illecito condominiale

Illecito condominiale: tutti responsabili La Cassazione stabilisce che in caso di illecito condominiale ciascun autore risponde integralmente, senza rilievo della priorità dell’intervento

Con l’ordinanza n. 17237/2025, la Cassazione ha chiarito un principio fondamentale in tema di responsabilità per illecito condominiale. Quando più soggetti intervengono sulla cosa comune, ciascuno può essere chiamato a rispondere per l’intero danno, indipendentemente dall’ordine cronologico dei loro comportamenti.

La vicenda oggetto di giudizio

Un condomino aveva convenuto in giudizio la proprietaria di un’unità immobiliare, lamentando che l’apposizione di pannelli in cartongesso su una vetrata comune avesse ridotto la luce naturale nella scala.
La Corte d’appello aveva respinto in parte la domanda, ritenendo che l’oscuramento derivasse prevalentemente da pannelli precedentemente collocati da un altro condomino confinante. Il controsoffitto installato successivamente non sarebbe stato idoneo ad aggravare in modo apprezzabile la situazione.

Il ricorrente aveva contestato questa ricostruzione, affermando che la Corte di merito avesse trascurato la circostanza che l’illecito concorresse con quello precedente e che la responsabilità non dipendesse dalla priorità temporale del comportamento.

La responsabilità solidale nel danno condominiale

Accogliendo il ricorso, la Cassazione ha ricordato che in tema di illecito condominiale il criterio fondamentale è l’articolo 2043 del codice civile, che impone l’obbligo di risarcire il danno ingiusto cagionato da fatto doloso o colposo.
Ai sensi dell’articolo 2055 c.c., quando il danno è prodotto da più soggetti, tutti rispondono in solido verso il danneggiato.

Di conseguenza, chi interviene successivamente su una situazione già compromessa non può invocare la condotta anteriore di terzi per escludere la propria responsabilità. Il danneggiato può rivolgersi indifferentemente a ciascun autore, senza che assuma rilievo chi abbia compiuto per primo l’abuso.

Il principio di diritto affermato

La Corte ha enunciato un principio chiaro e destinato a trovare applicazione in casi analoghi: “Anche in tema di rapporti condominiali, del fatto illecito di un condomino che si aggiunga al fatto illecito di altro condomino nei confronti della cosa comune può essere chiamato a rispondere indifferentemente l’uno o l’altro degli autori, senza che debba aversi riguardo alla priorità nella commissione del fatto”. 

Si tratta di un orientamento coerente con la giurisprudenza precedente (Cass. n. 1757/1987 e n. 6041/2010), secondo cui ciascun condomino può agire autonomamente a tutela del bene comune e ciascun autore risponde per l’intero danno.

Gli altri motivi accolti dalla Suprema Corte

Oltre alla questione della responsabilità solidale, la Cassazione ha accolto ulteriori motivi di ricorso del condomino danneggiato.
In particolare, la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi:

  • sulla violazione del regolamento condominiale,

  • sulle modifiche apportate agli infissi senza autorizzazione.

La decisione è stata dunque cassata con rinvio, per un nuovo esame di tutti i profili di illegittimità dedotti.

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morso cane randagio

Morso di cane randagio: quando la PA deve risarcire La Cassazione chiarisce: per ottenere il risarcimento da morso di cane randagio serve la prova del nesso di causalità e dell’omesso controllo della PA

La sentenza n. 16788/2025 della Cassazione fornisce importanti chiarimenti sulla responsabilità della pubblica amministrazione in caso di danni causati da cani randagi. Il risarcimento spetta solo se il danneggiato dimostra che il morso è conseguenza diretta dell’omesso controllo sul territorio e che esiste un nesso di causalità tra la condotta inadeguata dell’ente e il danno subito.

I tre criteri fissati dalla Cassazione

Prima di stabilire il principio di diritto, i giudici di legittimità hanno individuato tre regole fondamentali per questo tipo di controversie:

Onere della prova sulla condotta omissiva

Il danneggiato deve dimostrare che la pubblica amministrazione non ha predisposto adeguati strumenti e risorse per prevenire il fenomeno del randagismo.

Dimostrazione del nesso causale

Il cittadino deve provare che l’omessa attività di controllo sia stata la causa del morso. Questa prova può avvenire anche in via presuntiva, evidenziando che si è realizzato proprio quel rischio che l’amministrazione avrebbe dovuto evitare.

Prova contraria da parte della PA

L’ente pubblico può liberarsi dalla responsabilità dimostrando il caso fortuito, ossia un evento imprevedibile e inevitabile.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte

I giudici hanno ribadito che la responsabilità dell’amministrazione si fonda sull’articolo 2043 del codice civile, che disciplina il risarcimento del danno ingiusto causato da fatto illecito.

Il principio affermato è chiaro: “La responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati da cani randagi è soggetta alle regole dell’art. 2043 c.c.; pertanto, la persona danneggiata da un cane randagio che intenda agire per il risarcimento ha l’onere di provare la colpa della pubblica amministrazione ed il nesso di causa tra questa e il danno patito.”

Non basta dimostrare che un cane randagio abbia causato la lesione: occorre provare la carenza organizzativa del servizio di prevenzione del randagismo e che un’adeguata attività avrebbe impedito il danno.

Il criterio della concretizzazione del rischio

La Cassazione ha precisato che, solo dopo aver dimostrato la colpa della pubblica amministrazione, è possibile ricorrere al criterio della concretizzazione del rischio.
Questo criterio permette di ritenere provato il nesso causale se l’evento lesivo coincide con il rischio che la norma violata era destinata a prevenire. In altre parole, se l’ente avesse adottato un’azione corretta di controllo e cattura dei randagi, l’aggressione non si sarebbe verificata.

Quando il risarcimento non spetta

Se manca la prova dell’insufficienza dei controlli o il collegamento diretto tra omissione e danno, il risarcimento non può essere riconosciuto. La sola presenza del cane randagio sul territorio non è sufficiente a far scattare la responsabilità dell’amministrazione.

giurista risponde

Risoluzione del contratto e rilascio di immobile In caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, il rilascio dell’immobile preclude l’azione di risarcimento per il mancato guadagno?

Quesito con risposta a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli, Mariella Pascazio

 

Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione da parte del locatore di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell’immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l’apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c. (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite dalla questione dalla Terza Sezione Civile, sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale riguardante il diritto del locatore di conseguire il risarcimento del danno da mancato guadagno conseguente alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, in relazione ai casi in cui la restituzione del bene locato avvenga in data antecedente alla scadenza naturale del contratto. In particolare, ci si interroga se il locatore possa ottenere un risarcimento per i canoni non percepiti tra la riconsegna dell’immobile e la naturale scadenza del contratto o, se anteriore, fino alla stipula di una nuova locazione.

In assenza di una disposizione normativa volta a regolare la fattispecie, sussistevano sul punto due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Secondo un primo orientamento, prevalente seppur più risalente, risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore riconsegnato l’immobile al locatore, questi avrebbe avuto anche diritto al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto, da individuarsi nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore e il cui ammontare è riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto. (Cass. 5 gennaio 2023, n. 194; Cass. 5 maggio 2020, n. 8482; Cass. 13 febbraio 2015, n. 286; Cass. 3 settembre 2007, n. 18510 e Cass. 29 gennaio 1980, n. 676).

Secondo altro orientamento, recepito dalla sentenza di merito, il locatore, una volta rientrato nella materiale disponibilità dell’immobile, non avrebbe diritto ad ottenere alcun risarcimento correlato alla mancata percezione dei canoni, rappresentando i canoni il corrispettivo che il locatore percepisce per non potere godere direttamente dell’immobile. Invece, un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 c.c. (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1426; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27614).

Con la pronuncia in esame, pur con alcune puntualizzazioni, le Sezioni Unite si sono espresse in favore del primo orientamento, rilevando che la diversa tesi che individua la causa della locazione nella preliminare rinuncia al godimento diretto non considera che non necessariamente in capo al locatore risiede un interesse al godimento diretto del proprio immobile, compensato dal canone.

Tale impostazione, secondo le Sezioni Unite, sarebbe riduttiva e non aderente alla realtà contrattuale della locazione, atteso che non terrebbe conto di tutte quei casi, diffusi nella pratica, in cui chi loca un bene intende utilizzarlo al solo fine di trarne delle rendite o realizzare profitti (es. società commerciale orientata a realizzare profitti attraverso l’acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compensi).

La tesi secondo cui il rilascio dell’immobile locato a seguito di risoluzione per inadempimento del conduttore non sarebbe di per sé tale da integrare un danno trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti.

Attraverso la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato (sia pure in una diversa composizione materiale: una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell’immobile, e viceversa), bensì a raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive d’interesse.

La frustrazione che il locatore è costretto a subire per effetto dell’inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico-patrimoniale precedente la conclusione del contratto.

Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite ritengono di dover dar seguito all’orientamento secondo il quale “il locatore, il quale abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore”.

Allo stesso tempo, deve essere escluso qualsiasi automatismo in ipotesi volto a identificare il danno del locatore nell’insieme dei canoni non percepiti. Non si deve confondere l’azione risarcitoria con l’azione di adempimento (solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto) e, dall’altro, occorre rammentare come l’operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento (qui coincidente con l’inadempimento e identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore) e danno-conseguenza disciplinato dall’art. 1223 c.c., ai sensi del quale il “mancato guadagno” del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una “conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento.

Tale nesso di “causalità giuridica” tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (il carattere di derivazione immediata e diretta di queste ultime dal primo) costituisce materia di un onere probatorio (necessariamente) incombente sul locatore ai sensi dell’art. 2697 c.c.; e tanto, a prescindere da quanto il conduttore potrà eventualmente opporre ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.

Da questa prospettiva, la circostanza dell’avvenuta restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente a seguito della risoluzione del contratto se, da un lato, non esclude di principio la risarcibilità delle possibili conseguenze dannose correlate alla mancata percezione dei canoni dovuti fino alla naturale scadenza del contratto (o alla conclusione di un’eventuale nuova locazione), dall’altro, non potrà non offrire al giudice del merito elementi utili (sul piano del ragionamento probatorio d’indole critica) ai fini della più corretta ricostruzione in fatto delle conseguenze dannose effettivamente ricollegabili al l’inadempimento, normalmente identificabili con la perdita dei canoni previsti fino alla naturale scadenza del contratto.

È in questo quadro che si colloca la giustificazione dell’attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione.

Le Sezioni Unite, infine, hanno anche escluso in tali ipotesi la possibilità di fare applicazione in via analogica della disciplina prevista dalla regola dettata dall’art. 1591 c.c. (“Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”), rimarcando che detta norma disciplina le sole conseguenze risarcitorie connesse al ritardo nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore.

 

(*Contributo in tema di “Risoluzione del contratto e rilascio di immobile”, a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli e Mariella Pascazio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

corso d'inglese ai figli

Corso d’inglese ai figli: è spesa ordinaria, nessun obbligo di consenso La Cassazione chiarisce: il corso d'inglese per i figli è una spesa ordinaria, non serve il preventivo assenso dell’altro genitore

Corso d’inglese ai figli: rientra tra le spese ordinarie

Corso d’inglese ai figli: con l’ordinanza n. 17017/2025, la Cassazione ha ribadito un principio importante in materia di separazione e responsabilità genitoriale: le spese per i corsi di lingua inglese, sebbene possano sembrare “straordinarie”, rientrano a pieno titolo tra le spese ordinarie e prevedibili, e pertanto non necessitano del preventivo assenso dell’altro genitore.

Spese ordinarie e straordinarie: quando serve l’accordo?

In generale, il genitore collocatario può sostenere spese legate ai figli senza dover ottenere un accordo preliminare, purché si tratti di esborsi ripetitivi e prevedibili nella vita del minore, come:

  • spese scolastiche ricorrenti,

  • cure mediche di routine,

  • attività sportive o didattiche integrative di comune diffusione.

Il preventivo assenso è invece richiesto per le spese straordinarie, ovvero quelle non usuali, imprevedibili o economicamente rilevanti, tali da incidere significativamente sull’equilibrio patrimoniale o educativo del minore.

Il corso d’inglese è “ordinario” per la società attuale

Nel caso specifico, il genitore collocatario aveva iscritto il figlio a un corso di lingua inglese senza informare l’ex coniuge. La Corte ha ritenuto tale scelta conforme al superiore interesse del minore, riconoscendo che oggi l’apprendimento dell’inglese costituisce una necessità formativa, radicata nel contesto sociale e lavorativo contemporaneo.

L’insegnamento dell’inglese non solo rafforza il percorso scolastico, ma prepara il minore agli studi universitari e all’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo motivo, tale spesa, se pur apparentemente “straordinaria”, assume un carattere ordinario e prevedibile.

Rimborso possibile anche senza consenso, se c’è utilità per il figlio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Cassazione è che, anche laddove una spesa possa rientrare tra quelle straordinarie, l’assenza di accordo preventivo non preclude il diritto al rimborso da parte dell’altro genitore. La condizione è che il giudice ne valuti:

  • la rispondenza all’interesse del minore,

  • la congruità con il tenore di vita familiare precedente.

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assemblea condominiale

Assemblea condominiale: non è valida la convocazione via mail La Cassazione ribadisce che l’art. 66 disp. att. c.c. impone modalità tassative per l’avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, senza deroghe possibili

Convocazione assemblea condominiale

Con l’ordinanza n. 16399/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del c.c. impone modalità tassative per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale. Tale disciplina è inderogabile e non può essere modificata neanche da regolamenti interni o consuetudini. 

Il caso concreto

Nel caso esaminato, alcuni condomini avevano impugnato una delibera assembleare sostenendo che l’avviso di convocazione fosse stato inviato tramite posta elettronica ordinaria e affissione in bacheca condominiale, invece che tramite posta certificata, fax, raccomandata o consegna a mano, come previsto dalla normativa.

La Corte d’Appello aveva ritenuto valida la delibera, ma la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che tali modalità non garantiscano la certezza della ricezione né la regolarità formale della convocazione. 

Cosa dice l’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66, comma 3, dispone che l’avviso di convocazione — con ordine del giorno, luogo e ora — debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della prima convocazione a mezzo:

  • posta raccomandata,

  • posta elettronica certificata (PEC),

  • fax,

  • o consegna a mano.

Queste forme sono espressamente tipizzate e non derogabili, ai sensi del comma 4 e dell’art. 72 disp. att. c.c., che non permette ai regolamenti di modificare tali prescrizioni. 

Le motivazioni della Corte: certezza e trasparenza

Secondo la Corte Suprema, il requisito fondamentale della convocazione è garantire la certezza della conoscenza da parte di ciascun condomino, nel corretto termine dilatorio di cinque giorni. L’utilizzo di modalità più informali, come email non certificata, WhatsApp o affissioni in bacheca, non offre alcuna garanzia reale e reale evidenza dell’avvenuto ricevimento. Di conseguenza, tali modalità non soddisfano la forma prescritta e rendono annullabile la delibera assembleare ai sensi dell’art. 1137 c.c. 

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carriere separate

Carriere separate per gli avvocati: la proposta della Cassazione Corte di Cassazione: il documento dell'Assemblea generale del 19 giugno 2025 propone la separazione delle carriere anche per gli avvocati

Carriere separate anche per gli avvocati  

Carriere separate per gli avvocati: i magistrati della Corte di Cassazione e della Procura Generale richiamano l’attenzione del Parlamento e del Governo sulla necessità di attuare la separazione delle carriere anche per gli avvocati.

Il 19 giugno 2025 presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, si è tenuta infatti  l’Assemblea Generale della Suprema Corte di Cassazione. L’incontro, che segue quelle del 2009 e del 2015 affronta il tema del rapporto tra la nomofilachia, ossia l’interpretazione uniforme della legge e il sindacato di legittimità, previsto dal comma 7 dell’articolo 111 della Costituzione.

Dal documento scaturito dall’Assemblea uno dei punti di maggiore interesse da segnalare è la proposta di modificare l’accesso degli avvocati all’albo speciale dei patrocinatori davanti alle giurisdizioni superiori. 

Per l’Assemblea sarebbe opportuno separare gli avvocati in due categorie distinte: avvocati abilitati a patrocinare davanti alle corti di merito e avvocati specializzati solo nel giudizio di legittimità di fronte alla Corte di Cassazione. Il giudizio di legittimità richiede infatti conoscenze specifiche, che necessita di avvocati altamente specializzati nel proporre ricorsi a critica vincolata. L’attuazione di questa riforma porterebbe il vantaggio di ricorsi qualitativamente superiori e in grado di assicurare la tutela effettiva dei diritti. Non solo, la creazione di una categoria di avvocati  con competenze esclusive nei giudizi di legittimità consentirebbe all’Italia di allinearsi a quanto già previsto in diversi paesi europei.

Analizziamo ora, in sintesi, il contenuto del documento suddiviso in quattro punti, ciascuno dei quali merita un’attenta disamina.

Assemblea della Corte di Cassazione: il documento approvato

Nel primo punto vengono elencati i valori che l’Assembla generale ritiene di condividere.

Prima di tutto la funzione interpretativa della Cassazione deve essere intesa come un valore metodologico, non come un fattore di irrigidimento della produzione giurisprudenziale. I giudici di legittimità e giudici di merito devono dialogare per contribuire alla formazione del diritto vivente.

La funzione interpretativa mira a garantire i diritti fondamentali della persone e la loro tutela e deve essere in grado di adeguarsi all’evoluzione sociale. Il continuo confronto tra la Cassazione e le altre giurisdizioni deve fornire agli avvocati e agli assistiti linee guida chiare per consentire loro di scegliere consapevolmente.

La Cassazione deve anche rapportarsi con la Corte Costituzionale e con gli organi di giustizia sovranazionali perché il confronto arricchisce e rinforza la tutela dei diritti.

Una delle questioni più importati sollevate nel documento è quella in cui la Cassazione sottolinea l’importanza del confronto con tutti i protagonisti della giurisdizione e con i giuristi, come quello avviato da tempo con il Consiglio nazionale Forense. Occorre anche continuare a collaborare per attuare i Protocolli CEDU e della Corte UE e rendere sempre più completa la formazione grazie alla Scuola Superiore della Magistratura. I giudici devono uscire dall’isolamento e aprirsi alla comunità, perché l’interpretazione della legge parte dal basso.

La Cassazione esprime la volontà di razionalizzare la trattazione dei ricorsi per dedicare una maggiore attenzione a quelli che pongono nuovi interrogativi o che stimolano la revisione degli indirizzi precedenti. Occorre che gli avvocati specializzati nel giudizio della Cassazione siano sempre più preparati. I magistrati da parte loro devono operare dando priorità ai diritti dei cittadini e alla loro tutela. La Cassazione esalta poi il ruolo dell’Ufficio per il processo, che è riuscito a ridurre i tempi del processo e a realizzare un cambio di mentalità importante.

Proposte della Corte di Cassazione a Governo e Parlamento 

I punti due e tre del documento contengono le proposte dell’Assemblea Generale all’Esecutivo e all’organo legislativo:

  • garantire un quadro normativo stabile per un diritto positivo coerente, fondamentale per l’interpretazione;
  • coordinare le leggi nuove con le precedenti e, in caso di incompatibilità, provvedere alla loro abrogazione;
  • produrre leggi chiare per scongiurare incertezze;
  • prevedere più forme di controllo per evitare di attribuire alla magistratura un ruolo di orientamento etico, che caratterizza i regimi autoritari;
  • valorizzare il ruolo interpretativo, prevedendo il rinvio pregiudiziale anche per il settore penale con deroghe e limiti necessari;
  • acquisire il parere della Cassazione e della Procura sulle riforme processuali che riguardano questi soggetti;
  • porre attenzione all’esecuzione penale;
  • riflettere sul sistema penitenziario;
  • consentire ad avvocati e professori universitari designati per il ruolo di giudice di legittimità, di tornare a svolgere la professione precedente su domanda;
  • avviare le procedure di reclutamento del personale amministrativo, in sotto organico da anni;
  • riconoscere maggiori risorse alla giurisdizione;
  • prestare maggiore attenzione alle riforme del settore giudiziario in corso per evitare di indebolirlo e di comprometterne l’indipendenza.

Prospettazioni al Consiglio Superiore della magistratura

Al CSM l’assemblea chiede invece di:

  • bandire con un certo anticipo i posti per i sostituti di coloro che sono destinati a essere vacanti per il raggiungimento dei limiti di età presso la Cassazione e la Procura generale;
  • accordarsi con il Ministero per la presa in possesso dei magistrati in due periodi dell’anno per programmare il lavoro in modo puntuale;
  • introdurre regole tabellari per comporre i Collegi delle Sezioni Unite civili in materia disciplinare magistrati per permettere la partecipazione dei consiglieri del settore civile e penale.

Leggi anche: Italgiure: guida al servizio della Cassazione

italgiure

Italgiure: guida al servizio della Cassazione Italgiure: il servizio della Corte di Cassazione che consente l'accesso alla banca dati di norme e giurisprudenza curata dal CED

Cos’è Italgiure

Italgiure è il motore di ricerca della Corte di Cassazione presente alla pagina dedicata, alla quale si può accedere anche dal sito ufficiale della Suprema Corte. Lo sviluppo di questa banca dati è affidata al CED, Centro elettronico di documentazione

Cosa si può consultare su Italgiure

Accendendo all servizio è possibile consultare un vasto archivio normativo, che include la legislazione statale, regionale e comunitaria, i Codici e i regolamenti e le circolari ministeriali.

Il servizio offre anche l’accesso alla dottrina tramite la consultazione di riviste, monografie e sentenze.

L’area dedicata alla consultazione della giurisprudenza è molto vasta. Essa consente infatti di consultare non solo le pronunce della Cassazione, ma anche quelle della Corte Costituzionale, dei Tribunali delle Acque Pubbliche, le sentenze di merito civili e penali, le massime dei TAR, del Consiglio di Stato e le sentenze della Corte UE, della Corte dei Conti, delle Commissioni Tributarie e, in materia disciplinare, le pronunce del CSM a Sezioni Unite.

Chi può accedere a Italgiure

Cliccando sul link “Amministrazioni abilitate” presente nel menu in basso della homepage si accede all’elenco dei soggetti che possono accedere al servizio in modalità gratuita o a pagamento.

Accesso gratuito

L’accesso gratuito è previsto per Giudici ordinari, amministrativi, contabili, militari, Avvocati e Procuratori dello Stato, Giudici costituzionali non togati, giudici tributari, giudici di pace, giudici onorari e alcune pubbliche amministrazioni, previa registrazione dei pubblici dipendenti.

Accesso a pagamento

Le pubbliche amministrazioni che non rientrano nell’elenco di quelle a cui è consentito l’accesso gratuito e i privati sono divisi in tre categorie. Per ogni categoria sono previsti costi diversi per accedere al servizio di ricerca normativa e giurisprudenziale.

Convenzioni speciali sono state stipulate infine con l’INPS e il Notariato.

Cliccando sulla voce di menu “Area abbonati” si accede invece a una pagina che fornisce diverse informazioni, tra cui i costi del servizio.

Corsi e manuale utente

Chi fosse interessato ad abbonarsi a Italgiure ha la possibilità di accedere a corsi di addestramento sull’utilizzo della banca dati, della durata di due giorni, che si svolgono presso la Corte di Cassazione.

I corsi, gratuiti per chi ha l’accesso gratuito alla banca dati, è a pagamento per le altre categorie. I costi variano da 120 a 240 euro in base al tipo di utente.

Cliccando sulla voce del menu “Manuale utente” si accede alla manualistica dedicata all’uso della banca dati, che al momento è in fase di aggiornamento, anche se il sito rende disponibile la versione del novembre 2018.   

Registrazione, password e email

Alcune categorie di utenti per accedere al servizio devono registrarsi cliccandosi sulla voce in basso “Registrazione”.

Questi utenti hanno la possibilità di procedere alla “Gestione password” e al “Cambio email”, cliccando direttamente su queste voci di menu.

Collegamento con il Ministero della Giustizia

In alto a destra è presente infine il logo del sito del Ministero della Giustizia. Cliccando su questa immagine è possibile accedere direttamente alla home page del sito(con le notizie più recenti in primo piano), da cui si accede ai vari servizi e strumenti del sito.

Leggi anche gli altri articoli dedicati alle professioni 

assegno di divorzio

Assegno di divorzio: si può aumentare per le spese dei figli La Cassazione ammette la revisione dell’assegno di divorzio in caso di aumento delle spese per la crescita dei figli

Revisione assegno di divorzio per spese dei figli

Con l’ordinanza n. 16316/2025, la prima sezione civile della Cassazione ha chiarito che l’aumento delle spese legate alla crescita dei figli può giustificare la revisione dell’assegno di divorzio, anche in assenza di una formale domanda di modifica. L’obiettivo è tutelare il benessere dei minori e garantire l’equilibrio tra le risorse economiche dei genitori.

Il caso

Il caso nasce da un ricorso per cassazione contro una sentenza della Corte d’appello di Catanzaro. Quest’ultima, nel determinare le spese straordinarie a carico del padre, aveva escluso dal rimborso quelle relative alla scuola privata frequentata dai figli in Spagna, per via dell’elevato costo non più sostenibile dal genitore dopo il rientro in Italia e la perdita di benefici economici legati al lavoro all’estero.

La madre, tuttavia, aveva proposto appello incidentale chiedendo un aumento del contributo di mantenimento, inizialmente fissato in € 250,00 mensili per ciascun figlio, proprio per compensare l’esclusione delle spese scolastiche.

L’errore del giudice d’appello

Secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha erroneamente trattato l’appello incidentale come una richiesta di revisione ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio (L. 898/1970), trascurando che la madre aveva già chiesto un contributo più elevato (€ 1.000,00 totali) sin dall’originaria domanda di divorzio. Tale fraintendimento ha portato a un’errata applicazione dei criteri dell’art. 337-ter c.c., che richiedono un’analisi comparata e proporzionata delle risorse dei genitori.

Il principio affermato dalla Cassazione

La Suprema Corte ha affermato che, in materia di mantenimento dei figli, non è sufficiente richiamare il precedente assetto economico o proporre alternative ipotetiche (come l’iscrizione a scuole pubbliche). È necessario esaminare le esigenze attuali dei minori, le capacità economiche di entrambi i genitori e il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio. Accogliendo il primo motivo di ricorso, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione, per un nuovo esame che tenga conto delle reali esigenze dei figli e delle risorse attuali di entrambi i genitori.

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contratto di ormeggio

Furto barca? Sì al risarcimento nel contratto di ormeggio La Cassazione conferma il diritto al risarcimento per furto dell’imbarcazione in porto: il contratto di ormeggio può includere responsabilità di custodia

Cos’è il contratto di ormeggio

Il contratto di ormeggio è un accordo atipico tra il diportista e il gestore del porto o marina, in cui il conduttore ottiene l’uso di uno spazio protetto per la propria imbarcazione. Non essendo disciplinato espressamente dal codice civile o navale, si caratterizza per una struttura minima essenziale: messa a disposizione dello spazio acqueo e sue pertinenze. Qualora includa servizi accessori come la custodia, si applicano disposizioni simili al deposito. 

Il caso sottoposto alla Cassazione

Con l’ordinanza n. 16318/2025, la Terza Sezione Civile ha esaminato un ricorso relativo al furto di un’imbarcazione ormeggiata. Il proprietario sosteneva che il gestore del porto avesse l’obbligo di custodia e quindi dovesse rispondere del danno subito.

La Corte ha rilevato che, se nel contratto è prevista la custodia, il porto assume un obbligo autonomo e non si limita a fornire il posto barca. Per escludere la propria responsabilità il gestore deve provare di aver vigilato con diligenza, impiegando misure adeguate alla prevenzione del furto.

La motivazione: dalla diligenza al risarcimento

La Cassazione ha ribadito che, in presenza di obbligo di custodia, si presume la responsabilità del gestore in caso di furto o danneggiamento. Per sottrarsi al risarcimento, la marina deve dimostrare:

  1. Un’attenta sorveglianza con standard conformi al “buon padre di famiglia”;

  2. Che l’evento sia stato causato da circostanze non imputabili a colpa. 

La mancata produzione di prove probanti in giudizio inficia la possibilità di escludere la responsabilità e legittima il risarcimento.

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cancello in condominio

Cancello in condominio: non serve la maggioranza dei due terzi La Cassazione chiarisce che l'installazione di un cancello in condominio non costituisce innovazione e può essere deliberata senza la maggioranza dei due terzi

Apposizione di cancello in condominio

Con la sentenza n. 16148/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di decisioni assembleari condominiali: l’installazione di un cancello all’ingresso di un’area comune non costituisce innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c., e pertanto non richiede la maggioranza qualificata prevista dal quinto comma dell’art. 1136 c.c.

Il fatto: il ricorso contro la delibera assembleare

La controversia trae origine dalla delibera adottata da un’assemblea condominiale nel 2009, con cui era stata approvata, a maggioranza semplice (501,38 millesimi), l’installazione e regolamentazione di un cancello nell’area scoperta antistante l’edificio. Alcuni condomini hanno impugnato la decisione, ritenendo violati i quorum richiesti per le innovazioni. Secondo i ricorrenti, l’intervento doveva essere approvato con almeno due terzi del valore dell’edificio, come richiesto dall’art. 1136, co. 5 c.c.

Il principio della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato l’impugnazione, ritenendo che l’intervento deliberato non rappresentasse un’innovazione bensì una modalità di regolamentazione dell’uso della cosa comune. In particolare, il cancello non modifica la destinazione della parte comune, né ne limita l’uso da parte dei condomini, ma si limita a disciplinare l’accesso all’area per motivi di sicurezza e decoro.

Interventi non qualificabili come innovazioni

Nel solco della giurisprudenza costante, la Corte ha ribadito che rientrano nei poteri dell’assemblea anche interventi come l’installazione di cancelli o sbarre, qualora finalizzati a tutelare l’utilizzo ordinato delle parti comuni e a prevenire l’ingresso di soggetti estranei. Tali interventi, se non alterano l’essenza del bene comune né incidono negativamente sui diritti dei condomini, non necessitano della maggioranza rinforzata prevista per le innovazioni.

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