addebito separazione

Addebito separazione anche per un solo episodio di violenza Violenza fisica e addebito della separazione: la Cassazione conferma che basta anche un solo episodio

Violenza e addebito separazione

Addebito separazione: con l’ordinanza n. 10021/2025, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato un principio fondamentale in materia di addebito della separazione coniugale, chiarendo che anche un unico episodio di violenza fisica può fondare la pronuncia di separazione e l’addebito, a prescindere dalla gravità delle lesioni provocate.

La decisione si colloca in un filone giurisprudenziale che tutela in modo sempre più marcato la dignità personale e l’integrità fisica e morale del coniuge vittima di comportamenti lesivi, valorizzando il principio del rispetto reciproco come fondamento del vincolo matrimoniale.

Il caso

La vicenda riguarda una coppia legalmente sposata, nella quale la moglie aveva chiesto la separazione giudiziale con addebito al marito, allegando un episodio di violenza fisica avvenuto nel corso di una lite domestica, culminato in percosse. L’uomo aveva ammesso l’alterco, ma negava l’intento violento e sosteneva che l’episodio fosse isolato e privo di conseguenze gravi.

La Corte d’appello aveva escluso l’addebito, ritenendo che un singolo episodio, non seguito da ulteriori comportamenti aggressivi, non potesse configurare una violazione così grave da determinare l’addebito della separazione.

Cassazione: anche una sola violenza è sufficiente

La Cassazione ha accolto il ricorso della donna e ha affermato il seguente principio di diritto:

“In tema di separazione personale dei coniugi, anche un solo episodio di violenza fisica, posto in essere da uno dei coniugi nei confronti dell’altro, è idoneo a giustificare l’addebito della separazione, a prescindere dalla gravità delle lesioni causate, in quanto integra una violazione grave e intollerabile dei doveri coniugali di cui all’art. 143 c.c.”

Il Collegio sottolinea che l’aggressione fisica costituisce di per sé un fatto oggettivamente idoneo a compromettere irreversibilmente la convivenza coniugale, violando il dovere di reciproco rispetto e assistenza morale.

Centralità della dignità coniugale

La Corte richiama i doveri coniugali sanciti dall’art. 143 del codice civile, evidenziando come la violenza fisica rappresenti una lesione insanabile della fiducia reciproca, anche in assenza di effetti clinicamente gravi.

Nel testo dell’ordinanza si legge: “Il dovere di fedeltà, di assistenza morale e materiale, e di reciproco rispetto tra coniugi è incompatibile con qualsiasi forma di aggressione fisica. L’episodio, anche isolato, esprime una rottura radicale del vincolo coniugale, tale da giustificare non solo la separazione, ma anche l’addebito”. 

Il carattere episodico non attenua, secondo la Corte, la gravità oggettiva del gesto, che può aver minato irreparabilmente il legame matrimoniale, determinando la responsabilità esclusiva del coniuge autore dell’aggressione nella crisi coniugale.

Allegati

giurista risponde

Ordinanza di demolizione e istanza di accertamento in conformità La presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione, determinando la sola temporanea inefficacia e ineseguibilità fino all’eventuale rigetto della domanda (Cons. Stato, sez. II, 18 dicembre 2024, n. 10180).

La Sezione ricorda che, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale configura una sanzione, ai sensi dell’art. 31 del T.U. dell’edilizia, conseguente all’inosservanza dell’ordine di demolizione, dal quale il proprietario può sottrarsi solo dimostrando di non essere in grado di ottemperare all’ordine stesso, impossibilità che non può ravvisarsi nella mera onerosità.

Nel caso di specie, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, sulla base della relazione del tecnico comunale, che non fosse ravvisabile un’impossibilità di tipo tecnico.

Inoltre, si è precisato che il fatto che l’area esterna alle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione sia di proprietà condominiale non comporta l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione o dell’atto di acquisizione, ma ne determina esclusivamente l’inefficacia nei confronti degli altri comproprietari che non ne sono stati destinatari.

Pertanto, un bene immobile abusivo può formare oggetto dell’ulteriore sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio del comune se l’ordine di demolizione e il provvedimento acquisitivo siano stati notificati a tutti i proprietari. Dunque, il soggetto destinatario di tali notifiche non ha interesse a dolersi del fatto che tale notificazione sia avvenuta anche agli altri comproprietari, poiché la mancata notificazione dell’ingiunzione di demolizione dell’opera abusiva, realizzata da tutti i comproprietari, non rappresenta un vizio di legittimità dell’atto, che rimane quindi valido ed efficace. Pertanto, l’omissione della notifica, essendo un requisito per l’operatività dell’ordinanza nei confronti dei destinatari, può essere censurabile solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è posta.

Ha chiarito il Consiglio di Stato che, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione, ne determina la sola temporanea inefficacia e ineseguibilità fino all’eventuale rigetto della domanda. In tal caso, riprenderà a decorrere il termine per l’esecuzione e, in caso d’inottemperanza, potrà essere disposta l’acquisizione dell’opera abusiva senza necessità dell’adozione di una nuova ingiunzione o concessione di un nuovo termine di 90 giorni.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi: Cons. Stato, sez. II, 4 aprile 2024, n. 3078;
Cons. Stato, sez. VII, 2 aprile 2024, n. 2990;
Cons. Stato, sez. II, 26 marzo 2024, n. 2952;
Cons. Stato, sez. VII, 2 novembre 2023, n. 9404;
Cons. Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16;
Cons. Stato, sez. II, 9 gennaio 2023, n. 253;
Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2021, n. 5875;
Cons. Stato, sez. II, 13 novembre 2020, n. 7008;
Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745

Difformi:  Cons. Stato, sez. II, 3 novembre 2022, n. 9631;
Cons. Stato, sez. VI, 18 agosto 2021, n. 5922; Id. 12 luglio 2021, n. 5267

 

(*Contributo in tema di “Nozione di impossibilità di ripristino, rapporto tra ordinanza di demolizione, beni in comunione e istanza di accertamento di conformità”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

osservatorio nazionale

Intelligenza artificiale e lavoro: nasce l’Osservatorio nazionale Online l’Osservatorio nazionale sull'IA del Ministero del lavoro: dati, strumenti e analisi per supportare imprese e lavoratori

Osservatorio nazionale sull’IA

E’ online la prima versione dell’Osservatorio nazionale sull’adozione dei sistemi di Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, uno strumento digitale pensato per monitorare, analizzare e prevedere l’impatto delle tecnologie basate su IA sul mercato del lavoro italiano. Ne dà notizia il dicastero con un avviso pubblicato sul proprio sito.

Questa prima release rappresenta un passo iniziale in attesa della definizione completa della struttura dell’Osservatorio, che sarà formalizzata una volta approvato il disegno di legge recante “Disposizioni e delega al Governo in materia di Intelligenza Artificiale”, attualmente in discussione in Parlamento.

Obiettivi dell’Osservatorio nazionale sull’IA

L’Osservatorio si pone l’obiettivo di:

  • Monitorare le evoluzioni del mercato del lavoro alla luce dell’adozione dell’IA;

  • Ridurre il disallineamento tra domanda e offerta di competenze digitali e tecnologiche;

  • Fornire strumenti pratici per supportare imprese e lavoratori nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi;

  • Diffondere consapevolezza tra tutti gli stakeholder sugli impatti occupazionali dell’IA e sulle politiche adottate dal Ministero.

L’iniziativa si inserisce nel più ampio contesto delle politiche del lavoro promosse a livello nazionale e internazionale, in coerenza con il Piano d’Azione del G7 su Lavoro e Occupazione (Cagliari, settembre 2024) e con la Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024–2026, elaborata dall’Agenzia per l’Italia Digitale.

Un portale per cittadini, imprese e lavoratori

L’Osservatorio sull’IA è accessibile attraverso il portale istituzionale del Ministero del Lavoro e raccoglie contenuti informativi differenziati per:

  • Cittadini interessati a comprendere le trasformazioni in corso;

  • Lavoratori, che possono acquisire indicazioni sulle competenze richieste nei settori maggiormente impattati dall’IA;

  • Imprese, che troveranno linee guida e strumenti per adottare tecnologie IA in modo etico e sostenibile.

Attraverso un’organizzazione chiara e basata su evidenze statistiche e ricerche svolte dal Ministero e dagli enti vigilati, il sito offre una panoramica delle professioni più esposte all’automazione, dei comparti produttivi con maggiore richiesta di competenze IA e delle azioni necessarie per affrontare la transizione digitale in modo consapevole.

Una piattaforma in evoluzione

Attualmente in versione beta, l’Osservatorio sarà aggiornato con nuovi contenuti e strumenti, a partire dalle future “Linee guida per l’implementazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro”, attualmente sottoposte a consultazione pubblica sulla piattaforma ParteciPA.

Tale documento intende fornire un riferimento operativo per garantire un utilizzo etico, responsabile e antropocentrico dell’IA, valorizzando le opportunità di sviluppo, ma prevenendo possibili distorsioni o rischi per l’occupazione.

spese straordinarie figli

Spese straordinarie figli: rimborso possibile anche senza accordo Il genitore può ottenere il rimborso delle spese straordinarie per i figli anche senza accordo, se utili e compatibili con il tenore di vita familiare

Spese straordinarie figli

Anche in assenza di un’intesa preventiva, il genitore che anticipa integralmente le spese straordinarie sostenute per i figli ha diritto al rimborso da parte dell’altro, purché l’esborso risponda concretamente alle esigenze della prole e risulti proporzionato al tenore di vita familiare. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9392 del 10 aprile 2025, intervenendo nuovamente sulla questione della ripetizione delle spese straordinarie nel contesto dei rapporti familiari post-separazione.

Rimborso spese straordinarie: quando è dovuto

Il principio affermato dalla Cassazione è chiaro: non è sempre necessario l’accordo preventivo tra i genitori affinché uno di essi possa agire per ottenere il rimborso delle spese straordinarie sostenute. In particolare, quando le uscite economiche sono:

  • necessarie per l’interesse del minore,

  • coerenti con le condizioni economiche dei genitori e il tenore di vita mantenuto in famiglia, e

  • riferite a bisogni ricorrenti e prevedibili, come le spese mediche ordinarie o quelle scolastiche,

non è richiesta una preventiva concertazione.

Al contrario, il consenso preventivo è generalmente necessario per spese eccezionali, imprevedibili o economicamente gravose, cioè quelle che eccedono la normalità del regime di vita del figlio. Tuttavia, anche in tali casi, la mancanza di comunicazione anticipata non comporta automaticamente la perdita del diritto al rimborso. Spetta infatti al giudice valutare la congruità della spesa rispetto:

  • all’interesse superiore del minore,

  • alla sua utilità concreta, e

  • alla sostenibilità economica in relazione alle disponibilità dei genitori.

Il caso dell’equitazione e dell’acquisto del cavallo

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il padre contestava il proprio obbligo di contribuire alle spese per il mantenimento di un cavallo utilizzato dai figli per l’attività sportiva dell’equitazione. I giudici, tuttavia, hanno rigettato la sua opposizione, osservando che tale pratica sportiva era stata intrapresa dai minori già in costanza di convivenza tra i genitori, e che l’acquisto dell’animale e l’iscrizione a un centro sportivo erano stati frutto di decisioni condivise dalla coppia. Tali elementi confermano la sussistenza di un accordo implicito e continuato nel tempo, idoneo a legittimare la ripartizione della spesa.

accesso all'anagrafe condominiale

Accesso all’anagrafe condominiale: la privacy non limita il diritto Accesso all’anagrafe condominiale: per il tribunale di Milano, la privacy non può limitare il diritto del condomino

Accesso all’anagrafe condominiale e privacy

Con la sentenza n. 3445/2025, il Tribunale di Milano ha ribadito un principio di particolare rilievo in ambito condominiale. L’amministratore non può negare al condomino l’accesso all’anagrafe condominiale invocando la normativa sulla privacy. Ciò perchè i condòmini sono a tutti gli effetti anche titolari del trattamento dei dati personali del condominio.

Il contenzioso

La vicenda giudiziaria ha avuto origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da due condòmini nei confronti dell’amministratore, colpevole di non aver loro consegnato copia dell’anagrafe condominiale, nonostante le reiterate richieste. Quest’ultimo ha proposto opposizione sostenendo, tra l’altro, che il diniego fosse giustificato da ragioni di tutela della privacy, in conformità con il Regolamento UE 2016/679 (GDPR).

Secondo l’amministratore, infatti, l’anagrafe condominiale conterrebbe dati personali soggetti a riservatezza e non liberamente divulgabili senza il consenso esplicito degli interessati, configurandosi egli come responsabile del trattamento che non può permettere un accesso generalizzato a tali informazioni.

La decisione del giudice

Il Tribunale ha respinto l’eccezione, chiarendo che i condòmini, in quanto membri dell’ente-condominio, sono non solo interessati ma anche co-titolari del trattamento dei dati, e che, pertanto, non si può opporre il diritto alla riservatezza per ostacolare la consultazione dell’anagrafe. Il diritto di visione e copia dei documenti condominiali, incluso il registro anagrafico, è sancito dal codice civile e riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata.

In particolare, il giudice ha sottolineato che il diritto di accesso non è subordinato a una motivazione né a una verifica preventiva di interesse, a condizione che non venga esercitato con finalità abusive o pretestuose.

Privacy e trasparenza: un equilibrio necessario

La pronuncia si inserisce in una linea interpretativa che mira a bilanciare il diritto alla riservatezza con il principio di trasparenza nella gestione condominiale, sottolineando come il GDPR non possa essere utilizzato per impedire ai condòmini di esercitare i loro diritti.

In tal senso, il giudice ha richiamato anche i recenti orientamenti del Garante per la protezione dei dati personali (doc. n. 9237419/2023), i quali riconoscono la piena legittimità dell’accesso ai documenti condominiali da parte dei condòmini, in quanto diretti co-titolari del trattamento.

Esiti giudizio e principio della soccombenza virtuale

Pur rilevando la cessazione della materia del contendere (poiché l’amministratore era stato nel frattempo revocato e i documenti trasmessi), il Tribunale ha applicato il principio della soccombenza virtuale, affermando che, se il giudizio fosse proseguito nel merito, l’opposizione sarebbe stata respinta.

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guida senza patente

Tenuità del fatto: esclusa per la guida senza patente Guida senza patente e particolare tenuità del fatto: la Cassazione esclude l'applicabilità dell’art. 131-bis c.p.

Guida senza patente e tenuità del fatto

Con la sentenza n. 16367/2025, la quarta sezione penale della Cassazione ha chiarito che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non può essere applicata alla contravvenzione di guida senza patente, anche laddove il fatto risulti oggettivamente di minima offensività.

Il fatto

La vicenda trae origine dalla condanna inflitta dal Giudice di pace di Sassari per il reato di guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, del Codice della strada. L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando l’omessa valutazione da parte del giudice di merito della possibilità di applicare l’art. 131-bis c.p., sostenendo la lieve entità del fatto e l’assenza di pericolo concreto.

La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha ribadito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione nel caso di guida senza patente, trattandosi di una contravvenzione che, per natura e struttura normativa, è incompatibile con l’istituto previsto dall’art. 131-bis c.p.

La motivazione: perché l’art. 131-bis c.p. non si applica

La Corte ha valorizzato il carattere formale e di pericolo astratto della contravvenzione di cui all’art. 116, comma 15, C.d.S. La norma incrimina la condotta indipendentemente dalla concreta idoneità a mettere in pericolo la sicurezza stradale, essendo diretta a tutelare un interesse pubblico rilevante: la certezza che chi guida veicoli a motore sia munito di adeguata abilitazione tecnica.

Secondo la motivazione della sentenza, l’elemento tipico della contravvenzione non consente una valutazione in termini di offensività concreta, in quanto l’illecito è fondato su una violazione amministrativa ad elevata disvalore sociale, che si presume per legge.

Di conseguenza, anche in presenza di condotte isolate e prive di danno effettivo, non è possibile ritenere il fatto di particolare tenuità, in quanto la normativa esclude un giudizio discrezionale sulla gravità concreta del reato.

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evasometro

Evasometro: cos’è e come funziona Evasometro 2025: cos’è, a che cosa serve, come funziona, che soggetti colpisce e quali sono le novità del 2025

Cos’è l’evasometro

L’evasometro torna al centro del sistema di controllo fiscale italiano, rinnovato e potenziato per il 2025. Con l’obiettivo di contrastare in modo più incisivo l’evasione fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha aggiornato gli strumenti di monitoraggio dei flussi finanziari, introducendo nuove regole di incrocio dei dati e automatismi di analisi.

L’evasometro è uno strumento di analisi dei flussi finanziari utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per individuare potenziali anomalie tra i redditi dichiarati e i movimenti bancari. Il suo scopo è prevenire e accertare situazioni di evasione fiscale e di infedeltà dichiarativa, tramite l’elaborazione di dati provenienti da conti correnti, carte di credito, investimenti e transazioni elettroniche.

Si tratta di un sistema introdotto originariamente nel 2012, poi sospeso e rimodulato negli anni, fino a essere riproposto con nuove caratteristiche nel 2025, grazie alle potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale e dal machine learning.

Come funziona

Nel 2025, l’evasometro opera attraverso un sistema completamente automatizzato, alimentato da banche dati pubbliche e private. Tra le principali fonti di dati analizzate vi sono:

  • i movimenti suconti correnti bancari e postali;
  • le transazioni con carte di pagamento;
  • i dati suinvestimenti mobiliari e immobiliari;
  • le operazioni dicompravendita online e criptovalute;
  • versamenti e i prelievi in contanti oltre soglie considerate anomale.

L’analisi avviene mediante algoritmi predittivi che valutano la coerenza tra i dati finanziari e le dichiarazioni fiscali. In caso di scostamenti rilevanti, l’evasometro genera delle segnalazioni automatiche, che possono portare a:

  • un invito al contraddittorio da parte dell’Agenzia;
  • l’apertura di una verifica o accertamento fiscale;
  • l’invio di alert preventivi tramite il cassetto fiscale.

Soglie di anomalia

Previste due soglie di scostamento, superate le quali scatta il controllo:

  • scostamento del 20% tra reddito ricostruito e quello che il contribuente ha dichiarato;
  • scostamento di 10 volte l’importo dell’assegno sociale. Poiché questo assegno annuale è pari a circa 7000 euro, significa che deve esserci uno scarto di 70.000 euro per far scattare l’accertamento.
  • Attenzionati anche i soggetti con debiti fiscali superiori ai 50.000 euro, se titolari di patrimoni esteri incoerenti con la dichiarazione.

Chi colpisce l’evasometro

L’evasometro si rivolge a persone fisiche, partite IVA, liberi professionisti e imprese, senza distinzione settoriale. Tuttavia, i controlli sono più probabili nei confronti di:

  • soggetti convolumi di movimentazioni finanziarie incoerenti rispetto al reddito dichiarato;
  • contribuenti che presentanoanomalie nei versamenti IVA o imposte dirette;
  • professionisti e imprese che operano in settori a maggiore rischio evasione (es. edilizia, ristorazione, commercio al dettaglio).

Novità 2025: cosa cambia

Le principali novità introdotte nel 2025 con il nuovo evasometro riguardano:

  1. maggior precisione dellanalisi algoritmica: l’Agenzia utilizza ora strumenti di intelligenza artificiale per valutazioni più accurate e per ridurre il numero di falsi positivi;
  2. interoperabilità tra banche dati: viene potenziato lo scambio informativo tra Agenzia delle Entrate, INPS, Guardia di Finanza, Anagrafe tributaria e piattaforme digitali, inclusi marketplace e gestori di servizi online;
  3. trasparenza preventiva per il contribuente: è previsto l’invio di notifiche preventive ai contribuenti tramite PEC o cassetto fiscale, con invito alla regolarizzazione spontanea, in linea con i principi delloStatuto del contribuente (L. 212/2000);
  4. controllo sui flussi digitali: rientrano nel perimetro dell’evasometro anche iwallet digitali, le operazioni su criptovalute e i pagamenti effettuati tramite app fintech;  
  5. silver notice, un sistema di cooperazione su base internazionale che permette di interrogare le banche dati relativa ai patrimoni di oltre 50 paesi, con una cadenza che potrebbe essere mensile, come richiesto della Guardia di Finanza.

Considerazioni finali

Il nuovo evasometro 2025 si inserisce in un più ampio contesto di digitalizzazione della macchina fiscale, volto a rendere più efficiente l’attività di controllo senza aggravare il carico amministrativo per i contribuenti. È quindi fondamentale che cittadini, professionisti e imprese adottino comportamenti trasparenti e coerenti, mantenendo una documentazione contabile ordinata e regolare.

L’attività dell’evasometro non si configura come accertamento automatico, ma come strumento di analisi del rischio fiscale. La collaborazione tra contribuente e Amministrazione, attraverso il contraddittorio preventivo, rimane un principio fondamentale a tutela della correttezza e della lealtà nel rapporto tributario.

 

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affidamento diretto

Affidamento diretto Affidamento diretto negli appalti pubblici: cos'è, come funziona e cosa prevede il nuovo Codice

Cos’è l’affidamento diretto

L’affidamento diretto è una modalità semplificata di acquisizione di beni, servizi e lavori da parte delle pubbliche amministrazioni, che consente di assegnare un contratto senza gara formale, nel rispetto di determinati limiti economici e presupposti normativi. Con l’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici – D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, l’istituto dell’affidamento diretto ha subito importanti modifiche e semplificazioni, con l’obiettivo di rendere più snelle le procedure sotto soglia.

Trattasi quindi di una procedura di selezione del contraente che consente alla stazione appaltante di individuare un operatore economico senza pubblicazione di un bando di gara e senza previa consultazione di più soggetti, pur restando obbligatorio il rispetto dei principi di legalità, trasparenza, rotazione e buon andamento.

L’affidamento diretto rappresenta un importante strumento di semplificazione per le pubbliche amministrazioni, soprattutto in ambito sotto soglia. Tuttavia, la sua efficacia dipende dalla corretta applicazione delle regole procedurali e dal rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza. Il nuovo Codice degli appalti pubblici ha consolidato la legittimità di questo istituto, introducendo regole più chiare e una digitalizzazione delle procedure che punta a una maggiore accountability.

La normativa di riferimento

La disciplina dell’istituto quindi è contenuta nel:

  • Codice dei contratti pubblici – D.lgs. n. 36/2023, in particolare agli artt. 49 e 50;
  • Allegato II.1 al Codice, che dettaglia le soglie di rilevanza comunitaria e sotto soglia;
  • Linee guida dell’ANAC, tra cui il Vademecum del 30 luglio 2024 sugli affidamenti diretti;
  • Normativa previgente (D.lgs. n. 50/2016), oggi abrogata, utile per confronto interpretativo.

Quando è possibile l’affidamento diretto: soglie economiche

Ai sensi dell’art. 50 del nuovo Codice, è possibile ricorrere all’affidamento diretto per importi inferiori a:

  • € 150.000 per lavori;
  • € 140.000 per servizi e forniture, anche nei settori speciali e per le centrali di committenza.

All’interno di queste soglie, la stazione appaltante può procedere con affidamento diretto, previa motivazione nella determina a contrarre e verifica dei requisiti generali e speciali dell’operatore economico selezionato.

Come funziona l’affidamento diretto: procedura

La procedura, pur semplificata, deve rispettare passaggi fondamentali:

  1. determina a contrarre semplificata: atto amministrativo che autorizza l’avvio della procedura, motivando la scelta dell’affidamento diretto;
  2. individuazione dell’operatore: può avvenire tramite indagini di mercato, elenco fornitori o rotazione tra precedenti affidatari;
  3. verifica dei requisiti: l’operatore deve possedere i requisiti di ordine generale (art. 94) e, se previsto, i requisiti tecnico-professionali;
  4. stipula del contratto: può avvenire anche in forma semplificata, con tracciabilità finanziaria e rispetto della normativa anticorruzione;
  5. pubblicazione degli esiti: gli esiti dell’affidamento diretto devono essere pubblicati sulla piattaforma digitale di approvvigionamento o sul sito dell’amministrazione.

Differenze con la procedura negoziata

Affidamento diretto

Procedura negoziata

Nessun obbligo di confronto concorrenziale

Consultazione di un numero minimo di operatori

Utilizzabile solo sotto soglia

Utilizzabile entro soglie specifiche

Maggiore rapidità e semplicità

Maggiore formalizzazione della procedura

I principi da rispettare

Anche in caso di affidamento diretto, la PA deve rispettare i principi generali dell’evidenza pubblica:

  • Rotazione: evitare affidamenti ripetuti allo stesso operatore senza adeguata motivazione;
  • Trasparenza: pubblicare gli atti rilevanti sul profilo del committente;
  • Concorrenza potenziale: anche se non è richiesta la consultazione di più operatori, la PA deve giustificare la scelta dell’affidatario.

Vantaggi e rischi dell’affidamento diretto

La procedura presenta indubbi vantaggi ma anche rischi inevitabili.

Vantaggi:

  • procedura rapida e snella;
  • costi inferiori di gestione amministrativa;
  • adattabilità a esigenze urgenti o di valore limitato.

Rischi:

  • eccessiva discrezionalità nella scelta del fornitore;
  • possibili violazioni del principio di rotazione;
  • contenziosi se la scelta non viene adeguatamente motivata.

Per prevenire criticità, l’ANAC ha predisposto un vademecum operativo (luglio 2024) con indicazioni sulle best practices in tema di rotazione, indagini di mercato e scelta dell’affidatario.

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demansionamento

Demansionamento: cos’è e cosa comporta Demansionamento: significato, normativa, conseguenze e tutela del lavoratore

Cosa si intende per demansionamento

Il demansionamento rappresenta una delle problematiche più delicate nel rapporto di lavoro subordinato, poiché incide direttamente sulla posizione professionale, sulla dignità e sulla crescita del lavoratore. Esso si verifica quando un dipendente viene assegnato a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto o che ha successivamente acquisito. In taluni casi, può costituire un comportamento illegittimo del datore di lavoro e dar luogo a responsabilità risarcitoria.

In ambito giuslavoristico, il demansionamento è definito, nello specifico, come il mutamento unilaterale in pejus delle mansioni affidate al lavoratore, ovvero l’assegnazione a compiti di contenuto professionale inferiore, che comportano una regressione nella carriera, nella professionalità o nel prestigio acquisito.

Il concetto si differenzia dal legittimo esercizio dello jus variandi, ovvero il potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del dipendente nell’ambito della categoria o dell’inquadramento previsto dal contratto collettivo o individuale.

L’art. 2103 del codice civile

La disciplina del demansionamento trova la sua fonte principale nell’articolo 2103 del codice civile, così come riformulato dal decreto legislativo n. 81/2015, attuativo del Jobs Act.

Il testo dell’art. 2103 c.c. prevede:

  • Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o a quelle corrispondenti alla categoria legale o al livello di inquadramento.
  • È possibile il cambio di mansioni, anche inferiori, solo nei seguenti casi:
    • In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore;
    • In caso di accordo individuale stipulato in sede protetta (sindacato, DTL, commissioni di certificazione);
    • In caso di inidoneità fisica o psichica, accertata dal medico competente, che impedisca lo svolgimento delle mansioni originarie.

Quando il demansionamento è illegittimo

Il demansionamento è illecito quando:

  • non è giustificato da alcuna delle ipotesi previste dalla legge;
  • viene attuato in modo arbitrario o punitivo;
  • determina un svuotamento delle mansioni o una loro sostanziale dequalificazione;
  • avviene senza alcun confronto o accordo con il lavoratore nelle sedi protette previste dalla normativa.

La giurisprudenza ha chiarito che non basta un mero cambiamento di attività: è necessario valutare il contenuto qualitativo e quantitativo delle mansioni, l’autonomia decisionale, il livello di responsabilità e l’impatto sulla professionalità acquisita. È ritenuto illegittimo anche il cosiddetto demansionamento per inerzia, che si verifica quando al dipendente non vengono più affidate mansioni significative o viene lasciato inattivo per periodi prolungati.

Risarcimento danno da demansionamento

L’illegittimo demansionamento può comportare un danno risarcibile, che può assumere diverse forme:

1. Danno patrimoniale, riconducibile alla perdita di:

  • opportunità professionali o economiche;
  • premi, indennità o benefit legati alle mansioni precedenti.

2. Danno non patrimoniale

  • per il danno alla dignità, all’immagine professionale e alla salute psicofisica del lavoratore;
  • per la lesione della personalità giuridica e della vita relazionale.

Il lavoratore ha diritto a chiedere:

  • Il risarcimento del danno subito;
  • Il ripristino delle mansioni originarie;
  • In alcuni casi, la risoluzione del rapporto con indennità sostitutiva (art. 2119 c.c. per giusta causa).

Per ottenere il risarcimento, il lavoratore deve fornire prova del danno subito, anche mediante presunzioni o prove documentali, come perizie mediche, relazioni psicologiche o testimonianze.

Come tutelarsi in caso di demansionamento

Chi ritiene di essere stato demansionato può:

  • rivolgersi a un legale esperto in diritto del lavoro;
  • Inviare una diffida al datore di lavoro per contestare formalmente l’assegnazione a mansioni inferiori;
  • promuovere un tentativo di conciliazione in sede sindacale o presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
  • come ultima ratio agire in giudizio per ottenere la tutela dei propri diritti.

Giurisprudenza della Cassazione

Cassazione n. 27867/2024: il diritto al risarcimento per danno professionale, biologico o esistenziale non sorge automaticamente con l’inadempimento del datore di lavoro. È indispensabile che il lavoratore, fin dall’inizio della causa, specifichi e dimostri l’esistenza di un danno concreto e oggettivamente verificabile al proprio modo di lavorare, che abbia modificato le sue abitudini e relazioni, portandolo a scelte di vita diverse per la sua realizzazione personale. Non basta quindi provare la sola possibilità che la condotta del datore di lavoro abbia causato un danno; il lavoratore ha l’onere di provare sia il demansionamento subito sia il danno non patrimoniale e il legame di causa tra questo e l’inadempimento del datore di lavoro, come stabilito dall’articolo 2697 del Codice Civile.

Cassazione n. 6257/2024: il danno da demansionamento non richiede una prova specifica predeterminata, potendo essere accertato attraverso ogni mezzo probatorio ammesso dalla legge. In particolare, elementi come il livello e il volume dell’attività lavorativa svolta, la natura delle competenze professionali coinvolte, la durata dell’assegnazione a compiti di produzione rispetto alle precedenti mansioni impiegatizie, il nuovo ruolo lavorativo conseguito dopo eventuali corsi di formazione, e le richieste avanzate ai superiori per un incarico più adeguato, possono costituire indizi significativi per presumere l’esistenza e l’entità del danno subito dal lavoratore a causa della dequalificazione professionale.

 

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incidente animale selvatico

Incidente animale selvatico: la responsabilità Incidente animale selvatico: chi risponde dei danni, conseguenze civili e penali e Cassazioni recenti

Responsabilità incidente con animale selvatico

Il dover affrontare le conseguenze di un incidente con un animale selvatico rappresenta un problema crescente in Italia. Questi incidenti possono causare danni materiali e fisici alle persone coinvolte, oltre che alla fauna selvatica.

La responsabilità per gli incidenti con animali selvatici dipende soprattutto dal luogo in cui si verifica l’incidente. La giurisprudenza negli ultimi anni ha sancito alcuni importanti principi al fine di individuare i soggetti responsabili.

  • Per regola generale i danni causati dalla fauna selvatica sono risarcibili dallo Stato (pubblica amministrazione) in base all’articolo 2052 del Codice Civile. Questo perché la responsabilità non si basa sulla custodia degli animali, ma sulla loro proprietà o utilizzo. Dato che le specie selvatiche protette dalla legge n. 157/1992 sono considerate patrimonio indisponibile dello Stato e la loro cura e gestione sono affidate a enti pubblici per la tutela ambientale, la responsabilità per i danni ricade su questi ultimi.
  • Diverse e recenti sentenze della Corte di Cassazione individuano nella Regione il soggetto pubblico responsabile, al fine di garantire una tutela effettiva al soggetto danneggiato.
  • Nell’ipotesi in cui il sinistro si dovesse verificare in autostrada il responsabile civile dei danni subiti dal conducente sarà l’Ente che ha in concessione il tratto autostradale, teatro dello scontro.

Conseguenze civili e penali

Gli incidenti con animali selvatici possono avere conseguenze sia civili che penali.

  • Conseguenze civili: le vittime di un incidente con un animale selvatico possono richiedere il risarcimento dei danni materiali e fisici subiti.
  • Conseguenze penali: in alcuni casi, gli incidenti con animali selvatici possono essere considerati reati penali, ad esempio se l’incidente è causato da imprudenza o negligenza.

Risarcimento del danno da fauna selvatica

Per ottenere il risarcimento del danno da fauna selvatica, è necessario dimostrare che l’incidente è stato causato da un animale selvatico e che si è verificato in un luogo pubblico o su un terreno di proprietà di terzi. È inoltre necessario dimostrare il nesso causale tra l’evento e il danno subito.

Cassazione su incidente animale selvatico

Ecco una serie di massime della Cassazione in materia:

Cassazione n. 197/2025

I danni provocati dalla fauna selvatica comportano la responsabilità risarcitoria della Pubblica Amministrazione, in quanto le specie protette sono considerate patrimonio indisponibile dello Stato e affidate alla cura e gestione di enti pubblici per la salvaguardia ambientale. Di conseguenza, l’azione di risarcimento e la legittimazione passiva spettano unicamente alla Regione. Questo deriva dal fatto che la Regione detiene la competenza legislativa in materia di patrimonio faunistico, anche se le attività amministrative di programmazione, coordinamento e controllo della tutela e gestione della fauna selvatica sono delegate ad altri enti. In altre parole, la responsabilità ultima e l’obbligo di risarcire i danni ricadono sulla Regione in virtù della sua competenza normativa sul patrimonio faunistico.

Cassazione n. 9043/2025

Per ottenere il risarcimento dei danni da fauna selvatica, il danneggiato deve provare sia il fatto dannoso e il legame causa-effetto con l’animale, sia di aver agito con la dovuta cautela in base al contesto ambientale. In un incidente veicolo-animale selvatico, la legge presume una pari responsabilità sia del conducente che del proprietario dell’animale, richiedendo una valutazione caso per caso per superare tali presunzioni. Se il danneggiato è anche il conducente, deve quindi dimostrare sia la dinamica dell’incidente e il ruolo dell’animale protetto, sia la propria condotta di guida prudente in relazione ai rischi ambientali.

Cassazione n. 17253/2024

Quando si chiede il risarcimento per danni causati dalla fauna selvatica, la decisione se applicare l’articolo 2043 o l’articolo 2052 del Codice Civile non cambia la natura della richiesta. Piuttosto, influisce su chi deve dimostrare cosa in tribunale. Di conseguenza, un eventuale errore nella scelta dell’articolo di legge da applicare non porta a una decisione definitiva sul merito della questione. In altre parole, la scelta tra i due articoli riguarda solo le regole sulla prova, non il diritto al risarcimento in sé.

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