Quesito con risposta a cura di Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio
La sperequazione economica di non modesta entità fra i coniugi all’esito di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti (riferita, in particolare, ai redditi pensionistici), in presenza di un significativo apporto dato dal coniuge più debole in costanza di matrimonio all’incremento delle prospettive pensionistiche dell’altro, giustifica il riconoscimento dell’assegno divorzile (Sperequazione economica e trattamento pensionistico).
Per la determinazione dell’importo dell’assegno divorzile, si deve tener conto anche della convivenza prematrimoniale se essa ha avuto connotati di stabilità e continuità e ha comportato reciproche contribuzioni economiche, dimostrando una relazione di continuità con il matrimonio giuridico (Cass., sez. I, 28 novembre 2024, n. 30602).
L’ordinanza in commento ribadisce alcuni principi ormai consolidati in materia di attribuzione dell’assegno divorzile.
Nel caso di specie, in primo grado era stato riconosciuto in favore dell’ex moglie un assegno di divorzio, in considerazione della sussistenza di uno squilibrio economico fra gli ex coniugi emergente dal raffronto dei loro redditi da pensione, nonché della riconducibilità di detto squilibrio a sacrifici e rinunce professionali della moglie che avevano reso possibile la progressione di carriera del marito, con conseguente ottenimento, da parte di quest’ultimo, di un miglior trattamento previdenziale. Nello specifico, il Tribunale aveva valorizzato la circostanza che l’ex moglie, in costanza di matrimonio, avesse seguito il marito in una missione all’estero durata circa tre anni, mettendosi in aspettativa dal proprio lavoro.
La decisione veniva poi confermata in appello sulla base del dato non contestato della disparità dei redditi pensionistici degli ex coniugi, nonché della presenza di sacrifici e rinunce, anche professionali, dell’ex moglie.
L’ex marito ha proposto ricorso per cassazione lamentando, da un lato, l’erronea valutazione, da parte dei giudici di merito, della capacità reddituale delle parti e, dall’altro lato, l’omessa considerazione della breve durata del vincolo coniugale.
Con riferimento al primo profilo, il percorso motivazione della Corte di cassazione ha preso le mosse dai principi affermati da Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, la quale, in tema di assegno divorzile, nel comporre il contrasto giurisprudenziale tra la lettura incentrata sul tenore di vita analogo e quella favorevole all’utilizzo del principio di autoresponsabilità, ha chiarito che gli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898, assumono una posizione equiordinata nell’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi e all’incapacità di procurarseli e costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sull’attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
In quest’ottica l’ordinanza in commento ha ribadito che l’adeguatezza dei mezzi deve essere accertata effettuando una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che consideri anche il contributo fornito dal coniuge che richiede l’assegno alla formazione del patrimonio familiare e/o di quello personale dell’altro coniuge.
In altri termini, la pronuncia in esame ha ricordato che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile occorre verificare che lo squilibrio economico fra le parti presente al momento del divorzio dipenda causalmente dalle scelte comuni di conduzione della vita familiare e dai sacrifici sopportati dal coniuge richiedente l’assegno a favore delle esigenze della famiglia.
La Corte ha poi richiamato altri precedenti (Cass., Sez. Un., 31 marzo 2021, n. 9004; Cass. 17 febbraio 2021, n. 4215; Cass. 30 agosto 2019, n. 21926), anche questi incentrati sulla composita funzione (assistenziale, perequativa e compensativa) dell’assegno divorzile e sulla necessità che, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti riconducibile a scelte comuni, l’assegno assicuri all’ex coniuge richiedente un livello reddituale adeguato al contributo fornito in costanza di matrimonio.
Svolta tale premessa, la Corte di cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso, affermando come la Corte d’appello avesse correttamente accertato sia la sussistenza dello squilibrio economico tra le parti, in ragione del non contestato differente trattamento pensionistico degli ex coniugi, sia la riconducibilità dello squilibrio stesso a sacrifici, anche professionali, del coniuge richiedente l’assegno.
Con riferimento alla doglianza relativa all’erronea valutazione della durata del vincolo matrimoniale, la Corte ha invece ribadito il principio affermato da Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2023, n. 35385, secondo cui, allorquando vi sia una continuità tra la convivenza prematrimoniale e la vita matrimoniale, ai fini della verifica dell’apporto fornito dal coniuge richiedente l’assegno alla formazione del patrimonio della famiglia e/o di quello personale dei coniugi, occorre considerare anche il periodo della convivenza more uxorio.
(*Contributo in tema di “Sperequazione economica e trattamento pensionistico”, a cura di Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)