della funzione docente e alla pari garanzia di libertà didattica e di ricerca, evocati dall’appellante.

La distinzione tra le due qualifiche, ciascuna delle quali correlata ad un diverso livello di maturità scientifica e didattica, è stata confermata anche dalla riforma universitaria recata dalla L. 240/2010, che nulla ha innovato in materia.

 

(*Contributo in tema di “L’adunanza plenaria chiarisce i presupposti per il conferimento del titolo di “Professore emerito” nell’università”, a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima, Anna Libraro, Michela Pignatelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

modello 5

Modello 5 omesso? Risponde l’avvocato anche se “colpa” del consulente Il CNF chiarisce: l’avvocato è responsabile dell’omesso invio del Modello 5, anche se attribuito a un errore del consulente

Obbligo Modello 5: nessuna scusa per l’avvocato

Con le decisioni n.  408/2024 e 409/2024, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione a tempo indeterminato di due avvocati per l’omesso invio del Modello 5 alla Cassa Forense. Entrambi avevano attribuito la responsabilità a una presunta dimenticanza del commercialista. Ma il CNF ha chiarito che la gestione personale degli adempimenti previdenziali è un obbligo non delegabile.

Sospensione senza sanzione disciplinare

La sospensione dell’iscritto, disposta ex art. 17, comma 5, della legge n. 576/1980, non ha natura disciplinare. Si tratta di una misura automatica connessa all’omesso adempimento di obblighi previdenziali. Tuttavia, ciò non esclude un ulteriore giudizio deontologico, ai sensi dell’art. 70 del Codice Deontologico Forense, di competenza del Consiglio Distrettuale di Disciplina.

L’avvocato è sempre responsabile verso la Cassa

Il CNF sottolinea che l’iscritto non può esimersi dalla responsabilità per atti che restano comunque a lui riferibili. Anche quando incarica un consulente, è l’avvocato a dover vigilare sul corretto invio del Modello 5.

La semplice delega non costituisce causa di esonero da colpa.

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stop ai cellulari

Stop ai cellulari anche alle superiori: cosa prevede la circolare Il Ministero vieta l’uso dello smartphone nelle superiori durante l’orario scolastico. Eccezioni, motivazioni e sanzioni spiegate nella circolare del MIM

Smartphone banditi alle scuole superiori

Stop ai cellulari: il Ministero dell’Istruzione e del Merito, con la circolare prot. n. 3392 del 16 giugno 2025, estende il divieto di utilizzo dello smartphone agli istituti del secondo ciclo di istruzione, includendo tutte le scuole superiori. Durante l’orario scolastico è proibito l’uso del cellulare, in analogia alle norme già adottate per la scuola primaria e media. 

Motivazioni alla base del divieto

La scelta ministeriale si basa su evidenze internazionali sul danno causato dall’uso eccessivo dello smartphone:

  • uno studio OCSE 2024 mette in relazione smartphone, social media e calo delle performance scolastiche; 

  • l’OMS e l’ISS segnalano l’aumento del rischio di dipendenze comportamentali, con ricadute negative su sonno, concentrazione e relazioni sociali. 

Eccezioni per casi particolari

Sono previste esenzioni al divieto in tre situazioni:

  • alunni con disabilità o DSA, secondo il PEI o PDP;

  • attività didattiche specifiche in settori tecnici/informatici;

  • per esigenze personali motivate documentate.

Strumenti alternativi e uso responsabile

Non sono vietati altri strumenti digitali come PC, tablet o lavagne elettroniche, purché utilizzati secondo il progetto formativo e l’autonomia scolastica. Le scuole sono inoltre invitate a promuovere un’educazione al uso responsabile delle tecnologie, con interventi mirati sugli strumenti digitali e sull’uso consapevole di internet.

Sanzioni e organizzazione scolastica

Gli istituti, aggiornando i regolamenti e i patti di corresponsabilità, devono prevedere sanzioni disciplinari proporzionate per gli studenti che violano il divieto. Spetta alla scuola definire le modalità organizzative necessarie a garantire l’effettiva applicazione del divieto. 

Obiettivi generali e prospettive future

La circolare mira a tutelare salute, apprendimento e benessere degli adolescenti, contrastando fenomeni come la dipendenza da social e gaming. Il Ministero ha anche sollecitato la Commissione UE ad adottare una raccomandazione che promuova l’uso appropriato delle tecnologie digitali negli istituti europei

medici in quiescenza

L’Asl può ricorrere ai medici in quiescenza se c’è necessità La Corte costituzionale conferma la legittimità della legge della Regione Sardegna che consente l’impiego temporaneo di medici in quiescenza per garantire l’assistenza primaria nelle aree disagiate

Legittimo l’impiego straordinario di medici in quiescenza

Con la sentenza n. 84/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata contro l’art. 1, comma 1, della legge regionale sarda n. 12/2024. La norma in questione consente l’impiego, sino al 31 dicembre 2024, di medici di medicina generale in quiescenza per progetti straordinari di assistenza primaria, anche mediante contratti libero-professionali.

Garantire l’assistenza nelle aree disagiate

La disposizione mira a garantire la copertura dell’assistenza sanitaria primaria nei territori con carenza di medici, attraverso l’attivazione di ambulatori straordinari di comunità territoriale. I medici coinvolti sono abilitati all’uso dei ricettari previsti dall’art. 50 del d.l. 269/2003.

Le critiche del Governo e la posizione della Corte

Il Presidente del Consiglio ha impugnato la norma sostenendo che essa violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile e contrasterebbe con l’Accordo collettivo nazionale (ACN) del 2024, che vieta l’attività convenzionata ai medici in quiescenza. La Corte, tuttavia, ha rigettato la questione, riconoscendo alla Regione Sardegna una legittima competenza in materia di organizzazione sanitaria.

Medici in quiescenza per tutelare la salute

La Consulta ha chiarito che l’adozione di misure temporanee e straordinarie è compatibile con l’ordinamento, qualora serva a garantire l’effettività del diritto alla salute, specialmente in presenza di criticità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Negare questa possibilità impedirebbe alle Regioni di far fronte a situazioni emergenziali, compromettendo le garanzie minime costituzionali.

lesioni permanenti al viso

Lesioni permanenti al volto: pene troppo rigide La Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittimo l'art. 583-quinquies c.p.: necessaria una “valvola di sicurezza” per punire con proporzionalità le lesioni permanenti al volto

La Consulta interviene sull’art. 583-quinquies c.p.

Lesioni permanenti al volto: con la sentenza n. 83/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019 (cd. “codice rosso”). La norma disciplina il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, prevedendo una pena detentiva molto severa e una sanzione accessoria automatica.

Pene troppo rigide: violati i principi costituzionali

La Corte ha censurato la disposizione per eccessiva rigidità sanzionatoria, ritenendola in contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione. In particolare, è stata giudicata incostituzionale:

  • la mancata previsione di una diminuzione di pena nei casi di lieve entità del fatto;

  • l’automatismo e la perpetuità dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

Lesioni permanenti al volto: necessaria clausola di flessibilità

Secondo la Consulta, sebbene la ratio della norma sia condivisibile – tutelare l’identità personale legata all’aspetto del volto – essa non può prescindere da una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di adattare la pena alle circostanze concrete del caso.

La formulazione attuale, infatti, rischia di equiparare comportamenti molto diversi tra loro, anche privi di dolo intenzionale, imponendo sanzioni sproporzionate e inidonee alla funzione rieducativa della pena.

La pena accessoria deve essere discrezionale

Infine, è stato ritenuto incostituzionale il secondo comma dell’articolo, nella parte in cui prevede l’interdizione perpetua e automatica. Tale pena accessoria – osserva la Corte – deve essere discrezionalmente applicabile dal giudice, entro un limite massimo di dieci anni, in coerenza con i principi costituzionali.