Abusi edilizi: la doppia conformità si applica in tutta Italia La Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge della provincia autonoma di Trento chiarendo che il requisito della doppia conformità trova applicazione anche alle regioni a statuto speciale

Abusi edilizi e doppia conformità

Abusi edilizi: la doppia conformità si applica in tutta Italia. “Il requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia – infatti – trova applicazione anche alle regioni a statuto speciale, a tutela dell’uniformità delle condizioni per ricondurre a legittimità gli abusi edilizi”. Così la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 125-2024, depositata oggi, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 135, comma 7, della legge della Provincia autonoma di Trento 4 marzo 2008, n. 1 (Pianificazione urbanistica e governo del territorio), per contrasto con il requisito della cosiddetta “doppia conformità”, sancito dall’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

Requisito della doppia conformità

In base a tale requisito, il permesso di costruire in sanatoria si può ottenere se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

La Corte ha ribadito che il requisito della “doppia conformità” riveste un’importanza cruciale nell’ordinamento italiano, mirando ad assicurare, “sull’intero territorio nazionale, l’uniformità delle condizioni per ricondurre a legittimità gli abusi edilizi: ciò a tutela dell’effettività della disciplina urbanistica ed edilizia e, quindi, indipendentemente dalla concreta estensione del fenomeno dell’abusivismo nei singoli contesti territoriali”.

Doppia conformità in tutta Italia

In tal senso, ha proseguito la Corte, “tale requisito deve trovare applicazione sia in relazione alle regioni a statuto ordinario (costituendo un principio fondamentale della materia “governo del territorio”), sia in relazione alle regioni a statuto speciale (trattandosi di una norma fondamentale di riforma economico-sociale)”.

Decreto Salva-casa

Anche alla luce delle recenti modifiche di semplificazione della disciplina statale apportate dal Salva-casa, il decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica), la Corte ha ribadito che “spetta comunque allo Stato il compito di stabilire, a tutela dell’effettività della disciplina urbanistica ed edilizia su tutto il territorio nazionale, i casi in cui il requisito della ‘doppia conformità’ debba trovare necessaria applicazione ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, nonché i casi in cui possano ammettersi circoscritte limitazioni alla sua concreta operatività”.

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esame cassazionisti prove scritte

Esami Cassazionisti: al via le prove scritte Pubblicato il calendario delle prove scritte 2024 per gli esami per l'iscrizione all'albo speciale per il patrocinio davanti alla Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori

Esami Cassazionisti prove scritte 2024

Esami Cassazionisti al via le prove scritte 2024. Il Dipartimento per gli Affari di Giustizia, con avviso del 12 luglio 2024 pubblicato sul sito del ministero della Giustizia, ha comunicato il calendario delle prove scritte previste dalla sessione 2024 per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori.

Sede e date degli esami

Le prove si svolgeranno presso la Scuola di Formazione e aggiornamento per il personale del Corpo e dell’Amministrazione penitenziaria “Giovanni Falcone” di Roma – Via di Brava n. 99 nei seguenti giorni:

  • 7 ottobre 2024  – ricorso in materia civile
  • 9 ottobre 2024 – ricorso in materia penale
  • 11 ottobre 2024 – ricorso in materia amministrativa

Le prove avranno inizio alle ore 9.

Altre info

L’avviso ha valore di notifica per tutti i candidati ai quali non sia stata comunicata l’esclusione dall’esame. Per ulteriori dettagli e info, consultare la scheda di sintesi sul sito del ministero.

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ordine demolizione opere accessorie

Ordine di demolizione: comprende anche le opere accessorie La Cassazione rammenta che l'ordine di demolizione si riferisce all'intera opera, ivi comprese quelle accessorie

Ordine demolizione opere accessorie

L’ordine di demolizione comprende anche le opere accessorie, in quanto riferito a tutte le opere complessivamente e unitariamente intese. Così la terza sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 24066-2024.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Napoli respingeva l’istanza di sospensione/revoca dell’ordine di demolizione di alcune opere abusive. Il ricorrente adiva quindi il Palazzaccio, a mezzo del difensore di fiducia, lamentando che l’ordine stesso avrebbe causato la demolizione di più di quanto previsto nelle sentenze di condanna, ossia, nello specifico del fabbricato sottostante, in quanto non era mai stato oggetto di accertamento nè delle sentenze stesse che riguardavano un muro di contenimento in cemento armato, la realizzazione di un manufatto di circa 155 metri quadrati e la realizzazione di tre appartamenti e un porticato su due livelli sulla facciata sud.

Carattere unitario del manufatto abusivo

Per la Cassazione, il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e aspecificità stante l’assenza di confronto con le ragioni della decisione.

Il giudice dell’esecuzione sul ritenuto carattere unitario del manufatto abusivo ha rigettato, infatti, l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione con riferimento al piano inferiore che costituiva il piano di calpestio dei locali abitativi abusivi del piano superiore. In particolare, sottolineano da piazza Cavour, il giudice ha rilevato che, come riportato nell’elaborato tecnico e come si evinceva dalle sentenze e dagli accertamenti, “fu costruito il manufatto al primo piano, ma lo stesso fu realizzato sul muro di contenimento – ed è – altresì evidente che era stato già realizzato anche il piano inferiore”. Pertanto, era “scontato che la realizzazione del piano inferiore, inizialmente costituito dal terrapieno sia stata eseguita in prosecuzione dell’abuso originario, come d’altronde incontrovertibilmente dimostrato dalla struttura unitaria”. In sostanza, si era realizzato prima il piano superiore e poi quello inferiore, ma si era creato “un unico organismo unitario, in cui i lavori del piano inferiore costituivano prosecuzione dei precedenti abusi”.

Ordine di demolizione coinvolge tutte le opere unitarie

Per gli Ermellini, dunque, il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “in caso di abusi realizzati in progressione, la demolizione deve necessariamente coinvolgere tutte le opere complessivamente e unitariamente intese”. In tale ultimo senso, la S.C. ha infatti precisato che “l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di ‘restitutio in integrum’ dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa li carattere abusivo dell’originaria costruzione (tra le tante, Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016; Sez. 3, n. 43236 del 11/10/2023)”.

La decisione

Rigettati anche gli altri motivi, la corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p. oltre al pagamento di 3mila euro in favore della Cassa delle Ammende.

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licenziamento giustificato motivo soggettivo

Licenziato l’infermiere che indossa gioielli vistosi Per la Cassazione, è legittimo il licenziamento dell'infermiere della RSA che non rispetta il divieto di indossare monili in presenza di pazienti fragili

Licenziamento giustificato motivo soggettivo

E’ legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo dell’infermiere che non rispetta il divieto imposto dalla casa di cura di indossare gioielli vistosi in presenza di pazienti fragili. Lo ha statuito la sezione lavoro della Cassazione con ordinanza n. 17267-2024 escludendo il carattere discriminatorio del licenziamento, in quanto trattandosi di condotta che integra una grave negligenza in grado di pregiudicare la stessa immagine della struttura.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del reclamo di una casa di cura, riteneva legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato all’infermiere, riformando la sentenza di primo grado che, in esito a rito Fornero, ne aveva accolto l’opposizione ravvisando la natura ritorsiva del licenziamento.

Per la corte di merito, erano fondati gli addebiti disciplinari di reiterata inosservanza delle disposizioni regolamentari di divieto, “per il personale a diretto contatto con i pazienti della R.S.A. quale il lavoratore (passato dalle mansioni di portantino a quelle di operatore sanitario ausiliario), di indossare in servizio monili (vistosa catena a larghe maglie al collo, anelli, un grosso bracciale e un voluminoso orologio tutti di metallo) o acconciature (un lungo pizzetto al mento), in quanto veicoli di contagio per pazienti fragili e immunodeficienti”. Tutti comportamenti adottati “in violazione dell’art. 40 del CCNL applicato, per essere atti di insubordinazione, integranti gravi negligenze in servizio potenzialmente nocive alla salute dei pazienti e idonee a pregiudicare l’immagine della struttura sanitaria”.

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio, ma la S.C. gli dà torto su tutta la linea, ritenendo le censure in parte infondate e in parte inammissibili.

I principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo

Preliminarmente, la Cassazione ribadisce “i principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo, secondo cui l’accertamento della sua nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, rispetto ai quali va quindi escluso ogni giudizio comparativo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6838)”. Il motivo illecito addotto, “ai sensi dell’art. 1345 c.c., deve essere infatti determinante, ossia costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale: con la conseguenza che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dal testo novellato dell’art. 18, comma 1 legge n. 300/1970, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento”.

Nella specie, il ricorrente ha operato una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte d’appello, insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente argomentato.

Idem per la contestazione della valutazione di proporzionalità, basata sulla gravità complessiva di più infrazioni, “insindacabile in sede di legittimità, in quanto implicante un apprezzamento dei fatti spettante al giudice di merito, salve le ipotesi (qui non ricorrenti) di assoluta mancanza della motivazione o della sua affezione da vizi giuridici integranti ipotesi di nullità della sentenza ovvero di omesso esame di un fatto avente valore decisivo”.

La recidiva

La Corte d’appello, invero, secondo gli Ermellini, “ha accertato una ‘persistente volontà di disattendere le prescrizioni aziendali’, non valutando peraltro il primo addebito alla stregua di recidiva, non contestata, in linea con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in esito ad un corretto procedimento di sussunzione nelle ipotesi di contrattazione collettiva (art. 40, lett. c, d, i, f, A): in esatta applicazione dei principi di diritto in tema di licenziamento disciplinare, secondo cui, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5 legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, non trasmodando detta operazione di interpretazione e sussunzione nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (Cass. 11 aprile 2022, n. 11665; Cass. 28 giugno 2022, n. 20780)”.

Reiterazione della condotta

Inoltre, la corte di merito, conclude la S.C. rigettando il ricorso, “ha correttamente apprezzato la rilevanza della reiterazione della condotta e l’ha valutata, nella complessiva gravità dei fatti del primo addebito, ancorché ‘non … come recidiva, perché non contestata’, in linea con i principi di diritto, secondo cui: a) ai fini disciplinari, la recidiva, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata (quanto meno) contestata formalmente al medesimo lavoratore; ove tale contestazione per la precedente infrazione sia mancata, e non sia pertanto configurabile la recidiva, la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non è irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del lavoratore e può, pertanto, essere comunque sanzionato in modo più grave (Cass. 20 ottobre 2009, n. 22162); b) la mera reiterazione dell’illecito, pur rilevando ai fini della valutazione della gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, non può determinare la pretermissione della graduazione delle condotte di rilievo disciplinare contemplata dai contratti collettivi, di cui il giudice deve tenere conto per disposto normativo (Cass. 12 luglio 2023, n. 19868)”.

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Allegati

modiglioni balcone condominio

Modiglioni: con funzione decorativa sono beni condominiali I modiglioni, cioè le mensole sottobalcone, con funzione decorativa, sono da considerarsi beni condominiali

Modiglioni beni condominiali

I modiglioni (ossia le mensole sottobalcone) se hanno funzione decorativa sono da considerarsi beni condominiali. Lo ha affermato il tribunale di Torino con sentenza n. 1360/2024 decidendo una vicenda avente ad oggetto, da parte di un condomino, la richiesta di annullamento delle delibere assunte dall’assemblea con cui erano stati approvati i lavori di manutenzione straordinaria della facciata interna di un condominio e la messa in sicurezza della stessa.

La vicenda

In particolare, il condomino lamentava come il capitolato approvato dall’assemblea non fosse attendibile e come le delibere non avessero ad oggetto beni di proprietà comune condominiale, ma strutture (i modiglioni) di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Il condominio, dal canto suo, costituendosi in giudizio contestava le domande avversarie, evidenziando inoltre come i modiglioni avessero una funzione estetica, oltre che strutturale, e fossero dunque di proprietà condominiale.

Veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio volta a descrivere lo stato dei luoghi.

La decisione

Il giudice, anche sulla scorsa delle risultanze della CTU che confermavano la natura condominiale dei modiglioni oggetto di causa, decideva rigettando la domanda attorea.

Il consulente aveva chiarito come “la funzione dei modiglioni – fosse – con certezza strutturale e non meramente estetica”. E come tali dunque “costituiscono parti comuni – dell’edificio – ex art. 1117 c.c., ma in ogni caso essi partecipano tutti di una funzione estetica per l’intero fabbricato condominiale”.

Come noto, afferma il tribunale, “la Corte di Cassazione opera una differenziazione tra i balconi e i rivestimenti degli stessi, precisando come ‘mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art 1117 c.c. non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, i rivestimenti dello stesso devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono in concreto una prevalente, e perciò essenziale, funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (cfr. Cass. Ord. n. 10848/2020; Cass. n.4909/2020)”. Inoltre, le pronunce di legittimità sono chiare nell’affermare che “il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati all’uso comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, mentre sono pertinenze dell’appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo per il decoro di quest’ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l’azione di responsabilità nei confronti del costruttore è legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell’art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi decorativi abbia prevalente funzione estetica per l’intero edificio (cfr. Cass. n. 12792/1992)”.

Per cui, conclude il giudice, “non possono condividersi i rilievi dell’attrice, secondo cui la funzione estetica, in quanto residuale, non sarebbe sufficiente a giustificare l’adozione di una delibera condominiale. Ciò che rileva non è tanto determinare se sia prioritaria la funzione strutturale o quella estetica, bensì stabilire se gli elementi decorativi adempiano prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio o solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti”. Nel caso di specie, è emerso chiaramente come “i modiglioni rivestano una funzione decorativa dell’intero edificio – e non solo dei singoli balconi – in quanto elementi facenti parte di un’architettura storica dei primi del ‘900 e di un sistema costruttivo non contemporaneo”.

Alla luce di quanto sopra esposto, il tribunale afferma la validità delle delibere impugnate e respinge integralmente le domande attoree.

avvocato cancellazione albo

No alla cancellazione dell’avvocato che non completa la formazione Il Consiglio Nazionale Forense che l'avvocato non può essere cancellato automaticamente dall'albo per la mancata formazione continua in quanto la regola non è ancora operativa

Avvocato cancellazione albo

Non può essere cancellato dall’albo l’avvocato che non completa la formazione, in quanto la regola non è ancora operativa. Lo chiarisce il Consiglio Nazionale Forense nel parere n. 15/2024, pubblicato sul sito del Codice deontologico, in risposta a un quesito del COA di Novara.

Il quesito del COA

Il Consiglio dell’Ordine chiedeva di sapere se “in caso di mancato raggiungimento dei crediti formativi da parte di un iscritto, per un triennio non più sanabile, la cancellazione prevista dal DM 47/2016 sia una conseguenza automatica o rientri nelle facoltà del COA effettuare una diversa valutazione e con quali modalità e criteri”.

La risposta del CNF

Sul punto, il CNF osserva innanzitutto che l’articolo 2, comma 5 del d.m. n. 47/2016 rinvia a successivo decreto del Ministro della Giustizia il compito di stabilire le modalità con cui ciascuno degli ordini circondariali individua, con sistemi automatici, le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione. “La mancata adozione del citato decreto ministeriale rende tuttora non applicabile la disciplina della cancellazione per mancato rispetto del requisito dell’esercizio continuativo della professione, anche ove derivante dal mancato assolvimento dell’obbligo formativo” prosegue il Consiglio.

Valutazione spetta al COA

Ne deriva che, conclude il CNF, “la cancellazione per mancato assolvimento dell’obbligo formativo non è ancora operativa e che residuano in capo al COA le opportune valutazioni in merito a conseguenze di altro ordine del mancato assolvimento dell’obbligo in parola, quali la segnalazione al CDD per l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare”.

carta dedicata a te inps

Carta dedicata a te: pagamenti da settembre 2024 L'INPS fornisce le indicazioni per l'erogazione della "Carta Dedicata a te", la misura di sostegno ai nuclei familiari in stato di bisogno

Carta dedicata a te: le istruzioni INPS

La “Carta Dedicata a te“, la misura di sostegno ai nuclei familiari in stato di bisogno per l’acquisto di beni di prima necessità, carburanti o in alternativa di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, introdotta dalla legge di bilancio 2023, diventa pienamente operativa.

Vedi anche la guida Social Card: chi ne ha diritto e come ottenerla

Dopo la pubblicazione del decreto interministeriale del 4 giugno 2024, l’INPS, infatti, con il messaggio n. 2575 del 10 luglio 2024 ha fornito le indicazioni operative per l’accesso alla misura.

Requisiti di accesso alla social card

I beneficiari della carta Dedicata a te, che non devono presentare domanda, sono i cittadini appartenenti ai nuclei familiari, residenti nel territorio italiano, in possesso dei seguenti requisiti alla data della pubblicazione del medesimo decreto interministeriale (24 giugno 2024):

  • iscrizione di tutti i componenti del nucleo familiare nell’Anagrafe della Popolazione Residente (Anagrafe comunale);
  • titolarità di una certificazione ISEE ordinario, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in corso di validità, con indicatore non superiore ai 15.000,00 euro annui.

Il contributo non spetta ai nuclei familiari che alla data di entrata in vigore del decreto 4 giugno 2024 includano percettori di: Assegno di inclusione, Reddito di cittadinanza, Carta acquisti o di qualsiasi altra misura di inclusione sociale o sostegno alla povertà che preveda l’erogazione di un sussidio economico di livello nazionale, regionale o locale.

Non spetta, inoltre, ai nuclei familiari nei quali almeno un componente risulti percettore di: NASPI, DIS-COLL, Indennità di mobilità, Fondi di solidarietà per l’integrazione del reddito, (CIG) o qualsivoglia differente forma di integrazione salariale o di sostegno nel caso di disoccupazione involontaria, erogata dallo Stato.

Importo della carta e modalità di erogazione

La misura, ricorda l’istituto, consiste in un contributo economico per nucleo familiare di importo complessivo pari a 500,00 euro, erogato attraverso carte elettroniche di pagamento, prepagate e ricaricabili, messe a disposizione da Poste Italiane S.p.A. per il tramite della società controllata Postepay.

Erogazione da settembre 2024

Le carte, assegnabili in numero complessivo pari a 1.330.000, vengono consegnate agli aventi diritto presso gli uffici postali abilitati al servizio, sono nominative e rese operative con l’accredito del contributo erogato a partire dal mese di settembre 2024.

Il primo pagamento deve essere effettuato entro il 16 dicembre 2024, pena la decadenza dal beneficio (cfr. l’art. 5, comma 4, del D.I.). Le somme, inoltre, devono essere interamente utilizzate entro e non oltre il 28 febbraio 2025 (cfr. l’art. 8, comma 1, del D.I.).

Cosa si può acquistare

Il contributo è destinato all’acquisto di beni alimentari di prima necessità, con esclusione di qualsiasi tipologia di bevanda alcolica, e all’acquisto di carburanti, nonché, in alternativa a questi ultimi, di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale.

Tale contributo può essere speso presso gli esercizi commerciali che vendono generi alimentari e, per i carburanti, presso le imprese autorizzate alla vendita, individuati con apposita convenzione sottoscritta dalla competente Direzione generale del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

referendum piattaforma digitale

Referendum: arriva la piattaforma digitale Il ministero della Giustizia annuncia che presto sarà pronta la piattaforma referendum per la raccolta delle sottoscrizioni digitali dei cittadini

Referendum, pronta a breve piattaforma digitale

Presto pronta la piattaforma referendum, per la raccolta delle sottoscrizioni digitali dei cittadini delle proposte di legge di iniziativa popolare, i referendum abrogativi o costituzionali. Ne dà notizia Gnewsonline.it, il giornale online del ministero della Giustizia.

Parere del Garante Privacy

Ottenuto il parere del garante per la protezione dei dati personali, la Direzione Generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia è pronta a verificare la funzionalità del sistema informatico con degli specifici test, che riproducano tutte le fasi della raccolta delle sottoscrizioni.

Iter

Le prove, realizzate insieme al personale della corte di Cassazione, dovrebbero concludersi entro 2 settimane.

Sarà poi un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del titolare della Giustizia, ad attestare l’operatività della piattaforma.

abrogazione abuso ufficio cnf

Abrogazione abuso d’ufficio: plauso del CNF Il Consiglio Nazionale Forense plaude all'abrogazione dell'abuso d'ufficio attuata dalla riforma penale Nordio. Greco: "Così maggiore certezza del diritto"

CNF: bene abrogazione abuso d’ufficio

“Bene l’abrogazione radicale dell’abuso d’ufficio, che risponde a una necessità di maggiore certezza del diritto, evitando che amministratori pubblici e funzionari operino sotto la costante minaccia di incriminazioni talvolta strumentali”. Così il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, in merito al ddl Nordio sulla giustizia approvato ieri in via definitiva dalla Camera dei deputati.

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Intercettazioni

“La tutela dei terzi non indagati e intercettati – prosegue il presidente del Cnf soffermandosi sulla stretta sulle intercettazioni contenute nella riforma Nordio – è un passo avanti fondamentale per la salvaguardia dei diritti alla riservatezza dei cittadini e risponde ai dettami costituzionali. È essenziale che le intercettazioni siano utilizzate in modo equilibrato e con modalità tali da non ledere i diritti delle persone non direttamente coinvolte nelle indagini”.

Divieto pm

Riguardo al divieto per il pm di appellare le sentenze di proscioglimento, il presidente degli avvocati commenta: “Il principio, già noto all’ordinamento penale con la legge Pecorella del 2006, introduce un importante equilibrio tra accusa e difesa, rafforzando il principio del giusto processo, in linea con la necessità di riduzione dei tempi processuali”.

Interrogatorio dell’indagato

Quanto alla modifica normativa che prevede l’obbligo di procedere all’interrogatorio dell’indagato prima dell’applicazione di una misura cautelare, il presidente del Cnf esprime soddisfazione “a fronte di una norma di primaria garanzia laddove consente alla persona sottoposta alle indagini un contraddittorio anticipato che può in astratto prevenire la stessa applicazione della misura”.

Decisione organo collegiale

“La norma che prevede di affidare ogni decisione relativa all’applicazione di misure cautelari a un organo collegiale non può che trovare apprezzamento per la maggiore ponderazione che garantisce, rispetto a una decisione presa da un soggetto singolo – afferma ancora Greco, concludendo: “Ovviamente questa scelta politica dovrà essere accompagnata da un importante potenziamento delle risorse umane”.

giurista risponde

Il momento della consumazione nell’ipotesi della “truffa contrattuale” Quando si consuma il reato di truffa nell’ipotesi di c.d. truffa contrattale?

Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli

 

Poiché il reato di truffa è istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. – Cass., sez. I, 22 marzo 2024, n. 12142.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare il momento di consumazione del reato di truffa c.d. contrattuale, in cui gli artifici e i raggiri intervengono nella fase di formazione della volontà negoziale, inducendo la controparte alla prestazione del consenso.

Sul punto, infatti, sussistono due orientamenti.

Secondo una prima tesi, sposata dal giudice dell’esecuzione, il momento di consumazione della truffa contrattuale coinciderebbe con quello di realizzazione degli artifici e raggiri, consistiti, nel caso di specie, nella consegna dell’assegno postdatato.

Ai sensi di un secondo orientamento, invece, il perfezionamento del reato in esame si avrebbe nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato

La sentenza in commento ribadisce la validità di quest’ultima tesi, confermando l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario.

In primo luogo viene rimarcata la necessità di procedere ad un approccio casistico essendo indispensabile muovere dalla peculiarità del singolo accordo, dalla valorizzazione della specifica volontà contrattuale e dalle peculiari modalità delle condotte e dei loro tempi, al fine di individuare quale sia stato, in concreto, l’effettivo pregiudizio correlato al vantaggio e quale il momento del loro prodursi.

Ne discende che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione, da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.

Nel caso di specie, la corretta individuazione del momento di consumazione del reato di truffa si poneva come necessaria ai fini della verificazione dell’effetto estintivo, ai sensi della disciplina del rito speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 445, comma 2, c.p.p., del reato di bancarotta fraudolenta, giudicato con sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari divenuta definitiva nell’aprile del 2011.

Qualora si fosse fatto riferimento al momento degli artifici e raggiri, infatti, il reato di truffa avrebbe potuto dirsi consumato prima del passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, non integrando quindi la causa ostativo all’effetto estintivo di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p., ossia la commissione di un nuovo delitto entro il termine di 5 anni dal giudicato.

Applicando i principi sopra esposti, invece, deve individuarsi il momento di perfezionamento della fattispecie, consistente nel definitivo depauperamento della persona offesa, in epoca di poco successiva al giudicato, nelle date in cui l’assegno bancario privo di copertura, consegnato al raggirato nel mese di aprile 2011 e postdatato a metà giugno 2011, è stato protestato, cioè a fine giugno 2011.

*Contributo in tema di “Reato di truffa”, a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica