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Danno da nascita indesiderata: i chiarimenti della Cassazione Danno da nascita indesiderata: il diritto della donna ad autodeterminarsi e abortire può essere provato con presunzioni semplici

danno da nascita indesiderata

Danno da nascita indesiderata e risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1903/2025 chiarisce che il danno da nascita indesiderata non implica automaticamente il risarcimento alla madre. La violazione del diritto all’autodeterminazione, comprensivo della possibilità di abortire, deve essere dimostrata con elementi concreti. La questione si complica se la gravidanza dura da più di 90 giorni. In questi casi infatti la legge consente l’aborto solo se sussiste un grave pericolo per la salute della donna.

Nascita indesiderata: richiesta risarcitoria

Due coniugi agiscono nei confronti di una ASL perché la ritengono responsabile della colposa mancata rilevazione e informazione, successiva alla morfologica effettuata dopo 90 giorni di gravidanza, della grave patologia del nascituro. Questo errore medico ha impedito alla donna di optare per l’interruzione di gravidanza. L’Azienda contesta la versione dei fatti fornita dagli attori e la domanda risarcitoria avanzata e chiede la chiamata in causa della casa di cura in cui il bambino è venuto alla luce.

Il Tribunale di primo grado rigetta le domande degli attori. I coniugi hanno omesso di allegare la sussistenza di un grave pericolo per la salute fisica o psichica (sintomi depressivi) della neo mamma. Tale presupposto per il Tribunale è del tutto generico e non dimostrato.

Il Giudice dell’appello invece, ribaltando la decisione di primo grado, riconosce un danno alla donna per la violazione del diritto all’autodeterminazione. La Corte ritiene provato per presunzioni il pericolo per la salute della donna e l’inadempimento colposo dei medici. Il referto dell’ecografia rivelava la visualizzazione della vescica, a questo esame però non è seguito alcun approfondimento. La decisione viene quindi impugnata dalla ASL.

Danno da nascita indesiderata: servono prove

La Cassazione accoglie il ricorso dell’azienda sanitaria, annullando la condanna al risarcimento emessa in secondo grado, dopo aver richiamato alcuni importanti principi delle SU in materia di risarcimento del danno da nascita indesiderata.

Il ricorso viene accolto e deciso sulla base di rilevanti principi giuridici.

  • Per la Cassazione la mancata diagnosi di una malformazione fetale non comporta automaticamente la responsabilità medica. L’interruzione volontaria della gravidanza è consentita solo in casi eccezionali, previsti dall’ 6 della legge 194/1978. Per ottenere il risarcimento, la madre deve dimostrare che, se adeguatamente informata, avrebbe scelto di abortire. La prova di questi elementi può basarsi su presunzioni, purché supportate da elementi concreti.
  • Il ragionamento presuntivo del giudice deve rispettare i criteri di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’ 2729 c.c. Se il giudice applica erroneamente questi principi a fatti che non li soddisfano, il suo ragionamento è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c.
  • L’errata applicazione delle presunzioni semplici costituisce un vizio di diritto. Se il giudice basa una presunzione su fatti privi di gravità, precisione o concordanza, si configura una falsa applicazione dell’ 2729 c.c. La Cassazione può intervenire per correggere questa distorsione interpretativa e garantire una corretta applicazione delle norme sulla responsabilità medica e sul risarcimento del danno.

 

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