Compliance nella PA

La compliance nella Pubblica Amministrazione Compliance nella Pubblica Amministrazione: cos'è, a cosa serve, principio di legalità e controlli, riferimenti normativi

Cos’è la compliance

La compliance è quell’attività complessa che individua e riferisce in merito alla presenza del rischio di sanzioni e del peggioramento della reputazione a causa del mancato rispetto di leggi e regolamenti, ma anche di codici di condotta e buone pratiche.

Compliance e Pubblica Amministrazione

Parlare di compliance in relazione alla Pubblica Amministrazione potrebbe sembrare un contro senso. Del resto, l’attività della PA dovrebbe essere sempre essere conforme alla legge. La realtà però è ben diversa. Le PA sono soggette, al pari dei privati, a rischi che derivano dall’ applicazione delle norme che ne regolano l’attività.

Per questo il concetto di “compliance”, inteso come la conformità a norme, regole, standard, codici di condotta e principi etici, ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più centrale nel funzionamento della Pubblica Amministrazione (PA) italiana. Non più limitata alla mera osservanza formale della legge, la compliance nella PA si configura oggi come un approccio proattivo volto a prevenire illeciti, ottimizzare i processi, migliorare l’efficienza e rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Il principio di legalità

La compliance si può tradurre con il termine “conformità”, concetto che a sua volta evoca il principio di legalità sancito dall’articolo 97 della Costituzione, a cui deve uniformarsi l’attività della Pubblica Amministrazione.

La norma su questo punto è molto chiara:

“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Appare subito evidente la stretta correlazione tra legge e pubblica amministrazione. Del resto il principio di legalità è finalizzato anche al perseguimento dei principi di buon andamento e imparzialità.

Controlli e valutazione

Proprio per assicurare il rispetto del buona andamento nel corso degli anni sono stati introdotti sempre maggiori controlli orientati inizialmente alla verifica del rispetto della legittimità degli atti, per passare poi a un controllo finalizzato alla valutazione del rapporto intercorrente tra costi e risultati (controllo di gestione) e a quello tra obiettivi e risultati (controllo strategico).

Ad oggi i controlli preventivi sono superati, quelli successivi però presentano lo svantaggio di non impedire condotte illegittime. La compliance ha il pregio di prevenire le irregolarità grazie alla progettazione e alla verifica di procedure interne adeguate.

Compliance nella PA: normativa di riferimento

La compliance nella PA italiana trova il suo fondamento in un corpus normativo complesso e stratificato, che ha visto negli ultimi anni interventi significativi. I pilastri principali includono:

  • Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge Anticorruzione): rappresenta la normativa cardine in materia di prevenzione della corruzione e promozione dell’integrità nella PA. Sebbene datata, la Legge 190/2012 continua a essere il riferimento principale per le strategie di compliance anticorruzione.
  • Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. Decreto Trasparenza): ha riordinato la disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. La trasparenza è riconosciuta come un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, ponendo le basi per una “amministrazione aperta” e controllabile dai cittadini.
  • Decreto Legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Inconferibilità e Incompatibilità): disciplina le cause di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico. Contribuisce a prevenire situazioni di conflitto di interessi e a garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa.
  • Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR – General Data Protection Regulation): il GDPR ha imposto standard elevati per la protezione dei dati personali, con un impatto significativo sui processi interni della PA che trattano informazioni sensibili. La compliance al GDPR richiede un’attenta valutazione dei rischi, la nomina di un Data Protection Officer (DPO) e l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate.
  • Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36): ha introdotto importanti novità in materia di appalti e concessioni. La compliance in quest’ambito è cruciale per prevenire fenomeni corruttivi, garantire la libera concorrenza e assicurare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche. La semplificazione e la digitalizzazione dei processi di gara, pur mirando a snellire le procedure, richiedono al contempo un rafforzamento dei controlli e della trasparenza.
  • Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) e normativa correlata: l’attuazione del PNRR ha comportato l’introduzione di specifiche disposizioni volte a garantire la regolarità, l’efficienza e la trasparenza nella gestione dei fondi europei. La compliance ai requisiti del PNRR è fondamentale per l’accesso e l’utilizzo delle risorse, con un forte accento sulla rendicontazione e sul monitoraggio.
  • Normativa sulla transizione digitale e l’innovazione tecnologica: Le direttive e i provvedimenti volti alla digitalizzazione della PA (ad esempio, il Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) impongono nuove sfide in termini di compliance, legate alla sicurezza informatica, all’interoperabilità dei sistemi e all’accessibilità dei servizi digitali.

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quiet quitting

Quiet quitting: il distacco emotivo dal lavoro Quiet quitting: cosa significa, cos’è, quando e dove nasce, motivi del disagio e conseguenze aziende e i lavoratori

Che cos’è il quiet quitting

Il quiet quitting è un fenomeno che riguarda il mondo del lavoro. Nello specifico si riferisce a un atteggiamento dei  dipendenti, i quali scelgono di svolgere solo le mansioni strettamente previste dal contratto, rifiutando qualsiasi compito extra o disponibilità che esuli dagli orari e dalle responsabilità formali.

Non si tratta di un vero e proprio “licenziamento” (quitting), quanto piuttosto di una ritirata silenziosa dall’idea di lavoro come vocazione o dedizione totale. È una forma di resistenza passiva contro la cultura del lavoro eccessivo.

Origine del termine “quiet quitting”

Il termine quiet quitting non ha un vero e proprio “fondatore”. Il vocabolo è stato portato alla ribalta da un video pubblicato su TikTok nel 2022 da Zaid Khan, un ingegnere statunitense. Nel video, Khan parla della decisione di lavorare nei limiti del proprio ruolo senza sentirsi in dovere di fare di più per ottenere approvazione o promozioni. Le sue affermazioni e idee hanno immediatamente guadagnato popolarità, venendo riprese da milioni di utenti e analizzate da media internazionali e professionisti delle risorse umane.

Il fenomeno però esiste da decenni. Sono numerosi infatti gli psicologi che da tempo invocano ambienti di lavoro di qualità, capaci di stimolare i propri dipendenti, farli sentire realizzati, senza trascurare l’ascolto dei loro bisogni personali.

Quando e dove si è sviluppato

Il quiet quitting ha cominciato a diffondersi quindi con prepotenza nel 2022 negli Stati Uniti, in un contesto segnato dalle conseguenze della pandemia da COVID-19. Lo smart working, l’isolamento sociale e la riflessione collettiva sulla qualità della vita hanno spinto molti lavoratori — soprattutto i millennials e la Generazione Z — a rivalutare il proprio rapporto con il lavoro. Da lì il concetto si è diffuso rapidamente in Europa e in altri Paesi industrializzati, trovando terreno fertile in un’epoca di crescente attenzione al benessere psicologico e all’equilibrio tra la vita privata e quella professionale.

In che cosa consiste il quiet quitting

Il quiet quitting consiste in pratica nel:

  • rifiutare straordinari non retribuiti;
  • evitare di rispondere a e-mail o messaggi fuori orario;
  • non assumersi responsabilità extra non riconosciute formalmente;
  • non legare la propria identità al lavoro.

Non significa essere improduttivi o svogliati, ma rispettare i limiti del proprio ruolo professionale, evitando di “vivere per lavorare”. È quindi una forma di dissenso silenzioso verso modelli di carriera basati sul sacrificio personale continuo.

I motivi alla base del quiet quitting

Il fenomeno del quiet quitting non è determinato solo da un diverso modo di concepire il lavoro e da una attenzione maggiore alla salute mentale. Ci sono altre ragioni, più importanti e decisamente più profonde.

Il malessere dei lavoratori è legato infatti a tutta una serie di fattori sui quali è necessario riflettere.

  • Il rapporto con il proprio datore di lavoro, spesso distante e fondato su una relazione gerarchica e di potere che ostacola la comunicazione.
  • La scarsa attenzione all’adozione di strategie capaci di ridurre lo stress sul lavoro e il bournout.
  • Il mancato supporto psicologico attraverso programmi specifici per i lavoratori.
  • L’assenza di motivazione, determinata da un ambiente in cui il singolo non viene valorizzato.
  • Il mancato riconoscimento del merito e dell’impegno.
  • L’assenza di programmi di formazione continua, che impediscono la crescita del lavoratore.
  • La paura di cambiare lavoro, soprattutto a una certa età, fobia che  porta molti lavoratori a restare dove sono e a cercare un distacco emotivo sempre maggiore dalle mansioni.
  • Una scarsa cultura della promozione e valorizzazione del lavoro di gruppo.

Conseguenze del quiet quitting

Le conseguenze del quiet quitting sono complesse e oggetto di dibattito.

Per i lavoratori:

  • può portare a un miglior equilibrio vita-lavoro;
  • può ridurre lo stress e il burnout;
  • ma rischia di limitare le possibilità di avanzamento professionale o di essere percepiti come “disimpegnati”.

Per le aziende:

  • può tradursi in cali di produttività, soprattutto se molti dipendenti adottano questo approccio;
  • può spingere a rivedere modelli di leadership troppo esigenti o poco inclusivi;
  • può aumentare il turnover se non si affrontano le cause profonde (scarsa motivazione, carenza di riconoscimento, cultura aziendale tossica).

Un messaggio alle imprese

È importante precisare che il quiet quitting non è un capriccio generazionale, ma un segnale chiaro di disaffezione verso modelli di lavoro non più sostenibili. E’ necessario che le aziende ascoltino con attenzione le esigenze dei dipendenti. Ignorare questo fenomeno può rivelarsi pericoloso e improduttivo.

 

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persone scomparse

Persone scomparse: cosa prevede la proposta di legge approvata Persone scomparse: la Camera approva la proposta di legge che rafforza i poteri delle autorità per una tutela più efficace dei cittadini

Persone scomparse: Codice privacy e Giornata Nazionale

Il 15 luglio 2025, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge (leggi il dossier della Camera) che riguarda le persone scomparse. Il testo introduce significative modifiche al Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo n. 196/2003) e istituisce la Giornata nazionale dedicata alle persone scomparse. Queste novità mirano a rafforzare gli strumenti a disposizione delle autorità per la tutela della vita e dell’integrità fisica dei cittadini, specialmente in situazioni di emergenza.

Dati traffico telefonico, telematico e chiamate senza risposta

La principale modifica prevista riguarda l’articolo 132 del Codice della privacy, con l’introduzione del nuovo comma 3-bis.1. In virtù di questa modifica si consente l’acquisizione di dati relativi al traffico telefonico, telematico e alle chiamate senza risposta, qualora siano ritenuti essenziali per la tutela della vita o dell’integrità fisica dell’interessato, anche al di fuori dei procedimenti penali. L’acquisizione avviene tramite decreto del pubblico ministero, su richiesta delle forze dell’ordine come Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza.

Persone scomparse: procedura semplificata in caso d’urgenza

Per i casi urgenti, è prevista una procedura semplificata: il pubblico ministero può autorizzare l’acquisizione anche oralmente o telematicamente, con l’obbligo di conferma entro 48 ore con decreto motivato e informazione al Prefetto. Introdotto il divieto di utilizzare dati ottenuti in violazione della procedura, al fine di garantire la legalità dell’acquisizione.

Polizia locale: accesso al Centro Elaborazione dati

Un’ulteriore novità riguarda l’accesso al Centro Elaborazione Dati (CED) del Ministero dell’Interno. L’articolo 1 della Legge n. 203/2012 viene modificato per consentire al personale della polizia locale, specificamente agli agenti di pubblica sicurezza addetti ai servizi di polizia stradale, di consultare le denunce di scomparsa.

Persone scomparse: giornata nazionale dedicata 

L’articolo 2 della proposta di legge istituisce infine la Giornata nazionale dedicata alle persone scomparse, che verrà celebrata ogni anno il 13 dicembre. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno delle persone scomparse e promuovere iniziative di solidarietà per le famiglie coinvolte. È importante sottolineare che l’istituzione di questa giornata non comporta nuovi oneri per la finanza pubblica, poiché le attività connesse saranno gestite con le risorse disponibili.

 

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assicurazione inail studenti e docenti

Assicurazione studenti e docenti: cosa copre A partire dall’anno scolastico 2025/2026 diventa strutturale l'assicurazione per studenti e docenti di tutti gli istituti scolastici

Assicurazione studenti e docenti a regime

Compie un importante passo in avanti la disciplina sull’assicurazione di studenti e docenti di tutte le scuole. Un comunicato pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali rende noto che il 16 luglio 2025, in sede d esame del decreto legge n. 90/2025, la Commissione VII del Senato ha approvato un emendamento governativo proposto dal Ministro del Lavoro e dal Ministro dell’istruzione che prevede l’entrata a regime dell’assicurazione per il personale docente e per gli studenti a partire dall’anno scolastico 2025/2026.

Lo scorso anno, l’articolo 9 del DL n. 113/2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 agosto 2024 aveva esteso anche all’anno scolastico 2024/2025 la copertura assicurativa prevista per gli studenti e gli insegnanti dall’articolo 18 decreto-legge n. 48/2023.

Assicurazione: la circolare INAIL 2024

Della proroga della copertura assicurativa per l’anno scolastico 2024/2025 si era occupata anche la Direzione Centrale dell’INAIL con la circolare del 14 agosto 2024.

La tutela, come precisava la circolare dello scorso anno, riguarda gli studenti e il personale appartenente al sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e di quella superiore.

Le attività coperte dall’assicurazione Inail sono quelle di insegnamento e di apprendimento. La tutela riguarda gli eventi lesivi che si verificano per finalità lavorative anche qualora non siano collegati con il rischio specifico dell’attività assicurata. Unico limite il rischio elettivo.

I soggetti sono quindi assicurati per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che si manifestano nei luoghi di svolgimento delle attività didattiche, di laboratorio e nelle loro pertinenze. La tutela riguarda le attività interne ed esterne come viaggi, visite, uscite didattiche emissioni senza limite di orario purché organizzate e autorizzate dalle istituzioni scolastiche e formative, comprese quelli complementari, preliminari e accessorie all’insegnamento. Il personale docente è tutelato anche contro gli infortuni in itinere.

La circolare precisava anche che per l’operatività della tutela assicurativa le scuole e gli istituti d’istruzione non fossero tenuti ad alcun tipo di adempimento. Il soggetto assicurante non era tenuto a versare il premio, doveva solo rimborsare l’Inail per le prestazioni eventualmente erogate ai soggetti infortunati.

Per la copertura assicurativa INAIL degli studenti delle scuole non statali la circolare prevedeva invece il pagamento del premio di Euro 10,40 a partire dal 1° luglio 2024.

Ovviamente l’entrata a regime dell’assicurazione potrebbe apportare modifiche anche significative alle regole appena viste. Non resta che attendere eventuali sviluppi futuri.

contratto di spedalità

Contratto di spedalità Contratto di spedalità: cos'è, normativa, contenuto, novità della Legge Gelli Bianco n. 24/2017 e responsabilità della struttura

Cos’è il contratto di spedalità?

Il contratto di spedalità è l’accordo che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria all’atto del ricovero. Questo contratto regola i diritti e i doveri di entrambe le parti, disciplinando sia gli aspetti assistenziali che quelli economici. Con l’introduzione della Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), la normativa sulla responsabilità sanitaria ha subito importanti modifiche, incidendo direttamente anche sulla disciplina del contratto di spedalità.

La normativa sul contratto di spedalità

Il contratto di spedalità è un contratto atipico, cioè non espressamente disciplinato dal Codice Civile, ma riconosciuto dalla giurisprudenza come un contratto a prestazioni corrispettive. Esso prevede che:

  • il paziente riceva cure mediche, assistenza e prestazioni sanitarie;
  • la struttura sanitaria garantisca servizi idonei e organizzazione adeguata;
  • il paziente corrisponda un pagamento se la prestazione è erogata in regime privatistico.

Questo contratto si applica sia alle strutture pubbliche (ospedali, ASL) sia a quelle private accreditate.

Contenuto del contratto di spedalità

Il contratto di spedalità comprende diverse obbligazioni a carico della struttura sanitaria:

  1. obbligo di prestare cure adeguate secondo le linee guida mediche;
  2. corretta gestione delle risorse umane e tecnologiche per garantire la sicurezza del paziente;
  3. rispetto del diritto all’informazione e al consenso informato;
  4. diligenza nella tenuta della cartella clinica e nella gestione dei dati sanitari;
  5. obbligo di garantire la continuità assistenziale in caso di trasferimento o dimissioni del paziente;
  6. messa a disposizione del personale, dei medicinali e delle attrezzature;
  7. fornitura di prestazioni alberghiere come vitto e alloggio.

Le novità introdotte dalla Legge Gelli-Bianco

La Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) ha ridefinito il sistema di responsabilità sanitaria, introducendo novità rilevanti per il contratto di spedalità.

  • Doppio regime di responsabilità:
    • contrattuale per la struttura sanitaria (art. 1218 c.c.);
    • extracontrattuale per il medico (art. 2043 c.c.), salvo che non vi sia un rapporto diretto tra paziente e medico (es. libera professione intramoenia).
  • Obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di copertura assicurativa, per garantire il risarcimento dei danni ai pazienti;
  • Definizione delle linee guida per la valutazione della condotta medica.
  • Maggior tutela per i pazienti, con regole più chiare sulla trasparenza delle cure e sulla responsabilità della struttura.

Responsabilità della struttura sanitaria

La struttura sanitaria è responsabile contrattualmente per le prestazioni rese nei confronti del paziente. Tale responsabilità può essere:

  • diretta, quando il danno è dovuto a difetti organizzativi (es. carenza di personale, attrezzature inadeguate);
  • indiretta, se il danno deriva dalla condotta negligente di un medico dipendente.

Onere della prova

Secondo la Cassazione, in caso di danno subito dal paziente, spetta alla struttura sanitaria dimostrare di aver adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni oppure che l’inadempimento della prestazione è dipesa da una causa non imputabile (Cassazione n. 5922/2024)

Termini di prescrizione

La responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ha un termine di prescrizione di 10 anni, mentre quella del medico libero professionista (extracontrattuale) si prescrive in 5 anni.

 

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matrimonio concordatario

Matrimonio concordatario: la guida Matrimonio concordatario: cos’è, normativa di riferimento, differenze con il matrimonio civile ed efficacia giuridica

Cos’è il matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario è una particolare forma di matrimonio religioso celebrato secondo il rito canonico della Chiesa cattolica che, grazie agli accordi stipulati tra lo Stato italiano e la Santa Sede, produce effetti anche nell’ordinamento civile. Esso rappresenta una delle principali applicazioni del principio di cooperazione tra Stato e Chiesa previsto dall’art. 7 della Costituzione italiana.

Il matrimonio concordatario, per effetto del Concordato tra Stato e Chiesa (Patti Lateranensi del 1929, modificati nel 1984), viene riconosciuto anche come matrimonio civile, a condizione che:

  • sia trascritto nei registri dello stato civile;
  • siano rispettati i requisiti richiesti dall’ordinamento italiano (es. capacità giuridica, assenza di impedimenti legali);
  • vi sia una dichiarazione congiunta delle parti, espressa davanti al parroco e al ministro di culto.

In sostanza, con un solo rito (quello religioso) si ottiene un doppio effetto: religioso e civile.

Normativa di riferimento

  • Art. 7 Cost.: riconosce l’autonomia e la sovranità della Chiesa cattolica, ma stabilisce la possibilità di accordi (Concordati) con lo Stato.
  • Concordato Lateranense (1929) e Accordo di Villa Madama (1984): regolano i rapporti tra Stato e Chiesa.
  • Articoli 82-116 del Codice civile: disciplinano i requisiti e gli effetti del matrimonio nell’ordinamento italiano.
  • Legge n. 121/1985: ratifica e dà esecuzione al nuovo Concordato tra Italia e Santa Sede.

Differenza tra matrimonio concordatario e matrimonio civile

Caratteristica

Matrimonio civile

Matrimonio concordatario

Rito

Celebrato davanti all’ufficiale di stato civile

Celebrato con rito religioso cattolico

Effetti civili

Immediati, con redazione dell’atto

Subordinati alla trascrizione nei registri civili

Normativa applicabile

Codice civile

Diritto canonico + Codice civile

Annullamento

Competenza del Tribunale ordinario

Possibile doppia via: Sacra Rota (nullità canonica) + Tribunale civile (scioglimento o cessazione)

Nel matrimonio civile vi è esclusiva valenza giuridica, mentre nel matrimonio concordatario si ha un’unione religiosa che acquista validità giuridica solo attraverso la trascrizione dell’atto presso lo stato civile del Comune competente.

Effetti civili del matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario produce effetti civili analoghi a quelli del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile, a partire dalla data della celebrazione, se vi è regolare trascrizione.

Principali effetti civili:

  • comunione o separazione dei beni;
  • obblighi di assistenza morale e materiale;
  • doveri di coabitazione e fedeltà (art. 143 c.c.);
  • diritti successori;
  • legittimazione dei figli;
  • regime patrimoniale e contributivo.

Se il matrimonio non viene trascritto nei registri dello stato civile, non produce effetti giuridici nell’ordinamento italiano, restando valido solo come atto religioso.

Scioglimento e nullità  

  • Il divorzio può essere richiesto presso il Tribunale civile, con le medesime modalità previste per il matrimonio civile, con la pronuncia di divorzio vengono meno gli effetti civili del matrimonio concordatario.
  • È possibile richiedere la nullità canonica presso i tribunali ecclesiastici (Sacra Rota), ma la relativa decisione deve essere riconosciuta dallo Stato con apposita delibazione da parte della Corte d’appello (ex art. 8 legge n. 121/1985).

Quando conviene il matrimonio concordatario?

Il matrimonio concordatario è preferito da chi intende unire il sacramento religioso alla rilevanza giuridica dell’unione, evitando una doppia cerimonia. È consigliabile in presenza di:

  • convinzioni religiose condivise dalla coppia;
  • desiderio di dare solennità religiosa all’unione senza rinunciare agli effetti legali.

 

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bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede il decreto attuativo Bullismo e cyberbullismo: in vigore dal 16 luglio 2025 il decreto legislativo che rafforza la prevenzione e il contrasto in attuazione della legge n. 70/2024

Bullismo e cyberbullismo: il decreto in vigore

Il decreto legislativo n. 99/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2025 per entrare in vigore il 16 luglio 2025.

Il testo recante”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo“, mira a rafforzare la prevenzione e il contrasto a entrambi i fenomeni, in attuazione della legge n. 70/2024, con cui si pone quindi in linea di continuità.

Bullismo e cyberbullismo: emergenza infanzia

Il nuovo decreto potenzia il servizio telefonico “emergenza infanzia 114”, estendendone l’operatività anche a questi fenomeni per tutelare i minori. Il 114, attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, offrirà una prima assistenza psicologica e giuridica, oltreché una consulenza psicopedagogica e segnalerà i casi gravi alle autorità. L’app del 114 includerà anche la geolocalizzazione (previa acquisizione del consenso) e un servizio di messaggistica istantanea. Il tutto ovviamente nel rispetto della privacy. I dati anonimi sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nelle scuole, raccolti dal 114, saranno trasmessi annualmente al Ministero dell’Istruzione e del Merito per programmare azioni di sensibilizzazione. Il sito web del 114 garantirà inoltre un’ ampia accessibilità ai servizi.

Indagini statistiche su bullismo e cyberbullismo

L’ISTAT condurrà rilevazioni biennali su questi fenomeni giovanili la fine di identificarne le caratteristiche, i soggetti a rischio, i fattori e le conseguenze psicologiche che producono. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invierà alle Camere un rapporto di sintesi con i risultati ISTAT e lo stato di attuazione delle misure nelle scuole secondarie.

Più responsabilità genitoriale

Il decreto aggiorna inoltre le comunicazioni dei fornitori di servizi online, richiamando però sul punto anche la responsabilità genitoriale prevista dall’ articolo 2048 del codice civile per i danni causati dai figli minori nel mondo online.

Campagne su uso responsabile della rete

La Presidenza del Consiglio promuoverà campagne informative sull’uso consapevole della rete e sui suoi rischi. Il Ministero dell’Istruzione e le scuole promuoveranno infine la conoscenza del numero 114, strumento fondamentale per esternare il disagio e chiedere aiuto.

 

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contributi volontari

Contributi volontari Contributi volontari: cosa sono, chi e quando vi può accedere, versamento, requisiti contributivi e differenze con i contributi figurativi

Cosa sono i contributi volontari?

I contributi volontari rappresentano un’opportunità per i lavoratori che hanno interrotto o cessato l’attività lavorativa. La finalità di questi contributi è di permettere di integrare i requisiti contributivi necessari per accedere alla pensione o, per chi è già in possesso dei requisiti, aumentare l’importo della futura rendita pensionistica.

Questi contributi possono essere versati per tutte le più importanti tipologie di pensione:

  • dirette (vecchiaia, anzianità, assegno di invalidità e inabilità);
  • indirette (reversibilità o superstiti).

Contributi volontari: chi e in quali casi vi può accedere

I contributi volontari riguardano i lavoratori che non svolgono più un’attività lavorativa, sia dipendente che autonoma, o che l’hanno interrotta. Anche gli iscritti alla Gestione Separata possono beneficiarne.

Essi servono a coprire periodi in cui il lavoratore:

  • non svolge alcuna attività lavorativa;
  • si trova in aspettativa non retribuita per motivi familiari o di studio;
  • ha un contratto part-time e vuole integrare la contribuzione.

Chi può versare i contributi volontari

Possono fare istanza per ottenere l’autorizzazione al versamento di questi contributi diversi soggetti. Essi però non devono essere già iscritti all’INPS o ad altre forme di previdenza obbligatoria per l’attività corrente.

Tra questi vi rientrano:

  • i lavoratori dipendenti e autonomi;
  • lavoratori parasubordinati;
  • liberi professionisti (se non iscritti alla propria Cassa o ad altra previdenza obbligatoria);
  • lavoratori dei fondi speciali di previdenza (telefonici, elettrici, personale di volo, ecc.);
  • titolari di assegno di invalidità o pensione indiretta (reversibilità o superstiti).

L’autorizzazione di solito viene concessa quando il rapporto di lavoro che ha generato l’obbligo assicurativo è cessato o interrotto. Una volta ottenuta, l’autorizzazione non decade mai. I versamenti quindi possono riprendere anche senza presentare una domanda nuova.   

Autorizzazione versamento contributi volontari: casi particolari

È importante notare che l’autorizzazione può essere concessa anche se il rapporto di lavoro non è del tutto cessato, in casi specifici come:

  • sospensioni dal lavoro assimilabili a interruzione o cessazione (es. aspettativa per motivi familiari).
  • sospensioni o interruzioni previste per legge o contratto (congedi per formazione, per gravi motivi familiari, aspettative non retribuite, ecc.), in alternativa al riscatto;
  • contratto di lavoro part-time per integrare i periodi a orario ridotto;
  • integrazione dei versamenti per attività agricola con meno di 270 giornate di contribuzione annue.

Inoltre, possono versare questi contributi anche alcune categorie di lavoratori e pensionati iscritti a forme di previdenza diverse dall’INPS, se autorizzati prima di determinate date.

Requisiti per l’autorizzazione al versamento

Per ottenere l’autorizzazione, il lavoratore deve dimostrare di possedere uno dei seguenti requisiti contributivi:

  • almeno cinque anni di contributi (260 contributi settimanali o 60 contributi mensili) in qualsiasi periodo;
  • almeno tre anni di contribuzione negli ultimi cinque anni precedenti la domanda.

Questi requisiti devono essere maturati con contribuzione effettiva (obbligatoria) o confluita tramite trasferimento, ricongiunzione, riscatto e alcuni tipi di contribuzione figurativa.

La decorrenza dell’autorizzazione e l’importo della contribuzione variano in base alla categoria di appartenenza del lavoratore.

Versamento e benefici fiscali

I contributi volontari possono essere versati comodamente tramite il servizio “Versamenti volontari” sul Portale dei pagamenti INPS, scegliendo tra:

  • pagamento online PagoPA;
  • avviso di pagamento PagoPA.

Uno dei vantaggi più significativi dei contributi volontari è la loro deducibilità fiscale. Essi possono essere indicati come “oneri deducibili” nella dichiarazione dei redditi.

Come fare domanda

La domanda per l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari deve essere presentata in modalità telematica tramite il servizio dedicato.

In alternativa, è possibile rivolgersi :

  • al Contact center INPS (numero 803 164 da rete fissa o 06 164 164 da rete mobile).
  • agli enti di patronato e agli intermediari abilitati dall’INPS.

Contributi volontari e figurativi: differenze

In sintesi le principali differenze tra contributi volontari e contributi figurativi.

I contributi volontari

  • vengono riconosciuti al lavoratore su domanda;
  • sono a carico del lavoratore;
  • servono per agevolare l’accesso alla pensione o aumentarne l’importo.

I contributi figurativi

  • vengono accreditati d’ufficio o su domanda del dipendente in relazione a periodi in cui non può lavorare (Es: maternità, cassa integrazione);
  • non comportano esborsi per il lavoratore e per il datore;
  • evitano che il lavoratore perda la continuità contributiva e quindi sono utili per il conseguimento e la misura della pensione.

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bollo auto

Bollo auto: le novità del decreto approvato dal Governo Bollo auto: uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri prevede possibili novità per il 2026

Bollo auto: novità in arrivo per il 2026?

Dal 1° gennaio 2026, il bollo auto subirà significative modifiche per i veicoli di nuova immatricolazione, rivoluzionando scadenze, modalità di pagamento e responsabilità. Le auto immatricolate prima di questa data continueranno a seguire le vecchie regole, salvo diverse disposizioni regionali. Lo prevede lo “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di tributi regionali e locali e di federalismo fiscale regionale n. 276” approvato dal Consiglio dei Ministri che fida attuazione alla delega fiscale, sottoposto a parere parlamentare.

Per approfondire vedi il Dossier del Senato della Repubblica

Nuove scadenze personalizzate

A partire dal 2026, la scadenza del bollo non sarà più fissa, ma personalizzata. Il pagamento dovrà essere effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di immatricolazione. La validità della tassa resterà di 12 mesi, la data di scadenza però sarà legata alla singola data di immatricolazione. Un cambiamento che richiederà maggiore attenzione da parte degli automobilisti.

Addio alla rateizzazione del bollo auto

Un’altra novità è rappresentata dall‘abolizione della possibilità di rateizzare il bollo per i veicoli immatricolati dal 2026. Attualmente, molte Regioni offrono pagamenti trimestrali o semestrali. Dal 2026, invece, il pagamento sarà annuale e in una soluzione unica. Le Regioni potranno comunque introdurre agevolazioni locali.

Bollo dovuto anche per veicoli fermi

Il bollo auto, dal 2026, sarà legato al possesso del veicolo, non al suo utilizzo. Questo significa che anche i veicoli sottoposti a fermo amministrativo o giudiziario dovranno comunque pagare regolarmente la tassa. L’unica eccezione per l’interruzione del pagamento sarà la perdita del possesso (furto, demolizione, esportazione).

Pagamento nei passaggi di proprietà

Le regole sui passaggi di proprietà saranno più chiare. Il bollo sarà a carico di chi risulta intestatario all’inizio del periodo tributario. Se un’auto viene venduta a maggio, ma il periodo del bollo inizia a marzo, il pagamento sarà a carico del venditore. Questo mira a ridurre i contenziosi e a semplificare la definizione delle responsabilità.

Bollo auto: importi e calcoli come sempre

Invariati gli importi e il calcolo. Il. Bollo continuerà infatti a essere determinato in base alla potenza del motore (kW) e alla classe ambientale. Anche il Superbollo per le auto con oltre 185 kW di potenza rimarrà in vigore. Le esenzioni regionali per auto elettriche, ibride o per disabili permarranno, ma le Regioni decideranno come riconfermarle.

Per facilitare i controlli, verrà istituito l’Archivio Nazionale delle Tasse Automobilistiche (ANTA), un database unico che integrerà le informazioni per una verifica più rapida delle posizioni fiscali dei veicoli.

 

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reato di sfregio

Reato di sfregio Reato di sfregio: cos’è, l’art. 583 quinquies c.p, caratteristiche del delitto, deformazione e sfregio, la sentenza della  Consulta n.83/2025

Reato di sfregio: cos’è

Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.

Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.

L’articolo 583 quinques c.p. 

L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio  al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.

Caratteristiche del reato di sfregio

Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.

La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.

Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.

Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,  è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.

La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.

Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi

Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.

Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.

Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.

 

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