sottrazione minori

Sottrazione di minori: disciplina e sanzioni Una breve guida sulla sottrazione di minori, un reato che il nostro Codice Penale disciplina in tre varianti negli articoli 573, 574 e 574 bis c.p.

Il reato di sottrazione di minore

La sottrazione di minore è un reato disciplinato dal Codice Penale italiano, che mira a proteggere i minori da azioni illecite che possono compromettere il loro benessere e la loro crescita. Questo reato è regolato principalmente dagli articoli 573, 574 e 574 bis del Codice Penale. Vediamo in dettaglio cosa prevedono questi articoli e quali sono le implicazioni legali.

Sottrazione consensuale di minorenni

L’articolo 573 del Codice Penale punisce chiunque sottrae un minore ultra quattordicenne, con il consenso di quest’ultimo, al genitore che ne esercita la responsabilità genitoriale o al tutore o lo ritiene contro la volontà di questi soggetti. La pena prevista è la reclusione fino a due anni. Il minore, anche se esprime il consenso alla sottrazione non può essere considerato come compartecipe al reato, bensì oggetto materiale dell’illecito penale. Il suo consenso quindi non conduce all’applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 62  n. 5 del Codice penale. Trattasi di un reato punibile a querela della persona responsabile del minore.

Sottrazione di persone incapaci

L’articolo 574 del Codice Penale si occupa della sottrazione di persone incapaci, includendo sia i minori di anni 14 che gli adulti incapaci di intendere e di volere. La pena prevista è la reclusione da uno a tre anni. Il reato si configura in presenza della sottrazione o della ritenzione di questi soggetti deboli al tutore, al curatore e a coloro che ne hanno la vigilanza, la custodia, la responsabilità genitoriale. Anche in questo caso il reato è perseguibile a querela della persona che esercita la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore. La stessa pena è prevista nei confronti di chi sottrae o ritiene un minore ultra quattordicenne, senza il suo consenso, per finalità diverse da quelle della libidine o del matrimonio.

Sottrazione e trattenimento di minore all’estero

L’articolo 574 bis punisce chi sottrae un minore portandolo all’estero o trattenendolo all’estero contro la volontà del genitore o del tutore legale. La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso nei confronti di un minore ultra quattordicenne e con il suo consenso, la pena va da sei mesi a tre anni.  Se il fatto viene commesso da un genitore, la condanna conduce anche alla sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Implicazioni legali e consigli pratici

La sottrazione di minore è un reato grave che può comportare pesanti conseguenze legali. È fondamentale che i genitori e i tutori legali comprendano i propri diritti e le implicazioni di queste norme. In caso di sottrazione, è consigliabile rivolgersi immediatamente alle autorità competenti e cercare assistenza legale, ma non solo.

Per prevenire questo tipo di reato è necessario educare i minori sui rischi associati alla sottrazione e vigilare, ossia svolgere un’attività di monitoraggio delle relazioni e delle attività dei minori.

Nel caso in cui il reato si sia già perfezionato è necessario compiere due step fondamentali: il primo richiede la segnalazione immediata del caso alle autorità, il secondo  invece consiste nella richiesta di un supporto legale. 

 

 

stipendio contanti

Stipendio in contanti: quando è possibile? Lo stipendio in Italia non può essere corrisposto in contanti, ci sono però delle eccezioni a questa regola, vediamo in quali casi

Stipendio in contante

E’possibile di ricevere lo stipendio in contanti anziché tramite i tradizionali mezzi di pagamento tracciabili?  Questa soluzione può risultare particolarmente vantaggiosa per chi non possiede un conto corrente bancario e non intende aprirne uno per evitare le spese di gestione.

E’ opportuno tuttavia ricordare che il pagamento dello stipendio in contanti è generalmente vietato in Italia. Esistono però diverse soluzioni per i lavoratori che non possiedono un conto corrente. Vediamo quindi in dettaglio come un lavoratore senza conto corrente possa ricevere il proprio stipendio e quali sono le condizioni previste dalla legge.

Divieto di pagamento in contanti

Per prima cosa occorre chiarire che il nostro ordinamento giuridico vieta al datore di lavoro di corrispondere lo stipendio in contanti direttamente al lavoratore. È importante conoscere e rispettare le normative per evitare sanzioni e garantire la tracciabilità dei pagamenti. Il datore di lavoro infatti non può pagare il dipendente in contanti, ma deve utilizzare metodi tracciabili. Vediamo quali sono:

  • Carta Prepagata

Una prima soluzione per chi non possiede un conto corrente è l’uso di una carta prepagata. Queste carte, attivabili presso le banche o gli uffici postali, non richiedono l’associazione a un conto corrente. I pagamenti tramite carta prepagata sono tracciabili, poiché il datore di lavoro deve conservare le ricevute dei versamenti effettuati.

  • Versamento su conto corrente di terzi

Un’altra opzione è la richiesta di versamento dello stipendio su un conto corrente intestato a una terza persona, come un familiare o un amico. La legge italiana permette questo tipo di operazione, a condizione che ci sia una delega scritta e datata in cui il lavoratore autorizzi il pagamento su un conto diverso dal proprio. La delega è molto importante perchè:

  • esime il datore di lavoro da responsabilità future relative all’inadempimento del pagamento dello stipendio;
  • protegge il datore di lavoro da possibili sospetti di lavoro “in nero” durante i controlli fiscali;
  • fornisce una giustificazione legale al terzo che riceve le somme di denaro sul proprio conto corrente.
  • E-Wallet

Un’alternativa moderna per ricevere il pagamento dello stipendio è anche l’uso di e-wallet, come PayPal, che permette il trasferimento rapido di somme di denaro con elevata tracciabilità.

Soci di cooperative

Ci sono poi situazioni particolari, come quelle che riguardano i soci di cooperative che svolgono attività lavorativa e che possono ricevere il pagamento della retribuzione tramite versamenti sul “libretto del prestito” aperto presso la cooperativa, purché richiesto formalmente dal socio lavoratore e debitamente registrato.

Eccezioni alla regola

È possibile in ogni caso ricevere il pagamento dello stipendio in contanti, rispettando alcune condizioni. Il pagamento deve avvenire presso la banca o l’ufficio postale dove il datore di lavoro ha il conto corrente, consentendo una registrazione immediata dell’operazione e garantendo la tracciabilità del trasferimento di denaro. Tuttavia, questa modalità è discrezionale per il datore di lavoro, che non è obbligato a utilizzarla.

Categorie di lavoratori escluse dal divieto

L’eccezione al divieto di effettuare il pagamento dello stipendio in contanti riguarda comunque anche certe categorie di lavoratori:

  • lavoratori domestici;
  • beneficiari di borse di studio;
  • tirocinanti;
  • titolari di rapporti autonomi di natura occasionale.

Sanzioni in caso di violazione

Il datore di lavoro che effettua il pagamento dello stipendio in contanti in casi non consentiti è soggetto a sanzioni amministrative che variano da 1.000 a 5.000 €. L’entità della sanzione dipende dal numero di mensilità pagate in contanti, non dal numero di lavoratori coinvolti.

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede la nuova legge In vigore dal 14 giugno 2024 la legge su bullismo e cyberbullismo che istituisce anche la giornata del rispetto e prevede misure concrete per la tutela delle vittime

Bullismo e cyberbullismo: la nuova legge

Nella seduta di mercoledì 15 maggio 2024 la proposta di legge bipartisan per contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo ha ricevuto il voto unanime della Camera. Il testo unificato è stato approvato dopo le modifiche apportate al Senato ed è legge dello Stato.

La legge 70 2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio per entrare in vigore il 14 giugno 2024.

Tra gli elementi di novità da segnalare c’è una definizione più completa e specifica di bullismo, l’adozione di un codice di prevenzione e di un servizio di  sostegno psicologico nelle scuole e l’istituzione della “Giornata del rispetto”  che sarà celebrata il 20 gennaio, giorno di nascita di Willy Monteiro, il ragazzo ucciso mentre tentava di difendere un amico da un pestaggio.

Al Governo il compito di adottare disposizioni più specifiche entro un anno dall’entrata in vigore del testo di legge.

Definizione di bullismo

Il testo amplia e dettaglia la definizione di bullismo ossia “l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni.”

Codice interno per le scuole

Ogni istituto scolastico dovrà adottare un codice interno per prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo e dovrà istituire un tavolo permanente di monitoraggio, di cui faranno parte i rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti di settore.

Sostegno psicologico per studenti

Le scuole potranno anche creare servizi di sostegno psicologico per gli studenti al fine di prevenire  fattori di rischio o disagio. All’interno delle scuole di ogni ordine e grado potranno essere istituiti anche servizi di coordinamento pedagogico per promuovere il pieno sviluppo delle potenzialità dei bambini e dei ragazzi agendo principalmente sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo.

Emergenza infanzia 114

Al governo il compito di potenziare il servizio di assistenza per le vittime di atti di bullismo e cyberbullismo tramite il numero pubblico “Emergenza infanzia 114” a cui potranno cedere gratuitamente 24 ore su 24 le vittime, ma anche i congiunti e in generale tutti coloro che con la vittima hanno una relazione affettiva. Grazie a questo numero sarà possibile usufruire di un servizio di prima assistenza di natura psicologica e giuridica e nei casi più gravi si potrà informare l’organo di polizia competente.

Giornata del rispetto

Istituita la giornata del rispetto per il  20 gennaio, in memoria di Willy. L’evento nelle scuole potrà essere preceduto nella settimana precedente da iniziative finalizzate alla sensibilizzazione sul fenomeno.

Progetto di intervento educativo

Al minore che tiene condotte aggressive (anche in modalità telematica) nei confronti di persone e animali e che viene processato dal Tribunale dei minorenni, potrà essere dedicato un percorso di mediazione o un progetto di intervento educativo con l’obiettivo di rieducare il minore e riparare il danno arrecato, il tutto sotto il controllo dei servizi sociali. Concluso il percorso il Tribunale potrà confermare l’esito, disporre che lo stesso prosegua o collocare il minore presso una comunità.

pensione anticipata e di vecchiaia

Pensione anticipata e di vecchiaia: come ottenere l’assegno Regole e importi per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata 2024: le novità della legge di bilancio e i chiarimenti INPS

Pensione di vecchiaia 2024

La circolare INPS n. 46/2024 spiega quali sono le novità previste dalla legge di bilancio 2024 e di bilancio pluriennale per gli anni 2024-2026 in materia di pensioni di vecchiaia e di pensione anticipata nel sistema contributivo.

Con riferimento alla pensione di vecchiaia, dal 1° gennaio 2024 per i lavoratori il cui primo accredito contributivo decorre dalla data del 1° gennaio 1996 cambia il requisito dell’importo soglia, che è pari all’assegno sociale, il cui valore provvisorio per il 2024 è di Euro 534,41.

In relazione al trattamento pensionistico maturato in base alle nuove regole in vigore dal 1° gennaio 2024, esso decorre:

  • dal 2 gennaio 2024 se liquidato d carico della AGO (Assicurazione generale obbligatoria);
  • dal 2 febbraio 2024 invece se gestito a carico dell’AGO, di forme sostitutive della stessa, della gestione separata (art. 2, co. 26, legge n. 335/1995) in regime di cumulo (legge n. 228/2012; dlgs n. 184/1997).

Pensione anticipata 2024

Dal 1° gennaio 2024 cambiano gli importi soglia per accedere alla pensione anticipata prevista dall’art. 24 co. 2 del D.L n. 201/2011, calcolati sulla base del valore provvisorio dell’assegno sociale, che nel 2024 è pari a Euro 534,41:

  • l’importo soglia è pari a 3 volte l’assegno mensile dell’assegno sociale (Euro 1.603,23);
  • detto importo è ridotto a 2,8 per le donne con un figlio (Euro 1.496,35);
  • e scende a 2,6 per le donne che hanno due o più figli (Euro 1.389,46).

La pensione anticipata non può superare il valore lordo mensile pari a 5 volte del trattamento minimo previsto dalle leggi vigenti, per le mensilità di anticipo rispetto a quando questo diritto maturerebbe per il raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico. Fino a quando non maturano i requisiti necessari al conseguimento della pensione di vecchiaia, la pensione anticipata non può essere superiore a 5 volte del trattamento minimo previsto per ogni anno, importo che per il 2024 è fissato in via provvisoria a Euro 2.993,05.

Raggiunto il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia il pagamento  avviene per l’importo intero della pensione perequata nel tempo. Il requisito anagrafico da prendere come riferimento per il calcolo della pensione nella misura intera è quello richiesto per accedere alla pensione di vecchiaia. Per i bienni 2023/2024 e 2025/2026 il requisito anagrafico richiesto è di 67 anni.

L’importo massimo da porre in pagamento riguarda le pensioni che decorrono dal 2 gennaio 2024 (se liquidate dalla gestione esclusiva AGO) o dal 1° febbraio 2024 (se liquidate dall’AGO, da forme sostitutive della stessa, dalla gestione separata o in regime di cumulo).

Il diritto alla prima decorrenza utili della pensione anticipata, in base alle nuove regole, si consegue una volta che siano decorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti previsti (finestra).

Il trattamento pensionistico che matura in base ai requisiti stabiliti dalla legge di bilancio 2024 non può decorrere prima del 2 aprile 2024 (liquidazione a carico della AGO, delle forme sostitutive, della gestione separata e in regime di cumulo) o dal 1° maggio se liquidato dall’AGO, da forme sostitutive, dalla Gestione separata o in regime di cumulo. Per il comparto scuola e AFAM valgono invece le regole di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.

Adeguamenti alla speranza di vita

La legge di bilancio 2024 introduce un ulteriore e importante elemento di novità, sempre in relazione alla pensione anticipata. Dal 1° gennaio 2024 il requisito dei 20 anni di contribuzione effettiva deve essere adeguato alla speranza di vita del soggetto come previsto dall’art. 12 del DL n. 78/2010.

Il comma 12 ter di detto articolo prevede infatti che ogni anno l’ISTAT debba rendere disponibile entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento “il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita”. Detti requisiti, come risulta dal decreto direttoriale del 18 luglio 2023 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero del Lavoro, non sono incrementati con riferimento al biennio 2025/2026.

amministrazione sostegno

Amministrazione di sostegno: il punto della Cassazione La Cassazione ripercorre disciplina e giurisprudenza sull'amministrazione di sostegno e indica i presupposti per la sua applicazione 

Amministrazione di sostegno: la vicenda

Un soggetto propone reclamo nei confronti del decreto del tribunale che, accogliendo le richieste dei fratelli, ha nominato in suo favore un amministratore di sostegno.

La Corte d’Appello accoglie il reclamo perché ritiene non convincente la consulenza psicologica espletata sul soggetto amministrato. Per l’autorità giudiziaria di secondo grado il reclamante ha la capacità di agire. I procedimenti giudiziari di natura civile e penale intrapresi dal reclamante per poter ottenere la liquidazione della sua quota ereditaria, non rappresentano un presupposto sufficiente per la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli, poco convinti della decisione, ricorrono in Cassazione.

Amministratore di sostegno per chi è incapace di gestire i propri interessi

Nel ricorso i fratelli espongono che da tempo sono in contrasto con l’amministrato perché le richieste sull’eredità paterna avanzate in sede civile e penale sono sproporzionate e controproducenti per lo stesso. Il fratello risulta avere infatti esposizioni debitorie con il fisco e con diversi professionisti tanto che lo stesso è esposto a diverse azioni esecutive che intaccano ancora di più le sue disponibilità economiche. Queste le ragioni per le quali hanno ritenuto necessario chiedere la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli contestano la decisione con la quale la Corte di Appello ha disposto la revoca della nomina dell’amministratore di sostegno perché è stata accertata un’infermità e una ridotta capacità di gestire i propri interessi. Denunciano l’inoltre l’omesso esame di fatti decisivi e controversi, che dimostrerebbero l’incapacità del fratello di tutelare la propria persona e i propri averi. I molteplici incarichi professionali conferiti, le successive revoche, le iniziative penali risultate infondate, le aspettative sproporzionate e irragionevoli sull’eredità e i debiti maturati nei confronti degli investigatori privati confermano la diagnosi del C.T.U relativa al deficit cognitivo del fratello.

Amministrazione di sostegno: analisi dell’istituto

Prima di giungere alla decisione finale la Cassazione (n. 14681-2024) ripercorre la legislazione e la giurisprudenza sull’istituto dell’amministrazione di sostegno, esponendo quanto segue.

L’amministrazione di sostegno è un istituto che è stato introdotto dalla legge numero 6/2004 per tutelare i soggetti deboli e per offrire a chi si trova in una condizione di impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (a causa di una infermità o menomazione fisica non necessariamente di natura mentale), uno strumento di assistenza.

A differenza degli istituti della inabilitazione e della interdizione l’amministrazione di sostegno sacrifica in misura minima la capacità di agire del soggetto, conservandone la libertà decisionale e aiutandolo nel compimento delle attività quotidiane senza sostituire però la loro volontà.

L’amministrazione di sostegno infatti è un istituto che tutela e protegge il beneficiario, ma il suo contenuto è meno afflittivo rispetto all’interdizione. Il beneficiario, per quanto possibile, conserva la sua autonomia e la sua autodeterminazione.

L’istituto non è previsto per coloro che si trovano in una condizione di incapacità di intendere di volere, esso presuppone una condizione “attuale” di capacità menomata, che ponga il soggetto in una condizione di impossibilità di provvedere in modo autonomo, in tutto o in parte, ai propri interessi. L’amministrazione di sostegno non è applicabile ai soggetti che sono pienamente capaci di autodeterminarsi, anche se affetti da una menomazione fisica. L’applicazione dell’istituto comporterebbe infatti una limitazione ingiustificata della capacità di agire soprattutto per i soggetti   pienamente lucidi.

Il giudice di merito, nel valutare la nomina dell’amministratore di sostegno, deve tenere conto, in base ai criteri di proporzionalità e funzionalità, dei seguenti aspetti:

  • attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato;
  • gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno dell’interessato;
  • circostanze caratterizzanti la fattispecie per assicurare un supporto adeguato alle esigenze del beneficiario senza penalizzarlo.

I punti di forza dell’istituto sono rappresentati dal dinamismo e dalla flessibilità, tanto è vero che l’amministratore di sostegno ha il dovere di riferire periodicamente al giudice tutelare le attività di gestione del patrimonio svolte, ma anche il cambiamento eventuale delle condizioni di salute e di vita personale e sociale dell’amministrato. Il provvedimento che dispone la nomina dell’amministratore di sostegno pertanto è sempre suscettibile di modifiche e adeguamenti.

Come sancito dall’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite le caratteristiche dell’amministrazione di sostegno impongono che l’accertamento dei presupposti di legge venga compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata rispetto alle condizioni del beneficiario, accertabili anche mediante c.t.u, ma anche rispetto all’incidenza delle stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere autonomamente ai propri interessi personali e patrimoniali. I poteri di gestione ordinaria dell’amministrazione di sostegno devono essere delineati e direttamente proporzionati ai suddetti elementi, di modo che risultino funzionali agli obiettivi specifici della tutela, comportando diversamente una limitazione ingiustificata della capacità di agire della persona. Ne consegue che, se il beneficiario affetto da disabilità fisica si opponga all’amministrazione, il giudice deve ne dovrà tenere conto e valutare altresì le soluzioni alternative proposte dallo stesso, se illustrate con specificità e concretezza.

Il decreto di nomina del giudice tutelare deve essere quindi specifico e individualizzato, deve indicare l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario e indicare quali sono gli atti che il beneficiario è in grado di compiere da solo.

Tra gli atti per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, vi sono quelli di natura giudiziaria previsti dall’articolo 374 c.p.c (fatte salve alcune eccezioni) applicabile anche in caso di interdizione. Occorre chiarire però che l’amministrazione di sostegno si differenzia dall’interdizione perché non produce la perdita della capacità di agire del soggetto, che conserva la capacità di autodeterminarsi. Ai sensi dell’articolo 404 c.p.c infatti la persona sottoposta all’amministrazione di sostegno può essere assistita, ma l’amministratore di sostegno non ha un potere – dovere di sostituire il beneficiario.

Il giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno deve dare delle indicazioni “sartoriali” che possono riguardare sia la salute del soggetto che l’amministrazione del patrimonio del beneficiario, nel rispetto della capacità di auto determinazione del destinatario.

Sul tema delle azioni giudiziarie intraprese da un soggetto ritenuto incapace di provvedere ai propri interessi e quindi bisognoso di un’amministrazione di sostegno, è stato precisato che l’istituto non impedisce al destinatario di promuovere personalmente un giudizio, a meno che tale potere non sia escluso espressamente dal decreto di nomina. Il decreto di nomina non può però contenere un’autorizzazione generale alla promozione di giudizi, l’amministratore di sostegno deve infatti richiedere l’autorizzazione specifica al giudice tutelare.

La decisione della Cassazione

Passando all’esame del caso di specie la Cassazione ritiene che la decisione della Corte d’Appello debba essere cassata. Le azioni intraprese dal beneficiario sono tali da porlo in effetti a rischio di indigenza. Le ravvisate carenze cliniche poste a fondamento della misura avrebbero dovuto condurre a un ulteriore o rinnovato approfondimento di natura tecnico scientifica. La Corte di appello inoltre non ha valutato adeguatamente le condotte del beneficiario. La affermata responsabilità dei professionisti a cui il soggetto si è rivolto spostano il focus del problema. Se la Corte d’Appello avesse considerato l’adeguatezza degli strumenti giudiziari utilizzati per perseguire l’obiettivo desiderato dal beneficiario il quadro di debolezza e di fragilità del beneficiario sarebbe stato ricostruito correttamente. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, dovrà valutare l’opportunità di un’amministrazione di sostegno nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e della situazione specifica del soggetto.

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incompetenza avvocati

L’avvocato incompetente viola il codice deontologico Il CNF conferma la decisione del CDD di Bologna, che ha sanzionato due avvocati, colpevoli di aver accettato un incarico senza avere la necessaria competenza

Illecito disciplinare avvocati

La sentenza n. 23-2024 del Consiglio Nazionale Forense ribadisce l’importanza del rispetto delle norme deontologiche nell’esercizio della professione forense, sottolineando come la richiesta di compensi non concordati e l’accaparramento di clientela tramite terzi siano pratiche inaccettabili. La decisione del CNF conferma però e soprattutto che gli avvocati devono operare con trasparenza, competenza e nel rispetto degli accordi stabiliti con i clienti e i terzi coinvolti.

Il procedimento che si conclude con la sentenza del CNF nasce dalla richiesta di opinamento della parcella di due avvocati relativa ad alcune prestazioni legali fornite in favore di un loro “assistito”. Quest’ultimo avrebbe incaricato gli avvocati di promuovere un’azione legale contro una Banca per un contratto di mutuo ritenuto usurario. Alla fine della causa, gli avvocati avevano inviato al cliente una nota pro-forma di € 14.170,17.

L’assistito si opponeva alla richiesta e chiedeva che la sua difesa fosse considerata anche come esposto contro i suoi avvocati. Egli dichiarava di non ricordare di aver mai incontrato gli avvocati personalmente, ma solo un loro collaboratore. Inoltre, sosteneva di non aver mai ricevuto copia dell’atto di citazione né informazioni sullo stato della causa, salvo la notizia della sentenza sfavorevole. Alcune informazioni le aveva ottenute solo tramite un’impiegata della società che aveva eseguito l’analisi contabile del rapporto con la banca e che aveva suggerito gli avvocati.

Incompetenza sanzionata dal codice deontologico forense

Il Consiglio di Distrettuale di Disciplina di Bologna avviava un procedimento disciplinare contro gli avvocati contestando loro tre violazioni:

  1. violazione dell’art. 9 del Codice Deontologico Forense: per aver richiesto al cliente una somma superiore a quella pattuita con la società di analisi contabile;
  2. violazione dell’art. 19 del Codice Deontologico Forense: per accaparramento di clientela tramite la stipula di un contratto con la società, impegnandosi a retrocedere alla stessa una percentuale dei compensi professionali.
  3. violazione dell’art. 12 del Codice Deontologico Forense: per mancanza di adeguata competenza tecnica nel patrocinare l’assistito nel giudizio contro la Banca.

Il CDD di Bologna, esaminati i documenti e sentite le testimonianze, riteneva provate tutte le condotte contestate. In particolare:

  • gli avvocati avevano richiesto al cliente somme diverse e maggiori rispetto a quelle stabilite con la società;
  • avevano sottoscritto un accordo con la società che prevedeva una retrocessione dei compensi e la limitazione dell’indipendenza professionale;
  • non avevano prodotto in giudizio la documentazione necessaria a sostenere le domande, mancando quindi di competenza. 

Il CDD di Bologna infliggeva la sospensione di due mesi dall’esercizio della professione per un avvocato e la censura per l’altro difensore.

Corrette le sanzioni irrogate

Gli avvocati presentavano ricorso al Consiglio Nazionale Forense, chiedendo l’annullamento o la riduzione delle sanzioni. Nelle memorie difensive, essi sostenevano:

  • l’assenza di un accordo per la determinazione del compenso con il cliente.
  • la revoca del mandato da parte dell’“assistito”che aveva fatto venir meno la copertura assicurativa prevista in caso di esito sfavorevole della causa;
  • l’assenza di un rapporto che potesse configurare il divieto di accaparramento di clientela, poiché la società era un semplice terzo che offriva servizi di supporto;
  • la correttezza e completezza della documentazione presentata a sostegno della causa.

Il CNF, esaminati i fatti e le memorie difensive, confermava in gran parte la decisione del CDD di Bologna. In particolare, il CNF riteneva che:

  • la richiesta di somme superiori a quelle concordate con la società costituisse una violazione del dovere di lealtà e correttezza;
  • la convenzione con la società che prevedeva la retrocessione di parte dei compensi, violasse il divieto di accaparramento di clientela;
  • la mancata produzione della documentazione necessaria in giudizio fosse un errore elementare, indicativo di mancanza di competenza. 

Confermata quindi la responsabilità degli avvocati e le sanzioni irrogate dal CDD.

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ecobonus auto 2024

Ecobonus auto: come ottenerlo Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto che prevede i nuovi incentivi per l’acquisto di veicoli non inquinanti nel 2024

Ecobonus auto basse emissioni: decreto in GU

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 121 del 25 maggio 2024 è stato pubblicato il decreto del presidente del consiglio dei ministri del 20 maggio, che ha provveduto alla rimodulazione degli incentivi per l’acquisto dei veicoli a basse emissioni inquinanti.

Ecobonus veicoli: a chi spetta

Dalla fase di entrata in vigore del decreto ed entro il 31 dicembre 2024 gli incentivi vengono riconosciuti ai seguenti soggetti e alle seguenti condizioni:

  • alle persone fisiche e giuridiche al di fuori di coloro che esercitano attività con codice ATECO 45.10.0 che acquistano, anche con contratto di locazione finanziaria, e immatricolano in Italia veicoli di categoria M1 nuovi e omologati in una classe non inferiore a Euro 6 con immissioni comprese nella fascia 0-20 g/km di CO2 al prezzo pari o inferiore a 35.000 euro, Iva esclusa, l’incentivo è pari a 6000 euro. Spettano ulteriori 5000 euro se contestualmente viene rottamato un veicolo omologato in una classe da euro 0 a euro 2, ulteriori 4000 eur se viene rottamato un veicolo omologato nella classe euro 3, ulteriori euro 3000 se viene rottamato un veicolo omologato nella classe euro 4;
  • alle persone fisiche e giuridiche, escluse quelle che esercitano attività con codice ATECO  11.0, che acquistano, anche con contratto di leasing e immatricolano in Italia veicoli di categoria M1 nuovi e omologati in una classe non inferiore a Euro 6, con emissioni comprese tra 21-60 g/km di CO2, con prezzo pari o inferiore a 45.000 euro  IVA esclusa, l’incentivo è di euro 4.000  a cui si sommano ulteriori euro 4.000 se contestualmente viene rottamato un veicolo omologato in una classe da  Euro 0 a Euro 2, o ulteriori euro 2.000 se il veicolo rottamato  è omologato nella classe Euro  3, o di  ulteriori euro 1.500 se il veicolo rottamato è omologato nella classe Euro 4;
  • alle persone fisiche che acquistano, anche in leasing e immatricolano in Italia veicoli di categoria M1 nuovi e omologati in una classe non inferiore a Euro 6, con emissioni comprese nei valori  61-135  g/km di CO2, al prezzo di listino pari o inferiore a 35.000 euro IVA esclusa, il contributo è di euro 3.000 se contestualmente viene rottamato un veicolo omologato in una classe da Euro 0 a Euro 2, o di euro 2.000 se viene rottamato  un veicolo omologato nella classe Euro 3 o di euro 1.500 se viene rottamato un veicolo omologato nella classe Euro 4;
  • alle persone fisiche e giuridiche, escluse quelle che svolgono attività con codice ATECO  40.1, che acquistano, anche in leasing e immatricolano in Italia veicoli elettrici nuovi appartenenti alle categorie  L1e,  L2e,  L3e, L4e, L5e, L6e e L7e il contributo è pari al 30% del prezzo di acquisto, fino a euro  3.000. Il contributo e’ invece del 40% del prezzo di acquisto, fino 4.000 euro, qualora venga consegnato per la rottamazione un veicolo di categoria euro 0, 1, 2 o 3  di  cui il beneficiario e’ proprietario o intestatario da almeno 12 mesi o di cui sia intestatario o proprietario, da almeno dodici mesi, un  familiare convivente;
  • alle piccole e medie imprese che svolgono attività di trasporto di cose in conto proprio o in conto terzi che acquistano, anche in leasing, e immatricolano in Italia veicoli commerciali di categoria N1 e N2 nuovi, spetta un contributo differenziato in base alla massa totale a terra e all’alimentazione del veicolo, secondo la tabella allegata. Per i  veicoli commerciali di categoria N1 e N2 ad alimentazioni alternative (CNG-GPL mono e bifuel, Ibrido) e  tradizionali, il riconoscimento del contributo e’ subordinato rottamazione contestuale di un veicolo della stessa categoria omologato in  una classe fino a Euro 4. Il 25% delle risorse dedicate a questi veicoliè destinato all’acquisto di veicoli esclusivamente elettrici;
  • alle persone fisiche che acquistano, anche in leasing, veicoli usati di categoria M1, di prima immatricolazione in Italia, che non hanno beneficiato degli incentivi previsti dalla legge n. 145/2018, dalla legge n. 178/2020 e dal DpCm del 6 aprile 2022, omologati in una classe non inferiore a Euro 6, con emissioni fino a 160 g/km di  CO2, con prezzo non superiore a 25.000  euro, il  contributo è  di  euro  000 se contestualmente viene rottamato un veicolo della stessa categoria, omologato in una classe fino a Euro 4, di cui l’acquirente o un familiare convivente siano proprietari o intestatari da almeno 12 mesi;
  • alle persone fisiche con contratto di noleggio a lungo termine per la locazione di durata non inferiore a 3 anni di uno dei veicoli di cui ai primi tre punti è riconosciuto un contributo, nei limiti degli  stanziamenti  Un decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy, che verrà adottato entro 120 giorni  dalla entrata in vigore del presente decreto, individuerà  l’entità del contributo, i criteri e le modalità per beneficiarne;
  • per i veicoli di categoria L1e, L2e, L3e, L4e, L5e, L6e, L7e, nuovi, che non beneficiano della incentivazione prevista al punto 4, omologati in una classe non inferiore a Euro 5, ma che godono di uno sconto pari almeno al 5% del prezzo di acquisto, il contributo è pari al del 40% del prezzo d’acquisto, fino euro 2.500  se contestualmente viene rottamato un veicolo di categoria euro 0, 1, 2 o 3 o che sia stato oggetto di  ritargatura obbligatoria come previsto dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 2 febbraio 2011.

Maggiorazioni: veicoli MI, licenze taxi e noleggio

L’articolo 3 del decreto prevede per i soggetti di cui ai punti A e B dell’articolo 2 un aumento del 25% del contributo se l’acquirente è una persona fisica con un ISEE inferiore a 30.000 euro. Detto contributo è riconosciuto anche quando la persona fisica contestualmente rottami un veicolo omologato nella classe euro 5. Il contributo per l’ipotesi di cui al punto A è pari a 8000 euro, per l’ipotesi di cui al punto B è di euro 5000.

L’articolo quattro prevede invece una maggiorazione del contributo per l’acquisto di veicoli di categoria M1 da parte di soggetti che siano titolari di licenze di taxi e di soggetti autorizzati al servizio di noleggio con conducente. Contributi particolari vengono riconosciuti a chi installa impianti a GPL e metano per autotrazione su veicoli appartenenti alla categoria M1.

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L’influencer è un agente di commercio Per la Cassazione, se l’influencer promuove online prodotti altrui e percepisce un compenso percentuale sulle vendite è un agente di commercio

Influencer e contratto di agenzia

La promozione continuativa online di integratori alimentari da parte di un influencer sulle proprie pagine social e sul proprio sito va inquadrata giuridicamente come contratto di agenzia. L’azienda committente deve quindi versare i contributi previdenziali all’Enasarco. Lo ha stabilito la sentenza n. 2615-2024del Tribunale di Roma.

Prestazione intellettuale o contratto di agenzia

La vicenda processuale vede come protagonista un’impresa commerciale, che si é avvalsa anche di influencer per rendere note ai potenziali acquirenti le caratteristiche degli integratori alimentari che la stessa commercializza online. Il tutto per finalità promozionali.

Il focus della controversia riguarda l’inquadramento degli influencer come agenti di commercio per comprendere quali sono gli obblighi contributivi che deve sostenere l’impresa.

Per alcuni il contratto di promozione che viene stipulato con gli influencer è un contratto atipico, per altri invece è un contratto d’opera intellettuale.

L’attività di promozione svolta on-line dagli influencer è in grado in realtà di raggiungere un numero elevato di soggetti, essa pertanto non si discosta molto dalla definizione contenuta nell’art. 1742 c.c, il quale dispone che: “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente lincarico di promuovere, per conto dellaltra, verso le retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.” 

Influencer: agente di commercio se promuove stabilmente i prodotti altrui

Per il Tribunale di Roma, come emerge anche dagli atti, il contratto stipulato con gli influencer dall’impresa prevedeva la promozione di prodotti destinati alla vendita online e il compenso veniva riconosciuto in base agli ordini che il collaboratore procurava e che andavano a buon fine.

Questo tipo di attività è quindi riconducibile a quella che viene prestata dall’agente di commercio ai sensi dell’art. 1742 e seguenti del codice civile. Dai documenti emerge infatti che la collaborazione non era occasionale, ma continuativa, tanto è vero che i pagamenti delle retribuzioni avvenivano a cadenze periodiche, soprattutto mensili.

Il Tribunale ricorda che la Cassazione ha avuto modo di precisare che: “i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dellattività dellagente di promuovere la conclusione dei contratti per conto del proponente nellambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con questultima una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato per rischio con lobbligo naturale di osservare, oltre i nomi di correttezza e di realtà le istruzioni ricevute dal proponente medesimo…” Sempre la Cassazione ha chiarito che “lassenza di assegnazione di una specifica zona non è elemento determinante per escludere il contratto di agenzia.” 

Nel caso di specie l’accordo stipulato tra l’impresa commerciale e l’influencer prevedeva che questo soggetto fosse. Tenuto a promuovere per conto dell’impresa i prodotti del brand di proprietà sulle pagine dei social media e sui siti web di sua proprietà, indicando nelle proprie pagine web il codice sconto personalizzato. Per quanto riguarda il corrispettivo l’accordo prevedeva che per ogni singolo ordine procurato è andata a buon fine l’influencer percepisse un compenso nella misura del 10%. L’articolo 7 del contratto, relativo alla durata dell’accordo, riportava inoltre che la collaborazione per la promozione doveva intendersi a tempo indeterminato, con possibilità di risolvere il contratto previo preavviso di almeno 15 giorni, da comunicare a mezzo mail.

Queste caratteristiche contrattuali non possono far ritenere che tra le parti intercorresse un rapporto di procacciamento d’affari occasionale, trattandosi piuttosto di un’attività riconducibile al rapporto di agenzia.

Sono plurimi gli indizi gravi, precisi e concordanti che portano a ritenere che il contratto stipulato con l’influencer rientri nell’attività tipica dell’agenzia, come disciplinata dall’art. 1742 e seguenti del codice civile:

  • lo scopo del contratto stipulato era la vendita dei prodotti promossi tanto è vero che i followers, in fase di acquisto, dovevano inserire il codice sconto personalizzato associato all’influencer, raggiungibile solo attraverso pagine social di questo soggetto;
  • la comunità dei followers dell’influencer può ben integrare il concetto di “zona determinata” richiesto dall’art. 1743 c.c;
  • il vincolo di stabilità è dimostrato documentalmente dagli estratti conto, dalle provvigioni e dalla emissione sistematica di fatture per diversi e numerosi affari, procurati attraverso l’attività promozionale svolta sui social e sui siti web e compensata con la percentuale stabilita nel contratto;
  • la durata del contratto stipulato a tempo indeterminato è infine sintomatico di un rapporto stabile e predeterminato.

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reato abbandono animali

Abbandono di animali: non c’è reato se il cane resta al canile per indigenza Il reato di abbandono di cui all’art. 727 c.p. non si configura se il proprietario non ritira l’animale dal canile per problemi economici

Reato di abbandono di animali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16168-2024, ha stabilito che il mancato ritiro di un cane dal canile a cui è stato affidato non configura il reato di abbandono di animali.

Lasciare un cane presso una struttura di ricovero non è punibile perché queste strutture assicurano le necessarie cure agli animali, non li sopprimono e non li destinano alla sperimentazione.

Anche se la retta per la custodia viene sospesa e il cane scappa, perché va a cercare il proprietario, il reato di abbandono non si configura.

Il reato sussiste invece se il proprietario affida il cane a un canile privato, obbligato contrattualmente alla cura dell’animale, sospende i pagamenti o non ritira l’animale, se è prevedibile che l’inadempimento possa determinare l’abbandono dell’animale da parte del canile per mancanza di affidabilità o di professionalità della struttura stessa.

Condannato il proprietario che lascia l’animale al canile

La pronuncia pone fine a un processo iniziato con la condanna di un imputato per il reato di abbandono di animali, accusato di aver abbandonato un cane meticcio con microchip nel territorio di un comune calabrese.

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, contestando la valutazione della prova da parte del Tribunale e sottolineando che il cane, che era solito allontanarsi per giorni, era stato trovato a quasi 200 km di distanza dal luogo di residenza dell’imputato.

L’imputato ha dichiarato di non aver mai visitato la località in cui il cane era stato catturato e di essersi trovato nell’impossibilità di ritirarlo dal canile locale a causa delle restrizioni sugli spostamenti imposte dalla pandemia e delle sue difficili condizioni economiche.

Non c’è abbandono di animale se ci sono difficoltà economiche

La Suprema Corte ha rilevato che il Tribunale non ha adeguatamente considerato l’impossibilità oggettiva dell’imputato di riprendere l’animale a causa delle restrizioni alla mobilità tra regioni durante l’emergenza pandemica. Inoltre, le difficoltà economiche derivanti dalla perdita del lavoro hanno impedito all’imputato di pagare la retta del canile.

Di conseguenza, né l’omesso pagamento della retta né l’omesso ritiro dell’animale potevano configurare il reato di abbandono. La decisione del Tribunale di condannare l’imputato non ha considerato adeguatamente queste circostanze oggettive.

L’articolo 727 del codice penale punisce il reato di abbandono di animali, definito come qualunque condotta che manifesti la volontà dolosa di non tenere l’animale con sé e che violi i doveri di cura e custodia. Tuttavia la norma non prevede l’obbligo di denunciare lo smarrimento dell’animale. Nel caso in esame, l’affidamento del cane a una struttura con obbligo di custodia esclude la configurazione di abbandono, e il mancato pagamento delle rette al canile non integra questa fattispecie penale.

In conclusione, la Cassazione ha annullato la condanna, affermando che in caso di indigenza e impossibilità materiale di ritirare un animale affidato a un canile, non si configura il reato di abbandono di animali. La decisione rappresenta un’importante chiarificazione sulla tutela degli animali e sulle responsabilità dei proprietari in situazioni di difficoltà economica e logistica.

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mutuo ammortamento francese

Mutui: salvo l’ammortamento alla francese Per le sezioni unite della Cassazione, il mutuo con ammortamento “alla francese” soddisfa la trasparenza e la determinatezza dell’oggetto se la Banca allega il piano al contratto

Mutui con ammortamento “alla francese”

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza numero Cass-15340-2024 salvano i mutui “alla francese” ossia quei mutui tradizionali che prevedono rate costanti e una quota di interessi progressivamente decrescente a fronte di un capitale progressivamente crescente. La mancata indicazione sulle modalità di ammortamento e del calcolo degli interessi passivi non determina la nullità di questi contratti di mutuo.

Contratto nullo se non indica modalità di ammortamento e calcolo degli interessi

La vicenda che si conclude con la sentenza a Sezioni Unite ha inizio quando una signora si rivolge al Tribunale per far dichiarare la nullità parziale di un contratto di mutuo ipotecario bancario che la stessa aveva stipulato, ma in relazione al quale non era stata pattuita e indicata la modalità di ammortamento “alla francese” e la modalità di calcolo degli interessi passivi. Chiedeva quindi che la banca venisse condannata a rimborsare i maggiori interessi riscossi indebitamente dalla banca.

Il Tribunale competente dispone il rinvio pregiudiziale alla Cassazione, chiedendo la soluzione della questione di diritto relativa alle conseguenze giuridiche derivanti dall’omessa indicazione, all’interno del contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori a fronte della previsione scritta del tasso annuo nominale e della modalità di ammortamento “alla francese”, ovvero se la mancata ed espressa previsione negoziale di tali condizioni determini la nullità del contratto. Il Tribunale ricorda infatti che, ai sensi dell’articolo 117 comma 4 del Testo Unico Bancario, i contratti bancari di credito devono indicare, a pena di nullità, il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni inclusi e gli eventuali e maggiori oneri in caso di mora, con conseguente rideterminazione, in caso di mancata previsione, del piano di ammortamento con applicazione del tasso sostitutivo.

Ammortamento alla francese: il piano soddisfa determinatezza e trasparenza

Nella motivazione della sentenza la Cassazione illustra prima di tutto le caratteristiche tipiche del piano di ammortamento alla francese. Trattasi, nello specifico, di un piano che prevede un rimborso del capitale e degli interessi con pagamento del debito a rate costanti, comprensive di una quota capitale crescente e di una quota interessi decrescente. Il dubbio che gli Ermellini sono chiamati a risolvere riguarda la trasparenza di questo ammortamento e la capitalizzazione composta degli interessi in quanto “l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta produce interessi”. Un sistema che, per il Tribunale de rinvio, comporta una maggiore onerosità del costo del denaro che il cliente prende a prestito proprio perché si producono interessi su interessi.

Per la Cassazione però “deve escludersi che la mancata indicazione nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e del regime di capitalizzazione composto degli interessi incida negativamente sui requisiti di determinatezza e determina dell’oggetto del contratto causandone la nullità parziale”.

In relazione poi al contestato difetto di trasparenza la Cassazione ricorda che, se il contratto trasparente è quello che consente di intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa e di avere la piena contezza delle condizioni del contratto sottoscritto e comprendere la portata del suo impegno, nel caso di di specie esso non sussiste. L’istituto di credito ha assolto ai propri obblighi informativi allegando il piano di ammortamento al contratto, offrendo così al cliente la possibilità di verificare se l’offerta rispondeva alle sue necessità e alla sua situazione finanziaria e di valutarne la convenienza, previo confronto con altre offerte presenti sul mercato.

Alla luce delle motivazioni suddette la Cassazione enuncia quindi il seguente principio di diritto: “in “in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento alla francese di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminata delloggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza e delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra istituti di credito e i clienti”. 

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