whistleblowing

Il whistleblowing Whistleblowing: istituto introdotto dalla legge n. 190/2012 per consentire al lavoratore di segnalare illeciti garantendo allo stesso tutele specifiche

Whistleblowing: quadro normativo

Il whistleblowing è un tema di crescente importanza, sia a livello nazionale che internazionale, legato alla segnalazione di atti illeciti o comportamenti non etici all’interno delle organizzazioni pubbliche che private.

In Italia, questo concetto è stato formalmente introdotto dalla Legge 190/2012 e successivamente aggiornato con il Decreto Legislativo n. 24/2023, che recepisce la Direttiva UE 2019/1937 sul whistleblowing.

In questo articolo, analizziamo le principali normative italiane che regolano la protezione dei whistleblower, le implicazioni pratiche e come le aziende e le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adeguarsi alle nuove disposizioni.

Cos’è il Whistleblowing?

Il whistleblowing si riferisce alla pratica di segnalare comportamenti illeciti o scorretti all’interno di un’organizzazione. Le segnalazioni possono riguardare una vasta gamma di tematiche, come corruzione, frodi, malversazioni, discriminazioni, violazioni ambientali e altre attività dannose per l’interesse pubblico o aziendale. Il termine “whistleblower” identifica la persona che fa la segnalazione, solitamente un dipendente o collaboratore, che rivela illeciti o pratiche scorrette, spesso a rischio di ritorsioni.

Legge 190/2012:  la prima legge in Italia sul whistleblowing

La Legge 190/2012, nota anche come Legge Anticorruzione, ha rappresentato il primo passo significativo nella regolamentazione del whistleblowing in Italia. In particolare, l’articolo 54-bis, introdotto dalla Legge 190/2012 nel “D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 contenente le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” stabiliva la possibilità, per i dipendenti pubblici, di segnalare atti di corruzione o illeciti di cui erano venuti a conoscenza durante il loro servizio, senza temere ritorsioni. La legge stabiliva anche una procedura interna di segnalazione, obbligando le pubbliche amministrazioni ad adottare canali protetti e garantendo la riservatezza dell’identità del whistleblower. Per questo soggetto sono state previste specifiche misure di protezione per i whistleblower, come il divieto di licenziamento, demansionamento o penalizzazioni per chi segnala illeciti. Tuttavia, la legge 190/2012 si applicava esclusivamente al settore pubblico, limitando inizialmente l’efficacia della protezione.

Decreto Legislativo n. 24/2023: recepimento Direttiva UE 2019/1937

Il Decreto Legislativo n. 24/2023, entrato in vigore il 15 luglio 2023, rappresenta l’attuazione della Direttiva UE 2019/1937 (la Direttiva sul whistleblowing), che impone agli Stati membri dell’Unione Europea di adottare misure specifiche per proteggere i whistleblower e favorire la segnalazione di illeciti.

Tutele estese al settore privato

Il decreto estende la protezione anche al settore privato, una novità significativa rispetto alla legge del 2012, che riguardava solo la pubblica amministrazione. La nuova normativa prevede che anche le aziende private, con più di 50 dipendenti, debbano adottare canali interni sicuri per la segnalazione di illeciti, al fine di consentire ai dipendenti di segnalare abusi, frodi, comportamenti non etici e violazioni senza temere ripercussioni. Le piccole e medie imprese (PMI), con meno di 50 dipendenti, sono esonerate dall’obbligo di implementare tali canali, ma sono comunque invitate a fornire una modalità per la segnalazione.

Misure di protezione più severe

Il Decreto Legislativo n. 24/2023 introduce anche una serie di misure di protezione più rigorose, tra cui:

  • protezione contro le ritorsioni: i whistleblower non possono subire danni professionali, come licenziamenti, degradamenti o altre forme di discriminazione sul posto di lavoro a causa della loro segnalazione;
  • confidenzialità e anonimato: le segnalazioni devono avvenire attraverso canali sicuri e protetti, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante, anche nel caso in cui venga fatta una segnalazione anonima;
  • accesso a vie esterne: se la segnalazione interna non produce risultati o se il whistleblower teme ritorsioni, è prevista la possibilità di rivolgersi a autorità esterne come l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) o l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
  • obbligo di feedback: le aziende e le amministrazioni pubbliche sono tenute a fornire un feedback tempestivo alla persona che ha effettuato la segnalazione, informandola dell’esito della valutazione dell’illecito segnalato.

Implicazioni pratiche per aziende e PP.AA.

Con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 24/2023, le organizzazioni italiane, sia pubbliche che private, sono obbligate a conformarsi a nuove normative più stringenti in tema di whistleblowing. Le principali implicazioni comportano:

  • la creazione di canali di segnalazione: le aziende devono istituire modalità sicure e protette per la ricezione delle segnalazioni, garantendo la riservatezza e l’anonimato del whistleblower. Questi canali devono essere facilmente accessibili e garantire una protezione contro eventuali ritorsioni;
  • la formazione e la sensibilizzazione: le organizzazioni sono chiamate a sensibilizzare e formare i propri dipendenti sul tema del whistleblowing, evidenziando le modalità di segnalazione e le protezioni previste per chi denuncia;
  • monitoraggio e reporting: le aziende devono monitorare le segnalazioni ricevute e garantire la gestione corretta delle stesse, comunicando i risultati alle autorità competenti, se necessario, e ai whistleblower, garantendo trasparenza e rispetto delle tempistiche;
  • sanzioni in caso di inadempimento: le aziende che non rispettano gli obblighi previsti dal decreto legislativo possono incorrere in sanzioni amministrative.

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limite uso contante

Limite uso contante: dal 2027 a 10.000 euro Limite uso contante: il regolamento UE n. 1624/2024 fissa il limite a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027

Limite uso contante UE

Limite uso contante fino a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027. Lo stabilisce il regolamento UE n. 1624/2024. Il regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea e in vigore dal 9 luglio stabilisce nuove regole per l’uso del contante in Europa.

Dal 10 luglio anche l’Italia dovrà rispettare il nuovo tetto dei 10.000 euro per quanto riguarda l’uso dei contanti. Le finalità di queste misure, come sempre, sono principalmente due: ostacolare il reato di riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

Attualmente in Italia il tetto massimo stabilito per l’utilizzo dei contanti è di 5.000 euro, la metà rispetto a quello che l’Unione Europea vuole introdurre nel 2027.

Art. 80 Regolamento UE: uso contanti fino a 10.000 euro

A fissare il limite dei 10.000 euro è l’articolo 80 del regolamento UE 1624/2024 dedicato proprio ai “Limiti ai pagamenti in contanti di importo elevato in cambio di beni o servizi.”

Il comma 1 stabilisce infatti che: Le persone che commerciano beni o forniscono servizi possono accettare o effettuare un pagamento in contanti fino a un importo di 10 000 EURO o importo equivalente in valuta nazionale o estera, indipendentemente dal fatto che la transazione sia effettuata con un’operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate.” 

Il comma 2 non vieta agli Stati dell’UE di adottare limiti inferiori a quello di 10.000 euro previsto dal comma 1. Gli stessi devono però consultare preventivamente la Banca Centrale Europea.

Per quanto riguarda invece gli Stati che già applicano limiti inferiori,  potranno continuare ad adottarli con l’obbligo di notificare questi limiti alla Commissione UE entro, l’oramai trascorso, 10 ottobre 2024.

Eccezioni al limite dei 10.000 euro

Il comma 4 dell’articolo 80 stabilisce che il limite dei 10.000 euro non si applica:

a) ai pagamenti tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di una professione;

  1. b) ai pagamenti o ai depositi effettuati presso i locali degli enti creditizi, degli emittenti di moneta elettronica quali definiti all’articolo 2, punto 3), della direttiva 2009/110/CE e dei prestatori di servizi di pagamento quali definiti all’articolo 4, punto 11), della direttiva (UE) 2015/2366.”

Sanzioni nel caso in cui vi sia il sospetto che persone fisiche o giuridiche che agiscano nell’esercizio della loro professione violino i limiti imposti all’utilizzo del contante.

 

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salario minimo

Salario minimo: la guida Salario minimo: cos’è, come si stabilisce, a cosa serve e cosa prevede la Direttiva UE che gli Stati devono recepire entro il 15 novembre 2024

Salario minimo: che cos’è

Il salario minimo è la retribuzione minima del lavoratore. Si tratta della somma minima, sotto la quale non si può scendere, che i datori di lavoro devono riconoscere e corrispondere ai loro dipendenti, operai o impiegati.

In molti paesi il salario è stabilito per legge da più di un secolo, in altri invece deve ancora trovare uno spazio nella legislazione interna, come in Italia. La misura aspira a riconoscere ai lavoratori una retribuzione più adeguata ai bisogni tipici della società moderna.

Salario minimo: determinazione

Il salario minimo può essere determinato dalla legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale o dalla combinazione tra queste due fonti. In Italia la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva.

L’unico riferimento normativo che si limita a indicare i criteri di determinazione dell’importo della retribuzione e l’articolo 36 della Costituzione. La norma riconosce al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Essa deve essere corrisposta comunque in misura sufficiente a garantire al lavoratore stesso e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

A questa norma si ricollega l’articolo 39 della Costituzione. Esso che riconosce ai sindacati il potere di stipulare i contratti collettivi di lavoro vincolanti per i lavoratori della categoria a cui si riferisce il contratto specifico.

La situazione reale del nostro paese però è caratterizzata dalla mancata estensione dell’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori della categoria con conseguente moltiplicazione dei contratti stessi.

Riferimento normativo UE

Il salario minimo rappresenta l’oggetto della Direttiva 2022/2041, che è stata approvata il 14 settembre del 2022. Essa ha stabilito l’obbligo di recepimento da parte degli stati UE entro 2 anni dalla sua entrata in vigore. Gli Stati quindi devono adeguarsi alla Direttiva entro il 15 novembre 2024.

Questo perché in 21 paesi europei il salario minimo è già previsto e disciplinato, mentre in altri paesi UE come l’Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva e non appare equa e in grado di soddisfare le finalità della direttiva.

La Direttiva UE  2022/2041

La Direttiva europea 2022/2041 si pone l’obiettivo di garantire salari minimi in grado di assicurare ai lavoratori condizioni di lavoro, ma anche di vita, dignitose. Essa mira alla convergenza sociale verso l’alto e alla eliminazione delle differenze retributive.

La Direttiva, per sua natura, non può imporre agli Stati che ricorrono alla contrattazione collettiva di adottare un salario minimo per legge. Nello stesso modo non può imporre di dichiarare un contratto collettivo applicabile universalmente a tutti i lavoratori.

Per garantire uniformità essa prevede che gli Stati UE che abbiano già adottato i salari minimi legali debbano rideterminarli e aggiornarli per perseguire le finalità della normativa. Nei paesi che invece ne affidano la determinazione alla contrattazione collettiva la Direttiva la promuove nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali coinvolte.

La Direttiva prevede inoltre che gli Stati UE debbano essere monitorati. Ogni due anni dovranno infatti fornire alcuni dati alla Commissione UE. Questi dati variano a seconda che il salario minimo sia definito con legge o tramite contrattazione collettiva.

I progetti di legge in materia

Nel corso della precedente legislatura e di quella in corso sono stati presentati diversi progetti di legge sul salario minimo.

Per approfondire leggi la documentazione parlamentare dedicata al “Salario Minimo”

In particolare, il 2 ottobre scorso, la commissione lavoro del Senato, ha avviato l’esame congiunto dei ddl 126 e 281 e dei ddl 956 e 957, quest’ultimo già approvato dalla Camera (“Equa retribuzione”), che prevede una delega al governo in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia della contrattazione collettiva, introducendo strumenti per aumentare i salari minimi.
Nis 2

NiS 2: cosa cambia con la nuova direttiva UE L’Italia ha recepito la Direttiva europea 2022/2555, relativa a misure per un livello comune elevato di cybersicurezza nell’Unione, la cosiddetta NIS 2 in vigore dal 16 ottobre 2024. Vediamo cosa cambia per la sicurezza informatica

NIS 2: il governo recepisce la direttiva

La NIS 2 è la nuova direttiva UE sulla cyber security, ossia l’insieme di tecnologie, processi e misure di protezione progettate per ridurre il rischio di attacchi informatici.

Il Governo in data 7 agosto 2024 ha approvato definitivamente lo schema del decreto legislativo, che ha recepito la NIS 2, la Direttiva europea (direttiva UE 2022/2555), relativa a misure per un livello comune elevato di cybersicurezza nell’Unione, con la quale si introducono le misure per un livello comune elevato di Cybersicurezza nell’Unione europea.

Il decreto legislativo n. 138/2024, di recepimento della direttiva UE è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 ottobre per entrare in vigore il 16 ottobre 2024.

L’Agenzia per la Cybesicurezza nazionale (ACN)

Come si evince dal testo, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) assume un ruolo chiave nella supervisione dell’attuazione della Nis 2, con poteri di vigilanza nonché di previsione di sanzioni elevate in caso di inosservanza della normativa sulla cybersicurezza, con possibilità di disporre la misura dell’incapacità temporanea per i dirigenti.

Gli altri punti chiave della NIS 2

Nello specifico, la Direttiva stabilisce una serie di requisiti fondamentali che le organizzazioni devono soddisfare per garantire un elevato livello di sicurezza informatica e che includono: politiche di analisi dei rischi e di sicurezza informatica, nonchè la gestione degli incidenti.  

Obblighi per gli operatori manager e personale

La Direttiva NIS 2 stabilisce in primo luogo che gli operatori, organi di amministrazione e organi direttivi inclusi nel proprio  campo di applicazione dovranno adottare misure tecniche, operative e organizzative adeguate e proporzionate per gestire i rischi connessi alla sicurezza dei sistemi informatici e delle reti e saranno obbligati a notificare all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale,  senza indebito ritardo, eventuali incidenti che abbiano un impatto significativo sulla fornitura dei loro servizi.

A tal fine sono previsti corsi di formazione obbligatori ed essenziali a garantire l’acquisizione di conoscenze e competenze.

Notifiche degli incidenti al CSRT Italia e relative sanzioni

Gli operatori distinti in essenziali e importanti, in base alle loro competenze ed obblighi,  sono tenuti a notificare all’ACN, – che in Italia assume il nome di CSRT Italia – senza ritardo, e non appena ne vengono a conoscenza e comunque entro le 24 ore in via preliminare e non oltre le 72 ore in maniera dettagliata ,  dell’incidente informatico significativo.

Le amministrazioni centrali, regionali e locali, comprese le ASL e i comuni con più di 100 mila abitanti, sono coinvolti in prima linea nella risposta.

La Direttiva prevede diverse sanzioni severe in funzione del fatto che un operatore sia qualificato come essenziale o come importante.

Nel merito, scattano da parte dell’ACN, dopo la diffida:

  • per i soggetti essenziali, possono arrivare fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato annuo globale;
  • per i soggetti importanti, fino a 7 milioni di euro o all’1,4% del fatturato annuo globale.

Viene introdotta anche la possibilità di incapacità temporanea per dirigenti che non rispettano le normative.

La Cultura come settore da proteggere

l’Italia, unica in Europa, ha inserito la Cultura – e in particolare i soggetti che svolgono attività di interesse culturale – tra i settori critici e strategici maggiormente da proteggere dal punto di vista della cybersecurity. Il controllo e l’attenzione da parte degli organi è tanto maggiore quanto più  lo sono i soggetti che gestiscono la cultura, operano in territori per i quali queste attività rappresentano un asset fondamentale, come ad esempio le città d’arte.

Basti pensare all’interruzione dell’erogazione online dei ticket per accedere al Colosseo, avvenuta lo scorso anno, a causa di un attacco cibernetico.

 

Leggi anche Cybersicurezza e reati informatici: legge in vigore dal 17 luglio

whistleblowing

Whistleblowing: riorganizzazione struttura come atto ritorsivo È possibile qualificare la riorganizzazione della struttura organizzativa come atto ritorsivo contro il segnalante ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 (“Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”)?

La delibera ANAC

Con la delibera n. 380/2024 del 30 luglio (pubblicata il 20 settembre 2024), l’ANAC ha dichiarato ritorsivi i provvedimenti assunti dal direttore di un’agenzia pubblica nei confronti di un dirigente. Il direttore avrebbe, infatti, assunto comportamenti punitivi sul dirigente tali da impattare negativamente sulle attribuzioni e sulla posizione del dirigente. L’ANAC a seguito di istruttoria ha comminato al direttore una sanzione pecuniaria di 10.000,00 euro.

In particolare, il dirigente aveva segnalato al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’agenzia, in cui egli lavorava, alcuni presunti illeciti a carico del direttore dell’ agenzia, tra cui: (i) l’attribuzione di incarichi in violazione della procedura interna dell’agenzia e (ii) un presunto conflitto di interessi consistente nel fatto che  il direttore risultava comproprietario di una società erogatrice di servizi molti dei quali assimilabili per natura a quelli forniti dall’agenzia.

Atti ritorsivi

A seguito di tale segnalazione, il dirigente aveva iniziato ad essere vittima di gravi atti ritorsivi nei suoi confronti.  Tra i più eclatanti: la rimozione della sua posizione lavorativa – avvenuta mediante disposizioni di formale riorganizzazione della struttura, adottate alcuni giorni dopo la segnalazione e proseguite nelle settimane successive – nonché una valutazione delle performance molto negativa, dopo anni di punteggi elevati.

Il dirigente aveva quindi segnalato tali condotte, in prima battuta, mediante il canale di segnalazione interna di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 24/2023[1] e, non avendo ricevuto riscontro, successivamente all’ANAC, chiedendo l’accertamento della natura ritorsiva dei comportamenti subiti.

Dirigente qualificato come whistleblower

L’ANAC, a seguito di una approfondita istruttoria, ha ritenuto che:

  • la segnalazione ricevuta integrava pienamente i presupposti normativi per qualificare il dirigente come whistleblower ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 e, quindi, per applicare la tutela normativamente prevista;
  • il canale di segnalazione interna all’agenzia non aveva garantito la dovuta riservatezza del segnalante;
  • la rotazione del personale nelle posizioni dirigenziali – giustificazione adottata dal direttore a fondamento degli atti di riorganizzazione – era unicamente un espediente utilizzato per danneggiare il segnalante;
  • nelle memorie presentate dal direttore non era stata indicata alcuna prova a discarico.

La nuova disciplina del D.Lgs. 24/2023

L’importanza della delibera ANAC si nota in particolare con riferimento a due profili che sono estrinsecazione dell’applicazione della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 24/2023:

  • L’ANAC ha infatti sanzionato direttamente l’autore della ritorsione (ossia il direttore dell’agenzia), con applicazione di una sanzione pecuniaria, in considerazione dell’uso distorto della funzione da lui esercitata;
  • nonostante il caso oggetto di decisione sia relativo a una disposizione previgente (articolo 54-bis, del Dlgs 165/2001, oggi abrogato), le relative previsioni sono state incorporate ed estese nell’articolo 21 del d.lgs. n.24/2023. Restano pienamente attuali i parametri in base ai quali è stata applicata dall’ANAC la tutela del segnalante contro gli atti ritorsivi nel rapporto di lavoro, così come la sanzione contro l’autore della ritorsione.

Il d.lgs. n. 24/2023, infatti, prevede espressamente che i lavoratori del settore pubblico e privato possono comunicare all’ANAC le ritorsioni che ritengono di aver subito (articolo 19, primo comma), con apertura dell’istruttoria (rispetto alla quale l’ANAC può avvalersi dell’Ispettorato della funzione pubblica e dell’Ispettorato nazionale del lavoro). Inoltre, se viene accertata la natura ritorsiva di una condotta nei confronti del segnalante, i relativi atti sono affetti da nullità (articolo 19, terzo comma) e l’ANAC può applicare una sanzione pecuniaria sino a 50.000 euro direttamente a carico del responsabile della ritorsione (articolo 21, numero 1, lettera a).

Riorganizzazione struttura vale come atto ritorsivo

In conclusione, alla luce della nuova delibera ANAC è stato stabilito che la riorganizzazione della struttura organizzativa può essere considerata come un atto ritorsivo nei confronti del segnalante se e quando sia utilizzata come mero espediente per danneggiare lo stesso e la misura di riorganizzazione sia stata attuata “per mere ragioni di opportunità” da parte del soggetto agente.

 

[1] Giova rilevare che il canale di segnalazione interna affinché sia conforme alle esigenze imposte dal d.lgs. n. 24/2023 deve prevedere strumenti di trasmissione-ricezione delle segnalazioni che garantiscano, anche attraverso il ricorso alla crittografia, la riservatezza (i) dell’identità della persona segnalante, (ii) della persona coinvolta, (iii) della persona comunque menzionata nella segnalazione, (iv) del contenuto della stessa e (v) della relativa documentazione. La gestione di siffatto canale deve essere affidata una persona o a un ufficio interno autonomo con personale specificamente formato ovvero a un soggetto esterno che si dimostri, parimenti, autonomo e dotato di risorse formate da impiegare nel processo.

seggiolini auto

Seggiolini auto: nuove regole dal 1° settembre 2024 Seggiolini auto: dal 1° settembre 2024 è in vigore il Regolamento 129 che prevede obblighi diversi in base alla statura del minore

Seggiolini auto: dal 1° settembre in vigore le regole ECE R129

Nuove regole per i seggiolini auto dal 1° settembre 2024. Da questa data sono cambiati infatti i criteri dei sistemi di ritenuta per i bambini. I seggiolini non sono più catalogati in base al peso.

Il Regolamento Europeo 129  cataloga infatti i seggiolini in base all’altezza del minore, sostituendo la normativa ECE R44. I seggiolini omologati in base alle previsioni di questa normativa infatti non possono essere più venduti.

Seggiolini auto adeguati al peso: art. 172 Codice della Strada

A dire il vero il criterio della statura per i seggiolini auto dei bimbi non è una novità assoluta per il nostro ordinamento. L’articolo 172 del Codice della Strada, che disciplina l’uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta e sicurezza per bambini, al comma 1 stabilisce che i minori di statura inferiore a 1,5 m “devono essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta per bambini, adeguato al loro peso, di tipo omologato secondo le normative stabilite dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conformemente ai regolamenti della commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite o alle equivalenti direttive comunitarie.”

Le nuove regole ECE R129

Le nuove regole Europee sui seggiolini auto per i bambini prevedono il rispetto di diverse nuove regole.

  • Per bambini di età compresa tra 0 e 15 mesi occorre installare il seggiolino in direzione contraria a quella del senso di marcia. In questo modo si riescono a proteggere meglio il collo e la testa del minore.
  • Per bambini di altezza non superiore ai 105 cm di altezza c’è anche l’obbligo di utilizzare il sistema Isofix, un sistema standardizzato internazionale per ancorare il seggiolino al sedile, senza dover utilizzare le cinture di sicurezza.
  • Per bambini di altezza superiore ai 105 cm fino ai 150 cm, in genere ragazzini fino ai 2 anni di età, il seggiolino deve essere posizionato nello stesso senso di marcia. Previste inoltre le cinture di sicurezza o il sistema Isofix, che in questo caso però non è obbligatorio.

Sistema sanzionatorio

Per chi trasgredisce le sanzioni sono piuttosto severe:

  • La multa minima è di Euro 80,00, quella massima di euro 323,00. Prevista inoltre la decurtazione di 5 punti dalla patente di guida.
  • Chi commette la stessa violazione per due volte nell’arco temporale di due anni può andare incontro anche alla sospensione della patente da un minimo di 15 giorni fino a un massimo di due mesi.
nuovi limiti contante

Nuovi limiti contante anche per le prepagate Nuovi limiti contante per chi entra ed esce dai paesi UE, per chi li supera e non lo dichiara sequestro e sanzioni

Denaro contante: limiti per chi entra ed esce dall’UE

Nuovi limiti contante, novità in arrivo. Il limite attuale per l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni in Italia è di 5.000 euro. Nessun limite di importo invece è previsto per chi desidera tenere in casa dei contanti per affrontare delle spese che ha in programma. Il discorso cambia ancora quando ci si reca all’estero. Per chi entra o esce dall’Europa è infatti previsto il divieto di detenere importi superiori a 10.000 euro.

Adeguamento alla normativa UE

Il Governo ha infatti approvato un decreto legislativo finalizzato ad adeguare la normativa interna al Regolamento UE 2018/1672, che riguarda i controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dell’UE.

Il testo però prevede dei limiti che, ad essere ben precisi, non si riferiscono solo al denaro contante, ma anche alle carte prepagate e ad altri mezzi di pagamento.

Chi decide quindi di recarsi in un paese UE deve quindi tenere conto di questo limite. Chi detiene ad esempio dei contanti e una carta prepagata e superi il valore di superiore ai 10.000 euro ha l’obbligo di farne denuncia alla dogana.

Denaro contante e altri valori da dichiarare

I imiti di valore imposti per il passaggio in entrata e in uscita dai paesi UE è previsto al fine di scongiurare la commissione del reato di riciclaggio e di reati strumentali al finanziamento di attività criminali.

Detto questo, il limite dei 10.000 euro previsto dal Regolamento UE a cosa si riferisce?

Senza dubbio al denaro contante, a seguire agli assegni turistici come i traveller’s chèque, agli assegni, ai vaglia cambiari, agli ordini di pagamento al portatore emessi senza indicazione specifica del nome del beneficiario, a quelli emessi in favore di un beneficiario fittizio, o a quelli che richiedono la sola consegna per il passaggio del titolo.

Il soggetto che porti con sé uno o più dei suddetti strumenti di pagamento per un valore superiore ai 10.000 euro deve dichiararlo all’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane entro 30 giorni.

Il limite di importo deve essere rispettato anche se il denaro o uno degli altri strumenti di pagamento interessati vengono inviati in un plico a mezzo posta. Non occorre cioè che la persona li porti con sé.

Mancata dichiarazione denaro contante

Lo schema del decreto legislativo prevede il sequestro e l’applicazione di sanzioni piuttosto elevate nei confronti di coloro che non dichiarano il superamento del limite di importo dei 10.000 euro. Vediamo in che termini e in che misura.

Sequestro percentuale

Per quanto riguarda la parte di importo non dichiarato il decreto prevede

  • il sequestro nella misura del 50% se il valore supera la soglia dei 10.000 euro fino ai 20.000 euro;
  • la percentuale del sequestro sale al 70% per importi fino a 100.000,00 euro;
  • il sequestro infine è totale se, al netto della soglia, l’importo supera i 100.000 euro.

Nei casi in cui il soggetto fornisca informazioni inesatte sull’importo è previsto il sequestro:

  • nella misura 25% se la differenza tra quanto dichiarato e quanto si vuole trasferire non supera i 10.000 euro;
  • la percentuale sale al 35% per importi fino a 30.000,00 euro;
  • passa al 70% se la differenza non supera i 100.000,00 euro;
  • è totale infine se si supera l’importo di 100.000,00 euro.

Sanzioni amministrative

Previste inoltre sanzioni amministrative quantificate nelle seguenti misure percentuali:

  • 15% per valori soglia fino a 20.000,00euro;
  • 30% per importi non superiori a 40.000,00 euro;
  • 100% se si supera la soglia di 40.000,00 euro.

Le sanzioni previste per le informazioni inesatte vengono applicate invece con aliquote variabili dal 10 al 100%.

 

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Allegati

intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: divieti e sanzioni Intelligenza artificiale: le disposizioni del Regolamento UE 2024/1689 prevedono anche divieti e sanzioni non allineati dal punto di vista temporale

Intelligenza Artificiale: i divieti del regolamento UE

Divieti e sanzioni in materia di intelligenza artificiale. Il regolamento UE 2024/1689 che stabilisce le regole di armonizzazione sull’intelligenza artificiale contiene anche disposizioni dedicate alle pratiche vietate e alle sanzioni. Occorre tuttavia segnalare un certo disallineamento temporale tra i sistemi AI vietati e le sanzioni amministrative. I divieti dei sistemi di intelligenza artificiale più pericolosi sono infatti vietati a partire dal 2 febbraio del 2025, mentre le sanzioni potranno essere applicate dal 5 agosto 2025.

Pratiche di intelligenza artificiale vietate

I divieti relativi alle pratiche di intelligenza artificiale sono contenuti nell’articolo 5 del Regolamento.

Tutela dei diritti fondamentali

I divieti sono finalizzati a tutelare tutte quelle pratiche che possono ledere i diritti fondamentali delle persone.

  • È vietato utilizzare l’IA per manipolare le persone a loro insaputa, influenzando le loro decisioni in modo da causare danni significativi.
  • Non è permesso sfruttare le vulnerabilità di alcuni gruppi specifici (anziani, disabili o persone in situazioni economiche difficili) per manipolarne il comportamento.
  • È proibito creare sistemi che assegnano punteggi sociali alle persone. Questo potrebbe dare vita a discriminazioni.
  • Non si può utilizzare l’IA per predire la commissione di un reato basandosi solo su un profilo personale.
  • È fatto divieto di creare o ampliare banche dati di riconoscimento facciale tramite la raccolta indiscriminata di immagini da internet.
  • Non è consentito utilizzare l’IA per inferire le emozioni delle persone in ambienti lavorativi o scolastici. Le uniche eccezioni sono rappresentate da motivi medici o di sicurezza.
  • È proibito classificare le persone in base ai dati biometrici per trarre conclusioni su caratteristiche sensibili come la razza, le opinioni politiche o la sessualità.
  • L’impiego della biometria in tempo reale in spazi pubblici per finalità di sorveglianza è in genere vietato. Poche le eccezioni specifiche, come la ricerca di persone scomparse o la prevenzione di attacchi di stampo terroristico.

In base a quanto sancito dall’articolo 113 del Regolamento il capo II del Regolamento, che contiene anche il suddetto articolo 5 sulle pratiche vietate, si applica a partire dal 2 febbraio 2025.

Sanzioni amministrative

Il regolamento prevede l’applicazione di sanzioni amministrative qualora vengano violate le pratiche di AI vietate dall’articolo 5 appena analizzato, all’articolo 99 paragrafo 3.

La disposizione prevede nello specifico l’applicazione di sanzioni amministrative di importo fino a 35.000 euro. Qualora il responsabile del reato sia un’impresa, la sanzione viene applicata nella misura fino al 7% del fatturato annuo mondiale relativo all’anno precedente, se superiore.

In base a quanto previsto dall’articolo 113 del Regolamento l’articolo 99, compreso nel capo XII e dedicato appunto alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle pratiche vietate, è applicabile a partire dal 2 agosto 2025.

 

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Green Deal: dal 18 agosto in vigore il regolamento UE Il Green Deal europeo ha compiuto un altro passo fondamentale con l'entrata in vigore del regolamento UE sul "Ripristino della natura

Green Deal: il regolamento UE sul ripristino della natura

Il Green Deal europeo dal 18 agosto 2024 compie un altro passo fondamentale. In vigore il Regolamento UE sul “ripristino della natura” per ricostruire le biodiversità dei Paesi dell’Unione Europea e per conseguire gli obiettivi climatici prefissati.

Green Deal: cos’è

Il Green Deal, più nel dettaglio, è un programma piuttosto ambizioso messo a punto dalla Commissione Europea per fare fronte agli impegni internazionali dell’Agenda 2030 e dell’Accordo di Parigi.

Il Green Deal però non è solo tutela dell’ambiente, è anche crescita economica sostenibile per trasformare l’Unione Europea.

Tre gli obiettivi fondamentali:

  • raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050;
  • utilizzo più efficiente delle risorse;
  • tutela del capitale umano e dell’ambiente.

Le misure del Green Deal

Con il termine “ripristino della natura” il Regolamento si riferisce al processo finalizzato ad aiutare in modo attivo o passivo la “ristrutturazione” dell’ecosistema. L’obiettivo finale è il rafforzamento della biodiversià e la resilienza degli ecosistemi.

Le misure di ripristino devono essere attuate nelle seguenti tappe:

  • entro il 2030 su almeno il 30 % della superficie totale non in buono stato di tutti i tipi di habitat indicati nell’all’allegato I;
  • entro il 2040 su almeno il 60 % e entro il 2050 su almeno il 90 % della superficie non in buono stato di ciascun gruppo di tipi di habitat indicati nell’allegato I.

Il Regolamento UE all’articolo 5 si occupa anche del ripristino degli ecosistemi marini. L’articolo 6 invece disciplina la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Di estremo interesse le regole sul ripristino degli ecosistemi urbani, della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali, così come il ripristino delle popolazioni di impollinatori e degli ecosistemi agricoli e forestali. Prevista inoltre la messa a dimora di 3 miliardi di nuovi alberi.  

Ripristino della natura: i piani nazionali

Il Regolamento prevede che ogni Stato membro predisponga un piano nazionale di ripristino ed effettui il monitoraggio e le ricerche opportune al fine di individuare le misure necessarie a conseguire gli obiettivi fissati dal regolamento. A tal fine gli Stati devono quantificare la superficie di ogni habitat da ripristinare.

Ciascun piano nazionale deve coprire il periodo fino al 2050 e contenere scadenze intermedie corrispondenti agli obiettivi prefissati.

Entro il 30 giugno del 2032 ogni Stato deve rivedere il proprio piano nazionale includendovi eventuali misure aggiuntive. Il riesame deve essere poi ripetuto una volta ogni 10 anni. Anche in questo caso possono essere previste misure aggiuntive.

Agli Stati viene richiesto inoltre, ai sensi dell’articolo 20, di compiere un’attenta attività di monitoraggio degli habitat e di provvedere periodicamente, in base a quanto stabilito dall’articolo 21, a comunicare per via elettronica determinati dati alla Commissione Europea per aggiornarla sull’evoluzione e sulle problematiche dell’attività di ripristino.

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ai act legge europea intelligenza artificiale

AI Act: la legge europea sull’intelligenza artificiale In vigore dal 1° agosto 2024 la legge sull'intelligenza artificiale che mira a garantire i diritti fondamentali dei cittadini europei e al contempo detta misure specifiche sull'IA nella giustizia

AI Act in vigore

Il Consiglio Ue ha approvato in via definitiva, il 21 maggio 2024, il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (AI Act) che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale. Le nuove disposizioni sono applicabili a due anni dall’entrata in vigore del Regolamento, con alcune eccezioni, tra cui i divieti e le disposizioni generali, operativi già dopo sei mesi e gli obblighi, applicabili dopo 36 mesi, ai sistemi considerati ad alto rischio.

Il Regolamento UE 1689/2024, che introduce regole, obblighi e divieti sull’intelligenza artificiale, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 12 luglio 2024 ed è entrato in vigore il 1° agosto 2024.

La rilevanza del rischio

L’intervento normativo in esame è fondato su un sistema di misurazione del rischio definito in modo chiaro; ciò significa che maggiore è il rischio di causare danni, più severe saranno le norme volte a disciplinare la materia dell’intelligenza artificiale.

Tale approccio si tradurrà nell’introduzione di obblighi di trasparenza meno gravosi per gli ambiti interessati dall’intelligenza artificiale che presentano un rischio limitato, mentre, al contrario, i sistemi di AI considerati ad alto rischio saranno sottoposti a limiti e obblighi più stringenti per poter essere utilizzati all’interno dell’Unione Europea.

Categorie di intelligenza artificiale

In generale, è possibile distinguere le seguenti categorie di intelligenza artificiale, individuate in base alla diversa valutazione del rischio che le caratterizza:

  • sistemi di AI vietati perché implicano un rischio inaccettabile, quali, a mero titolo esemplificativo, l’AI che sfrutta la manipolazione comportamentale cognitiva e il riconoscimento delle emozioni in determinati ambiti;
  • sistemi di AI ad alto rischio ma consentiti nel rispetto di stringenti condizione e requisiti;
  • sistemi di AI a rischio basso o minimo.

Obblighi di trasparenza

Il Regolamento spiega che per trasparenza “si intende che i sistemi di IA sono sviluppati e utilizzati in modo da consentire un’adeguata tracciabilità e spiegabilità, rendendo gli esseri umani consapevoli del fatto di comunicare o interagire con un sistema di IA”.

I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere progettati in modo da consentire ai fornitori di comprendere il funzionamento del sistema di IA, valutarne la funzionalità e comprenderne i punti di forza e i limiti. I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere accompagnati da informazioni adeguate sotto forma di istruzioni per l’uso.

Intelligenza artificiale nella giustizia

Nel provvedimento normativo si legge che “Alcuni sistemi di IA destinati all’amministrazione della giustizia e ai processi democratici dovrebbero essere classificati come sistemi ad alto rischio, in considerazione del loro impatto potenzialmente significativo sulla democrazia, sullo Stato di diritto, sulle libertà individuali e sul diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”.

L’utilizzo di strumenti di IA, precisa il provvedimento, può fornire “sostegno al potere decisionale dei giudici o all’indipendenza del potere giudiziario, ma non dovrebbe sostituirlo: il processo decisionale finale deve rimanere un’attività a guida umana. Non è tuttavia opportuno estendere la classificazione dei sistemi di IA come ad alto rischio ai sistemi di IA destinati ad attività amministrative puramente accessorie, che non incidono sull’effettiva amministrazione della giustizia nei singoli casi”.

Punteggio sociale

La legge si occupa anche di indicare i sistemi di intelligenza artificiali che, consentendo di attribuire un punteggio sociale alle persone fisiche, possono portare “a risultati discriminatori e all’esclusione di determinati gruppi. Possono inoltre ledere il diritto alla dignità e alla non discriminazione e i valori di uguaglianza e giustizia. Tali sistemi di IA valutano o classificano le persone fisiche o i gruppi di persone fisiche sulla base di vari punti di dati riguardanti il loro comportamento sociale in molteplici contesti o di caratteristiche personali o della personalità”.

In considerazione dei rischi sopra indicati, il testo stabilisce che tali sistemi dovrebbero pertanto essere vietati, senza, tuttavia, che vengano pregiudicate le “pratiche lecite di valutazione delle persone fisiche effettuate per uno scopo specifico in conformità del diritto dell’Unione e nazionale”.

Istituzione di organi di governo

Nell’ambito dell’intervento normativo in esame è stato istituito:

  • l’ufficio per l’IA per mano della Commissione europea, con “la missione di sviluppare competenze e capacità dell’Unione nel settore dell’IA e di contribuire all’attuazione del diritto dell’Unione in materia di IA”;
  • il gruppo di esperti scientifici indipendenti avente la finalità di “integrare i sistemi di governance per i modelli di IA per finalità generali” e “sostenere le attività di monitoraggio dell’ufficio per l’IA”, anche fornendo “segnalazioni qualificate all’ufficio per l’IA che avviano attività di follow-up quali indagini”;
  • il comitato europeo, composto da rappresentanti degli Stati membri, per l’intelligenza artificiale che “dovrebbe sostenere la Commissione al fine di promuovere gli strumenti di alfabetizzazione in materia di IA, la sensibilizzazione del pubblico e la comprensione dei benefici, dei rischi, delle garanzie, dei diritti e degli obblighi in relazione all’uso dei sistemi di IA”;
  • il forum consultivo, cui è affidato il compito di “raccogliere il contributo dei portatori di interessi all’attuazione del presente regolamento, a livello dell’Unione e nazionale”.

Sistema sanzionatorio

Il testo stabilisce che la violazione di quanto previsto dall’art. 5 del Regolamento in tema di “Pratiche di IA vietate” è “soggetta a sanzioni amministrative pecuniarie fino a 35 000 000 EUR o, se l’autore del reato è un’impresa, fino al 7 % del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore”.

Il DDL italiano sull’AI

Per completezza, si ricorda che il 24 aprile scorso, il Governo italiano ha approvato un disegno di legge in materia di intelligenza artificiale.

In particolare, l’intervento normativo italiano si propone di introdurre criteri regolatori volti a equilibrare “il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso”.

Il disegno di legge in questione non verrà superato dalla nuova normativa europea, al contrario, i due impianti normativi sono destinati ad integrarsi e ad armonizzarsi tra di loro.

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