bene culturale

Bene culturale: la definizione della Cassazione La Cassazione definisce il bene culturale ai fini penali, in tema di delitti contro il patrimonio culturale

Bene culturale, cosa si intende

In mancanza di una definizione legislativa di bene culturale, anche dopo l’introduzione nel codice penale dei delitti contro il patrimonio culturale (artt. 518-bis e ss. c.p.), deve ritenersi sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive del bene stesso (come la tipologia, la rarità, la localizzazione, ecc.). Questo è quanto affermato dalla terza sezione penale della Cassazione, nella sentenza n. 44354/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tribunale di Firenze, rigettava l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal Procuratore della Repubblica e avente ad oggetto una “lettera autografa” indirizzata a un vescovo del 1500, ipotizzandosi il reato di cui all’art. 518 quater c.p.

Avverso tale provvedimento, l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione, denunciando, tra l’altro, l’insussistenza del reato presupposto e la mancata indicazione delle ragioni per le quali la missiva costituiva “un bene mobile di interesse religioso appartenente a enti e istituzioni ecclesiastiche”.

Bene culturale secondo la giurisprudenza

Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse. Preliminarmente, però i giudici ricordano che “in mancanza di una definizione legislativa del bene culturale, la giurisprudenza ha adottato un approccio di tipo sostanziale ritenendo che l’accertamento dell’interesse culturale prescinda da un’espressa dichiarazione amministrativa reputandosi sufficiente che la ‘culturalità’ sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni (cfr., ex plurimis, n. 24988 del 16/7/2020), quali la tipologia, la localizzazione, la rarità o altri analoghi criteri”.
Tale orientamento, per la S.C., “appare in linea con la definizione di bene culturale che si rinviene nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, cui la legge n. 22/2022, che ha introdotto nel codice penale gli artt. 518 bis e ss., costituisce strumento attuativo, che prescinde dalla preventiva dichiarazione di interesse culturale da parte dell’organo amministrativo”.

La Convenzione (lett. h del comma 2 dell’art. 2), inoltre riconduce alla categoria dei beni culturali i “manoscritti rari e incunaboli, libri antichi, documenti e pubblicazioni di particolare interesse (storico, artistico, scientifico, letterario, ecc.) singolarmente o in collezioni”.

La decisione

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale del riesame, che è giunto alla conclusione secondo cui, “a prescindere dal luogo del rinvenimento”, alla missiva consegnata ai Carabinieri può astrattamente attribuirsi la natura di “bene archivistico protetto e tutelato dalla Soprintendenza Archivistica per l’Umbria” si sottrae, quindi, alle censure difensive collocandosi nel solco segnato dal consolidato orientamento di legittimità innanzi indicato. Per cui, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Allegati

transazione novativa

Transazione novativa: guida e modello Cos’è la transazione novativa, quali sono le caratteristiche, la normativa, la giurisprudenza in materia e un fac-simile

Cos’è la transazione novativa

La transazione novativa è un istituto giuridico attraverso il quale le parti coinvolte in una controversia decidono di estinguere il rapporto obbligatorio preesistente, sostituendolo con una nuova obbligazione. Questo accordo mira a risolvere una lite già in atto o a prevenirne una futura, creando un nuovo rapporto giuridico che sostituisce integralmente quello precedente.

Caratteristiche

Perché una transazione possa essere qualificata come novativa, è necessario che sussistano specifici requisiti sia oggettivi che soggettivi:

  • Requisito oggettivo: le concessioni reciproche tra le parti devono determinare una sostituzione totale del rapporto precedente, creando una situazione di incompatibilità tra il vecchio e il nuovo accordo.
  • Requisito soggettivo: è fondamentale una chiara manifestazione della volontà delle parti di estinguere il rapporto originario e instaurarne uno nuovo.

La giurisprudenza ha ribadito che, affinché si configuri una transazione novativa, è essenziale infatti che le parti esprimano inequivocabilmente l’intenzione di sostituire il precedente rapporto obbligatorio con uno nuovo. In mancanza di tale volontà chiara, l’accordo transattivo non può essere considerato novativo.

Elementi costitutivi

Gli elementi fondamentali che caratterizzano una transazione novativa sono:

  • Animus novandi: la volontà delle parti di novare, ossia di creare una nuova obbligazione in sostituzione di quella precedente.
  • Aliquid novi: l’elemento di novità che distingue la nuova obbligazione da quella estinta, che può riguardare l’oggetto, il titolo o le modalità della prestazione.

Effetti della transazione novativa

La stipula di una transazione novativa comporta l’estinzione dell’obbligazione originaria e la nascita di una nuova obbligazione. Di conseguenza, eventuali garanzie o accessori legati al rapporto precedente cessano di avere effetto, a meno che non siano espressamente rinnovati nel nuovo accordo.

È importante notare che, in caso di inadempimento della nuova obbligazione, la Cassazione nell’ordinanza n. 29219/20924 ha chiarito che: «La risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato» va interpretata in senso restrittivo, avuto riguardo al preciso e univoco tenore testuale della disposizione, che fa menzione espressa e in modo esclusivo della risoluzione della transazione “per inadempimento”, e ai principi generali della risoluzione riguardanti i contratti a prestazioni corrispettive, rispetto ai quali il venir meno del sinallagma funzionale, qualunque sia la causa – l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta o la eccessiva onerosità – comporta sempre la caducazione del contratto; alla interpretazione letterale e sistematica segue che la irresolubilità della transazione novativa deve intendersi circoscritta alla sola “risoluzione per inadempimento” e non può estendersi anche alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta (così, in motivazione, Cass. 28/08/1993, n. 9125; v. anche Cass. 20/02/2020, n. 4451).”

Differenze tra transazione semplice e novativa

La principale distinzione tra transazione semplice e transazione novativa risiede negli effetti prodotti sull’obbligazione originaria:

  • Transazione semplice: le parti, mediante reciproche concessioni, regolano o modificano il rapporto preesistente senza estinguerlo. L’obbligazione originaria permane, sebbene adattata alle nuove condizioni concordate.
  • Transazione novativa: l’accordo comporta l’estinzione dell’obbligazione precedente e la creazione di una nuova, con caratteristiche differenti rispetto alla prima.

La volontà di novare deve essere chiaramente espressa dalle parti; in assenza di tale manifestazione, l’accordo sarà interpretato come una transazione semplice.

Giurisprudenza rilevante

Nell’ordinanza n. 7963/2020 la Cassazione ha ricorda che la transazione novativa si distingue dal negozio di accertamento  perché “diversamente dalla transazione, “che postula una reciprocità di concessioni tra le parti in modo che ciascuna di esse subisca un sacrificio, e della rinuncia, che postula l’esistenza di un diritto acquisito e la volontà abdicativa volta e dismettere il diritto medesimo, il negozio di accertamento ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni ulteriori contestazione al riguardo; esso non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, ma rende definitive ed immutabili situazioni effettuali già in stato di obiettiva incertezza, vincolando le parti ad attribuire al rapporto precedente gli effetti che risultano dall’accertamento, e precludendo loro ogni pretesa, ragione od azione in contrasto con esso”.

Fac-simile di transazione novativa

Di seguito un esempio di clausola di transazione novativa:

Accordo di Transazione Novativa

Tra

[Nome e cognome], nato a [luogo], il [data], residente in [indirizzo], codice fiscale [codice fiscale],

e

[Nome e cognome], nato a [luogo], il [data], residente in [indirizzo], codice fiscale [codice fiscale],

Premesso che:

– Tra le parti è sorta una controversia in merito a [descrizione della controversia];

– Le parti intendono definire amichevolmente la suddetta controversia, estinguendo il precedente rapporto obbligatorio e sostituendolo con una nuova obbligazione.

Si conviene e stipula quanto segue:

  1. Le premesse costituiscono parte integrante del presente accordo.
  2. Le parti dichiarano di estinguere consensualmente il rapporto obbligatorio originario relativo a [descrizione del rapporto originario].
  3. In sostituzione del rapporto estinto, [Nome e cognome] si obbliga a [descrizione della nuova obbligazione], entro e non oltre il [data].
  4. Con la sottoscrizione del presente accordo, le parti rinunciano a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal rapporto originario.
  5. Il presente accordo ha efficacia di transazione novativa ai sensi dell’art. 1976 c.c.

Letto, confermato e sottoscritto.

[Luogo], [Data]

___________________________

[Firma di [Nome e cognome]]

___________________________

[Firma di [Nome e cognome]]

 

 

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detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: le indicazioni Inps Nuove istruzioni Inps sulle detrazioni figli a carico: l'istituto illustra le novità della legge di bilancio 2025

Detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: con il messaggio n. 698 del 26 febbraio 2025, l’INPS ha fornito chiarimenti sull’applicazione delle modifiche fiscali introdotte dall’articolo 1, comma 11, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025), che ha apportato significative variazioni all’articolo 12 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) in materia di detrazioni per carichi di famiglia.

Le modifiche alle detrazioni per carichi di famiglia

La Legge di Bilancio 2025 ha aggiornato l’articolo 12 del TUIR, introducendo le seguenti variazioni:

  • Figli a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 950 euro per ciascun figlio, compresi i figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti, adottivi, affiliati o affidati, nonché i figli del coniuge deceduto conviventi con il coniuge superstite. Questa detrazione si applica ai figli di età compresa tra 21 e 30 anni e ai figli di età pari o superiore a 30 anni solo se con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
  • Ascendenti a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 750 euro per ciascun ascendente convivente con il contribuente, da ripartire pro quota tra coloro che ne hanno diritto.
  • Esclusione per cittadini extra UE ed extra SEE: Con l’introduzione del comma 2-bis all’articolo 12 del TUIR, è stabilito che le detrazioni per carichi di famiglia non spettano ai contribuenti non cittadini italiani, UE o SEE per i familiari residenti all’estero.

Adeguamenti del sistema INPS

A seguito di queste novità, l’INPS ha aggiornato il proprio sistema di Detrazioni Unificate, con le seguenti misure:

  • Eliminazione delle detrazioni per figli a carico ultra 30enni senza disabilità.
  • Revoca delle detrazioni per altri familiari a carico, con la possibilità di dichiarare un ascendente convivente.

Ulteriori istruzioni operative

L’INPS ha precisato che ulteriori dettagli applicativi relativi al comma 2-bis dell’articolo 12 del TUIR saranno forniti con un prossimo messaggio. Tuttavia, resta inalterata la disciplina per i non residenti “Schumacker”, disciplinata dall’articolo 24, comma 3-bis del TUIR.

processo penale minorile

Il processo penale minorile Il processo penale minorile in Italia: disciplina, principi ispiratori, e fasi procedurali e esiti possibili

Processo penale minorile: disciplina

Il processo penale minorile in Italia è disciplinato dal D.P.R. 448/1988, noto come Codice del processo penale minorile, e dal D.Lgs. 272/1989, che ne stabilisce le disposizioni di attuazione, coordinamento e transitorie. Questo sistema processuale è stato concepito con un approccio educativo e rieducativo, ponendo al centro il minore e la sua crescita, piuttosto che la sola punizione.

Principi fondamentali del processo penale minorile

Il processo penale minorile si basa su alcuni principi fondamentali:

Prevalenza della funzione rieducativa: l’obiettivo principale è il recupero sociale del minore, evitando la stigmatizzazione, anche nel rispetto di quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Specializzazione degli organi giudiziari: la competenza, dopo la riforma Cartabia, è affidata alle sezioni distrettuali dei Tribunali per le persone, per i minorenni e per le. Famiglie, composto da magistrati e giudici onorari. Al Tribunale si affiancano altri organismi della magistratura i cui ruoli vengono integrati dai Servizi minorili.

Personalizzazione del procedimento: le decisioni devono tenere conto della personalità del minore e delle sue esigenze educative.

Minimizzazione dell’intervento giudiziario: si privilegia l’applicazione di misure alternative al processo.

Le fasi del processo penale minorile

Il processo penale minorile si sviluppa in modo simile al processo penale ordinario, attraverso fasi determinate che  possono concludersi con esiti diversi.

Indagini preliminari e misure cautelari

Le indagini preliminari nel processo minorile presentano alcune peculiarità.

Il pubblico ministero può disporre accertamenti sulla personalità del minore (art. 9 D.P.R. 448/1988).

Il minore deve essere assistito da un difensore fin dal primo atto.

Le misure cautelari devono essere adottate con estrema cautela e privilegiano soluzioni non detentive, come la permanenza in casa o il collocamento in comunità.

Udienza preliminare

L’’udienza preliminare, che nel processo minorile funge da filtro per smaltire i giudizi dibattimentali può concludersi con:

  • Sentenza di condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva su richiesta del PM,
  • Sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o irrilevanza del fatto.
  • Messa alla prova, una misura alternativa che sospende il processo per consentire al minore di partecipare a un percorso rieducativo (art. 28 D.P.R. 448/1988).
  • Rinvio a giudizio, se vi è un quadro probatorio sufficiente.

Dibattimento e sentenza

Se il processo prosegue, perché nella fase precedente il minore non ha scelto un rito alternativo o è stato ritenuto non colpevole, si arriva alla fase dibattimentale, che si svolge con rito camerale a porte chiuse per garantire la riservatezza del minore. Le sentenze possono prevedere:

  • lassoluzione, se non viene dimostrata la colpevolezza.
  • la  condanna con misure rieducative, come la libertà vigilata o il collocamento in comunità.
  • la sospensione del processo e messa alla prova del minore, con successiva estinzione del reato in caso di esito positivo.

Le misure alternative e la messa alla prova

Uno degli strumenti più innovativi del processo minorile è la messa alla prova, che consente di sospendere il procedimento per verificare se il minore possa essere rieducato senza necessità di condanna. Se il percorso viene completato con successo, il reato viene estinto.

 

 

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sottobalcone o cielino

Sottobalcone o cielino: chi paga le spese? Sottobalcone o cielino: normativa di riferimento, criteri di ripartizione delle spese e giurisprudenza di rilievo

Cos’è il sottobalcone o cielino?

Il sottobalcone, noto anche come “cielino”, è la parte inferiore del balcone di un edificio che serve solitamente anche da copertura di quello sottostante. Questo elemento architettonico può avere una funzione decorativa, ma soprattutto strutturale, incidendo sulla sicurezza e sull’estetica dell’immobile.

Normativa di riferimento

La normativa italiana non disciplina espressamente il sottobalcone, ma il riferimento principale è rappresentato dagli articoli del Codice Civile relativi alla proprietà e alle parti comuni degli edifici in condominio.

In particolare, si applicano le seguenti norme:

  • 1117 c.c.: stabilisce quali sono le parti comuni dell’edificio;
  • 1125 c.c.: disciplina la ripartizione delle spese tra proprietario del piano superiore e quello del piano inferiore nel caso dei solai.

La giurisprudenza ha più volte precisato che i balconi aggettanti non costituiscono parti comuni dell’edificio, , ma elementi di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento cui afferiscono. Tuttavia, il sottobalcone può rientrare tra le parti comuni qualora abbia una funzione estetica rilevante per la facciata.

Ripartizione spese di manutenzione del sottobalcone

La ripartizione delle spese relative alla manutenzione del cielino dipende pertanto dalla sua funzione:

  1. Se il sottobalcone ha valore estetico per la facciata: le spese sono a carico del condominio.
  2. Se il sottobalcone è esclusivamente a servizio del proprietario del balcone sovrastante: le spese spettano a quest’ultimo.
  3. Se il deterioramento del sottobalcone compromette la sicurezza dell’edificio: le spese possono essere ripartite tra il singolo proprietario e il condominio in base alle specifiche responsabilità.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha spesso affrontato il tema del sottobalcone, chiarendo criteri di ripartizione delle spese:

Cassazione n. 7042/2020: la manutenzione dei balconi aggettanti di un edificio condominiale è a carico esclusivo del proprietario dell’unità immobiliare a cui il balcone è annesso. Questo perché i balconi aggettanti non svolgono una funzione strutturale per l’edificio né hanno una funzione comune, ma sono considerati un prolungamento dell’appartamento privato. Di conseguenza le spese per la pavimentazione, la soletta, l’intonaco, la tinteggiatura e la decorazione del soffitto del balcone spettano esclusivamente al proprietario dell’unità immobiliare cui il balcone appartiene.

Cassazione n. 5014/2018: In merito ai balconi aggettanti, che non svolgono alcuna funzione di sostegno o copertura ma rappresentano un semplice prolungamento dell’unità immobiliare di riferimento, è stato chiarito che, in caso di interventi di manutenzione, occorre distinguere tra la struttura portante – di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento – e il rivestimento, il quale, se ha una funzione estetica, rientra tra i beni comuni del condominio. Tra gli elementi decorativi considerati comuni, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, rientrano i frontalini (ossia la parte terminale della struttura armata del balcone, visibile a filo o in aggetto), il rivestimento della fronte della soletta (in marmo o intonaco), i cielini, le piantane, le fasce marcapiano, eventuali aggiunte sovrapposte con malta cementizia, nonché balaustre, viti in ottone, piombi, cimose, basamenti e pilastrini.

Tribunale di Novara sentenza 29 aprile 2010: Le spese relative ai sotto balconi devono essere sostenute da tutti i condomini, in quanto questi elementi, essendo visibili dall’esterno dell’edificio, svolgono una funzione decorativa ed estetica che contribuisce all’armonia e al decoro dell’intero fabbricato, qualificandoli come parte comune.

 

 

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enfiteusi

Enfiteusi: guida e modello Cos’è l’enfiteusi, quali caratteristiche presenta, quali sono gli obblighi, la durata e la giurisprudenza in materia. Guida con modello

Cos’è l’enfiteusi

L’enfiteusi è un diritto reale di godimento su un bene altrui che attribuisce all’enfiteuta poteri analoghi a quelli del proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di corrispondere un canone periodico al concedente. Questo istituto, disciplinato dagli articoli 957-977 del Codice Civile italiano, ha origini antiche e trova applicazione soprattutto in ambito agricolo.

Caratteristiche dell’enfiteusi

L’enfiteusi conferisce all’enfiteuta il diritto di utilizzare il bene e di percepirne i frutti, similmente al proprietario. Tuttavia, l’enfiteuta è tenuto a:

  • Migliorare il fondo: apportando interventi che ne aumentino la produttività o il valore.
  • Pagare un canone periodico: che può essere in denaro o in natura, come stabilito nel contratto.

La durata dell’enfiteusi può essere perpetua o temporanea, ma, se a tempo determinato, non può essere inferiore a venti anni.

Obblighi dell’enfiteuta

Oltre agli obblighi principali di miglioramento e pagamento del canone, l’enfiteuta deve:

  • Non mutare la destinazione economica del fondo: salvo diverso accordo con il proprietario.
  • Consentire ispezioni: per verificare lo stato del bene e l’adempimento degli obblighi assunti.

Estinzione dell’enfiteusi

L’enfiteusi si estingue per:

  • Scadenza del termine: se costituita a tempo determinato.
  • Perimento totale del fondo: quando il bene perde completamente la sua utilità.
  • Affrancazione: l’enfiteuta può acquisire la piena proprietà del bene pagando una somma capitale, liberandosi così dall’obbligo del canone.
  • Devoluzione: il concedente può richiedere la risoluzione del contratto in caso di inadempimento grave da parte dell’enfiteuta, come il mancato pagamento del canone o il deterioramento del fondo.

Giurisprudenza rilevante

Le Corti superiori hanno più volte affrontato temi legati all’enfiteusi.

Ad esempio, nella sentenza n. 30823/2023 ha chiarito che il livello è assimilabile all’enfiteusi, poiché nel tempo i due istituti si sono fusi, rientrando entrambi tra i diritti reali di godimento. La sua esistenza va provata attraverso il titolo costitutivo o un atto di ricognizione, mentre i dati catastali non hanno valore probatorio.

Con l’ordinanza n. 26520/2018 la Cassazione ha sancito invece che la devoluzione di un fondo enfiteutico può essere richiesta separatamente per ciascun coenfiteuta, senza necessità di litisconsorzio. La pronuncia vale solo per le quote dei soggetti citati in giudizio, senza pregiudicare i diritti degli altri.

Con la sentenza n. 406 del 7 aprile 1988, la Corte Costituzionale ha esaminato aspetti relativi alla determinazione del canone enfiteutico.

Fac-simile di contratto di enfiteusi

Di seguito un esempio di contratto di costituzione di enfiteusi:

CONTRATTO DI COSTITUZIONE DI ENFITEUSI

Tra

Il Sig. ____________, nato a ____________ il ____________, residente in ____________, (di seguito “Concedente”)

e

Il Sig. ____________, nato a ____________ il ____________, residente in ____________, (di seguito “Enfiteuta”)

si conviene e stipula quanto segue:

  1. Oggetto del contratto: Il Concedente concede in enfiteusi all’Enfiteuta il fondo sito in ____________, censito al Catasto al foglio ___, particella ___.
  2. Durata: L’enfiteusi ha una durata di ___ anni, con decorrenza dal ____________ al ____________.
  3. Canone: L’Enfiteuta si obbliga a corrispondere al Concedente un canone annuo di € ____________, da pagarsi in un’unica soluzione entro il ____________ di ogni anno.
  4. Obblighi dell’Enfiteuta: L’Enfiteuta si impegna a migliorare il fondo mediante ____________ e a non mutarne la destinazione senza il consenso scritto del Concedente.
  5. Affrancazione: L’Enfiteuta ha facoltà di affrancare il fondo secondo le modalità previste dagli articoli 971 e seguenti del Codice Civile.

Letto, confermato e sottoscritto.

Luogo e data ____________

Il Concedente _____________________

L’Enfiteuta _____________________

Questo modello è a scopo illustrativo e andrebbe adattato alle specifiche esigenze delle parti coinvolte.

 

 

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giurista risponde

Legittimazione a impugnare e azione popolare (Art. 9 D.lgs. 267/2000) Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia se si presuppone l’esistenza di una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale e l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2024, n. 9046 – Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000).

Nella fattispecie concreta il ricorrente ha agito in giudizio ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 267/2000, e cioè in via sostitutiva dell’ente comunale e provinciale.

La suddetta disposizione prevede che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia. Dunque, si tratta di un particolare meccanismo di sostituzione processuale dell’ente locale a beneficio degli elettori che presuppone l’esistenza di un’azione giudiziale di spettanza dell’ente e la sua inerzia nell’esercitarla.

La natura dello strumento non è correttiva, bensì suppletiva e il suo presupposto necessario va rinvenuto nell’omissione, da parte dell’ente, dell’esercizio delle proprie azioni e ricorsi. Infatti, l’attore non può porsi in contrasto con l’ente stesso al fine di rimuovere gli errori e le illegittimità da questo commessi.

Pertanto, occorre che l’azione e il ricorso siano volti alla tutela di posizioni giuridiche dell’ente locale cui l’elettore si sostituisce, in specie nei confronti di possibili pregiudizi derivanti da azioni od omissioni di terzi, da fatti o atti compiuti da privati o anche da altre pubbliche amministrazioni.

L’iniziativa sostitutiva postula dunque, da un lato, una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale, dall’altro, l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale.

 

(*Contributo in tema di “Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

assegno di inclusione

Assegno di inclusione: le novità del ministero del Lavoro Il ministero ha reso nota la disponibilità di due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell'assegno di inclusione

Assegno di inclusione, i nuovi strumenti operativi

Sono disponibili due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell’Assegno di inclusione (ADI), nell’applicazione del percorso dedicato ai nuclei con all’interno componenti con obbligo di attivazione lavorativa e sociale. Lo ha reso noto il ministero del Lavoro sul proprio sito.

Cos’è l’Assegno di inclusione

L’Assegno di Inclusione (ADI), si ricorda, è una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, rivolta ai nuclei familiari in cui sono presenti componenti con disabilità, componenti minorenni o con almeno 60 anni di età. Ovvero in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.

La misura è condizionata al possesso di determinati requisiti (di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’ISEE, alla situazione reddituale e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa).

L’iter di attivazione dell’ADI

Come noto, scrive il dicastero, per accedere alla misura e mantenerla, i beneficiari ADI devono seguire l’iter di attivazione e, se il percorso lo prevede, rispettare gli impegni indicati nel Patto per l’Inclusione Sociale (PaIS) e nel Patto di Servizio Personalizzato (PSP).

A definirne i contorni è l’analisi multidimensionale che individua 4 tipologie di percorsi con relativi obblighi:

  1. obbligo di attivazione lavorativa e sociale;
  2. facoltà di attivazione lavorativa e sociale;
  3. facoltà di attivazione del Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL);
  4. obbligo di attivazione sociale e facoltà di attivazione lavorativa.

L’obbligo di attivazione lavorativa e sociale

L’“Obbligo di attivazione lavorativa e sociale” riguarda i componenti del nucleo di età compresa tra i 18 e i 59 anni che esercitano la responsabilità genitoriale e non hanno cause di esclusione. Il ministero ha reso disponibile un pdf in cui vengono descritte passo passo le azioni da compiere per il relativo percorso. Il tutto è sintetizzato altresì in una locandina, pensata anche per essere stampata e messa a disposizione dei beneficiari.

danno tanatologico

Il danno tanatologico Cos’è il danno tanatologico, come si calcola e quando viene risarcito: la normativa e la giurisprudenza in materia

Cos’è il danno tanatologico

Il danno tanatologico rappresenta il pregiudizio subito dalla vittima di un atto illecito durante l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso. Questo danno, di natura non patrimoniale, è strettamente legato alla sofferenza e al patimento che l’individuo sperimenta consapevolmente nel periodo antecedente la morte.

Normativa di riferimento

Nel sistema giuridico italiano, il danno tanatologico non trova una definizione esplicita all’interno del Codice Civile. Tuttavia, la sua risarcibilità è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali che ne hanno delineato i contorni e le condizioni. In particolare, la Corte di Cassazione ha più volte affrontato la questione, stabilendo criteri e limiti per il riconoscimento di tale danno.

Calcolo e risarcimento del danno tanatologico

La quantificazione del danno tanatologico è strettamente connessa alla durata e all’intensità della sofferenza patita dalla vittima. Pertanto, maggiore è l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso, più elevato sarà il risarcimento riconosciuto. Inoltre, la consapevolezza della propria condizione e l’angoscia derivante dalla percezione imminente della morte rappresentano elementi fondamentali nella determinazione dell’entità del danno.

Trasmissibilità agli eredi

Un aspetto cruciale riguarda la possibilità per gli eredi di subentrare nella richiesta di risarcimento del danno tanatologico. La giurisprudenza ha chiarito che, affinché il diritto al risarcimento sia trasmissibile, è necessario che la vittima abbia acquisito tale diritto in vita, ossia che vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento lesivo e la morte, durante il quale la persona offesa abbia avuto coscienza della propria sofferenza. In caso di decesso immediato o di perdita immediata della coscienza, il diritto al risarcimento non sorge e, di conseguenza, non può essere trasmesso agli eredi.

Giurisprudenza rilevante sul danno tanatologico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, ha affermato che il danno tanatologico è risarcibile e trasmissibile agli eredi solo se la vittima ha conservato la coscienza per un periodo apprezzabile tra l’evento lesivo e la morte.

Inoltre, la sentenza a SU della Cassazione n. 15350 del 22 luglio 2015 ha ribadito che, in assenza di un intervallo temporale significativo e di consapevolezza da parte della vittima, non sussiste il diritto al risarcimento del danno tanatologico. Nella motivazione gli Ermellini ricordano infatti che un orientamento risalente al 1925 affermava che: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto.”

 

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cumulo della pensione

Cumulo della pensione Cumulo della pensione: cos'è, come funziona, requisiti, quando conviene, come fare domanda e giurisprudenza  

Cos’è il cumulo della pensione?

Il cumulo pensionistico è un meccanismo che consente ai lavoratori di sommare i contributi versati in diverse gestioni previdenziali senza dover effettuare la ricongiunzione onerosa. Questo strumento è stato introdotto dalla Legge di Stabilità 2013 (Legge n. 228/2012) e successivamente modificato dalla Legge n. 232/2016. Il decreto legislativo n. 4/2019 inoltre ha esteso il beneficio del cumulo pensionistico anche a chi desidera andare in pensione con quota 100.

Grazie al cumulo, i lavoratori che hanno contribuito a più enti previdenziali possono ottenere un’unica pensione, evitando di perdere i periodi contributivi maturati in diverse casse previdenziali.

Come funziona il cumulo della pensione?

Il cumulo dei periodi assicurativi permette di raggiungere i requisiti per la pensione considerando i contributi versati in diverse gestioni, tra cui:

  • INPS (Fondo pensione lavoratori dipendenti e gestione separata);
  • Casse previdenziali dei liberi professionisti (come INARCASSA, CNPADC, ENPAM, ENASARCO);
  • Ex-INPDAP, Ex-ENPALS.

Il calcolo della pensione avviene con il sistema pro-rata, ossia ogni ente eroga la quota di pensione relativa ai contributi versati nella propria gestione, applicando il sistema di calcolo vigente (retributivo, misto o contributivo).

Quali sono i requisiti per il cumulo?

I principali requisiti per accedere al cumulo pensionistico sono:

  • per la pensione di vecchiaia: 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi
  • per la pensione anticipata: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne.
  • per la pensione dei lavoratori che hanno svolto attività usuranti: regole specifiche per alcune categorie di lavoratori con attività gravose.

Quando conviene il cumulo pensionistico?

Il cumulo pensionistico è vantaggioso quando:

  • si hanno contributi in diverse gestioni previdenziali e si vuole evitare la ricongiunzione onerosa;
  • si desidera accedere alla pensione anticipata considerando tutti i contributi accumulati;
  • si vuole ottenere un trattamento pensionistico più favorevole rispetto al calcolo con singole gestioni.

Tuttavia, potrebbe non essere conveniente se:

  • una gestione previdenziale offre condizioni migliori di calcolo rispetto ad altre;
  • l’importo finale risulta penalizzante rispetto a un’altra opzione disponibile (come il riscatto o la totalizzazione).

Come presentare domanda di cumulo pensionistico?

Per richiedere il cumulo dei periodi assicurativi, il lavoratore deve:

  1. Accedere al sito INPS con SPID, CIE o CNS e compilare la richiesta online.
  2. Rivolgersi a un patronato o CAF, che fornisce assistenza gratuita nella presentazione della domanda.
  3. Contattare direttamente la cassa previdenziale di appartenenza, nel caso di contributi versati a enti diversi dall’Inps.

Giurisprudenza rilevante sul cumulo pensionistico

Diverse sentenze hanno chiarito aspetti importanti dell’istituto del cumulo pensionistico:

Cassazione n. 15329/2024: Per la pensione di vecchiaia nella gestione separata, se l’assicurato sceglie di includere anche i contributi versati nell’assicurazione generale obbligatoria, ricorrendo all’istituto del cumulo dei contributi, il trattamento pensionistico non decorre dal primo giorno del mese successivo al raggiungimento dell’età pensionabile, ma dalla data di presentazione della domanda di opzione, come previsto dall’art. 3 del D.M. n. 282/1996 e dall’art. 6 della L. n. 155/1981, poiché solo da quel momento tali contributi possono essere considerati per il calcolo della pensione.

Cassazione n. 3635/2023:  La legge non prevede alcun divieto per un professionista iscritto a un ente di previdenza che desideri ricongiungere i contributi versati alla propria cassa con quelli accreditati nella Gestione Separata dell’INPS.

 

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