Quesito con risposta a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone
Poiché l’art. 1189 c.c. è diretto a tutelare il solo debitore che paghi il creditore che appia “univocamente” tale, cioè la situazione in cui il pagamento avvenga in mancanza di un conflitto, noto al debitore, sulla relativa legittimazione, tale disposizione non è, di regola, applicabile nel caso in cui siano espressamente rivolte al debitore, prima del pagamento, pretese contrastanti da diversi potenziali aventi diritto (disponendo del resto il debitore di diversi e adeguati strumenti di tutela della sua posizione, per tale eventualità), salvo solo il caso eccezionale in cui alcune di suddette pretese appaiono, già prima facie, manifestamente infondate e pretestuose ovvero vi sia un ordine giudiziale che imponga il pagamento in favore di uno dei pretendenti (Cass., sez. III, 23 ottobre 2024, n. 27439 (pagamento al creditore apparente).
Nel caso di specie, il Supremo Consesso compie una precisa ricognizione del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c., che disciplina il pagamento effettuato dal debitore nei confronti di colui che appare essere il creditore (creditore apparente). In virtù di tale articolo, il legislatore ha stabilito che il debitore è liberato dall’adempimento dell’obbligazione allorquando dia prova di aver eseguito la prestazione nei confronti di un soggetto che, senza essere il creditore o, comunque, un soggetto legittimato ex art. 1188 c.c., appaia essere legittimato in base a circostanze univoche e dimostra, altresì, di essere stato in buona fede. Di talché, dall’analisi della disposizione in esame emerge che affinché l’adempimento in favore di un soggetto diverso da quello legittimato a riceverlo determini la liberazione ex art. 1189 c.c., occorre che ricorrano due distinti presupposti: uno di carattere soggettivo (la buona fede del debitore) e l’altro di carattere oggettivo (le circostanze univoche che facciano apparire il ricevente come soggetto legittimato). La ratio della norma è, dunque, quella di tutelare l’affidamento incolpevole del debitore che in buona fede ritiene di adempiere la sua obbligazione, pagando il creditore legittimato a riceve la prestazione (e non il creditore apparente).
Sulla base di tale analisi, i giudici della Corte di Cassazione, nella sentenza oggetto di attenzione, hanno ravvisato la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1189 c.c., da parte dei giudici della Corte d’Appello di Milano, poiché questi non avevano valutato, nell’individuare l’effettivo titolare del diritto di pagamento, una pluralità di circostanze di fatto, tra cui l’esistenza di più creditori rispetto al premo assicurativo. Invero, nel momento in cui vengono avanzate più pretese in ordine al pagamento dell’obbligazione, tra loro contrastanti e ad opera di soggetti diversi, è palese la sussistenza di una controversia in punto di autenticità delle sottoscrizioni (precedente effettuate) e, quindi, di riflesso, anche sulla autenticità della titolarità del diritto al pagamento.
Ciò posto, la Corte di Cassazione stabilisce che la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano sia inficiata da un vizio c.d. di sussunzione, poiché ha ricondotto nell’alveo del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c. una fattispecie concreta che, in realtà, non rientra in tale campo applicazione. Difatti, la disciplina enucleabile dall’art. 1189 c.c. non è passibile di applicazione allorquando, in primo luogo, siano avanzate – espressamente – al debitore pretese tra loro contrastanti e provenienti da soggetti in conflitto tra loro circa l’adempimento di un’obbligazione e, in secondo luogo, quando non sussistono circostanze oggettive ovvero univoche che inducono il debitore ad effettuare il pagamento nei confronti di uno dei “creditori”.
La Corte di Cassazione, conclude, stabilendo che in tali casi viene in soccorso, non già l’art. 1189 c.c., ma l’art. 687 c.p.c. La norma, nello specifico, disciplina il c.d. sequestro conservativo. Di tale autonoma figura di sequestro ci si può avvalere allorché tra le parti del rapporto sinallagmatico sorga una controversia circa i diritti e gli obblighi nascenti dallo stesso rapporto, così come nell’ipotesi in cui, avendo il debitore chiesto un accertamento negativo del proprio obbligo, intenda medio tempore sottrarsi alle conseguenze negative dell’inadempimento, ossia alla mora debendi.
Sulla base di tali principi, i giudici di legittimità, nel caso attenzionato, accolgono il ricorso incidentale avanzato dagli eredi dello stipulante la polizza assicurativa e cassano la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviano alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.