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Reato di cattiva conservazione degli alimenti: basta il rischio anche senza danno La Cassazione ribadisce che è sufficiente la potenziale pericolosità di prodotto per integrare il reato di cattiva conservazione degli alimenti

reato di cattiva conservazione

Reato di cattiva conservazione degli alimenti

Reato di cattiva conservazione degli alimenti: basta il rischio per la salute, anche senza danno concreto. In ambito alimentare, infatti, la semplice potenziale pericolosità di un prodotto è sufficiente a configurare il reato anche in assenza di danni effettivi ai consumatori. È quanto ha ribadito la terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13826/2025, confermando la condanna nei confronti del titolare di una macelleria all’interno di un supermercato per la vendita di carni e salumi conservati in ambienti igienicamente inadeguati.

Quando si configura il reato ex art. 5 l. 283/1962

Secondo quanto previsto dall’articolo 5, lettere b) e d), della legge n. 283/1962, rammentano innanzitutto dal Palazzaccio, la violazione si concretizza quando gli alimenti risultano:

  • in cattivo stato di conservazione;

  • alterati o insudiciati;

  • non conformi alle norme igienico-sanitarie stabilite dalla legge.

Non è necessario che il prodotto abbia causato un danno alla salute del consumatore. È sufficiente che si accerti la propensione oggettiva dell’alimento a costituire un pericolo, in virtù del suo deterioramento o della sua contaminazione.

Il principio espresso dalla Cassazione

I giudici di legittimità hanno chiarito che ciò che rileva ai fini della responsabilità penale è l’assenza delle condizioni igieniche minime richieste per la sicurezza del prodotto alimentare.

La tracciabilità carente, la mancata adozione di misure preventive, o anche il non rispetto delle norme di comune esperienza in materia di conservazione, sono elementi sufficienti a configurare il reato.

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