decoro architettonico

Il decoro architettonico Decoro architettonico: definizione, normativa di riferimento, caratteristiche, possibili alterazioni e giurisprudenza di rilievo

Cos’è il decoro architettonico?

Il decoro architettonico è l’insieme delle linee estetiche e stilistiche che caratterizzano un edificio, conferendogli un aspetto armonico e uniforme. In ambito condominiale esso rappresenta un valore da tutelare, in quanto incide sull’armonia dell’edificio e sul valore economico delle singole unità immobiliari.

Normativa di riferimento

Il Codice Civile non fornisce una definizione specifica di decoro architettonico, ma la sua tutela emerge da diversi articoli:

  • 1120 c.c.: vieta le innovazioni che possano alterare il decoro architettonico dell’edificio;
  • 1122 c.c.: stabilisce che i condomini non possano compiere opere che danneggino il decoro architettonico;
  • 1102 c.c.: disciplina l’uso delle parti comuni, prevedendo che ogni condomino possa servirsi delle stesse, purché non ne alteri la destinazione o, secondo alcune pronunce dei giudici di merito e di legittimità, il decoro.

La giurisprudenza ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione dei confini di questa tutela, stabilendo criteri e principi per valutare quando si verifichi un’alterazione dello stesso.

Caratteristiche del decoro architettonico

Le principali caratteristiche del decoro architettonico sono:

  1. uniformità stilistica: la facciata e le parti comuni devono mantenere un aspetto armonioso;
  2. coerenza estetica: qualsiasi intervento deve rispettare le linee originarie dell’edificio;
  3. impatto visivo: l’alterazione viene valutata in base all’impatto che una modifica ha sull’aspetto dell’edificio nel suo complesso.

Quando c’è alterazione del decoro architettonico?

L’alterazione si verifica quando un’opera o una modifica effettuata da un singolo condomino incide negativamente sull’armonia estetica dell’edificio. Alcuni esempi tipici includono:

  • la chiusura di balconi con infissi di colore o materiale difforme rispetto agli altri;
  • l’installazione di condizionatori o antenne in posizioni visibili e disarmoniche;
  • la modifica della facciata con verniciature o rivestimenti non coerenti con lo stile originale;
  • l’installazione di tende, infissi o inferriate in contrasto con le linee estetiche dell’edificio.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze in materia di decoro architettonico, chiarendo i criteri per determinare l’esistenza di un’alterazione:

Cassazione civile n. 851/2007: Il decoro architettonico di un edificio condominiale, tutelato dall’art. 1120 c.c., si riferisce all’estetica complessiva derivante dall’insieme delle linee e delle strutture che definiscono l’armonia e l’identità dello stabile. Pertanto, qualora interventi innovativi ne compromettano l’integrità, la tutela opera indipendentemente dalla loro visibilità o dal punto di osservazione, poiché mira a preservare le caratteristiche architettoniche unitarie dell’edificio, a prescindere da circostanze contingenti.

Cassazione civile n. 10350/2011:  Mentre l’aspetto architettonico, disciplinato dall’art. 1127 c.c in relazione al diritto di sopraelevazione dei condomini, implica una valutazione della compatibilità con lo stile dell’edificio (Cass., sez. 2, n. 1025/2004), il decoro, tutelato dall’art. 1120 c.c., si manifesta nell’armonia complessiva delle linee e delle strutture, garantendo un’estetica coerente e unitaria dell’immobile (Cass., sez. 2, n. 10350/2011).

Cassazione civile n. 27527/2005: il decoro architettonico di un edificio si riferisce alla sua estetica complessiva, determinata dall’insieme delle linee, delle strutture e degli elementi ornamentali che ne caratterizzano l’aspetto, conferendogli un’identità armonica e riconoscibile. Esso non si limita alla semplice bellezza dell’edificio, ma rappresenta un principio di coerenza stilistica che garantisce l’unitarietà visiva delle sue parti. Esso si manifesta nella fusione equilibrata degli elementi costruttivi e decorativi, che insieme definiscono la fisionomia dell’immobile. La sua tutela ha lo scopo di preservare questa armonia estetica nel tempo, evitando alterazioni che possano comprometterne l’integrità visiva e il valore sia architettonico che economico.

 

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pensione di reversibilità

Pensione di reversibilità Pensione di reversibilità: definizione, beneficiari, riduzioni per reddito del beneficiario, perdita, coma fare domanda e giurisprudenza

Cos’è la pensione di reversibilità?

La pensione di reversibilità, detta anche “pensione ai superstiti”, è una prestazione economica erogata dall’INPS ai familiari superstiti di un pensionato deceduto. Se il lavoratore era ancora in attività al momento del decesso e aveva maturato almeno 15 anni di contributi o 5 anni (di cui almeno 3 negli ultimi 5 anni), la prestazione viene riconosciuta sotto forma di “pensione indiretta”.

A chi spetta la pensione di reversibilità?

L’INPS eroga la pensione di reversibilità ai seguenti soggetti, secondo un ordine di priorità stabilito dalla normativa vigente:

  1. coniuge superstite (o l’unito civilmente): inclusi il coniuge separato e divorziato (se titolare di assegno divorzile e non risposato);
  2. figli: minori, studenti fino a 26 anni (se a carico del defunto) o inabili al lavoro;
  3. genitori: se a carico del defunto e di età superiore a 65 anni.
  4. fratelli e sorelle: se inabili al lavoro, a carico del defunto e non titolari di altra pensione.

Importo della pensione di reversibilità

L’importo della pensione varia in base al rapporto di parentela con il defunto:

  • Coniuge: 60% della pensione del deceduto.
  • Coniuge e un figlio: 80%.
  • Coniuge e due o più figli: 100%.
  • Un solo figlio: 70%.
  • Due figli: 80%.
  • Tre o più figli: 100%.
  • Genitori, fratelli e sorelle: 15% ciascuno, fino a un massimo del 100%.

Riduzione per reddito

L’importo della pensione di reversibilità può essere ridotto in base al reddito del beneficiario. Per il 2025 questi i tagli:

  • Nessuna riduzione se il reddito non supera i 23.579,22 euro;
  • Riduzione del 25% se il reddito è compreso tra 23.579,22 e 31.438,96 euro;
  • Riduzione del 40% se il reddito è compreso tra 31.438,96 e 39.298,70 euro;
  • Riduzione del 50% per redditi che superano i 39.298,70 euro.

Quando si perde la pensione di reversibilità?

La pensione di reversibilità può essere revocata nei seguenti casi:

  • Nuovo matrimonio del coniuge superstite: viene erogata un’indennità pari a due annualità della pensione e poi cessata.
  • Perdita dei requisiti di età o di dipendenza economica per figli, genitori, fratelli e sorelle.
  • Condanna per omicidio del pensionato da parte del beneficiario (art. 463 c.c.).

Come fare domanda

La richiesta va presentata online tramite il sito dell’INPS, tramite patronato o al Contact Center INPS al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) o 06 164 164 da cellulare.

Documenti necessari

  • Documento d’identità e codice fiscale del richiedente.
  • Certificato di morte del pensionato/lavoratore deceduto.
  • Autocertificazione di stato di famiglia.
  • Dichiarazione reddituale del richiedente.
  • Se separato/divorziato: sentenza di separazione/divorzio e attestazione assegno divorzile.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze fondamentali in materia:

Cassazione n. 14287/2024: Chi era a carico di un familiare che percepiva una pensione di reversibilità, e non una pensione diretta, non ha diritto a ottenere, a sua volta, la pensione di reversibilità alla morte di quest’ultimo.

Cassazione civile SU n. 22434/2018: Il coniuge divorziato che ha ricevuto l’assegno divorzile in un’unica soluzione non ha diritto alla pensione di reversibilità. Ai fini del riconoscimento di tale prestazione, secondo l’art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, è necessario che l’ex coniuge sia titolare di un assegno divorzile attuale e concretamente fruibile al momento della morte dell’ex coniuge. La semplice esistenza di un precedente diritto all’assegno, se già estinto mediante pagamento in un’unica soluzione, non è sufficiente per ottenere la pensione di reversibilità.

Cassazione civile n. 24694/2021: La pensione di reversibilità non spetta alle convivenze di fatto terminate prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016 sulle unioni civili.

Nel caso esaminato, il partner superstite di un architetto deceduto prima della legge aveva richiesto l’applicazione retroattiva della norma per ottenere la pensione di reversibilità. La Corte d’Appello aveva accolto la richiesta, basandosi sull’art. 2 della Costituzione e senza coinvolgere la Corte Costituzionale. Tuttavia, la Cassazione ha annullato la decisione, ribadendo il principio di irretroattività delle leggi ed escludendo un contrasto diretto con la Costituzione.

 

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ddl nucleare

Ddl nucleare: cosa prevede Ddl nucleare sostenibile: approvata dal Consiglio dei Ministri la delega al governo in materia di energia nucleare sostenibile, ecco cosa prevede

Ddl nucleare sostenibile, ok dal Governo

E’ stato approvato il 28 febbraio 2025, dal Consiglio dei ministri il Ddl nucleare sostenibile. Il testo, contenente “delega al Governo in materia di energia nucleare sostenibile” è stato approvato in esame preliminare, su proposta del presidente Giorgia Meloni e del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin.

Obiettivi e mix energetico italiano

Il ddl è volto all’inserimento del nucleare sostenibile e da fusione nel cosiddetto “mix energetico italiano” e interviene in forma organica sotto i profili economico, sociale e ambientale, nel quadro delle politiche europee di decarbonizzazione con orizzonte temporale il 2050, coerentemente con gli obiettivi di neutralità carbonica e di sicurezza degli approvvigionamenti.

L’intervento, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, ha lo scopo di:

  • garantire la continuità nell’approvvigionamento energetico in presenza di un incremento costante della domanda e favorire il raggiungimento dell’indipendenza energetica;
  • concorrere agli obiettivi di decarbonizzazione necessari a fronteggiare il cambiamento climatico;
  • garantire la sostenibilità dei costi gravanti sugli utenti finali e la competitività del sistema industriale nazionale.

Linee di intervento principali

Di seguito le linee di intervento principali:

Superamento delle esperienze nucleari precedenti

Si assicura una cesura netta rispetto agli impianti nucleari del passato (cosiddetti di “prima” o di “seconda generazione”), destinati alla definitiva dismissione, salvo eventuale riconversione, e l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, incluse le tecnologie modulari e avanzate. In quest’ottica, si valuterà l’istituzione di un’Autorità indipendente competente per la sicurezza nucleare, con compiti di regolazione, vigilanza e controllo sulle infrastrutture nucleari.

Disciplina organica ciclo di vita dell’energia nucleare

Si prevede una disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare (eventuale fase di sperimentazione – progettazione – autorizzazione degli impianti – esercizio degli impianti – gestione, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi – smantellamento degli impianti).

Coordinamento e dialogo con i gestori delle reti elettriche

Lo sviluppo della nuova politica nucleare viene valutato anche nel suo impatto sull’assetto complessivo del sistema elettrico nazionale, incluso quello sul mercato elettrico.

Garanzie

I promotori dei progetti nucleari devono fornire adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare.

legittima difesa

Legittima difesa Legittima difesa: cos’è, quali sono i suoi presupposti, cosa è cambiato con la riforma del 2019, eccesso e giurisprudenza rilevante

Cos’è la legittima difesa

La legittima difesa, disciplinata dall’art. 52 del Codice Penale, è una causa di giustificazione che esclude la punibilità di chi commette un reato per proteggere un diritto proprio o altrui da un’aggressione ingiusta. Il principio si fonda sull’idea che la reazione difensiva sia necessaria e proporzionata all’offesa ricevuta.

Con la riforma della legittima difesa introdotta nel 2019 (L. 36/2019), il legislatore ha introdotto significative novità, soprattutto in tema di difesa domiciliare. Tuttavia, la giurisprudenza continua a giocare un ruolo cruciale nel definire i limiti tra difesa legittima ed eccesso colposo.

Definizione e disciplina (art. 52 c.p.)

L’articolo 52 del Codice Penale prevede:

“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.”

In sintesi, per essere legittima, la difesa deve avere queste caratteristiche:

  • Necessità: non esiste un’altra via per proteggere il diritto minacciato.
  • Attualità del pericolo: la minaccia deve essere imminente e concreta.
  • Ingiustizia delloffesa: l’aggressione deve essere illegittima.
  • Proporzionalità: la reazione deve essere commisurata all’offesa subita.

Presupposti

Perché possa applicarsi la scriminante della difesa legittima, devono sussistere contemporaneamente i seguenti presupposti:

  1. Pericolo attuale di un’offesa ingiusta:
    • Il pericolo deve essere immediato e concreto. Non è sufficiente un semplice timore generico.
    • L’offesa deve riguardare un diritto proprio o altrui (vita, integrità fisica, proprietà).
  2. Necessità della difesa:
    • La difesa è legittima solo se è l’unica possibilità per evitare il danno.
    • Non devono esserci alternative come la fuga o la richiesta immediata di aiuto.
  3. Proporzionalità tra offesa e difesa:
    • La reazione deve essere adeguata e commisurata alla gravità della minaccia.
    • Non è necessario che ci sia simmetria, ma la difesa non deve essere eccessiva rispetto al pericolo.

La riforma del 2019: cosa è cambiato

Nel 2019, la Legge n. 36/2019 ha modificato l’art. 52 c.p., introducendo nuove disposizioni, soprattutto in materia di difesa domiciliare.

  1. Presunzione di legittima difesa in casa (art. 52, comma 2 e 3 c.p.)
  • È sempre considerata legittima la difesa quando l’offesa avviene nella propria abitazione.
    o in un luogo di privata dimora (es. ufficio, negozio, garage).
  • Si presume la proporzionalità della difesa se l’aggressore entra con violenza, minaccia o inganno.
  1. Esclusione della punibilità per eccesso colposo (art. 55 c.p.)
  • L’eccesso colposo (reazione sproporzionata per errore o paura) è escluso quando l’azione difensiva è avvenuta in una situazione di grave turbamento, determinata dal pericolo per la propria o altrui incolumità.

Quando c’è eccesso di legittima difesa (art. 55 c.p.)

L’eccesso colposo di legittima difesa, previsto dall’art. 55 c.p., si verifica quando la reazione:

  • È sproporzionata rispetto al pericolo.
  • Non è necessaria per evitare l’
  • È frutto di colpa (imprudenza, negligenza, errore nella valutazione del pericolo).

Esempi concreti:

  • Sparare all’aggressore in fuga, quando il pericolo è cessato.
  • Colpire mortalmente un ladro disarmato, che non rappresenta una minaccia immediata.

Riforma 2019:
In caso di grave turbamento emotivo (es. un’aggressione notturna in casa), l’eccesso colposo può essere non punibile.

La legittima difesa putativa

La legittima difesa putativa (art. 59 c.p.) si verifica quando il soggetto:

  • Crede erroneamente di trovarsi in una situazione di pericolo attuale.
  • Reagisce come se fosse necessario difendersi.

È rilevante solo se l’errore è giustificabile dalle circostanze (es. buio, rumori sospetti, contesto minaccioso).

Esempio:

Una persona spara a un intruso credendo sia armato, ma si scopre che l’aggressore era disarmato. La legittima difesa putativa potrebbe essere riconosciuta, se l’errore era oggettivamente plausibile.

Giurisprudenza sulla legittima difesa

Ecco una serie di massime della Cassazione in materia:

Cassazione, sentenza n. 49883/2019

La legge 26 aprile 2019, n. 36 ha introdotto una specifica causa di non punibilità per chi, agendo per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, si trovi in stato di minorata difesa ovvero in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Tuttavia, tale causa di non punibilità non è applicabile quando l’azione difensiva illecita, pur riconducibile a un eccesso colposo, non sia motivata dalla volontà di proteggere la propria o altrui incolumità, ma sia invece esclusivamente finalizzata alla difesa dei beni propri o altrui. In altre parole, se l’azione difensiva, pur viziata da un eccesso colposo, è volta a salvaguardare l’incolumità personale, essa può rientrare nella causa di non punibilità prevista dall’art. 55, co. 2, c.p., anche in presenza di uno stato di minorata difesa o grave turbamento.

Cassazione n. 37427/2020

L’attenuante della provocazione e l’esimente della legittima difesa si distinguono nonostante entrambe derivino da un’offesa ingiusta altrui. La differenza principale risiede nella necessità, per la legittima difesa, che l’offesa sia in corso al momento della reazione, mentre per la provocazione ciò non è richiesto. In particolare, la provocazione può essere riconosciuta anche quando l’offesa si è già conclusa, purché permanga nello stato d’animo dell’agente un’ira determinata da essa. Al contrario, la legittima difesa presuppone un pericolo attuale: se l’offesa è cessata, non può essere invocata. Tuttavia, se l’offesa è ancora in atto e la reazione è proporzionata, la legittima difesa risulta applicabile.

Cassazione n. 46921/2023

La legittima difesa putativa si basa sugli stessi presupposti di quella reale, con la differenza che il pericolo, anziché essere effettivo, è solo supposto dall’agente a causa di un errore nella valutazione dei fatti. Tale errore esime da responsabilità se scusabile, mentre comporta colpa ai sensi dell’art. 59 u.c. c.p. se dovuto a negligenza. In ogni caso, deve derivare da circostanze concrete che, sebbene mal interpretate, possano giustificare la convinzione di trovarsi in pericolo. Non basta, quindi, il solo stato d’animo dell’agente: l’errore deve trovare riscontro in elementi oggettivi che abbiano indotto la falsa percezione del pericolo. La legittima difesa putativa è dunque configurabile solo se l’erronea convinzione della necessità di difendersi si basa su dati reali, seppur inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da rendere plausibile la percezione soggettiva di una minaccia, in relazione al contesto in cui si svolge l’azione difensiva.

Casistica: quando è legittima difesa e quando no

Caso È legittima difesa? Motivazione
Spara a un ladro che entra di notte con un’arma  Sì Difesa proporzionata e pericolo attuale.
Colpisce un aggressore che lo minaccia con un coltello  Sì Necessità di difendere l’incolumità.
Insegue e spara all’aggressore in fuga  No Pericolo cessato, è eccesso colposo.
Spara per errore a una persona che credeva armata Dipende Possibile difesa putativa.
Reagisce a un’aggressione notturna in casa, colpendo mortalmente l’aggressore Sì (2019) Applicabile la presunzione di legittima difesa.

Differenze con lo stato di necessità (art. 54 c.p.)

Aspetto Legittima difesa (art. 52 c.p.) Stato di necessità (art. 54 c.p.)
Pericolo Proviene da un’aggressione ingiusta di terzi Deriva da cause naturali o situazioni indipendenti da terzi
Reazione Contro l’aggressore Può danneggiare anche soggetti innocenti
Necessità Difesa di sé o di altri Salvaguardia della propria o altrui incolumità
Esempio Difesa da un ladro armato Sfonda una porta per salvarsi da un incendio

 

 

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società consortili

Le società consortili Cosa sono le società consortili regolate dall’art. 2615-ter del Codice civile: scopo, finalità, costituzione, vantaggi e svantaggi

Cosa sono le società consortili

Le società consortili sono forme giuridiche previste dall’ordinamento italiano che combinano le caratteristiche delle società tradizionali con gli scopi mutualistici dei consorzi. Regolate dall’articolo 2615-ter del Codice Civile, queste società mirano a coordinare determinate fasi delle attività economiche dei soci, mantenendo al contempo la loro autonomia imprenditoriale.

Definizione e normativa di Riferimento

Secondo l’articolo 2615-ter del Codice Civile, le società disciplinate nei capi III e seguenti del titolo V possono avere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’articolo 2602. In questo contesto, l’atto costitutivo può prevedere l’obbligo per i soci di versare contributi in denaro. Questo significa che le società consortili possono essere costituite in diverse forme societarie purché perseguano finalità consortili:

  • società di capitali: società a responsabilità limitata (S.r.l.); società per azioni (S.p.a.), società in accomandita per azioni (S.a.p.a);
  • Società di persone: società in nome collettivo (S.n.c) e società in accomandita semplice (S.a.s) con i necessari adattamenti.

Scopo e finalità

L’obiettivo principale di una società consortile è creare un’organizzazione comune per disciplinare o svolgere determinate fasi delle attività economiche dei soci. Questo può tradursi in vantaggi come la riduzione dei costi di produzione attraverso l’acquisto collettivo di materie prime o l’accesso a servizi a condizioni più vantaggiose. Pur potendo svolgere attività con terzi e generare utili, l’attività lucrativa deve rimanere secondaria rispetto alla funzione mutualistica.

Costituzione della società consortile

La costituzione di una società consortile avviene attraverso un atto costitutivo redatto per atto pubblico, che deve contenere:

  • Denominazione sociale: indicante la forma giuridica scelta e la natura consortile;
  • Oggetto sociale: descrizione dettagliata delle attività consortili da svolgere;
  • Conferimenti dei soci: indicazione dei contributi in denaro o in natura apportati dai soci;
  • Regole di funzionamento: norme relative all’amministrazione, alla distribuzione degli utili e all’eventuale ripartizione delle perdite.

Una volta redatto, l’atto costitutivo deve essere iscritto nel Registro delle Imprese competente.  

Vantaggi e svantaggi delle società consortili

Vantaggi:

  • efficienza operativa: coordinamento delle attività comuni con conseguente riduzione dei costi;
  • forza contrattuale: maggiore potere negoziale nei confronti di fornitori e clienti.
  • condivisione delle risorse: ottimizzazione nell’uso di risorse e competenze tra i soci.

Svantaggi:

  • gestione complessa: necessità di coordinare le decisioni tra più soci con possibili divergenze di opinioni.
  • responsabilità condivisa: i soci potrebbero essere solidalmente responsabili per le obbligazioni assunte dalla società, a seconda della forma giuridica adottata.

Aspetti fiscali

Dal punto di vista fiscale, le società consortili sono soggette al regime previsto per la forma societaria scelta (S.r.l., S.p.A., ecc.). Tuttavia, data la natura mutualistica, possono beneficiare di specifiche agevolazioni fiscali, soprattutto se l’attività con i terzi è limitata e prevale lo scopo consortile. È fondamentale consultare un esperto fiscale per valutare le implicazioni specifiche e le eventuali agevolazioni applicabili.

 

 

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giurista risponde

Somministrazione del vaccino e responsabilità ASL Esiste un nesso causale tra l’esecuzione delle vaccinazioni e l’autismo?

Quesito con risposta a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone

 

 

Va negata l’esistenza di un nesso causale tra la somministrazione di un vaccino e i problemi fisici e psicofisici riconducibili allo spettro dell’autismo, sulla base delle più accreditate ricerche scientifiche (Cass., sez. III, ord. 7 novembre 2024, n. 28691).

Nel caso oggetto di attenzione, il Supremo Consesso analizza una relativa al rapporto tra il consenso informato e la somministrazione di un vaccino non obbligatorio a un soggetto minorenne e l’insorgenza, all’indomani, di una progressiva e grave regressione psico-fisica, culminata in una forma di autismo.

I ricorrenti lamentavano, in uno dei quattro motivi, che la Corte d’Appello di Bari aveva accolto solo le doglianze in merito al mancato consenso informato e non anche quelle relative al risarcimento dei danni da somministrazione del vaccino, senza, per altro, tener conto del fatto che, se adeguatamente informati, non avrebbero acconsentito alla somministrazione dello stesso vaccino al figlio (minorenne).

I giudici di legittimità sul punto, riprendendo e condividendo il percorso logico-argomentativo sviluppato dai giudici della Corte d’Appello di Bari, asseriscono che il motivo sollevato dai ricorrenti è infondato. Innanzitutto, si riconosce il capo all’ASL un deficit informativo circa i rischi di eventuali reazioni fisiche conseguenti la somministrazione del vaccino. Tuttavia, si rileva che sulla base delle più accreditate ricerche scientifiche non si può determinare alcuna relazione di causalità tra la somministrazione del vaccino e le successive patologie fisiche e psico-fisiche riconducibili allo spettro dell’autismo.

Sulla base di tale conclusione scientifica, è stata esclusa ogni relazione casuale tra l’iniezione del vaccino e la sindrome di autismo. Si è negato, così, l’an del diritto al risarcimento e correttamente non si è sviluppata alcuna istruttoria in ordine al quantum debeatur.

 

(*Contributo a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

ticket di licenziamento

Ticket di licenziamento Ticket di licenziamento 2025: definizione, normativa di riferimento, importi 2025, casi di esonero e giurisprudenza

Cos’è il ticket di licenziamento

Il ticket di licenziamento è un contributo che il datore di lavoro deve versare all’INPS in caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’importo di questo contributo varia in base all’anzianità del lavoratore e alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Introdotto con la riforma Fornero (Legge n. 92/2012), il ticket di licenziamento ha la finalità di finanziare la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), garantendo un sostegno economico ai lavoratori che perdono il posto di lavoro involontariamente.

Normativa di riferimento

Le principali disposizioni normative relative al ticket di licenziamento sono:

  • Legge n. 92/2012 (riforma Fornero);
  • Lgs. n. 22/2015, che disciplina la NASpI;
  • Circolari INPS n. 40/2020 e n. 137/2021, che aggiornano le modalità di calcolo e versamento del contributo.

Nel 2025, il ticket di licenziamento rimane obbligatorio per tutti i datori di lavoro che interrompono un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ad eccezione di alcuni casi specifici.

Quando non si paga il ticket di licenziamento

Esistono alcune eccezioni in cui il ticket di licenziamento non è dovuto, tra cui:

  • dimissioni volontarie del lavoratore, salvo il caso di dimissioni per giusta causa;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, all’interno di aziende con meno di 15 dipendenti e in presenza di un tentativo di conciliazione ali sensi dell’art. 410 c.p.c;
  • interruzione del rapporto di lavoro nelle società sottoposte a procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria se ha beneficiato della cassa integrazione straordinaria negli anni 2019 e 2020;
  • licenziamenti causati da cambi di appalto a cui operò sono seguite assunzione da parte di altri datori di lavoro applicando le clausole che garantiscono continuità lavorativa;
  • interruzioni contratti di apprendistato di primo livello (qualifica e diploma professionale, diploma di istruzione secondaria superiore e certificato di specializzazione tecnica superiore).

Quanto costa il ticket di licenziamento nel 2025

L’importo del ticket di licenziamento è calcolato sulla base della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali del lavoratore negli ultimi 12 mesi e della durata del rapporto di lavoro. Per il 2025, l’INPS con la circolare n. 25 del 29.1.2025 ha aggiornato i valori relativi a questo trattamento.

  • Il contributo è calcolato nella percentuale del 41% sulla prima fascia della retribuzione mensile convenzionale (per il 2025 pari a Euro 1.436,61);
  • L’importo massimo mensile della Naspi per il 2025 è di Euro 1.562,82 euro (aggiornato al tasso di inflazione dello 0,8%);
  • L’importo massimo del contributo è quindi pari a 922,28 euro per ogni anno di anzianità aziendale del lavoratore, fino a un massimo di tre anni. L’importo si ottiene moltiplicando il 41% di Euro 1.562,82 (valore Naspi 2025) ovvero 640,67 euro per tre.

Il valore del ticket licenziamento quindi dipende anche dal valore della Naspi.

Novità 2025 sul ticket di licenziamento

Con il 2025, sono state introdotte alcune novità normative:

  • L’importo massimo del ticket è stato aggiornato a 1.922,28 con un incremento rispetto all’anno precedente per via dell’adeguamento all’inflazione;
  • Sono in fase di discussione nuove modalità di esonero per aziende in crisi o che attuano piani di ristrutturazione con accordi sindacali;
  • L’INPS ha intensificato i controlli sui versamenti per evitare omissioni contributive.

Giurisprudenza rilevante

Alcune sentenze recenti hanno chiarito aspetti controversi del ticket di licenziamento:

Tribunale di Cremona n. 333/2024:  Anche nei casi in cui il recesso venga irrogato a un dipendente che si è assentato volontariamente dal posto di lavoro, il ticket di licenziamento rimane un obbligo a carico del datore di lavoro. Il ticket di licenziamento resta quindi a carico del datore di lavoro, anche nei casi in cui il licenziamento derivi da una condotta disciplinarmente rilevante del dipendente. Il datore di lavoro non può trasferire tale onere economico al lavoratore, poiché la normativa stabilisce chiaramente che il contributo è dovuto in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, salvo le eccezioni espressamente previste. Inoltre, in assenza di prova che il lavoratore abbia rassegnato le dimissioni, sia in forma esplicita che tacita, il licenziamento viene considerato un atto unilaterale del datore di lavoro. Di conseguenza, il contributo deve essere versato dallo stesso, come stabilito dalla legge.

Cassazione n. 22905/2024: L’esonero dall’obbligo contributivo a carico del datore di lavoro, previsto per i casi di cessazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che teoricamente potrebbe dar diritto all’indennità, indipendentemente dalla sua effettiva fruizione, si applica nel settore edile esclusivamente nelle ipotesi di completamento dei lavori e chiusura del cantiere. Tale esonero, disciplinato dall’art. 2, comma 34, lett. b), si riferisce unicamente alla conclusione del ciclo produttivo in senso tecnico, ovvero alla “fine lavori” effettiva del cantiere.

Tribunale di Udine 160/2020: Il datore di lavoro ha diritto al rimborso del cosiddetto ticket di licenziamento nel caso in cui il lavoratore, con piena consapevolezza, abbia volontariamente determinato il proprio licenziamento per giusta causa, con l’intento di ottenere l’accesso alla misura di sostegno al reddito NASpI.

 

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multa strisce blu

Multa strisce blu Multa strisce blu: definizione, normativa di riferimento, quando scatta, la multa, come contestarla, ricorsi possibili e giurisprudenza

Cos’è la multa per le strisce blu?

La multa strisce blu è conseguenza della presenza delle strisce blu che delimitano le aree di sosta a pagamento nei centri urbani. Il mancato pagamento o il superamento del tempo consentito può comportare infatti l’emissione di una multa per sosta non autorizzata.

La multa per le strisce blu è una sanzione amministrativa inflitta quando un veicolo sosta quindi in un’area di parcheggio a pagamento senza aver corrisposto la tariffa prevista o avendo superato il tempo per cui si è pagato.

Normativa di riferimento

Il riferimento normativo principale è l’articolo 7 del Codice della Strada (D.lgs. 285/1992), che attribuisce ai Comuni la facoltà di regolamentare la sosta a pagamento, stabilendo tariffe, esenzioni e modalità di controllo.

Quando scatta la multa?

Le multe per la violazione della disciplina sulle strisce blu scattano nei seguenti casi:

  • mancato pagamento del ticket di sosta;
  • superamento del tempo di sosta pagato;
  • esposizione del ticket in modo non visibile;
  • utilizzo improprio dei permessi per residenti o disabili.

Tuttavia, il verbale di accertamento e di contestazione per la violazione delle regole sulle strisce blu  è nullo se non vi sono parcheggi gratuiti nelle vicinanze, come stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 116/2007.

A quanto ammonta la multa strisce blu?

L’importo della multa per strisce blu è stabilito dall’articolo 7, comma 15 del Codice della Strada e varia a seconda del regolamento comunale.

Se la multa non viene pagata entro 60 giorni, l’importo può aumentare e all’importo si vanno ad aggiungere le spese di notifica e di mora.

In base al nuovo comma 15 dell’art 7 le violazioni della sosta tariffata di cui al comma 1 lettera f) sono punite con le sanzioni base di cui al comma 14 primo periodo che varia da 42 a 173 euro. Per permettere il recupero della somma non corrisposta, se la violazione consiste nel mancato pagamento dell’intera somma dovuta la sanzione sopraindicata è maggiorata “di un importo pari alla tariffa corrispondente all’intero periodo tariffato nel giorno di calendario in cui avviene l’accertamento.” Se invece il mancato pagamento è parziale occorre fare riferimento a quanto precisato nelle lettere a, b e c sempre del comma 15 dell’art. 7 e la sanzione varia al variare del tempo in più in cui il conducente occupa il parcheggio rispetto a quello per il quale è stata corrisposta la tariffa. Regole ulteriori per il recupero delle somme non corrisposte sono contenute nel comma 15. 1 dell’articolo 7 del Codice della Strada.

Quando e come contestare la multa?

Esistono diverse circostanze in cui è possibile contestare una multa per strisce blu:

Assenza di parcheggi gratuiti nelle vicinanze

Secondo la Cassazione, sentenza n. 116/2007, le amministrazioni comunali devono prevedere anche parcheggi gratuiti nelle vicinanze. Se non ci sono, la multa può essere contestata.

Assenza di segnaletica chiara

Se i cartelli che indicano la sosta a pagamento sono mancanti, danneggiati o non visibili, la multa può essere impugnata.

Guasto del parcometro

Se il parchimetro non è funzionante e non esiste un’alternativa di pagamento elettronico, è possibile contestare la multa allegando una prova (foto, testimoni, segnalazione al Comune).

Veicolo rubato o venduto

Se la multa è stata emessa su un veicolo rubato o venduto prima della data della sanzione, è sufficiente fornire copia della denuncia o del passaggio di proprietà.

Sanzione errata

Errori nell’indicazione della targa, della data o del luogo possono rendere la multa nulla.

Modalità di ricorso per la multa strisce blu

Se si ritiene che la multa sia ingiusta, si può contestare in due modi:

Ricorso al Prefetto

  • Deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica della multa;
  • Si può inviare tramite raccomandata A/R o PEC al Prefetto della provincia in cui è stata emessa la multa;
  • Il Prefetto decide entro 120 giorni: se accoglie il ricorso, la multa viene annullata, altrimenti l’importo può raddoppiare.

Ricorso al Giudice di Pace

  • Va presentato entro 30 giorni dalla notifica della multa;
  • Prevede un costo di €43 a titolo di contributo unificato per multe fino a €100;
  • È consigliabile presentare prove documentali e, se possibile, farsi assistere da un avvocato.

Giurisprudenza rilevante

  • Cassazione Civile, sentenza n. 116/2007: i Comuni devono garantire la presenza di parcheggi gratuiti nelle vicinanze delle strisce blu.
  • Cassazione Civile, sentenza n. 20293/2024: il Comune, quando gestisce direttamente un parcheggio custodito, ha l’obbligo di garantire nelle vicinanze un’area di parcheggio senza custodia o senza dispositivi di controllo della durata della sosta.Tale obbligo non si applica nelle zone pedonali, nelle aree a traffico limitato e nelle zone classificate come categoria A” dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. Quest’ultima categoria include aree con edifici di particolare valore storico-culturale e zone di rilevanza urbanistica individuate dalla giunta, caratterizzate da specifiche esigenze di traffico.
  • Cassazione Civile, sentenza n. 16258/2016: la sosta nei parcheggi delimitati dalle strisce blu con un ticket scaduto comporta l’applicazione della sanzione prevista dall’ 7, comma 15, per ogni frazione di ora, analogamente a quanto avviene nel caso in cui il conducente non abbia acquistato alcun biglietto.

 

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esenzione Iva

Esenzione Iva: arriva il certificato digitale Pubblicata in Gazzetta Ufficiale Europea la direttiva 2025/425 che introduce l'obbligo di utilizzare il certificato digitale per l'esenzione Iva

Certificato digitale esenzione Iva

Il Consiglio Economia e Finanza UE (Ecofin), con comunicato stampa del 18 febbraio 2025, ha reso noto di aver adottato formalmente nuove norme volte a sostituire con un nuovo modulo elettronico gli attuali certificati cartacei utilizzati per dichiarare le esenzioni Iva dell’Unione Europea. Ora, con la pubblicazione della Direttiva (UE) 2025/425 e del Regolamento di esecuzione (UE) 2025/428 entrambi sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 28 febbraio 2025, l’UE introduce l’obbligo ufficiale di utilizzare il certificato elettronico per l’esenzione Iva.

Sostituzione dei certificati cartacei

I certificati cartacei utilizzati per le merci esenti da Imposta sul Valore Aggiunto saranno sostituiti, dunque, da un modulo elettronico, semplificando e razionalizzando la procedura per le imprese e le amministrazioni quando tali merci sono importate a beneficio di ambasciate, organizzazioni internazionali o forze armate.

Nuove misure in vigore dal 1° luglio 2031

Le nuove misure entreranno in vigore il 1º luglio 2031 con un ulteriore periodo transitorio di un anno durante il quale gli Stati membri potranno utilizzare sia il formato elettronico che quello cartaceo.

Le necessarie specifiche informatiche saranno discusse nell’ambito di gruppi di esperti e stabilite mediante atti di esecuzione della Commissione.

patteggiamento

Patteggiamento: applicazione pena su richiesta delle parti Il patteggiamento: guida completa all’applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 e seguenti del Codice di procedura penale

Il patteggiamento: art. 444 e seguenti c.p.p.

Il patteggiamento, noto formalmente come applicazione della pena su richiesta delle parti, è un rito alternativo disciplinato dagli articoli 444 e seguenti del Codice di procedura penale (c.p.p.). Questo strumento processuale consente all’imputato e al pubblico ministero di concordare una pena, evitando così il dibattimento e ottenendo benefici sia in termini di tempi sia sotto il profilo sanzionatorio. Con le modifiche normative apportate dalla Riforma Cartabia al processo penale, il patteggiamento ha subito alcuni importanti aggiornamenti

Cos’è il patteggiamento?

Il patteggiamento è un accordo tra il pubblico ministero (PM) e l’imputato, con il quale le parti propongono al giudice una pena concordata. In questo rito alternativo:

  • non si svolge il dibattimento, evitando l’assunzione di prove in aula;
  • il giudice si limita a valutare la correttezza dell’accordo, l’esistenza delle condizioni di legge e la congruità della pena;
  • in caso di accoglimento, la sentenza di patteggiamento ha gli stessi effetti di una condanna penale, pur godendo di alcune agevolazioni.

Il patteggiamento è uno strumento utile per deflazionare il carico giudiziario, garantendo celerità nei procedimenti e favorendo la rieducazione del reo attraverso l’accettazione della pena concordata.

Come si richiede

Il patteggiamento può essere richiesto:

  1. dallimputato o dal suo difensore mediante un’istanza scritta;
  2. dal pubblico ministero, che può proporre un accordo all’

L’accordo deve prevedere una pena sostitutiva o dei una pena pecuniaria ridotta fino a un terzo o una pena detentiva, quando questa tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a 1/3 non supera i 5 anni soli o congiunti a una pena di tipo pecuniario.

Procedura per la richiesta

  1. Presentazione dellistanza: l’imputato e il PM presentano congiuntamente la richiesta di applicazione della pena al giudice.
  2. Udienza di verifica: il giudice valuta:
  • la qualificazione giuridica del fatto;
    • l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti;
    • le determinazioni in merito alla confisca;
    • la congruità della pena rispetto al reato commesso.
  1. Emissione della sentenza: se il giudice ritiene fondato l’accordo, emette una sentenza di patteggiamento, che ha valore di condanna definitiva.

Per quali reati è ammesso

Il patteggiamento è ammesso per reati che prevedono pene detentive e/o pecuniarie, purché la pena concordata:

  • Non superi i 5 anni di reclusione (inclusi aumenti per la continuazione del reato e diminuzioni per attenuanti).
  • Sia combinabile con pene pecuniarie (multe, ammende).

Reati tipici oggetto di patteggiamento

  • Furto, truffa, appropriazione indebita.
  • Lesioni personali e reati contro la persona non gravi.
  • Reati in materia di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990).
  • Reati fiscali e tributari, se non gravemente lesivi dell’interesse pubblico.

Reati esclusi dal patteggiamento

Il patteggiamento non è ammesso per:

  • Reati di mafia, terrorismo o criminalità organizzata.
  • Reati di violenza sessuale aggravata, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo.
  • Reati con pene superiori ai 5 anni di reclusione (salvo applicazione di circostanze attenuanti).

Novità della riforma Cartabia

La Riforma Cartabia ha introdotto alcune modifiche al patteggiamento.

Nella richiesta di patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p. l’imputato e il Pm possono chiedere anche di non applicare le pene accessorie oppure di applicarle per una durata determinata, salvo eccezioni e di non ordinare la confisca oppure di disporla per specifici beni o per un importo determinato.

La sentenza pronunciata al termine del patteggiamento e anche dopo la chiusura del dibattimento non ha efficacia e non costituisce prova nei giudizi civili, disciplinari, tribunali o amministrativi, compreso quello finalizzato ad accertare la responsabilità contabile. Se poi non vengono applicate pene accessorie, non producono alcun effetto le disposizioni di leggi diverse da quelle penali, che equiparano la sentenza emessa all’esito del patteggiamento alla sentenza di condanna. Salvo eccezioni la sentenza di patteggiamento è equiparata a una pronuncia di condanna.

La volontà dell’imputato nella richiesta di patteggiamento è espressa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale e la firma è autenticata da un notaio, dal difensore o da altro soggetto autorizzato.

Nel decreto con cui viene fissata l’udienza l’indagato viene informato della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

Nell’udienza art. 447, in quella preliminare nel giudizio direttissimo e in quello immediato, se l’imputato e il Pm chiedono una pena sostitutiva, il giudice decide immediatamente, ma se non è possibile sospende il processo e fissa una udienza apposita entro 60 giorni, avvisando le parti e l’ufficio di esecuzione esterno competente.

Effetti del patteggiamento

La sentenza emessa a seguito di patteggiamento ha gli stessi effetti di una condanna, ma con alcune particolarità:

  • la pena in essa contenuta è ridotta fino a un terzo;
  • la pronuncia non costituisce precedente ostativo per l’accesso a misure alternative alla detenzione;
  • la sentenza non compare nel certificato del casellario giudiziale richiesto dai privati (eccetto per specifiche eccezioni);
  • estinzione del reato di cui all art 445 c.p.p comma 2, in assenza di recidiva nei termini temporali indicati.

Differenza tra patteggiamento e rito abbreviato

Aspetto Patteggiamento Rito abbreviato
Natura Accordo tra PM e accusato sulla pena Giudizio basato sugli atti raccolti dal PM
Riduzione della pena Fino a 1/3 1/3 sulla pena finale
Svolgimento del processo Nessuna istruttoria, solo accordo tra le parti Giudizio sommario basato sugli atti del PM
Sentenza Di applicazione della pena – di condanna (no giudizio sul merito) Di merito (accertamento dei fatti) –  di condanna o assoluzione
Effetti sul casellario Non risulta nel casellario richiesto dai privati Risulta come sentenza ordinaria
Possibilità di appello Solo ricorso per vizi formali Appellabile nei limiti dell’art. 443 c.p.p.

  

 

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